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42 La “storia storica della scienza” è un’acquisizione metodologica ormai consolidata da anni

  che ha permesso di ridisegnare negli ultimi tre decenni il panorama tradizionale di questa disciplina, avendo come esclusiva metodologia ricostruttiva il ricorso a reperti, fonti primarie, inedite, d’archivio come necessario apparato documentario per una corretta definizione dell’effettivo percorso seguito dalla riflessione tecnica e scientifica. In questo contesto, il volume curato da Ivan Garofalo, Alessandro Lami e Amneris Rosselli che qui si recensisce costituisce un prezioso strumento per la ricostruzione della storia della medicina di impianto europeo. Il volume raccoglie infatti gli atti del II Seminario Internazionale di Studi dedicati alla tradizione indiretta degli antichi testi medici greci, latini ed arabi, tenutosi a Siena nel settembre del 2008. La diffusione diretta ed indiretta della medicina greca nella cultura scientifica tardo antica, medievale e rinascimentale, costituisce il nucleo della ricerca PRIN 2006 “La medicina greca: tradizioni ed influenza” che ha visto coinvolti giovani ed esperti studiosi del settore. Gli sviluppi di questa ricerca, illustrati in tre importanti Seminari Internazionali di Studi,

  1 offrono importantissime indicazioni agli storici della medicina, non solo antica.

  In particolare gli Atti del Secondo Seminario in esame ricostruiscono gli aspetti legati alla tradizione indiretta dei testi medici greci, latini, arabi, che, come scrive Amneris Roselli nel suo saggio ‘Testi medici greci. Tradizione indiretta e pratiche editoriali’ (pp. 219/34), sono considerevoli e costituiscono un fenomeno peculiare rispetto alla tradizione dei testi tecnici in generale e letterari in particolare. E proprio la ricostruzione della varietà delle tipologie di tradizione dei testi medici permette alla storia della medicina di riscrivere il del suo sviluppo.

  Nel saggio di Nicoletta Palmieri ‘L’Ippocrate latino tardoantico: qualche esempio di bilinguismo imperfetto’ (pp. 11/26) si affronta lo studio delle traduzioni latine del VI sec., ponendo l’attenzione sulle tecniche di traduzione adottate per tre importanti testi ippocratici (

  , e ). Palmieri nota bene come nell’Impero del VI sec., sede di presenze multietniche, il bilinguismo fosse sempre più raro, tanto che lo studioso Guglielmo Cavallo conia l’espressione di “bilinguismo imperfetto”, termine con il quale, oltre ad indicare i cittadini latini con ormai sempre più fragili conoscenze di greco, si affiancano abitanti dell’impero di origine greca ed orientale che parlano il latino, ma lo trascrivono utilizzando l’alfabeto ellenico. Secondo Palmieri, un’attenta analisi delle analogie o differenze riscontrate nel metodo di traduzione adottato permette di porre in chiara luce il problema cruciale di identificare le finalità del traduttore e la destinazione d’uso del suo lavoro, ossia il pubblico cui era destinato il prodotto librario. Il ed il sono contenuti nel manoscritto italiano Parisinus 7027 (X sec.), mentre nel manoscritto Ambrosiano G 108 inf. (IX sec.) è presente il . Si tratterebbe, secondo Palmieri, di versioni esasperatamente letterali, concepite come ausilio alla lettura dei testi medici in un contesto di studio: redatte direttamente sul modello greco, erano destinate a facilitare la comprensione di opere divenute troppo difficili per le conoscenze linguistiche dell’occidente tardo antico, tanto da poter essere considerate in origine come vere e proprie traduzioni interlineari. Nei centri come Ravenna, Napoli, Roma, sedi di scuole alle prese con il “bilinguismo imperfetto”, queste traduzioni, certamente non destinate ad intellettuali, avevano la funzione più semplicemente di “glossari”, utili per decifrare i testi medici, per capirne il senso e forse per commentarli. Sempre dedicato alla diffusione indiretta dei testi medici greci attraverso opere latine è il saggio di Franco Giorgianni ‘Tradizione e selezione del corpus hippocraticum nel di Teofilo’ (pp. 43/77), dedicato alla trasmissione di un’opera che costituisce un vero e proprio manuale enciclopedico di anatomia umana in cinque libri con finalità didattiche. Spunto principale di quest’opera sono i XVII libri del di Galeno: galenismo, aristotelismo e scolastica alessandrina si fondono nel progetto di Teofilo di redigere un’immagine del mondo umano ed animale in cui ogni suo componente ha una collocazione ed una composizione perfetta. Tuttavia il è presente nell’opera teofilea a tal punto che Giorgianni può ben ritenere il Teofilo del un testimone indiretto della trasmissione di testi ippocratici. Nel suo saggio Giorgianni infatti esamina con particolare attenzione tutti quei passi, relativamente numerosi, del nei quali Teofilo cita Ippocrate in maniera sia diretta e completa sia indiretta. Gli estratti ippocratici che Giorgianni riscontra nell’opera di Teofilo provengono in larga parte dai trattati pseudo/ippocratici e , e parzialmente dal estratti, insieme ai rimandi ricorrenti, sostiene Giorgianni, testimoniano quanto la tradizione diretta ippocratica fosse viva al tempo di Teofilo e come Ippocrate fosse a quel tempo considerato non una mera autorità da citare per soli fini eruditi, ma un esempio di letteratura scientifica sulla quale costruire la professione medica.

  Allo studio dei manoscritti medici latini come fonti cui attingere informazioni fondamentali su ampi squarci di sapere scientifico andati perduti è dedicato il contributo di Klaus/Dietrich Fischer ‘De auxilio librorum latinorum in memoriasc/riptorum graecorum de medicina adhibendo’ (pp. 11/42), che riporta alla luce opere di medici greci dei quali si era persa memoria, recuperando citazioni dirette alle loro opere ad oggi ancora sconosciute, per esempio nell'Oribasio Latino, Codices Laud. 424 e Par. Lat. 10233.

  Le traduzioni latine di Galeno costituiscono il tema centrale dei saggi delle studiose Stefania Fortuna e Anna Maria Urso (‘Burgundio da Pisa traduttore di Galeno: nuovi contributi e prospettive’, con un’appendice di Paola Annese, ‘La traduzione di Burgundio da Pisa del di Galeno’, pp. 139/75), di Chiara Savino (‘Dare ordine a Galeno: l’edizione di Giovanni Battista Rasario (1562/1563)’, pp. 187/99) e di Ivan Garofalo (‘Il falso commento di Galeno al e un saggio di edizione del vero’, pp. 201/218). In particolare Garofalo, ricostruendo la storia del falso commento di Galeno agli di Ippocrate, realizzato nel 1562 da G. B. Rasario, presenta un saggio di edizione degli autentici frammenti del commento di Galeno,

  2 contenuti principalmente in Oribasio e in Razes.

  Nel saggio ‘Galeno e lo Ps. Alessandro di Afrodisia in due Lyseis di Giovanni Argiropulo’ (pp. 177/86), Anna Maria Ieraci Bio esamina un’opera medica poco nota dell’umanista bizantino Giovanni Argiropulo,

  , individuandone due eminenti fonti: l’ di Galeno, citata esplicitamente nel testo, rimasta inedito fino al 1910, 3 ed il dello Ps. Alessandro di Afrodisia. Alla presenza di tradizioni greche nella medicina araba sono dedicati i contributi di Oliver Overwien (‘Die Bedeutung der orientalischen Tradition für die antike Überlieferung des hippokratischen Eides’, pp. 79/103) e di Peter E. Pormann (‘Al Kaskari (10th cent.) and the Quotations of Classical Authors: A Philological Study’, pp. 105/38). Il saggio di Overwien analizza la tradizione araba del di Ippocrate, mentre il lavoro di Pormann ricostruisce la presenza di citazioni di medici greci nell’opera di al/Kaskari, medico attivo a Baghdad nella prima metà del X secolo.

  Un indice dei manoscritti citati conclude opportunamente questa interessante raccolta di Atti.

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  1. Il primo Seminario risale al 2002, con atti pubblicati in I. Garofalo e A. Roselli (edd.), ! " ! # $ " # % &' (''( , Napoli 2003; il più recente ha avuto luogo nel

  2009: ‘Terzo Seminario Internazionale sulla tradizione indiretta dei testi medici greci: le traduzioni’, Siena, 18/19 settembre 2009.

  

2. La ricostruzione del commento di Galeno agli di Ippocrate è parte di un progetto di

raccolta di tutti i frammenti di Galeno, greci ed in traduzione, al quale Garofalo lavora.

  Composto da Galeno nel 176, nel IV sec. Oribasio ne ricavò diversi estratti. Nella metà del IX sec. fu tradotto in siriaco da Hunain ed in arabo da ‘Isa. La traduzione araba non si è conservata, così come l’originale greco. L’opera stampata per la prima volta da Kühn (1828) è un falso come la presunta traduzione latina di Giovanni Battista Rasario, considerata per tre secoli realizzata su un originale autentico.

  

3. L’opera fu pubblicata da S. Lampros ad Atene nel 1910, senza apparato delle fonti, sulla

  base di due manoscritti del XV secolo: il cod. Scor. Φ III 15 e il Par. gr. 958, ai quali si deve aggiungere il Vat. gr. 285 (sec. XV/XVI), vergato da Agallone Mosco, allievo di Argiropulo alla scuola di Kral a Costantinopoli.

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