La donna in vetrina di Luigi Antonelli t

  Monica De Rosa

La L a d do on nn na a iin n v veettrriin na a

di Luigi Antonelli

  Testi e contesti

  

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Indice

Presentazione ..........................................................

  11 Introduzione .............................................................

  15 Capitolo I La vita di Luigi Antonelli. Cenni biografici ..............

  21 Capitolo II

  La drammaturgia di Antonelli tra fiaba e grot- tesco ........................................................................

  27 Capitolo III

  

Il germe della riscrittura: La donna in vetrina, pre-testo

teatrale ..................................................................... 43

  Capitolo IV

  Tra finzione e rappresentazione: dalla novella alla commedia .........................................................

  57 Conclusioni .............................................................. 123

  

Bibliografia ............................................................. 129

  

Presentazione

La donna in vetrina di Luigi Antonelli si prospetta co-

  me un testo dalla molteplici valenze interpretative, soprat- tutto per quel che attiene al rapporto tra scrittura narrativa e scrittura teatrale nel macrotesto antonelliano. L’opera in questione, infatti, si presenta dapprima come una novella, scritta nel 1926 e pubblicata per le pregiatissime Edizioni d’arte Il Fauno in una raccolta di novelle intitolata anch’essa La donna in vetrina; successivamente viene ri- proposta dall’autore nel 1930, ampliata in alcune parti, come pièce teatrale, testo drammaturgico che riprende e rielabora i motivi della novella. Rappresentato a Roma il 14 maggio 1930 dalla compagnia di Elsa Merlini e Luigi Cimara, viene pubblicato sia in rivista, su «Comoedia»,

  XII, 9, 15 settembre–15 ottobre 1930, sia in volume, nella “Collezione del Teatro Comico e Drammatico” diretta da Cipriano Giachetti, Firenze, Nemi, 1932.

  Questo studio ripropone, senza sostanziali modifiche, l’oggetto di una precedente indagine sulle due opere anto- nelliane edita qualche anno fa. Si tratta di un’analisi com- parativa tra i due testi, esaminati con ampie citazioni, che pone in evidenza l’interconnessione tematica e simbolica su cui l’autore costruisce il suo gioco metatestuale.

  Il rincorrersi di temi e motivi dal testo narrativo a quel- lo drammaturgico testimonia un’elaborazione testuale ca-

12 Presentazione

  ratterizzata da un sapiente utilizzo delle tecniche della ri- scrittura, una sorta di strategia del travestimento e della ri- petizione che si manifesta nell’intricato macrotesto dell’a- utore connotandolo di un’intratastualità, talvolta celata, al- tre volte più palese, attuata con modalità diversificate nel tortuoso andirivieni da un’opera all’altra e da un genere all’altro.

  Il complesso testuale dell’opus antonelliano si compone di cinque raccolte di novelle, circa quaranta commedie, un numero imprecisato di scritti giornalistici, un progetto di romanzo, poesie e racconti sparsi. Ulteriormente compli- cata dai rifacimenti, dalle riedezioni, dalle opere lasciate inedite e dalle numerose varianti, la strategia compositiva di Antonelli si rivela estremamente aperta, pluridireziona- le, dialogica, nell’intreccio delle diramazioni, dei rinvii, delle intersezioni o nei semplici passaggi attivati da un procedere irregolare tra narrativa, drammaturgia e saggi- stica, e sempre proiettata anche all’esterno per la messa in funzione di codici culturali diversi, la commistione dei ge- neri e la manipolazione di ogni sorta di modello, letterario e teatrale. I fondamenti di questa interpretazione dell’ope- ra antonelliana si individuano soprattutto nel volume di Marilena Giammarco, Luigi Antonelli. La scrittura della

  

dispersione, edito da Bulzoni nel 2000, a cui lo studio qui

  esposto fa riferimento, in special modo per quel che ritiene alla complessa figura del drammaturgo-scrittore.

  Con un occhio attento anche ai legami con le correnti di pensiero più avanzate dell’epoca e con il Teatro del Grot- tesco; ai rapporti con il mondo letterario e teatrale; alla conoscenza delle tecniche dello spettacolo e all’impor- tanza che esse rivestivano nella ideazione drammaturgica e scenica dell’autore, il presente volume intende proporre agli studenti un agile strumento per cominciare a penetrare

  Presentazione

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  dialogiche, muovendo da un testo di sconcertante moder- nità. La duplice redazione della Donna in vetrina, infatti, oltre che fornire spiragli sulle modalità delle pratiche in- tertestuali di Antonelli, offre anche spunti di inattesa attua- lità legati al motivo della donna–oggetto esibita nella ve- trina del mondo, illusorio palcoscenico del quotidiano; un modo per meditare sull’incedere di una percezione media- ta e riflessa del reale che si manifesterà pienamente nei decenni successivi, sino a divenire condizione percettiva della contemporaneità.

  Tutte le citazioni presenti nel libro sono tratte dalle se- guenti opere di Antonelli: La donna in vetrina, Roma, E- dizioni d’arte Il Fauno, 1926 e La donna in vetrina, Firen- ze, Nemi, 1932; un ringraziamento doveroso e sincero va a Marilena Giammarco, la cui visione scientifica ha permes- so l’ideazione di questo lavoro.

  Il sistema di citazione–analisi, su cui si sviluppa la tes- situra del volume, intende fornire i primi rudimentali ele- menti di un approccio metodologico che guidi gli studenti, e i lettori, all’interno dell’articolato sistema antonelliano, giungendo a penetrare quel vasto progetto intratestuale che ingloba modelli e codici disparati e, con sorprendente at- tualità, s’interroga sul destino dell’uomo.

  

Introduzione

  Nel panorama stagnante del teatro borghese del primo Novecento, l’architettura narrativa del testo drammaturgi- co risultava secondaria rispetto al contesto fisico della rappresentazione; di fronte al ruolo sociale di rito serale che il teatro aveva assunto, la storia rappresentata rivestiva un rilievo e una funzione marginali: era sempre gradita purché generica, logica, congruente, rispondente all’ideo- logia del reale che il pubblico aveva fatta propria. Tra i tentativi di riformare e rinnovare questo scenario desolan- te, accanto alle iconoclaste strategie futuriste si collocano anche quegli esperimenti che, attraverso la novità dei temi o del registro stilistico, si muovevano nella direzione di una revisione interna al canone, attraverso la riproposta di forme classiche — come il teatro di poesia di D’Annunzio (cui pure Antonelli, per altri versi, fu vicino, curando una rappresentazione dialettale della Figlia di Iorio in occa- sione della “settimana abruzzese”) —, o scegliendo una ri- sposta che si orientava verso i modi di quello che è stato definito il Teatro del Grottesco. Alla peculiare poetica dei grotteschi si fa risalire la deformazione del dato reale in una figurazione in bilico tra l’onirico, il magico e il surrea- le; il grottesco pare svelare un altro mondo, l’altra struttura della vita. Questa modalità drammaturgica e letteraria con- dusse all’accentuarsi burattinesco dei personaggi, ad una

16 Introduzione

  forma marionettistica che rappresentava il modo di avvici- narsi alle “bambole” teatrali dei futuristi, o alle super ma- rionette espressioniste, ma senza l’essenziale forza rivolu- zionaria del linguaggio.

  Nell’attacco operato da più parti nei confronti della drammaturgia imperante e di un pubblico ormai assopito ai dettami della ragione e alla convenzionalità del gusto, Antonelli si muove tra coloro che sono impegnati a spar- gere sulla scena la loro ironia amara. La sua lotta al reali- smo borghese pare muoversi più sul binario dell’eccen- tricità che non sulla linea di una presa di coscienza della dissoluzione di quel mondo utilizzato per rappresentare l’inadeguatezza della vita. Il grottesco di Antonelli può es- sere letto, dunque, in direzione di una visione moderna e neoromantica, che includerebbe anche espressionisti e sur- realisti la cui appartenenza al grottesco potrebbe indivi- duarsi proprio in un’apertura al fiabesco e al magico nella dimensione fantastica.

  L’autore stesso, d’altronde, in un’intervista a «Co- moedia» del 25 agosto 1920, dichiarava di imporre al proprio repertorio un solo rispetto: quello della contem- poraneità, mostrando anche una lucida coscienza meta- teatrale, una consapevolezza profonda e sensibile dei problemi della scena e del linguaggio adatto a rappre- sentarli, una coscienza che si rifletteva proprio sullo sta- tuto del personaggio, del linguaggio e della rappresenta- tività. Irriducibile assertore dell’istinto e della tecnica teatrale, considerati condizioni indispensabili, Antonelli conferiva al momento della rappresentazione e agli ele- menti costitutivi della messa in scena una notevole im- portanza. Il mondo delle compagnie dà corpo alla rap- presentazione e, con essa, ai fantasmi letterari dell’auto- re: attraverso la scena passa l’affermazione della propria

  Introduzione

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  Nel caso specifico della Donna in vetrina, pare proprio che sia la scrittura letteraria ad offrire lo spunto, il pre- testo per la realizzazione drammaturgica della vicenda: l’esperienza della scrittura della novella pare ricercare la dimensione drammatica, quasi che la storia, in fieri nella novella, venga trasformata in azione drammatica per una più congeniale riuscita, quasi un volerne ampliare il respi- ro per andare oltre la storia e sottrarre l’opera all’influsso della trama. La novella, svolta essenzialmente in forma dialogica, nella parte centrale si presenta come monologo del protagonista che narra la sua strana storia ad un amico. La durata breve dello scritto ne rivela la natura di bozzet- to, i cui spunti saranno in seguito sviluppati in senso drammatico: la pièce riproporrà l’evolversi di motivi già accennati e condurrà il lettore–spettatore all’interno della vicenda stessa, quasi indietro nel tempo, appalesando nella rappresentazione l’antecedente del racconto, ciò che al momento della narrazione era già avvenuto.

  Un percorso complesso di scrittura e di riscrittura che, cifra tipica della creazione antonelliana, si rivela nel meta- testo della Donna in vetrina attraverso una coerenza che poggia prevalentemente sulle proprietà dei simboli e la connessione tra reale e immaginario; tale coesione interna alle due opere è ravvisabile ancor di più nel passaggio dal- la novella alla commedia, dove proprio la riconfermata dimensione simbolica della vetrina, della donna –– e dell’uomo –– reificati costituisce il fil–rouge per il discor- so drammatico, anzi, si può dire che proprio il motivo del- la donna in vetrina sia stato l’elemento scatenante per la realizzazione della pièce teatrale: sulle tavole del prosce- nio la donna–oggetto ha trovato ben altro spessore e rea- lizzato la sua epifania.

  Nel mutato paesaggio artistico ed ideale del Novecento,

18 Introduzione

  collettivo, la rappresentazione del femminile viene gra- dualmente modificandosi. Se Marinetti, con il suo Elettri-

  

cità sessuale, segna l’ingresso nella letteratura drammatica

  italiana del tema dello sdoppiamento della personalità all’ombra del problema della macchina, nell’opera che stiamo analizzando paiono riassumersi i temi maturati nell’arco del ventennio avanguardistico: una nuova rap- presentazione del femminile e della sessualità individuati nella reificazione e nello statuto meccanico, cui si affianca la riproposizione dello sdoppiamento, tematica meglio e- sercitata in ben altre opere dello scrittore –– basti pensare per tutte all’Uomo che incontrò se stesso –– ma che qui pur acquista una valenza significativa, legandosi ai temi del ritorno del passato e del ricordo.

  Nel teatro di Antonelli acquistano centralità i motivi ri- correnti della contraddittorietà del destino umano, della breve durata del sogno, della fragilità delle illusioni e della necessità di sottomettersi alle ferree leggi della vita; a que- sti, si accompagna la scontentezza di esser vissuti in un determinato modo e l’impossibilità di trovare soluzioni di- verse e alternative, oltre all’illusione di poter essere artefi- ci della felicità altrui e della propria. In questo particolare contesto, la vetrina diviene un significativo simbolo delle problematiche connesse alla vita e alla modernità, prospet- tandosi anche come l’emblema della reificazione della donna–oggetto mercificata, tema forse oggi consueto, ma che sicuramente nei primi decenni del Novecento mostra- va una penetrante forza innovativa, mentre il momento del ritorno in vetrina della donna segna, sia nella novella che nella commedia, la paradigmatica vittoria di Thanatos: una morte alla vita per una vita reificata.

  Il tema della reificazione, infatti, è pienamente rappre- sentato dalla vicenda della “donna in vetrina”, con la sua

  Introduzione

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  con molta probabilità da una vicenda autobiografica che si trova narrata in Maschera nuda di Pirandello: l’episodio relativo alla “scoperta” della giovane Marta Abba. Come in un molteplice gioco di specchi, il motivo dominante delle due opere antonelliane trova la sua scaturigine in un avvenimento della vita reale, quella stessa vita che si ri- versa nella letteratura e nel teatro, dove personaggi dimi- diati o reificati ne osservano e ne ripropongono incessan- temente la replicante ambiguità.

  Capitolo I La vita di Luigi Antonelli. Cenni biografici

  Luigi Antonelli nasce a Castilenti, in provincia di Te- ramo, il 22 gennaio 1877 e nel Convitto nazionale “Mel- chiorre Delfico” di Teramo compie i primi studi e le prime esperienze teatrali, recitando con convinzione nella filo- drammatica della scuola. Nel 1900 è a Firenze, dove fre- quenta la Facoltà di Lettere, dopo aver abbandonato gli studi di Medicina intrapresi per i primi due anni del suo periodo universitario.

  Negli anni immediatamente seguenti fonda l’Illustra-

  

zione abruzzese, con Basilio Cascella, entrando in contatto

  con i più noti letterati del momento e avvicinandosi al tea- tro. Nel 1909 compone, infatti, la sua prima commedia in un atto, Il gioco della morte, che viene rappresentata a Roma, nell’aprile dello stesso anno, dalla Compagnia Drammatica di Roma, mentre la Compagnia di Ermete Zacconi porta sulle scene, il 20 aprile del 1910 al Teatro Carignano di Torino, il dramma in un atto La casa dei fan-

  

ciulli. Nello stesso anno nasce Edoardo, il primo figlio di

  Antonelli con Lucilla Calfus, una scrittrice di novelle e racconti per ragazzi.

  La corrispondenza dall’Italia per «La patria degli italia- ni», una testata straniera, faciliterà un suo viaggio in Ar- gentina, il 15 dicembre del 1911, che diverrà un prolunga- to soggiorno quando anche la moglie e il figlio lo raggiun-

22 Capitolo I

  geranno nell’aprile del 1912. Laggiù resterà per alcuni an- ni esercitando la professione di giornalista, dirigendo «La patria degli italiani», mantenendo i rapporti con l’Italia e soprattutto i suoi interessi teatrali. Nel frattempo in Italia vanno in scena le sue opere: le commedie in tre atti Il con- vegno (Bernardo l’eremita), nel 1914 al Teatro Stabile di Roma, e L’ombra, nel 1915 sempre a Roma, il prologo in due atti Il giardino dei miracoli, nel 1916 a Milano e Il cenno, un atto ispirato ad una novella di Guy de Maupas- sant, a Roma.

  Nel 1917 partecipa alla guerra con i gradi di ufficiale nella città di Milano, la stessa in cui si stabilirà e da dove, nel 1918, con L’uomo che incontrò se stesso, commedia fantastica in tre atti, inaugura un filone teatrale che speri- menta la rottura con la tradizione e sancisce l’ingresso di Antonelli tra gli autori di successo. La commedia sarà rap- presentata il 23 maggio al Teatro Olimpya di Milano.

  Negli anni seguenti vengono rappresentate al Teatro Carignano di Torino un’altra avventura fantastica, La fia- ba dei tre maghi, e il rifacimento del Convegno, con il ti- tolo di Bernardo l’eremita, rispettivamente il 12 aprile e il 5 dicembre del 1919, mentre nel 1920 la compagnia di Virgilio Talli porta in scena a Milano I diavoli nella fore- sta, fiaba in un atto. Nel corso dello stesso anno viene pubblicato C’è qualcuno al cancello –– rifacimento di Chiaro di luna del 1914 –– e i suoi testi cominciano ad u- scire regolarmente su «La lettura», «Il Dramma», «Como- edia», importanti riviste del settore intorno alle quali andrà anche sviluppandosi il dibattito sul rinnovamento del tea- tro italiano, di cui Antonelli sarà uno di fautori più deter- minati. Si dedica anche alla poesia e al giornalismo contri- buendo a far circolare temi e forme del nuovo teatro e nel 1921 fonda “La Compagnia del Teatro Moderno”, la quale

  Cenni biografici

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  contemporaneità nel tentativo di rinnovare contenuti e modi della produzione teatrale, sperimentando un maggio- re accostamento alla sensibilità moderna, un po’ malata d’inquietudine, e al desiderio inaccessibile di capire l’uomo, come Antonelli stesso dichiarò in un’intervista ri- lasciata a «Comoedia» il 25 agosto del 1920.

  Le sue opere continuano ad essere rappresentate inces- santemente, seguendo il crescente successo di un autore che sviluppa contemporaneamente su più registri la sua ri- cerca teatrale: rientrano nel suo repertorio il teatro fanta- stico, il surreale, la commedia. Il 14 aprile 1922 al Teatro Carignano di Torino, la compagnia di Virgilio Talli porta in scena la favola in tre atti L’isola delle scimmie, e nello stesso aprile, a Milano, la farsa in tre atti intitolata Il basso in fa è inscenata da Antonio Gandusio.

  Nel 1923, Antonelli sposa in seconde nozze Maria Ca- scella e nell’agosto dello stesso anno cura la realizzazione dialettale della Figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio nell’ambito della “Settimana abruzzese”. Nel 1924, a Pe- scara, nasce la sua seconda figlia, Grazia; intanto, il 16 settembre a Milano, viene rappresentata al Teatro Olimpya la commedia La casa a tre piani.

  L’anno successivo lo scrittore di Castilenti si trasferisce a Roma, dove il dibattito intorno alle nuove forme teatrali è più vivace, e pubblica su «Il Dramma» un nuovo testo teatrale: Il dramma, la commedia, la farsa che viene rap- presentato a Brescia dalla Compagnia D’Arte “G. Rovet- ta” nel 1926. Un testo che tende ad ironizzare da un lato il classico triangolo borghese del teatro ottocentesco, dall’al- tro lo sconcerto delle finte improvvisazioni di attori ed au- tori alla ricerca della forma più adatta per la rappresenta- zione. Una finzione in cui anche il pubblico è coinvolto e che vedrà lo stesso Antonelli nella parte di se stesso —

24 Capitolo I

  della commedia al teatro Quirino di Roma, sul finire dell’anno.

  Sempre nello stesso anno vengono messe in scena a Milano La testa sulle spalle e Storia di burattini, entrambe in un atto, mentre nel 1927 Antonelli compone una nuova avventura fantastica, La bottega dei sogni, che verrà rap- presentata il 2 aprile a Roma; nella stessa città, nel 1928, sarà portata in scena La rosa dei venti, un dramma in tre atti che completa una trilogia del fantastico: un trittico drammatico che comprende anche L’uomo che incontrò se

  

stesso e La bottega dei sogni. Al teatro Valle di Roma,

  nello stesso anno va in scena Il barone di Corbò, una commedia brillante che conferma la capacità di Antonelli di cogliere i gusti e le attitudini del pubblico. In questo pe- riodo romano vengono inoltre portate sulle scene la com- media in tra atti Darei la mia vita, il 25 ottobre del 1929, e

  

La donna in vetrina, il 14 maggio del 1930; su «L’Italia

  letteraria» viene pubblicata una nuova commedia in un at- to: Incontro sentimentale.

  Dal 1931 è anche critico teatrale presso il «Giornale d’Italia», e nello stesso anno pubblica su «Il Dramma» un’altra commedia in un atto intitolata Bisogna non perde-

  

re il treno. È il 1932 quando costituisce a Roma un Circo-

  lo del Teatro denominato “La baracca e i burattini”, un’associazione che nasce con l’intento di reagire alla pe- renne crisi del Teatro italiano, proponendo un’interessante idea di svecchiamento delle strutture e del sistema della scena italiana. L’originalità delle tesi proposte e delle for- mule teatrali in esse contenute trovava riscontro nella co- raggiosa vena ironica e nella coscienza laica che caratte- rizzava l’associazione distanziandola dal coro unanime dell’adesione formale al trionfante regime fascista. Nel 1933 nasce Antonello, il suo terzo figlio e il 18 aprile vie-

  Cenni biografici

  25 Avventura sulla spiaggia, per la quale Antonelli cederà al

  vezzo di essere critico di se stesso, sul «Giornale d’Italia», con una garbata stroncatura della commedia, che salverà solo gli interpreti smontando a priori le eventuali contesta- zioni critiche di altri. Nel corso dello stesso anno si assiste alla rappresentazione di un’altra commedia paradossale,

  

L’uomo che vendette la propria testa tenuta a Lugano; in

  dicembre va in scena a Roma una riduzione in otto quadri del Pinocchio di Collodi e a compimento di un periodo co- sì riuscito viene rappresentata a Roma, proprio sul finire dell’anno, con la prestigiosa regia di Luigi Pirandello e l’interpretazione di Marta Abba, Il Maestro, una singolare commedia di impianto naturalistico ma che in realtà gioca sull’ambiguità di rappresentazione del “teatro nel teatro”. Ed è proprio questa rappresentazione a suggellare l’istituzionalità di Antonelli come drammaturgo. Negli an- ni che seguono, fino al 1939, si assiste alla pubblicazione dell’atto unico Eternità di Eva su «Quadrivio» nel 1934, la messa in scena di una nuova commedia brillante, Mio fi-

  

glio ecco il guaio, a San Remo nel 1935, della commedia

Bellerofonte a Roma nel 1936 e di Amore sportivo, com-

  media in un atto, a Milano il 22 ottobre del 1937 e che, come altre commedie rappresentate, resterà inedita.

  Nel 1939 Antonelli compone L’amore deve nascere, che sarà rappresentata postuma a Milano dalla compagnia dell’ E. T. I il 26 giugno 1944. Quello stesso anno si am- mala e quelli che seguono saranno gli anni della malattia e del ritiro in Abruzzo, a Pescara. Manterrà sempre i contatti con il «Giornale d’Italia» corrispondendovi fino alla fine attraverso la rubrica Piccolo diario estivo, ed in quest’ul- timo periodo ripiega nella scrittura letteraria, abbandonan- do l’amore per il teatro rappresentato che aveva caratteriz- zato tutta la sua vita.

26 Capitolo I

  Antonelli muore il 21 novembre 1942 a Pescara, la- sciandosi seppellire nel cimitero di San Silvestro, da dove poter udire il rumore del treno che passa vicino e la voce del mare e della pineta, per sempre, «perché non è vero che i morti non sentono».