13.4 Sisa Tabet Lopez I GRILLI

I GRILLI1
Questa è una pagina d'amore piuttosto inconsueta: scritta all'età di ottantacinque anni, nel 1970.
Racconta in prima persona come una ragazza agli inizi del secolo incontrò, si innamorò, trepidò e alla
fine si fidanzò con un uomo che si chiamava Sabatino Lopez - il commediografo. C'erano diciassette
anni di differenza fra i due, e al primo incontro lei era una bimba dai grandi occhi... Pubblichiamo il
ricordo autobiografico così come ce lo ha fatto pervenire Guido Lopez, conseguenza (molti anni dopo)
di questa vicenda.

Mio fratello Guido si era sposato, e io spesso andavo a Genova, ospite nella sua bella casa, ampia e
signorile, di via Interiano. Mi piaceva stare con Guido, Luisa, i loro amici, nell' ambiente caldo,
simpatico, giovane della nuova famiglia. Era un piacevole diversivo alla vita che conducevo a casa
mia, costretta ad una disciplina familiare rigida che mi toglieva troppo la libertà di pensare e di agire a
modo mio anche ora che già da un pezzo avevo l' età di potermi guidare da sola. Mio fratello aveva
scelto per moglie una cara e simpatica donna, di straordinaria intelligenza e bontà; avevano due
bambini che amavo molto, e la vista della felicità di quel matrimonio dava un volto alla vaga
inquietudine, a quel sentimento di vuoto che a tratti mi turbava.
Vedevo gente nuova e tutto mi sembrava più allegro, più giovane e leggero. Spesso con loro
andavo a1 teatro, né loro si preoccupavano tanto di giudicare se le commedie che ascoltavo (o i libri
che leggevo) fossero del tutto 'per signorine'. E mi permettevano di uscire da sola, e di andare dove
mi pareva.
Un giorno — era, mi pare, primavera avanzata — una di quelle giornate in cui tutto sembra

bello perché i giardini sono fioriti, perché l' aria è piena di profumi, perchè ero giovane e piena di
vitalità, fummo invitati a un garden-party nel bel giardino di un albergo in via Serra. Passeggiavo nei
viali con un' amica della mia famiglia quando un signore si avvicinò a noi per salutare la mia
compagna. Ma, prima ancora che essa me lo presentasse, egli mi riconobbe, e io lui. Mi guardò un
po' stupito, perché certo mi trovava cambiata da quando mi aveva conosciuta la prima volta.
La mia età di allora? dodici, tredici anni, forse anche di meno. I miei cugini ed io, quella sera,
non avevamo pranzato con i 'grandi', ma nella stanza da gioco dei ragazzi, con l' istitutrice. C' erano
degli invitati di riguardo e — specie i cugini più piccoli — avrebbero disturbato. Dopo cena, però,
fummo chiamati in sa1otto per salutare gli ospiti prima di andare a letto. E tra gli invitati c' era anche
lui. Io ero la maggiore; entrammo in fila uno dopo l' altro; io avevo un vestito azzurro che mi piaceva
molto, ed entrai per la prima. Lo salutai con bel garbo e lo guardai, lui mi sorrise e, mentre
proseguivo nel mio giro di saluti, udii che mormorava a mia zia: >. Altri prima di lui aveva osservato che avevo dei begli occhi, perché io, pur essendo
un tipo un po' scolorito, pare che avessi degli occhi singolari. Abituata a sentirmi rivolgere quel
complimento, non ci facevo più caso. Come mai, dunque, quella volta ne fui particolarmente lieta, e
il ricordo di chi me lo faceva non svanì dalla mia mente?
1Sisa Lopez Tabet, da: La Martinella di Milano, 1983, pag. 105-108.

Ci ripensai qualche anno dopo quando egli, di passaggio a Pisa, invitato da mio padre, venne
a colazione da noi. >, disse vedendomi entrare. >.
Forse fu da quel giorno che mi innamorai di lui. Ma non me ne avvidi. Figurarsi! dovevo

avere allora circa sedici anni, e a casa mi trattavano quasi come una bambina; lui, invece, ne doveva
avere trentadue o trentatre. I1 doppio della mia età. Era una persona importante già affermata nel1a
sua arte, e certo non potevo immaginare che il sentimento che provavo per lui fosse qualche cosa di
più, o di diverso, da una semplice simpatia, e dell' orgoglio di sentirmi trattata da lui con tanta
cordialità ed interesse.
Sedici anni! Per 1e fanciulle di allora, vissute in un clima di austerità e di ignoranza della
realtà — forse eccessiva, come ora forse è eccessiva la troppa sfrontatezza e libertà di modi che
tog1ie alla donna un po' del suo profumo — il traguardo dei sedici anni segnava una svolta
importante verso il futuro. E perfino i segni esteriori: i capelli rialzati sulla nuca, le gonne discese
fino a terra a coprire le gambe, sicché appena lasciavano occhieggiare la punta delle scarpette,
sembravano voler significare che non eravamo più delle bambine, ma delle 'signorine'.
Sedici anni! Età sognata, agognata già da molto tempo, finestra aperta sull' avvenire, piena di
promesse, piena di speranze.
Speranza di che cosa? Chi mai sognava, allora, tra le ragazze della borghesia ebraica o
dell' alta società, specie in provincia, di poter frequentare l' Università o qualche tipo di scuola
superiore per poi esercitare una professione alla pari di un uomo? A Pisa c' era una sola signorina che
frequentava l' Università, ma era un' inglese. Sì, nelle grandi città, a Milano, a Roma, e specialmente
all' estero, si sentiva dire che c' erano delle donne scienziate, dottoresse in medicina, direttrici di
grandi aziende. Si sentiva dire che, all' estero, le ragazze uscivano fuori liberamente, perfino di sera,
con i compagni di scuola e con gli amici dell' altro sesso senza essere accompagnate dalla mamma o

da qualche altra persona adulta.
Da noi, invece, le donne, al massimo, potevano aspirare a prendere la patente di maestra
elementare, e se la famiglia era di disagiata condizione economica, andavano ad insegnare in una
scuola pubblica, in un collegio o trovavano da occuparsi come istitutrici in qualche casa privata.
Oppure se conoscevano bene una lingua straniera, o se erano brave pianiste, trovavano da dare
lezioni private. E se ricamavano bene, potevano facilmente vendere i loro lavori. Ma la maggior parte
delle 'signorine di buona famiglia' non vedevano aprirsi al loro avvenire, e alla loro libertà, altra
strada all' infuori di quella di un matrimonio.
Così, ciò che le ragazze — la maggior parte delle ragazze di allora — sognavano e speravano,
era 1a grande avventura che avrebbe loro fatto incontrare un Principe Azzurro.
Io no. Specie allora, quando avevo sedici anni, non sognavo di sposarmi. Faccende
domestiche, bimbetti noiosi da badare, pomeriggi trascorsi a far visite alle conoscenti, o nelle vacue
mondanità delle signore, oppure a sferruzzare lavori a maglia chiacchierando di donne di servizio, di
cappellini, di pettegolezzi, di pappe da dare ai bambini, erano cose che mi apparivano estremamente
monotone e noiose. E poi, al contrario delle ragazze che conoscevo, non mi importava che i ragazzi

mi facessero la 'corte'. Li avrei voluti come camerati, e soprattutto mi sarebbe piaciuto di avere una
professione, studiare ed essere libera come un uomo. E purtroppo sapevo che ciò era impossibile.
Ascoltavo 1e confidenze delle mie amiche, ma non dividevo 1a loro mentalità. Esse avevano
sempre da raccontarsi i loro romanzetti più o meno frutto della loro fantasia. C' erano le ragazze

romantiche che leggendo le stucchevoli, oleografiche vicende dei romanzi 'color di rosa' e con la
testa piena di quella stupida 'letteratura per signorine', sognavano strane avventure: colpo di fulmine,
l' incontro patetico al capezzale della mamma malata... E ogni ragazzo incontrato per strada che si
fosse voltato vedendole passare, poteva essere quello. Altre, invece, più mature, e con maggiore
senso pratico, si guardavano intorno seriamente senza pretendere la grande passione, e, magari, se
non erano ricche né particolarmente belle, si sarebbero accontentate di un matrimonio combinato dai
genitori.
E poi c' erano le civette: quelle che, più ancora di trovare un marito, ambivano di essere
corteggiate. Nonostante la sorveglianza rigidissima delle mamme che non le lasciavano mai uscir
sole, esse trovavano il mezzo, con un sorriso, con un rapido sguardo consapevole, con una paroletta
mormorata in un ritrovo in casa di amici, di accalappiarsi gli adoratori, per menar vanto con 1e
amiche delle loro conquiste.
Questo gioco di vanità mi ripugnava, e per tema di lusingare qualcuno che mostrava della
simpatia per me, non avendo nessun desiderio di sposarmi, diventavo scontrosa e fredda, sicché mi
ero fatta la fama di essere superba e un po' oca.
Ma certo, quella mattina a colazione in casa nostra a Pisa, non mi passò per la mente che quel
simpatico signore che guand' ero bimba si era pronunciato con un complimento sui miei occhi,
potesse provare per me un sentimento diverso, o maggiore, di una semplice simpatia. E dalla sua
simpatia mi lasciai trasportare: la sua affabilità, la sua gentilezza, le cose interessanti che raccontava
mi affascinavano. Con nessun' altra persona estranea mi sentivo a mio agio come con lui, e anche lui

sembrava che si divertisse a parlare con me, a ridere con me. Era come se lo avessi conosciuto da
tanto tempo. Da sempre.
Ricordo che, quando andò via, appena si fu congedato, corsi in giardino e mi arrampicai sul
tronco di un albero che sporgeva dal muro verso la strada e, come facevo da bambina quando volevo
seguire con lo sguardo la mamma che esciva senza di me, stetti a guardarlo finché non disparve allo
svolto della via. Quando non lo vidi più, una strana idea mi traversò la mente: >. Non volevo si facesse inutili illusioni.
Tutto chiaro. Però, nel nostro gruppo di ragazzi si era sparsa la voce che tra noi fosse nato un flirt, e
un flirt a quei tempi voleva dire prossimo fidanzamento, nove volte su dieci.
Questa voce arrivò presto agli orecchi di una mia cugina: bella e più che bella, per il suo
fascino sin da giovinetta aveva avuto chi si innamorava a prima vista di lei. Eccellente pianista (io
arrivavo appena a strimpellare) di carattere del tutto diverso dal mio; non ostante questo, ci amavamo
teneramente. Sposatasi molto giovane con uno dei suoi più affascinanti corteggiatori, dopo un anno
di matrimonio era tornata a vivere con i suoi, a turbare altri cuori. Stupita, dunque, che alla mia età
non avessi avuto nessuna passioncella, lo fu ancora di più quando, a proposito della presunta simpatia
fra me e il mio amico d' infanzia, le risposi che consideravo il mio 'pretendente' nulla più che un
amico.
Ricordo che era una domenica, e noi eravamo rimaste in casa completamente sole: anche le
donne di servizio erano uscite. Matilde rimase un po' in silenzio guardandomi come se volesse dirmi

qualcosa, poi si alzò, si sedette al pianoforte e attaccò un indiavolato preludio di Chopin. Io intanto

fantasticavo. Pensavo che era passato un anno da quando avevo incontrato colui che mi sarebbe
piaciuto di sposare. Se non avessi avuto paura che mia cugina mi giudicasse una sciocca, avrei voluto
dirle tutto e mi avrebbe fatto bene confidarmi con qualcuno.
Ero così persa nei miei pensieri, quando ad un tratto lei interruppe bruscamente di suonare, e
si voltò verso di me, sullo sgabello del pianoforte, e a bruciapelò mi domandò se sapevo, se i miei mi
avevano detto che l' anno prima qualcuno aveva richiesto ai miei di sposarmi, e mia madre aveva
giudicato che non fosse stato un uomo adatto a farmi felice.
E allora, quasi a mia insaputa, il nome che mi bruciava le labbra mi escì di bocca. Lei mi
guardò stupita. >.
No. Non mi avevano detto nulla. Perché non mi avevano detto nulla? Perché avevano
rifiutato? Per la grande differenza di età? Perché gli artisti hanno fama di non essere buoni mariti?
Ma allora non mi ero ingannata. Non era un sogno. Dio! come ero felice!
>.
Erano altri tempi, allora, tanto diversi dai nostri, e forse io ero particolarmente timida e
timorosa della mia mamma. Probabilmente anche a quei tempi un' altra ragazza avrebbe avuto il
coraggio di parlare con i suoi genitori. Ma io quel coraggio non l' avevo.
Lo ebbe la mia buona cugina.
Ci fidanzammo il sei di agosto di quello stesso anno: 1909. Non esiste più, ora, lo sconquassato
trenino a vapore col quale egli doveva partire la sera stessa per andare a trovare la sua Mamma che
era in campagna, e comunicarle la notizia che si era fidanzato.

E nemmeno saprei ritrovare la piazza, gialla di gramigna arsa dal sole, dove andammo, lui ed
io, in quel luminoso tramonto d' estate. Forse, a farla scomparire e a renderla irriconoscibile saranno
state le nuove costruzioni, ma solo che io rievochi il passato, e agli occhi della mente tutto ciò
riappare come era allora, per quel prodigioso miracolo della natura e di Dio che fa continuare
immutati, nel ricordo, avvenimenti già vissuti, suoni, sentori scomparsi da tanto tempo ma vivi e
indistruttibili in noi; solo che io ripensi a quel giorno, tutto resuscita in me e mi riappare vivo come
allora.
Odo l' erba secca che scricchiola sotto i nostri piedi e vedo le cavallette che schizzano
impaurite sotto i nostri passi, e lui che mi cammina accanto e non parla e nemmeno io parlo, perché
l' emozione e la gioia sono troppo grandi per esprimersi. Sento il profumo di salsedine e di resina che
giunge a noi dalla pineta e dal mare, e odo il frinire dei grilli che cantano la loro gioia di vivere.
Anche lui li sente e dice: >. Cari piccoli
grilli, io vi amo, e ogni volta che vi sento cantare nel silenzio del giorno che declina, qualche cosa
canta nel mio vecchio cuore per quel ricordo benedetto della mia vita.