La sintassi degli elementi avverbiali di

III STUDIA ASIANA - 1

LE FUNZIONI SINTATTICHE DEGLI ELEMENTI AVVERBIALI DI LUOGO ITTITI

anda(n), ×ppa(n), katta(n), katti-, peran, par×, ôer, ôar×

di

RITA FRANCIA

Herder

Roma 2002

Studia Asiana - 1

Serie diretta da Alfonso Archi - Onofrio Carruba Franca Pecchioli Daddi

V o lu me stamp ato co l co n trib u to d el Dip artimen to d i S tu d i S to rici e Geo grafici

d ell’Un iversità d i F iren ze (F o n d i M IUR 2 0 0 0 )

In co p ertin a: M .C. Esch er, Relatività

Premessa

Il presente lavoro è l’elaborazione e l’ampliamento della mia tesi di Dottorato discussa presso l’Università degli Studi di Firenze nell’ottobre del 1995 dal titolo “Gli Elementi Avverbiali di Luogo in Antico Ittita”, sotto la supervisione dei Professori Fiorella Imparati, Alfonso Archi e Onofrio Carruba. Il personale interesse per l’argomento, ha fatto sì che la ricerca proseguisse negli anni successivi studiando la sintassi degli avverbi di luogo nei testi di età media e recente, grazie al conseguimento di una borsa N.A.T.O. - C.N.R. “Advanced Fellowships Programme 1997”

e di una borsa Post-Dottorato concessami dall’Università degli Studi di Firenze nel 1998. Nel corso del Dottorato di Ricerca e, successivamente, grazie ai sussidi della borsa N.A.T.O. - C.N.R., ho trascorso tre semestri presso il Professor Erich Neu della Ruhr-Universität di Bochum, con cui ho avuto la possibilità di discutere ampliamente delle problematiche affrontate nel presente lavoro e il cui incoraggiamento, unitamente ai preziosi suggerimenti sono stati di fondamentale importanza per i risultati raggiunti.

La ricerca è stata seguita in ogni sua fase dal Professor Alfonso Archi, a cui va la mia profonda gratitudine non solo per avermi introdotto allo studio dell’Ittitologia, ma anche per avermi sempre incoraggiata e sostenuta.

Grande riconoscenza devo al Professor Onofrio Carruba, per aver seguito le varie fasi di questa indagine e avermi fornito utili consigli e suggerimenti.

Ringrazio ancora il Professor H. Craig Melchert, con cui ho avuto modo di discutere di alcuni aspetti della ricerca nel corso di un suo soggiorno a Roma nell’aprile del 2001, e che in seguito

ha cortesemente letto il manoscritto corredandolo di preziose annotazioni.

Ai Professori Alfonso Archi, Onofrio Carruba e Franca Pecchioli Daddi porgo sinceri ringraziamenti per aver voluto ospitare questo lavoro nella serie da loro curata.

Tra le persone che mi sento di ringraziare per aver contribuito alla riuscita di questo lavoro, sono la Signora Diplom- Bibliothekarin Alke Eulen della Ruhr-Universität di Bochum per avermi di molto agevolato nella fruizione dei volumi della biblioteca durante i soggiorni nella città tedesca, e ancora Marco e Antonello, per avermi, seppur incosapevolmente, accompagnato e sostenuto moralmente.

Un grazie di cuore esprimo ad Anna e Cesare, per infiniti motivi che non sarebbe possibile elencare in un solo volume.

A Roberto e Camilla, miei compagni di viaggio, senza l’appoggio e la pazienza dei quali questo lavoro non sarebbe stato possibile, dedico questo libro.

Roma, gennaio 2002

VII

Abbreviazioni e Sigle

ABAW Abhandlungen der Bayerischen Akademie der

philosophisch- historische Abteilung - Munich ABAW NF

Wissenschaften,

Abhandlungen der Bayerischen Akademie der

philosophisch- historische Abteilung. Neue Folge abl.

Archiv für Orientforschung

AGI Archivio Glottologico Italiano AH Apologia di ¸attuôili III (cfr. bibl. Otten, H., 1981)

a.-i.

antico-ittita

AIWN Annali del Dipartimento di Studi del Mondo Classico

Mediterraneo Antico. Sezione Linguistica. Istituto Universitario Orientale di Napoli

e del

Alakô. Trattato di Muwatalli con Alakôandu di Wiluôa (cfr. bibl. Friedrich, J., 1930: 42- 105)

All. Rituale di Allaituraèi (cfr. bibl. Haas V. - Wegner I., 1988: 56-64)

AM Annali di Murôili II (cfr. bibl.: Götze, A., 1933a)

AOS

American Oriental Series

ArOr

Archiv Orientální

Bo sigla che precede i numeri di inventario delle tavolette di Boåazköy

BoSt

Boghazköi-Studien

BSL Bulletin de la Société de Linguistique de Paris

BUL Biblioteca Universale Laterza CHD

Güterbock, H.G. - Hoffner, H.A. (eds.): The Hittite Dictionary of the Oriental Institute of the University of Chicago. Chicago 1989-

ChS Corpus der hurritischen Sprachdenkmäler CLL

Melchert, H.C.: Cuneiform Luvian Lexicon. Chapel Hill, N.C. 1993

col.

colonna

CTH Laroche, E.: Catalogue des textes hittites.

Paris 1971

d.-m.

ductus di età media

d.-n.

ductus di età recente

Dupp. Trattato di Murôili II con Duppi-Teôup (cfr. bibl. Del Monte, G., 1986: 160-177)

I (cfr. bibl.

Güterbock, H.G., 1956)

EAA Elementi Avverbiali Adirezionali EAD

Elementi Avverbiali Direttivi EAL

Elementi Avverbiali Locali Eothen

Eothen. Collana di studi sulle civiltà dell’Oriente antico

Falkenstein, A., Die

Bilingue des ¸ attu ô ili I. (ABAW, NF 16). Munich HED

Hethitisch-akkadische

Puhvel, J., Hittite Etymological Dictionary. Berlin - New York 1984- HG Leggi (cfr. bibl. Friedrich, J., 1959)

HS Historische Sprachforschung (già KZ=ZVS). HKM

Lettere da Maõat-Höyük (cfr. bibl. Alp, S.: 1991)

Huqq. Trattato di Êuppiluliuma I con ¸uqqana (cfr. bibl. Friedrich, J., 1930: 109-163)

Hethitisches Wörterbuch.

Heidelberg 1952- HW 2 Friedrich,

Kammenhuber, A.: Hethitisches Wörterbuch. Zweite völlig neuebearbeitete Auflage auf der Grundlage der edierten hethitischen Texte. Heidelberg 1975-

J.

IBoT Istanbul Archeoloji Müzelerinde Bulunan Boåazköy Tabletleri(nden Seçme Metinler)

IBS Innsbrucker Beiträge zur Sprach- wissenschaft Innsbrucker Beiträge zur Sprach-

IBS V wissenschaft.Vorträge und Kleine Schriften i.e.

indo-europeo IF Indogermanische Forschungen

Istr. Istruzioni per le guardie del corpo (cfr. bibl. Güterbock, H.G. - van den Hout, Th., 1991)

JANES Journal of the American Near Eastern Studies

JAOS Journal of the American Oriental Society JCS

Journal of Cuneiform Studies JNES

Journal of Near Eastern Studies

IX

Kan. Preghiera di Kantuzzili (cfr. bibl.Lebrun, 1980: 111-120)

KBo Keilschrifttexte aus Boghazköi Kratylos

Kratylos.

Berichts- und Rezensionsorgan für Indogermanische und Allgmeine Sprachwissenschaft

Kritisches

KUB Keilschrifturkunden aus Boghazköi KZ

Vergleichende Sprach- forschung (“Kuhns Zeischrift”) Language

Zeitschrift

für

Language. Journal of the Linguistic Society of America

loc.

locativo

m.-i.

medio-ittita

m.i.

margine inferiore

Madd. Testo di Madduwatta (cfr. bibl. Götze, A., 1928)

Maôt. Rituale di Maôtigga contro le discordie familiari

Instituts für

margine superiore

mt.sin.

metà di sinistra

ägyptischen Gesellschaft

n.-i.

Oriens Antiquus

OAC

Orientis antiqui collectio

OBO Orbis Biblicus et Orientalis OLZ

Orientalistische Literaturzeitung OrNS

Orientalia Nova Series

PdP

La parola del passato

Pup.

Rituale di Pupuwanni

Revue hittite et asianique

RLA Reallexikon der Assyriologie. Ro.

recto

Sam. Rituale di Êamuèa (cfr. bibl. Lebrun, R., 1976)

SEL Studi epigrafici e lingustici SMEA

Studi micenei ed egeo anatolici Sprache

Die

Sprache.

Zeitschrift für Sprach-

wissenschaft

StBoT Studien zu den Boåazköy-Texten strum.

strumentale

Targ. Trattato tra Murôili II con Targaôanalli (cfr. bibl. Friedrich, J., 1926: 151-194)

TB Tavola di Bronzo (Bo 86/299) (cfr. bibl.

Otten, H., 1988)

THeth.

Texte der Hethiter

Assyriologie und

Vorderasiatischen

Archäologie.

Ergänzungsbände zur ZA

VBoT Verstreute Boghazköi-Texte, ed. Götze, A. VO

Vicino Oriente

Vo.

verso

ZA Zeitschrift für Assyriologie und verwandte Gebiete

Introduzione

‘A tutto ciò che conosciamo, percepiamo, ideiamo, dobbiamo dare necessariamente un ordine.’

G. R. Cardona (1985: 1)

Introduzione

Ogni azione, gesto o avvenimento a cui assistiamo o di cui siamo partecipi trova luogo in uno spazio e in un tempo; la nostra stessa persona è collocata in uno spazio e in un tempo. Da queste premesse, è abbastanza ovvio che in tutte le epoche e in tutte le lingue si sia avvertita la necessità di definire tali concetti, affinchè potessero essere comunicati ad altri parlanti. Facendo nostre le parole di G.R. Cardona (1985: 21), possiamo dunque affermare: ‘sembrerebbe intuitivo che la visione che un gruppo ha dello spazio debba inscriversi in qualche modo nelle strutture della sua lingua; il riferimento spaziale è così importante (....) che sembra inevitabile debba essere la lingua stessa a comunicarlo’ . L’importanza che le coordinate spazio-temporali rivestono nella comunicazione è ben evidente se consideriamo che ogni nostro racconto o narrazione non può in alcun modo prescindere da esse: si provi ad immaginare la narrazione di un accadimento senza alcun indicatore di spazio o di tempo ..... la narrazione stessa verrebbe meno. Perché tali coordinate rientrino in un circuito comunicativo, è necessario che ogni parlante disponga di alcune parole che contengano in sè le nozioni di spazio e di tempo necessarie per riordinare nella propria mente e comunicare all’esterno quanto accade intorno. La lingua ittita presenta nel suo vocabolario una serie di parole indicate genericamente come Ortsadverbien “avverbi di luogo” la cui funzione principale è indicare la dimensione spaziale in cui ha luogo un’azione, uno stato o un evento espresso dal verbo, esse sono: anda, andan “dentro, in”, andurza “all’interno”, × ppan - × ppa “dietro”,

× pp(an)anda “dietro”, kattan - katti- - katta “sotto, giù, presso”, kattanda “giù, sotto”, peran 1 - par × “avanti,

davanti”, parranda “attraverso, su” , pariyan “attraverso, su, oltre”, parrianta “oltre” ô er - ô ar × “sopra, su”, i ô tarna - i ô tarni-

1 La trascrizione adottata per questo EAL è pé-ra-an piuttosto che p¡- ra-an in base a Neu (1974: 38) e Melchert (1984: 85).

2 Introduzione

“tra”, ar è

a “da un lato”, tapu ô za “accanto, vicino”, mena èè anda “presso”; alcuni di questi termini sono documentati anche con accezione temporale: × ppan - × ppa “poi, dopo, successivamente”, × ppanda “poi, dopo, successivamente”, katta “in futuro, successivamente”, peran “prima”, par ×

a “via”, ara è za “all’esterno”, tapu ô

“successivo, seguente” 2 .

In questo studio ci occuperemo degli avverbi di luogo corrispondenti, vale a dire di quel gruppo di avverbi che nella lingua antica presentano una opposizione morfologica, a cui ne corrisponde una funzionale, stato: direzione, ragion per cui Starke (1977: 134) li ha definiti korrespondierende “corrispondenti”. Gli avverbi in questione sono:

A - andan B- anda

× ppan

× ppa

kattan, katti-, katta 2 katta peran par × ô er ô ar ×

Gli avverbi del gruppo A corrispondono agli stativische Adverbien nella classificazione di Starke, quelli del gruppo B ai

terminativische 3 Adverbien .

studio definiremo adirezionali gli avverbi elencati in A, direttivi quelli elencati in

In

questo

B. L’aggettivo direttivi per gli avverbi in -a del gruppo B è stato preferito accogliendo le motivazioni esposte da Brixhe (1979), mentre adirezionali per quelli del gruppo A nasce dalla considerazione che quella stativa o locativa, che dir si voglia, è solo una delle molteplici funzioni di tali avverbi e pertanto etichettarli come locativi o stativi risulterebbe, a nostro avviso, alquanto limitativo. Non riuscendo a trovare un termine adatto ad esprimere tutte le funzioni a cui questi avverbi attendono, preferiamo definirli per negativo con riferimento alla funzione locale che non è loro propria, da qui l’aggettivo adirezionali. Direttivi - adirezionali corrisponde all’opposizione funzionale, oltre che morfologica, che questi avverbi mostrano nella lingua antica, come è stato determinato da Starke, mentre è da verificare se tale opposizione sia riscontrabile anche nelle fasi linguistiche posteriori. L’obiettivo che ci proponiamo è dimostrare che la funzione sintattica degli avverbi di luogo non è limitata al solo ambito avverbiale, ma che essi possono instaurare anche relazioni con gli

2 L’espressione delle nozioni temporali mediante ×ppa(n), ×ppananda, par×, peran, peran par× sono state studiate da Dunkel (1982).

3 Sulla terminologia per la designazione di questi avverbi e del caso in -a già molto si è discusso e non è nostra intezione dilungarci oltre,

rimandiamo pertanto a Starke (1977: 19 e sgg.); Josephson (1981: 95- 105); Brixhe (1979: 66 nota 9); Kammenhuber (1979); CHD (L-N: XII- XIII).

Introduzione

3 altri elementi della frase: di natura posposizionale 4 , con i

costituenti nominali o pronominali, preverbale, con il verbo. Per giungere a questo fine abbiamo studiato separatamente i due gruppi di avverbi e analizzato le occorrenze di ciascuno di essi nel corpus indagato relativamente al contesto generale della frase. Il problema della determinazione delle funzione degli avverbi nelle lingue antiche non è di facile soluzione, poiché non è semplice individuare quando e come da elementi autonomi, cioè da avverbi indipendenti, siano passati ad instaurare relazioni con gli altri costituenti della frase. L'ittita, per l'antichità della sua documentazione, offre agli studiosi un campo di analisi privilegiato, sebbene i dati disponibili non siano sempre di agevole interpretazione. Dal momento che, come dimostreremo, le funzioni sintattiche di questi avverbi vanno ben oltre il campo avverbiale propriamente detto, avvertiamo la necessità di ricorrere ad una terminologia ‘neutra’ che tenga distinte la funzione avverbiale vera e propria dalla generica menzione di queste parole, senza alcun riferimento alla loro funzione. Da questo momento in poi useremo E(lemento/i) A(vverbiale/i) L(ocale/i) come indicazione generica

e riserveremo il termine ‘avverbio’ alla specifica funzione sintattica 5 . In questo studio non terremo conto, se non in modo marginale, delle

delle particelle enclitiche di inizio frase -an, -ap(a), -(a) ô ta, -kan, - ô an, poiché riteniamo che, nella maggior parte dei casi, esse non giochino alcun ruolo riguardo alla determinazione della funzione degli

EAL 6 . La presenza di queste particelle è generalmente di grande importanza per la semantica dell’intera frase o meglio, della singola frase quale parte di una sequenza, come ha evidenziato Carruba (1970; 1985) e recentemente ha ribadito Tjerkstra (1999: 136; 137; 157). Basti considerare il diverso significato di -kan

4 Il normale ordine dei costituenti della frase ittita è S(oggetto)- O(ggetto)-V(erbo) e risponde ai criteri classificatori universali

enunciati da Greenberg (1963: 62 e sgg.), tra cui il carattere posposizionale delle lingue con questo ordine basico dei costituenti (Universal 4); relativamente a questo argomento, si veda Luraghi (1990: 73 e sgg.).

5 La posizione semantica della categoria avverbio è molto ben definita

da Prisciano, Institutio de arte grammatica, 15, 5, 31; 14, 2, 12 “per se habent aliquam significationem”.

6 In solo due casi a noi noti, -kan par× pai- e -kan anda uwa- la particella enclitica di inizio frase può dirsi formare con certezza un

sintagma unico con l’EAL e il verbo. La conferma ci è data dalle traduzioni in accadico di queste due espressioni: -kan par× pai- corrisponde a ɽTU e UÉÉUTU (Götze, 1933b: 17 e sgg.; Zuntz, 1936: 63-64; 67-68; CHD, P: 21; 33; Tjerkstra, 1999: 64-65), e -kan anda uwa- ad AL¨KU ed ER²BU (Del Monte, 1986: 94-95) L’argomento sarà ripreso a § 3.1 e § 3.3.1.

4 Introduzione

ar è

a pai-/uwa- con una espressione di origine “andare/venire via, lasciare” rispetto a ar è

a pai-/uwa- con una espressione di direzione “tornare, arrivare (a casa, in patria)” (Tjerkstra 1999:

56 e sgg.) 7 , ma non ci è di alcun aiuto per individuare la funzione, avverbiale, posposizionale o preverbale degli EAL, ricorrendo sia

là dove Tjerkstra individua uno stretto legame tra l’EAL e il verbo, sia là dove li riconosce indipendenti tra loro 8 . Non si può inoltre ignorare l’esistenza di testi dove tali particelle sono assolutamente assenti, citiamo a titolo esemplificativo a.-i. KBo

XI 1, il cui uso era ufficiale e, pertanto, redatto in un linguaggio forbito 9 , e ancora a.-i. KBo XXV 122 (= StBoT 25 n. 122). Altro fenomeno che a nostro avviso non permette di ritenere le particelle, nel complesso, parte essenziale della semantica verbale, fatta eccezione per quanto evidenziato da Götze (1933b), è l’esistenza di passi diversi aventi uno stesso verbo che già nella lingua antica non sempre attestano l’uso delle particelle locali:

a I - (a.-i.) StBoT 25 n. 137, Rs. III 16’ d [ G]ÍD.DA IM-ni ZAG-

a[z da]-  a -i è ar- ô i- è ar- ô i II- Ê U è a-at-ta-ra-an (17’) III - Ê U è a-at-ta-ra-an i ô -t[a-n]a-na-a ô ki-it-ta ke-e-et-ta (18’) da-a-i b

GIÊ BANÊUR-ya-a ô - ô a-an da-a-i “ [met]te x alla destra del dio della tempesta; un pithos scolpito in due punti <e uno> scolpito in

tre punti (lett.: inciso per due volte, inciso per tre volte) mette di qua e di là sull’altare: e <dunque> li mette sull’altare” 10 .

Si osservi l’uso di dai- “mettere, porre” con il loc. senza alcuna particella locale in I a e con loc. e particella locale - ô an in I b ;

a MUÊEN è a-a-ra-na-an L[UGAL-a ô SAL.LUGAL-a ô - ô ]a ô e-e-er- ô a-me-et III-[( Ê U)] (17’)

II - (a.-i.) StBoT 25 n. 3, Vs. II 16’

DUMU. .GAL  wa-a è -nu[-uz-zi b ú]- ga -a ô -ma-a ô - ô a-an RIN MEÊ -an

e-  e  [(-er)] (18’) III-  U ô  Ê wa-a è -nu-ú-mi “il paggio

fa gira[re] per tre volte l’aquila su di loro, il r[e] e [la regina] e io faccio girare per tre volte su di loro le truppe”.

7 Götze (1933b: 17), -kan abl. arèa pai-/uwa- “(in der Richtung nach) aus, fort” ; (: 21) dat.loc. arèa pai-/uwa- “heim (nach e. Orte, von

dem man gekommen ist)”; Zuntz (1936: 18), -kan (abl.) arèa pai- “weggehen”, dat.loc. arèa pai- “heimgehen”; : (25-26), -kan (abl.) arèa uwa- “weggehen”, dat.loc. arèa uwa- “heimkommen”.

8 Si vedano i capitoli dedicati alla costruzione di iya- (1999: 28 e sgg.), di pai- e uwa- (1999: 52 e sgg.) e da- (107 e sgg.) e quello in

cui l’autrice esamina la posizione degli ‘avverbi locali’ (local adverbs) nella frase (1999: 158 e sgg.).

9 Il testo è stato pubblicato da Archi (1979); a proposito si vedano anche la recensione di Neu (1984: 99) e lo studio di Marazzi (1988).

10 Per il significato di èarôièarôi- HED (¸ : 198-199); il passo in questione è discusso da Boley (1989: 40).

5 La particella -

Introduzione

b ô a an è annotata in II ma non in II , benchè in entrambe le frasi occorrano il verbo wa è nu- e l’EAA ô er.

Come ha rimarcato Boley (1989: 55), anche con i verbi di moto pai- “andare” e uwa- “venire”, in contesti simili, le particelle non sono sempre presenti:

III - (a.-i.) StBoT 25 n. 19, Vs. 16 kur- ô a-a ô -ir-za DINGIR MEÊ ú-an-zi “gli dei vengono dalla casa del carniere”.

Questo passo, in cui non vi è alcuna particella, è da confrontare con il seguente dove, invece, è presente -a ô ta:

IV - (a.-i.) StBoT 25 n. 142, Vs. ? 6’ ma-a-na-a ô -ta LÏ SANGA-e ô

I  Ê -TU kur [- ô a-a ô ] (7’) [p]a-iz-zi “quando il sacerdote va dalla casa del carniere”.

La funzione delle particelle di stabilire relazioni spazio-temporali tra le frasi è particolarmente evidente nei seguenti esempi:

V- (m.-i.) Sam. Vs. I 9 EGIR- LUM Ê U-ma DINGIR Ê I -TU LUGAL A- NA [Ú-NU-U]T SAL.LUGAL me-na-a è - è a-an-da ták- ô a-an (10)

[g]a-  an -ga-ta-a-iz-zi an-da-ma-kán ki-i ô - ô a-an me-ma-i “e poi la divinità dal re di fronte agli [oggett]i della regina insieme

tratta con la pianta gangati- e al riguardo dice così”

VI - (m.-i.) Sam. Vs. I 30 na-at A-NA DINGIR LIM I Ê -TU Ê A LUGAL pa-ra-a e-ep-zi an-da-ma-kán ki[-i] ô - ô a-an me-ma-i “e la

(= pianta gangati-) porge alla divinità dalla parte del re e al riguardo dice così”.

In entrambi gli esempi, la particella -kan mette in relazione le azioni rituali che precedono e il pronunziare le parole introdotte

dal verbo mema- 11 . L’assenza di particelle in KBo XI 1 e in KBo XXV 122 e il fatto che vi siano passi simili con e senza di esse, e ancora la funzione di mettere il relazione frasi diverse di uno stesso periodo, provano che le Ortspartikeln pertengono più alla

stilistica che alla sintassi della frase 12 . L'espressione dei concetti locali in ittita può avvenire o mediante

i casi della declinazione, dat., loc., dir., acc. di direzione o di spazio 13 e abl.,

che

definiamo

dimensionali, secondo la

11 Esempi analoghi sono in Carruba (1985: 88-89).

12 Carruba (1970: 85) definisce l’uso delle particelle un “mezzo stilistico con cui ogni parlante di queste lingue ... dava più completa

espressione al suo pensiero”.

13 L’acc. con funzione di direzione e di spazio non rientra tra i casi dimensionali studiati da Starke, tuttavia, riteniamo di doverlo

6 Introduzione

terminologia inaugurata da Starke e divenuta di uso corrente tra gli ittitologi, o ricorrendo a sintagmi posposizionali, come dimostreremo nel corso del presente studio. Entrambe le costruzioni sono documentate sin dalla lingua antica senza che, al momento, vi siano esempi indiscutibili di sovrapposizione se non per il loc. e loc./dat.loc. andan, come pure verificheremo. I sintagmi posposizionali in ittita non sono adoperati per supplire alle deficienze di un sistema casuale in assestamento, piuttosto le posposizioni fungono da specificatori locali, collocando l’accadimento con maggior precisione di quanto non facciano i casi della declinazione, portatori di una generica indicazione della posizione o del movimento nello spazio e nel tempo. Nel descrivere le funzioni degli EAL, abbiamo affermato che sintatticamente essi possono essere avverbi, posposizioni o preverbi,

della loro funzione nell’ambito di una frase, è cosa tutt’altro che priva di difficoltà. La frase con un EAL nella sua forma più semplice e più frequente

è costituita come segue: (Soggetto) - nome - EAL - Verbo 14 . L’EAL è graficamente separato dalla parola a cui è in relazione, sia che si tratti di un costituente nominale o pronominale, sia che si tratti di un verbo: tra questi e l’EAL possono intercorrere altri costituenti tanto nominali, quanto avverbiali. Nell’indagare la struttura della frase in cui è presente un EAL, verificheremo che essa, di per sé, non ci fornisce alcuno strumento utile per l’individuazione della funzione dell’EAL: la posizione che esso occupa nella frase, da sola, non è sufficiente a chiarire se formi un sintagma unico con il costituente nominale o pronominale, come posposizione, o con il verbo, come preverbo, o con nessuno di essi, come avverbio. Da verbi attestati in frasi senza alcun EAL possono dipendere anche costituenti in caso dimensionale, cosa che è di ulteriore ostacolo al processo di individuazione della funzione sintattica degli EAL, poiché, là dove sono documentati, non è semplice determinare se il costituente in caso dimensionale sia direttamente in relazione al verbo o se, al contrario, formi un sintagma con l’ EAL o, ancora, se dipenda dal sintagma EAL - verbo. Come abbiamo cercato di dimostrare nello studio sulle funzioni di meta e scopo del loc. e dell’acc. di direzione, (1996b), fin dalla lingua antica i verbi di moto sfuggono al rigido schema locativi: direttivi in cui sono stati inquadrati da Starke. Le loro funzioni sintattiche sono sempre strettamente connesse alla semantica che mostrano nel contesto generale del discorso e, pertanto, è

aggiungere perché, come gli altri, serve a indicare una dimensione spaziale.

14 Sull’argomento per l’a.-i. si veda Luraghi (1990: 32-35); in generale Tjerkstra

a qualunque costituente della frase che presenti una marca desinenziale a cui l’EAL possa essere in relazione.

159-175).Con

‘nome’

intendiamo riferirici

7 assolutamente giustificabile che pai- “andare” non sia solo legato

Introduzione

all’espressione della direzione, e quindi sia attestato con i casi della direzione (dir., dat. e acc. di direzione), ma ricorra anche con il loc., che nella lingua antica esprime la stasi originaria o raggiunta in seguito ad un moto, ma pur sempre una stasi:

(a.-i.) KBo VI 2, Vo. IV 12 ták-ku GU ¸I.A 4 A.ÊÀ-ni pa-a-an-zi Ù BE-EL A.ÊÀ ú-e-mi-<ez>-zi "se dei bovi vanno in un campo e il padrone del campo <li> trova" (HG, I § 79).

Analogamente a pai- anche altri verbi, come ô u èè

a- “versare”, pe ôô iya- “gettare”, ricorrono tanto in relazione ai casi direzionali quanto al loc.:

(a.-i.) StBoT 25 n. 30, Vo. III 15' ]x Ù GAL DUMU MEÊ . .GAL A- LÏ.MEÊ Ú.¸ÚB NA UGULA  è u-u[p-p ¡ -i ô - ô i] (16') [ ô u-u è - è a-a]n-zi

me-ma-al e-me- è u-na-an ô UZU NÍG.GI[G (17') [A-NA UGULA L ] Ï.MEÊ Ú.¸ÚB è u-u-up-p ¡ -i ô - ô i ô u-u è - è a-an-z[i "]x e il capo dei paggi al capo dei sordi [vers]ano nel [suo]

è u[ppi]: tritello, ô eme è una, fega[to; [al capo dei so]rdi nel suo è uppi versan[o"

(a.-i.) KBo VI 2, Ro. II 33'  ták-ku LÏ-an pa-a è - è u-e- ni ku-i ô - ki pé-e ô - ô i-iz-zi "se qualcuno butta un uomo nel fuoco" (HG, I §

44a).

Starke (1977: 64 e sgg.) giustifica queste costruzioni con la teoria della ‘Randposition’ che il caso loc. occupa nel campo sintattico

della frase non venendo così a dipendere direttamente dal verbo 15 . E’ nostra opinione che il loc. in questi passi sia in relazione diretta al verbo di frase ed esprima una stasi raggiunta in seguito

ad un moto, ma quello che è importante rimarcare è che alcuni verbi di moto, e che possono esprimere la nozione della direzione, possano costruire con un caso di stasi quale è il loc. Stando così le cose, è opportuno affermare che tali verbi possono costruire con il caso dir., ma non necessariamente poiché, come dimostrano gli esempi su riportati, sono documentati anche con il loc. quando il contesto lo richiede. Un verbo che può esprimere direzione, se in relazione ad un caso direzionale, può allo stesso modo essere usato per l’espressione di una non-direzione o di una stasi raggiunta in seguito ad un moto in relazione ad un caso di non- direzione.

15 Altre ipotesi interpretative sono state avanzate da Kammenhuber (1979: 121), per cui il loc. già nella lingua ittita esprime le funzioni

di ‘wohin-Kasus’ accanto a quelle prevalenti di ‘wo-Kasus’; Josephson (1981: 96-97) propone di vedere nel ‘wohin-Kasus’ espresso dal loc. quello di una meta raggiunta, un loc. terminativo; Neu (1979: 190; 1980b: 11 e sgg.) ritiene si debba individuare una sporadica sovrapposizione di funzioni ‘wo’ e ‘wohin’ nel loc. già in a.-i.

8 Introduzione

Esempi di costruzione di stato e di moto con uno stesso verbo sono abbastanza comuni anche in italiano, si confrontino tra loro le seguenti espressioni: (a) vado a casa

(b) vado per casa (c) vado a casa e mi preparo uno spuntino. Le azioni espresse da queste tre frasi hanno in comune il verbo

andare e sono tra loro affini: in (a) è espressa l’azione dell’andare verso, senza alcuna considerazione per la sua compiutezza, mi dirigo verso casa; nella seconda (b) il movimento è circoscritto all'interno della casa; nella terza (c), perchè possa avvenire l'azione del prepararsi uno spuntino, è opportuno che quella del movimento verso (a) sia terminato, abbia cioè raggiunto una stasi. Le azioni espresse dall'esempio (a) e (c) non sono perfettamente uguali dal punto di vista semantico, in quanto in una ci si limita ad indicare una direzione, nell’altra si sottolinea il compimento dell’azione. Anche la lingua ittita può realizzare queste diverse indicazioni locali servendosi dei casi dimensionali e degli EAL, ripartiti in [+ direzione = - stato] e [- direzione = + stato]. Verbi di moto come pai- o uwa-, che in alcuni contesti possono esprimere una direzione, se in stretta relazione a costituenti preposti a questa funzione, in altri possono essere usati per l’espressione di una non-direzione. In altre parole, stabilito che un verbo sia di stato o di moto, la sua funzione semantica [+ direttiva (- stativa)] o [- direttiva (+ stativa)] è determinata dal costituente locale direttamente in relazione ad esso 16 .

Nello studio che segue si riscontrerà talora la difficoltà di distinguere quale sia l’esatta funzione di un determinato EAL nel suo contesto. Il fattore ‘incertezza’ è una delle costanti con cui un filologo che si accinga a perseguire uno studio in una lingua come l’ittita deve misurarsi costantemente. Incasellare le funzioni degli EAL di una lingua arcaica, quale è l’ittita, comporta non di rado una forzatura per il testo e ciò nasce dalla natura funzionale stessa delle parole in questione, che spesso sfuggono ai nostri criteri di analisi perché non interpretabili in base ai nostri parametri. Analizzando questi dati non bisogna dimenticare di aver a che fare con strutture arcaiche, molto spesso in via di costituzione o di assestamento: i problemi che affronteremo, è bene sottolinearlo, riguardano esclusivamente noi lettori moderni

e l’evidenza di ciò emerge in tutta la sua chiarezza proprio nella

16 Al contrario, i verbi stativi nel senso proprio del termine, quelli per cui Oettinger (1976: 11 e sgg.) afferma ‘... der Stativ tritt bei Verben

auf, die Zustände persönlicher (liegen, sitzen) und unpersönlicher Art (offenbaren sein, wichtig sein) bezeichnen’, non possono che esprimere stasi assoluta, per cui non vi è altra costruzione rispetto a quella connotata da [-direzione].

9 difficoltà, talora palese, di etichettare tali strutture. E’ bene

Introduzione

rimarcare che la complessità e la difficoltà di interpretazione della funzione degli EAL non risiede nella lingua ittita, ma nel tentativo di applicare i nostri criteri a strutture che sfuggono da quelli, perché a monte di essi.

10 Capitolo I

Capitolo I

1. Storia degli studi

Il primo accenno ad avverbi e preposizioni in ittita è nel cap. IV della grammatica di B. Hrozný “Die wichtigsten Adverbien, Präpositionen und Partikeln” (1917: 180 e sgg.). Risale al 1933 la pubblicazione di Götze in ArOr 5 sulle particelle -za, -kan e - ô an che ha il merito di indirizzare l’attenzione alla relazione tra -kan e gli avverbi in -a. Secondo lo studioso “die [...] Adverbien bezeichnen ohne die Partikel eine Bewegung, die einen Reflex einer vorhergegangenen Bewegung darstellt. Diese weist der zweiten Bewegung die Richtung. .... Durch -kan wird also die Bewegung absolutiert, d.h. zum reinen Ortsbezug” (1933b: 29-30). Il primo lavoro interamente dedicato alla funzione degli ‘avverbi’ è la dissertazione di L. Zuntz (1936). L’autrice esamina ar è a, par × , peran e stabilisce i criteri per l’individuazione delle loro diverse funzioni basandosi essenzialmente sulla posizione da essi occupata nella frase (Zuntz, 1936: 8):

“Ich nenne ein Ortsadverb

I. selbständiges Adverb,

a) wo es das Prädikat eines Satzes bildet.

b) wo das enkl. Poss.-Pron. als Suffix mit him verbunden auftritt.

c) wo es, vom Verbum getrennt, an erster Stelle im Satze oder

direkt hinter der satzeinleitenden Partikel steht.

II. Posposition,

wo es hinter einem Nomen mit “regiertem” Cas. obl. steht.

III. Präverb,

wo es vor einer Verbalform steht”.

Un’osservazione di grande importanza, benchè contrastante con quanto affermato in I.c., II e III, riguarda la disposizione delle preposizioni e dei preverbi nella frase. Essi possono essere separati dal nome o dal verbo a cui sono in relazione per l’interposizione di altre parole, senza che si perda la “begriffliche Einheit” che vanno a costituire. Un ‘avverbio’ può anche essere al primo posto nella frase, in “Sperrstellung” o “Tmesis”, ma formare una ‘unità concettuale’ con il verbo ed essere perciò

11 preverbo (1936: 118 e sgg.). Poco chiara resta anche la funzione

Storia degli studi

di ar è

e peran in Mittelstellug, cioè tra il nome in caso dimensionale e il verbo. In questa posizione ar è

a, par ×

a e par × sono sempre preverbi, in base al confronto con passi in cui sono separati dal caso dimensionale per l’interposizione dell’oggetto, al contrario peran è sempre posposizione poichè nella stessa posizione alterna con la preposizione accadica PANI (1936: 9). In conclusione Zuntz afferma : “das Ortsadverb ist eben im Grunde noch an allen Stellen als selbständiges Wort (“Adverb”) aufzufassen, wenn es auch in näherem Kontakt mit Verbum und Nomen auftritt” (1936: 119). Un trentennio dopo, nel 1963, Götze ritorna sull’argomento in un articolo con cui si propone di individuare la funzione posposizionale e preverbale in ittita. In assenza di un costituente in caso dimensionale, gli ‘avverbi locali’ (local adverbs) posti subito prima del verbo o all’inizio della frase sono di certo preverbi. Restano da indagare le funzioni degli avverbi locali in presenza di un costituente in caso dimensionale posto tra l’avverbio locale e il verbo (la Mittelstellung di Zuntz), o subito prima del caso dimensionale. Un dato imprescindibile per individuare la funzione posposizionale o preverbale è verificare se l’ avverbio locale è “in nexus” con il nome o il verbo, ma ciò resta pur sempre subordinato alla posizione. Secondo Götze, se tra il nome o il verbo e l’ avverbio di luogo ricorre il soggetto o l’oggetto interposto, non si può parlare di posposizione o di preverbo. Per stabilire quale sia la funzione di un determinato avverbio locale in una costruzione, è necessario procedere preliminarmente con un’analisi comparativa dello stesso avverbio in occorrenze simili e verificare se il soggetto o l’oggetto sono interposti tra esso e il verbo. In presenza di un pronome personale enclitico, inoltre, non si può avere funzione posposizionale poiché “enclitics cannot support the postposition” (1963: 99), il risultato è che l’ avverbio di luogo viene preposto al verbo e diventa preverbo. I confini tra preposizione e preverbo sono pertanto molto vaghi in ittita, anche a causa dell’ordine relativamente libero delle parole, ciò comporta che un avverbio locale sia posposizione in un esempio, ma in un altro, anche molto simile, sia preverbo. Per spiegare questa diversità di funzioni Götze propone di ritenere gli avverbi locali privi di un accento proprio e atti a legarsi encliticamente o procliticamente all’elemento della frase che enfatizzano. Solo quando sono posti all’inizio della frase essi acquistano un accento proprio così da poter reggere gli enclitici di inizio frase.

A. Kammenhuber, partendo dall’analisi condotta da Zuntz, ripropone l’argomento della differenza tra avverbi, posposizioni e preverbi in un articolo del 1973. Rispetto a Zuntz, la studiosa afferma che non è più possibile distinguere un avverbio da un preverbo solo in base alla sua posizione nella frase. Cosa Kammenhuber intenda per avverbi, posposizioni e preverbi è

12 Capitolo I

illustrato in uno schema che si presenta come la rielaborazione di quello di Zuntz (1973: 143): “Adverb: 1. Oberbegriff für Adverb, Posposition,

Präverb; daher auch bei Ungedeutetem

gebraucht; 2.Ohne Bezugswort in dem betr. Satz (das

Bezugswort kann im vorausgehenden Satz stehen);

Posposition :+ unmittelbar vorausgehendem Substantiv Präverb: + Verb - ohne Rücksicht auf die Stellung

im Satz.”

Piuttosto vaghe restano le definizioni di posposizione e di preverbo: la prima perché legata alla posizione nella frase e, insieme alla seconda, perché non chiarisce la funzione di un “Adverb” tra un nome in caso dimensionale e il verbo (Mittelstellung). In un’analisi successiva (1974) la studiosa prende in esame l’occorrenza di due avverbi di luogo nella stessa frase e, attraverso una ricca casistica, dimostra che essi possono talora formare una unità, tal altra avere funzioni distinte. Gli avverbi di luogo possono formare delle unità anche con i verbi, come risulta dall’analisi di alcuni sostantivi verbali in inizio di frase con gli enclitici legati alla forma verbale (kat-ta a- ô a-an-na-ya-a ô -mu). Rivoluzionario per le conclusioni raggiunte è lo studio di F.Starke (1977) sugli ‘avverbi dimensionali’ (dimensionale Adverbien) in a.-i. Gli ‘avverbi dimensionali’ vengono suddivisi in base alla loro morfologia e funzione in due gruppi distinti: gli avverbi in -

a, corrispondenti morfologicamente e sintatticamente ai nomi con desinenza -a e definiti “terminativische Adverbien”, e quelli in - n, a cui sono da aggiungere katti- e ô er, paragonabili ai nomi in caso locativo e definiti “lokativische Adverbien”. Secondo lo studioso “die Adverbien sind nicht nur ihrer Herkunft nach Substantive mit starren Kasusmorphemen, sondern sie werden auch im Althethitischen ausschließlich wie Substantive (in dimensionalen Kasus) behandelt und konstruiert. Schon aus diesem Grunde ist die Verwendung als Postpositionen und Präverbien undenkbar” (1977: 131). Le costruzioni in cui essi ricorrono e le caratteristiche sintattiche che mostrano sono quelle proprie dei nomi in caso locativo, per gli avverbi locativi, e dei nomi in caso terminativo, per gli avverbi terminativi (1977: 131). Questi ultimi, come i nomi in -a, sono attestati solo con i verbi direttivi (direktivische Verben) con cui hanno uno stretto legame

semantica centrale (Zentralposition) nel campo sintattico della frase (1977: 150). Gli avverbi locativi possono essere in relazione ad un genitivo attributivo, possono ricorrere con i pronomi possessivi enclitici suffissi e occupano semanticamente una posizione marginale (Randposition) nel campo sintattico della frase (1977: 177). Riguardo ai casi della declinazione con cui sono attestati e la

e occupano così

una

posizione

13 posizione che occupano, Starke dimostra che gli avverbi

Storia degli studi

terminativi ricorrono solo con il dat. dei nomi animati e il terminativo (caso in -a) degli inanimati e sono sempre preposti ad essi; gli avverbi locativi, invece, possono precedere o seguire un nome in caso loc., seguono un nome animato in caso dat. e un nome in caso gen. (1977: 172). I nomi in caso terminativo e quelli in dat., loc. e gen. sono apposizioni ai rispettivi avverbi di luogo, terminativi e locativi. Come parna è apposizione ad anda in anda parna, anche -ri è apposizione ad andan in andan -ri. Starke osserva che le costruzioni con l’avverbio locativo posposto al nome in caso loc. ( -ri andan) o dat. (LUGAL-i peran) e quella

con il gen.( è a ôô a ô peran; LUGAL-wa ô peran) sono in alternanza tra di loro e ne deduce che devono essere riconducibili ad una costruzione comune. In a.-i. esiste una costruzione che alterna con il genitivo attributivo, l’apposizione partitiva, che perciò è

da ricercarsi tanto in -ri anda quanto in LUGAL-i peran 17 . Nella lingua antica con gli avverbi stativi sono documentati il gen., il

dat. e il loc. La costruzione con il gen. è attestata in misura nettamente maggiore rispetto alle altre, mentre nelle fasi successive scompare a vantaggio del dat.loc. Starke ritiene che la maggiore presenza di costruzioni con il gen. in a.-i. sia giustificabile con lo scarso uso che in genere si fa della apposizione partitiva in questo stadio linguistico (1977: 175-

176) 18 . Nella recensione a questo studio, F. Josephson (1981) rivolge l’attenzione al contesto, ritenendolo un dato essenziale per riconoscere un determinato verbo come terminativo o locativo. Contrariamente a quanto affermato da Starke, Josephson individua in ittita preverbi e posposizioni “in nascendo”. Si ha a che fare con preverbi “in nascendo” allorchè gli avverbi di luogo intervengono sulla semantica o sulla sintassi del verbo, mentre una posposizione “in nascendo” è da vedersi nella costruzione tipo LUGAL-i peran. M. Ciantelli (1981), nel recensire il lavoro di Starke, sottolinea la contraddizione insita nell’affermazione dello studioso tedesco di ritenere gli avverbi in a.-i. ancora sostantivi : “kein Satzteil

17 Questa spiegazione è stata contestata da Neu (1980b: 23 nota 48), poiché se si trattasse di una apposizione partitiva, invece di LUGAL-i

peran sarebbe da attendersi *LUGAL-un peran, dal momento che gli avverbi in -n sono ritenuti sia da Neu (1974: 67-68), (1980b: 24, 35-

36) che da Starke (1977: 167) morfologicamente nomi in nom.acc. n. sing.