Review of Roberta Cella La documentazion
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ROBERTA CELLA, La documentazione Gallerani-Fini nell’Archivio di
Stato di Gent (1304-1309), Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2009, pp. 407 (Memoria Scripturarum, 4. Testi in
volgare, 1).
Questo libro di Roberta Cella è frutto di lunghe ricerche sulla documentazione relativa alla compagnia Gallerani conservata presso l’archivio di Gent, ricerche che hanno già prodotto in passato alcune pubblicazioni sull’argomento 1. Si tratta di una documentazione complessa, consistente in libri contabili,
lettere, appunti e annotazioni contabili, scritture di vario tipo, che l’Autrice ha
il merito non piccolo di avere riordinato, classificato e reso disponibile agli studiosi. In parte questa documentazione fu studiata a suo tempo da Georges Bigwood, negli anni Venti del secolo scorso, e quindi edita dopo la sua morte
(1930) da Armand Grunzweig, che portò a conclusione nei primi anni Sessanta
l’imponente lavoro avviato dal maestro (G. Bigwood, Les livres des comptes des
Gallerani, Ouvrage revu, mis au point, complété et publié par Armand Grunzweig, I. Le texte, II. Introduction et tables, Bruxelles, Académie Royale de Belgique, 1961-62). Questi due volumi rappresentano senza dubbio uno strumento
molto utile nell’affrontare l’esame delle altre carte Gallerani e della storia stessa
della compagnia senese, visto che l’edizione di Bigwood e Grunzweig è corredata di uno studio approfondito sulla compagnia Gallerani e i suoi clienti. Ma
l’edizione del 1962 riguarda solo due libri di conto dell’azienda senese, conservati nell’archivio di Gent, a fronte di una documentazione ben più ampia. I
due libri già editi sono il libro dell’entrata e dell’uscita della filiale di Londra (1
maggio 1305-1 novembre 1308) e un altro, mutilo e lacunoso, riguardante la filiale di Parigi (libro « dele dette dei villani » della filiale parigina), relativo al periodo 1306 - metà 1308). Per contro, i documenti editi nel volume della Cella
riguardano il periodo 1304-1309 e sono: 1) il Libro vecchio dell’entrata e dell’uscita della filiale di Londra (20 gennaio 1303/4 – 30 aprile 1305); 2) due biglietti sciolti conenuti nel libro vecchio di cui sopra; 3) un consuntivo dei contanti di cassa della filiale di Londra alla data 30 aprile 1305; 4) registrazioni ausiliarie al libro nuovo dei conti della filiale di Londra (12 maggio – 5 agosto
1305); 5) una lettera di cambio rilasciata da Biagio Aldobrandini datata Londra,
5 ottobre 1305; 6) una ricordanza d’una fideiussione (ottobre 1305) tratta dal
grande libro della filiale londinese; 7) il Libro delle spese quotidiane della « Re1. R. Cella, Le carte della filiale londinese della compagnia dei Gallerani e una Ricordanza di Biagio Aldobrandini (ottobre 1305), in Bollettino dell’Opera del Vocabolario Italiano
- Istituto del CNR, VIII (2003), pp. 403-414; EAD., Libri, conti e lettere della compagnia
senese dei Gallerani. I testi, Pisa, ETS, 2005; EAD., Anglismi e francesismi nel registro della
filiale di Londra (1305-1308) di una compagnia mercantile senese, in Identità e diversità nella
lingua e nella letteratura italiana, Atti del XVIII Congresso dell’AISLLI (Leuven - Louvain-la-Neuve – Antwerpen – Bruxelles, 16-19 luglio 2003), a cura di S. VANVOLSEM
et alii, 3 voll., Firenze, Cesati, 2007, I, pp. 189-204.
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nenga » di Fiandra (Bruges, 15 luglio – 28 agosto 1306); 8) tre lettere di Ranieri, da Nîmes, al figlio Pietro a Parigi (6 - 30 maggio 1307); 9) note di crediti
dell’Île de France in due rotoli pergamenacei (circa 1306 – ottobre 1307); 10)
una lettera di Ciampolo di Giacomo Gallerani, da Siena, a Mino di Giacomo
Ubertini e ai compagni alle fiere di Champagne (15 maggio 1308); 11) una lettera di Bartolomeo del Massiccio, da Bruges, a Bartolomeo Fini, a Ypres (16
agosto 1309).
Come si vede, si tratta di una documentazione molto ampia ed eterogenea, di non facile interpretazione. Essa, però, rappresenta solo una parte delle carte Gallerani-Fini conservate nell’Archivio di Stato di Ghent. L’intera
documentazione è inventariata e descritta analiticamente dall’Autrice (pp.
59-177), mentre le ragioni e i criteri che stanno alla base della scelta dei testi
da pubblicare sono esposti all’inizio del capitolo 3 (pp. 179-181). Solo una
minima parte dei documenti Gallerani-Fini è già stata edita da altri studiosi.
Oltre ai già citati libri di conto editi da Bigwood-Grunzweig insieme ai loro interfoliati, vi è una lettera di Niccolao di Guido Mazzi di San Galgano
al nipote Tommaso Fini (databile fra il 18 aprile 1306 e il primo ottobre
1309), pubblicata da Laura Galoppini in un volume che raccoglie studi in
onore di Luigi Berlinguer 2. Ma per il resto questa vasta documentazione è
inedita. Da segnalare, fra l’altro, un “Libro di compravendita di monete minute, buglione ed argento della filiale di Parigi (aprile-ottobre 1305)”, che
potrebbe risultare di grande interesse per i numismatici e gli storici della
monetazione tardo-medievale, in quanto documenta i rapporti della compagnia Gallerani-Fini con la zecca reale di Parigi, la “Moneta del re di Francia”. Senza dubbio molto interessanti sono anche un “Quaderno delle spese
di casa per il vitto e « di fuore » dal vitto della filiale di Londra tenuto da
Nicoluccio di Cante” (I gennaio – 31 ottobre 1306), che purtroppo è acefalo, un “Libro delle entrate e delle uscite del conte Roberto di Fiandra (agosto 1307-18 settembre 1309”, che è lacunoso e in parte mutilo, un “Libro
delle riscossioni di Fiandra tenuto da Pietro Ranieri” (gennaio – 12 agosto
1308) e infine un “Libro di riscossione delle taglie e dei doni imposti dal
conte alle città di Fiandra (maggio 1308 – 21 agosto 1309)”.
Tra i motivi che possono aver indotto l’editrice a scegliere di pubblicare
alcuni testi e non altri, vi è presumibilmente anche lo stato di conservazione
in cui versano taluni di questi documenti. Ad esempio, il “Grande libro
della filiale di Londra” (gennaio 1304 - primo novembre 1308), si presenta
con quasi tutte le carte in pessimo stato di conservazione, alcune delle quali
mutile e seriamente danneggiate da fori di tarli, gore di umidità e consunzioni varie (cfr. la descrizione del pezzo a pp. 69-70). Ma in particolare, di
fronte all’evidente necessità di operare una cernita, l’Autrice si è rivolta ver2. L. GALOPPINI, Uomini d’affari senesi nelle Fiandre nel Tardo Medioevo, in Tra diritto e storia. Studi in onore di Luigi Berlinguer promossi dalle Università di Siena e di Sassari,
Salerno, Rubettino Editore, 2008, pp. 1133-1172.
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so quelle carte che rappresentano tipologie funzionali meno note (come il
consuntivo dei contanti di cassa, le registrazioni ausiliarie, la lettera di cambio) o tipi materiali rari nella documentazione di cui disponiamo (i due rotoli pergamenacei con note di crediti) e d’altra parte verso quei documenti
contabili che per il loro contenuto risultano complementari ai libri di conto
editi da Bigwood e Grunzweig.
Tra i documenti editi dall’Autrice uno dei più curiosi e particolari è il
“Libro delle spese quotidiane della « Renenga » di Fiandra”, tenuto a Bruges
dal 15 luglio al 28 agosto 1306. Bisogna considerare che un socio importante
della compagnia Gallerani, Tommaso Fini, esercitò la carica di ricevitore
comitale per il conte di Fiandra tra il 1306 e il 1309, un ruolo senz’altro di
grande rilevanza. In pratica il ricevitore rivestiva un ruolo chiave nella riscossione dei vari proventi fiscali e nella gestione delle finanze comitali. Le
sue funzioni prevedevano l’esercizio di una complessa attività, comprendente la ricezione dei proventi in natura e dei proventi monetari che il conte
otteneva dal suo dominium personale (sia il vecchio che il nuovo dominio,
ovvero quello acquisito nel corso del Duecento) e dai territori extra dominium, nonchè i proventi che derivavano da imposte straordinarie, stabilite ad
hoc a seconda delle necessità contingenti. Le entrate del demanio erano riscosse attraverso una fitta rete di esattori territoriali, distinti in renneurs e in
recheveurs a seconda che dovessero occuparsi delle aree del vecchio dominio
o dei territori del nuovo, mentre i proventi extra-demaniali erano riscossi
da altri ufficiali, detti balifs e censiers. Naturalmente ogni anno si tenevano
dei rendiconti generali in date stabilite. Così, i renneurs e i recheveurs erano
chiamati a rendere conto al ricevitore generale una volta l’anno, a partire
dalla festa di San Giovanni (24 giugno) in due diverse sessioni della renenga,
termine che indica propriamente la ‘sessione di rendicontazione’. La parola
è un adattamento del fr. renenghe che a sua volta deriva dal fiammingo redeninghe. I balivi invece dovevano presentarsi davanti al ricevitore generale tre
volte l’anno: all’Epifania, alla festa di San Michele (8 maggio) e alla festa di
Santa Croce (14 settembre). La contea di Fiandra sperimentò nella seconda
metà del Duecento lo stesso processo di accentramento della gestione finanziaria che si manifestò in altri principati e regni europei (ad esempio in Inghilterra e nel regno di Francia). Così sul finire del XIII secolo la carica di
ricevitore generale venne ad assumere un’importanza sempre maggiore e ad
assorbire tutte le funzioni finanziarie di maggior rilievo, incluse la gestione
dei pagamenti e l’eventuale accensione di mutui. Tommaso Fini lavorò come ricevitore generale con la collaborazione del fratello Bartolomeo presentando due rendicontazioni in francese relative alle audizioni della renenga,
una tenuta a Bruges nel 1306 e l’altra a Ypres nel 1309 3. Bartolomeo fu in3. Per queste notizie cfr. CELLA, La documentazione Gallerani-Fini cit., pp. 31-32
e E.E. KITTEL, From Ad Hoc to Routine. A Case Study in Medieval Bureaucracy, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1991.
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fatti incaricato nell’aprile 1308 dell’esazione della rendita e della taglia scaduta il primo novembre 1307 e per la supervisione della renenga a venire. La
renenga che si tenne a Bruges nel 1306, cominciò con un certo ritardo, il 15
luglio, e si protrasse fino a domenica 28 agosto. Naturalmente il prolungarsi
di queste sedute per un mese e mezzo comportava tutta una serie di spese
di vario genere, soprattutto di vitto, puntualmente riportate in un apposito
registro. Si dispone così di un lungo elenco di « dispese fatte per chagione
della renencha », comprendenti l’acquisto di salmone, storione, aringhe, cipolle, pepe, zucchero rosa (« çucharo rosado ») e altre spezie, formaggio fresco, formaggio di Brie, pane, burro, frutta, aceto, uova, pere, mele, mostarda, ciliegie, birra, pollastri, lardo, prugne, pesche, vino agro, vino « ranese »,
vino greco, zafferano e zenzero, farro, mandorle, carne di montone, di bue
e di porco, pesce, porcellane, paglia, erba, avena, cera per candele, carte e
fogli « di banbagia », « lavatura » di tovaglie e drappi, servizi di corriere postale, e altre varie voci. Si tratta in sostanza di una fonte che getta una luce
diretta e immediata all’interno della vita quotidiana di un istituto importante
come quello della renenga, una fonte tanto divertente quanto utile non solo
agli storici della gastronomia medievale, ma anche agli storici dell’economia
medievale, visto che ogni voce è corredata dal corrispettivo costo in denaro.
Nell’impossibilità di rendere qui conto di tutti i documenti editi dall’Autrice, per ovvii limiti di spazio, non si può tuttavia passare sotto silenzio
due altre fonti che per la loro tipologia documentaria risultano particolarmente interessanti. Una è la cosiddetta lettera « aperta » di cambio rilasciata
a Londra da Biagio Aldobrandini nel 1305. Inanzitutto, la data, alta, è il primo elemento che rende prezioso questa carta. Non disponiamo infatti di
molti esempi così antichi di lettere di cambio. In secondo luogo, la definizione di lettera « aperta » si giustifica alla luce del fatto che essa era corredata
di un’altra lettera di cambio concernente la stessa transazione, una lettera
« chiusa », cui si fa riferimento nel testo stesso della prima, laddove l’estensore – Biagio Aldobrandini – afferma: « Sere Anfroy di Clovilla nipote ... die
avere ciento vinti fiorini d’oro di Fiorença nela corte di Roma, dei quali
esso àe una lettara chiusa scritta di mano di me Biagio ... ». Questo fatto attesta la pratica, allora evidentemente in vigore presso la comunità mercantile-bancaria, di rilasciare due lettere di cambio per una medesima transazione, una chiusa e una aperta, probabilmente corrispondenti ad una forma più
lunga e ad una forma più sintetica. Si tratterebbe dunque di una fase intermedia tra l’uso dell’instrumentum ex causa cambii, ovvero il documento notarile vero e proprio che certificava con tutti i crismi l’operazione di cambio,
richiedendo alle parti di recarsi insieme presso un notaio, un uso documentato per tutto il Duecento, e la pratica - decisamente più snella e agile - di
rilasciare una semplice lettera di cambio a chi depositava il denaro, riportando l’operazione in un’annotazione nei libri contabili. Sia la lettera di cambio
che l’annotazione sui libri di conto avevano valore giuridico e davano diritto al creditore di riscuotere altrove, presso un’altra filiale o agenzia, la som-
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ma di denaro che aveva inizialmente depositato. Ma in questo caso, nel
1305, sembrerebbe appunto di assistere ad una fase intermedia, ove si riteneva necessario rilasciare, a maggior garanzia del creditore, almeno due lettere
di cambio, una chiusa e una aperta.
L’altra fonte che mi pare essere particolarmente interessante per tipologia
documentaria e contenuti sono le lettere, sia le tre lettere private scritte da
Ranieri al figlio Pietro, sia le due di affari inviate l’una da Siena alle fiere di
Champagne, l’altra da Bruges a Ypres. Le lettere di Ranieri furono tutte
spedite da Nîmes a Parigi, nello spazio di neppure un mese, tra il 6 e il 30
maggio 1307. Delle due lettere di affari, al contrario, la prima fu redatta da
Ciampolo di Giacomo Gallerani, in tutta probabilità il direttore della compagnia (almeno a partire dal 1303), residente stabilmente a Siena, e indirizzata ad uno dei soci più anziani, Giacomino di Giacomo Ubertini, a capo della filiale parigina a partire dall’estate 1307, la seconda fu mandata da Bartolomeo del Massiccio, socio dei Gallerani dal 1303 fino almeno alla fine di ottobre 1307, a Bartolomeo Fini, di stanza a Ypres, al servizio del conte di
Fiandra nella riscossione delle imposte in qualità di esattore e principale assistente del fratello Tommaso, ricevitore generale. Ad aiutare Tommaso e
Bartolomeo nella loro attività in Fiandra vi era poi un terzo fratello, Filippo,
associato alla compagnia Gallerani dal gennaio 1307, al quale si fa riferimento nell’indirizzo della lettera (« Baltalomeo Fini vel a Filippo son frere a
Ipro »).
Come ha osservato l’Autrice, le lettere senesi dell’epoca di cui disponiamo sono quattordici, pubblicate nel 1871 da Paoli e Piccolomini, otto delle
quali edite successivamente da Castellani, secondo criteri filologici rigorosi,
nel 1982. Delle altre sei si sono perse le tracce e risultano irriperibili, benchè a loro tempo Paoli e Piccolomini ne indicassero la collocazione presso
gli archivi privati di Giuseppe Porri e di Alessandro Pucci Sansedoni. Aver
quindi trovato e pubblicato cinque nuove lettere senesi non è piccolo merito, a prescindere dalla data più o meno alta delle lettere in questione. Per la
tipologia, inoltre, e per il fatto di appartenere ad un lasso di tempo molto
ristretto, le tre lettere di Ranieri di Ghegio risultano particolarmente interessanti e rare. Documentano, infatti, aspetti di vita privata altrimenti difficilmente presenti all’interno di lettere d’affari, per lo meno in forma così diretta e confidenziale. Le vicende di Ranieri sono quelle di un mercante e di
un uomo senz’altro non baciato dalla fortuna, anzi travolto da una spirale di
eventi e situazioni negative, tanto da soggiornare perfino nel carcere di Nîmes, detto Malapaga, per più di due mesi, tra la fine di marzo e la fine di
maggio, e, a detta sua, anche nel carcere di Genova. Non che si debba
prendere per oro colato tutto quello che lo sfortunato mercante afferma di
aver subìto, perchè sicuramente cercava di impietosire il figlio e indurlo ad
aiutarlo economicamente drammatizzando ad arte la sua condizione e le sue
sventure, ma certo ne esce il ritratto di un avventuriero, più che di un uomo d’affari, indurito e reso cinico dalle avversità, abituato ad ogni sorta di
espedienti pur di cavarsela e poter godere dei piaceri terreni Ne emerge
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quindi l’affresco di « un mondo – come afferma l’Autrice – fatto di spirito
d’avventura e intraprendenza, di astuzia e amore per i piaceri della vita, per
il gioco e le vesti, ma anche di cinismo, avidità, violenza, solitudine, che
sembra preludere a tanta della migliore novellistica trecentesca ». Non possono non venire in mente, a tal proposito, alcune novelle del Decameron.
Una nota di colore riguarda anche la lettera inviata da Bruges a Ypres
nell’estate del 1309 da Bartolomeo del Massiccio a Bartolomeo Fini, nella
quale il mittente informa il destinatario di aver comprato per suo fratello Filippo un giovane falcone, “un bello terçuolo da fare ramagio”, un falcone
ancora da addestrare alla caccia, rispetto al falcone adulto, chiamato “grifagno”. Ecco così attestata la passione di questi mercanti-banchieri per svaghi
e passatempi come la caccia, spesso considerati appannaggio esclusivo dei
giovani rampolli di famiglie nobili, in nome di una distinzione presunta tra
stili di vita (e ideologie) della nobiltà e della “borghesia”, una distinzione
che esiste più nella testa di alcuni storici contemporanei che nella concreta
realtà dell’Italia basso-medioevale.
Il volume è corredato di un commento linguistico sui testi editi, tutti in
senese antico, più precisamente nel senese della fase di transizione dalla forma arcaica a quella trecentesca. Il commento segue la descrizione e i tratti
evidenziati da Arrigo Castellani nel 2000 (Grammatica storica della lingua italiana, I. Introduzione, Bologna, il Mulino, 2000, pp. 350-362). Sono naturalmente presenti anche degli indici: un indice unico che comprende sia gli
antroponimi che i toponimi, un indice delle cose notevoli e dei testi antichi, un indice dei fenomeni linguistici e delle forme citate, un indice degli
studiosi e degli strumenti citati. Forse, a maggior beneficio del lettori, il primo indice avrebbe potuto essere scomposto in tre indici distinti (uno per gli
antroponimi I, uno per gli antroponimi II e un terzo per i toponimi), ma la
scelta di racchiudere tutte le voci in un indice unico pare comunque legittima. La presenza di un indice delle cose notevoli e dei testi antichi arricchisce l’apparato di uno strumento di orientamento utile per i lettori. Le tavole
finali, con una selezione di fotografie di alcuni testi, offrono un campionario
delle mani dei principali autori dei testi editi, alcune delle quali non facilmente identificabili, mentre l’ultima figura (29b) mostra il signum, lo stemma
della compagnia che i Gallerani, come tutte le società mercantili-bancarie
medievali, apponevano sui loro documenti e sulle balle di merce che
spedivano.
Da rilevare, infine, una sezione del libro dedicata alla disamina di questioni tecniche di tenuta contabile (pp. 40-58) sulla base della documentazione Gallerani-Fini e sulla scorta di alcuni studi ‘classici’ di Melis, De Roover, Nobes e, da ultimo, Arlinghaus, dalla quale di evince che la compagnia
Gallerani gestiva la propria contabilità con un sistema di partita doppia e di
rimandi incrociati tra i registri più importanti, sostanzialmente il libro dell’entrata e dell’uscita (o degli « avuti » e degli « arenduti ») di ciascuna filiale,
il grande libro della filiale, il libro dei conti, ma anche le registrazioni ausiliarie e, nel caso della filiale parigina, il cosiddetto “libro di prima nota” e i
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libri di fiera, ovvero i libri di entrata e uscita compilati appositamente nel
corso di ogni fiera di Champagne alla quale partecipavano soci e fattori della
compagnia 4. Ciò dipendeva dal fatto che il personale della compagnia attivo presso le fiere di Champagne faceva capo alla filiale di Parigi, presso cui
depositava la propria specifica contabilità.
In conclusione, questo libro costituisce uno strumento fondamentale per
lo studio non solo delle vicende della compagnia Gallerani, ma anche del
panorama mercantile-bancario senese di fine Duecento-inizi Trecento e, più
in generale, per lo studio della storia delle compagnie italiane del Tardo
Medioevo. Il volume della Cella si segnala per l’accuratezza filologica e per
uno sforzo di classificare con precisione le varie tipologie funzionali relative
ai documenti e alle carte Gallerani-Fini che, prima delle ricerche dell’Autrice, si presentavano in uno stato di pressochè totale disordine. Un’ultima annotazione può non essere del tutto superflua. Spesso, quando documenti di
così difficile lettura e interpretazione sono resi immediatamente accessibili
ad un pubblico vasto, può succedere che non tutti i lettori riescano a rendersi conto appieno del grado di complessità che caratterizza ricerche simili.
Alle difficoltà di inventariazione del materiale, di lettura ed edizione dei testi secondo criteri filologici rigorosi, si aggiungono i problemi d’identificazione di tutti i personaggi storici e dei luoghi geografici citati, di esatta
comprensione dei contenuti (che spesso hanno un carattere tecnico) e lo
sforzo di dover ricostruire globalmente le attività e le vicende di una determinata società mercantile-bancaria e dei suoi membri. Non è un caso che
molti documenti in volgare giacciano tuttora sepolti in scaffali di archivi italiani e stranieri, inediti o talora affatto sconosciuti alla comunità scientifica
internazionale. Per questo complesso di motivi un libro come quello oggetto di questa recensione risulta tanto più meritevole di apprezzamento.
IGNAZIO DEL PUNTA
4. Cfr. ad esempio la descrizione del “Libro dell’entrata e dell’uscita alla fiera di
Bar sur Aube” (12 marzo – 22 maggio 1304) a p. 78.
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Stato di Gent (1304-1309), Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2009, pp. 407 (Memoria Scripturarum, 4. Testi in
volgare, 1).
Questo libro di Roberta Cella è frutto di lunghe ricerche sulla documentazione relativa alla compagnia Gallerani conservata presso l’archivio di Gent, ricerche che hanno già prodotto in passato alcune pubblicazioni sull’argomento 1. Si tratta di una documentazione complessa, consistente in libri contabili,
lettere, appunti e annotazioni contabili, scritture di vario tipo, che l’Autrice ha
il merito non piccolo di avere riordinato, classificato e reso disponibile agli studiosi. In parte questa documentazione fu studiata a suo tempo da Georges Bigwood, negli anni Venti del secolo scorso, e quindi edita dopo la sua morte
(1930) da Armand Grunzweig, che portò a conclusione nei primi anni Sessanta
l’imponente lavoro avviato dal maestro (G. Bigwood, Les livres des comptes des
Gallerani, Ouvrage revu, mis au point, complété et publié par Armand Grunzweig, I. Le texte, II. Introduction et tables, Bruxelles, Académie Royale de Belgique, 1961-62). Questi due volumi rappresentano senza dubbio uno strumento
molto utile nell’affrontare l’esame delle altre carte Gallerani e della storia stessa
della compagnia senese, visto che l’edizione di Bigwood e Grunzweig è corredata di uno studio approfondito sulla compagnia Gallerani e i suoi clienti. Ma
l’edizione del 1962 riguarda solo due libri di conto dell’azienda senese, conservati nell’archivio di Gent, a fronte di una documentazione ben più ampia. I
due libri già editi sono il libro dell’entrata e dell’uscita della filiale di Londra (1
maggio 1305-1 novembre 1308) e un altro, mutilo e lacunoso, riguardante la filiale di Parigi (libro « dele dette dei villani » della filiale parigina), relativo al periodo 1306 - metà 1308). Per contro, i documenti editi nel volume della Cella
riguardano il periodo 1304-1309 e sono: 1) il Libro vecchio dell’entrata e dell’uscita della filiale di Londra (20 gennaio 1303/4 – 30 aprile 1305); 2) due biglietti sciolti conenuti nel libro vecchio di cui sopra; 3) un consuntivo dei contanti di cassa della filiale di Londra alla data 30 aprile 1305; 4) registrazioni ausiliarie al libro nuovo dei conti della filiale di Londra (12 maggio – 5 agosto
1305); 5) una lettera di cambio rilasciata da Biagio Aldobrandini datata Londra,
5 ottobre 1305; 6) una ricordanza d’una fideiussione (ottobre 1305) tratta dal
grande libro della filiale londinese; 7) il Libro delle spese quotidiane della « Re1. R. Cella, Le carte della filiale londinese della compagnia dei Gallerani e una Ricordanza di Biagio Aldobrandini (ottobre 1305), in Bollettino dell’Opera del Vocabolario Italiano
- Istituto del CNR, VIII (2003), pp. 403-414; EAD., Libri, conti e lettere della compagnia
senese dei Gallerani. I testi, Pisa, ETS, 2005; EAD., Anglismi e francesismi nel registro della
filiale di Londra (1305-1308) di una compagnia mercantile senese, in Identità e diversità nella
lingua e nella letteratura italiana, Atti del XVIII Congresso dell’AISLLI (Leuven - Louvain-la-Neuve – Antwerpen – Bruxelles, 16-19 luglio 2003), a cura di S. VANVOLSEM
et alii, 3 voll., Firenze, Cesati, 2007, I, pp. 189-204.
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nenga » di Fiandra (Bruges, 15 luglio – 28 agosto 1306); 8) tre lettere di Ranieri, da Nîmes, al figlio Pietro a Parigi (6 - 30 maggio 1307); 9) note di crediti
dell’Île de France in due rotoli pergamenacei (circa 1306 – ottobre 1307); 10)
una lettera di Ciampolo di Giacomo Gallerani, da Siena, a Mino di Giacomo
Ubertini e ai compagni alle fiere di Champagne (15 maggio 1308); 11) una lettera di Bartolomeo del Massiccio, da Bruges, a Bartolomeo Fini, a Ypres (16
agosto 1309).
Come si vede, si tratta di una documentazione molto ampia ed eterogenea, di non facile interpretazione. Essa, però, rappresenta solo una parte delle carte Gallerani-Fini conservate nell’Archivio di Stato di Ghent. L’intera
documentazione è inventariata e descritta analiticamente dall’Autrice (pp.
59-177), mentre le ragioni e i criteri che stanno alla base della scelta dei testi
da pubblicare sono esposti all’inizio del capitolo 3 (pp. 179-181). Solo una
minima parte dei documenti Gallerani-Fini è già stata edita da altri studiosi.
Oltre ai già citati libri di conto editi da Bigwood-Grunzweig insieme ai loro interfoliati, vi è una lettera di Niccolao di Guido Mazzi di San Galgano
al nipote Tommaso Fini (databile fra il 18 aprile 1306 e il primo ottobre
1309), pubblicata da Laura Galoppini in un volume che raccoglie studi in
onore di Luigi Berlinguer 2. Ma per il resto questa vasta documentazione è
inedita. Da segnalare, fra l’altro, un “Libro di compravendita di monete minute, buglione ed argento della filiale di Parigi (aprile-ottobre 1305)”, che
potrebbe risultare di grande interesse per i numismatici e gli storici della
monetazione tardo-medievale, in quanto documenta i rapporti della compagnia Gallerani-Fini con la zecca reale di Parigi, la “Moneta del re di Francia”. Senza dubbio molto interessanti sono anche un “Quaderno delle spese
di casa per il vitto e « di fuore » dal vitto della filiale di Londra tenuto da
Nicoluccio di Cante” (I gennaio – 31 ottobre 1306), che purtroppo è acefalo, un “Libro delle entrate e delle uscite del conte Roberto di Fiandra (agosto 1307-18 settembre 1309”, che è lacunoso e in parte mutilo, un “Libro
delle riscossioni di Fiandra tenuto da Pietro Ranieri” (gennaio – 12 agosto
1308) e infine un “Libro di riscossione delle taglie e dei doni imposti dal
conte alle città di Fiandra (maggio 1308 – 21 agosto 1309)”.
Tra i motivi che possono aver indotto l’editrice a scegliere di pubblicare
alcuni testi e non altri, vi è presumibilmente anche lo stato di conservazione
in cui versano taluni di questi documenti. Ad esempio, il “Grande libro
della filiale di Londra” (gennaio 1304 - primo novembre 1308), si presenta
con quasi tutte le carte in pessimo stato di conservazione, alcune delle quali
mutile e seriamente danneggiate da fori di tarli, gore di umidità e consunzioni varie (cfr. la descrizione del pezzo a pp. 69-70). Ma in particolare, di
fronte all’evidente necessità di operare una cernita, l’Autrice si è rivolta ver2. L. GALOPPINI, Uomini d’affari senesi nelle Fiandre nel Tardo Medioevo, in Tra diritto e storia. Studi in onore di Luigi Berlinguer promossi dalle Università di Siena e di Sassari,
Salerno, Rubettino Editore, 2008, pp. 1133-1172.
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so quelle carte che rappresentano tipologie funzionali meno note (come il
consuntivo dei contanti di cassa, le registrazioni ausiliarie, la lettera di cambio) o tipi materiali rari nella documentazione di cui disponiamo (i due rotoli pergamenacei con note di crediti) e d’altra parte verso quei documenti
contabili che per il loro contenuto risultano complementari ai libri di conto
editi da Bigwood e Grunzweig.
Tra i documenti editi dall’Autrice uno dei più curiosi e particolari è il
“Libro delle spese quotidiane della « Renenga » di Fiandra”, tenuto a Bruges
dal 15 luglio al 28 agosto 1306. Bisogna considerare che un socio importante
della compagnia Gallerani, Tommaso Fini, esercitò la carica di ricevitore
comitale per il conte di Fiandra tra il 1306 e il 1309, un ruolo senz’altro di
grande rilevanza. In pratica il ricevitore rivestiva un ruolo chiave nella riscossione dei vari proventi fiscali e nella gestione delle finanze comitali. Le
sue funzioni prevedevano l’esercizio di una complessa attività, comprendente la ricezione dei proventi in natura e dei proventi monetari che il conte
otteneva dal suo dominium personale (sia il vecchio che il nuovo dominio,
ovvero quello acquisito nel corso del Duecento) e dai territori extra dominium, nonchè i proventi che derivavano da imposte straordinarie, stabilite ad
hoc a seconda delle necessità contingenti. Le entrate del demanio erano riscosse attraverso una fitta rete di esattori territoriali, distinti in renneurs e in
recheveurs a seconda che dovessero occuparsi delle aree del vecchio dominio
o dei territori del nuovo, mentre i proventi extra-demaniali erano riscossi
da altri ufficiali, detti balifs e censiers. Naturalmente ogni anno si tenevano
dei rendiconti generali in date stabilite. Così, i renneurs e i recheveurs erano
chiamati a rendere conto al ricevitore generale una volta l’anno, a partire
dalla festa di San Giovanni (24 giugno) in due diverse sessioni della renenga,
termine che indica propriamente la ‘sessione di rendicontazione’. La parola
è un adattamento del fr. renenghe che a sua volta deriva dal fiammingo redeninghe. I balivi invece dovevano presentarsi davanti al ricevitore generale tre
volte l’anno: all’Epifania, alla festa di San Michele (8 maggio) e alla festa di
Santa Croce (14 settembre). La contea di Fiandra sperimentò nella seconda
metà del Duecento lo stesso processo di accentramento della gestione finanziaria che si manifestò in altri principati e regni europei (ad esempio in Inghilterra e nel regno di Francia). Così sul finire del XIII secolo la carica di
ricevitore generale venne ad assumere un’importanza sempre maggiore e ad
assorbire tutte le funzioni finanziarie di maggior rilievo, incluse la gestione
dei pagamenti e l’eventuale accensione di mutui. Tommaso Fini lavorò come ricevitore generale con la collaborazione del fratello Bartolomeo presentando due rendicontazioni in francese relative alle audizioni della renenga,
una tenuta a Bruges nel 1306 e l’altra a Ypres nel 1309 3. Bartolomeo fu in3. Per queste notizie cfr. CELLA, La documentazione Gallerani-Fini cit., pp. 31-32
e E.E. KITTEL, From Ad Hoc to Routine. A Case Study in Medieval Bureaucracy, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1991.
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fatti incaricato nell’aprile 1308 dell’esazione della rendita e della taglia scaduta il primo novembre 1307 e per la supervisione della renenga a venire. La
renenga che si tenne a Bruges nel 1306, cominciò con un certo ritardo, il 15
luglio, e si protrasse fino a domenica 28 agosto. Naturalmente il prolungarsi
di queste sedute per un mese e mezzo comportava tutta una serie di spese
di vario genere, soprattutto di vitto, puntualmente riportate in un apposito
registro. Si dispone così di un lungo elenco di « dispese fatte per chagione
della renencha », comprendenti l’acquisto di salmone, storione, aringhe, cipolle, pepe, zucchero rosa (« çucharo rosado ») e altre spezie, formaggio fresco, formaggio di Brie, pane, burro, frutta, aceto, uova, pere, mele, mostarda, ciliegie, birra, pollastri, lardo, prugne, pesche, vino agro, vino « ranese »,
vino greco, zafferano e zenzero, farro, mandorle, carne di montone, di bue
e di porco, pesce, porcellane, paglia, erba, avena, cera per candele, carte e
fogli « di banbagia », « lavatura » di tovaglie e drappi, servizi di corriere postale, e altre varie voci. Si tratta in sostanza di una fonte che getta una luce
diretta e immediata all’interno della vita quotidiana di un istituto importante
come quello della renenga, una fonte tanto divertente quanto utile non solo
agli storici della gastronomia medievale, ma anche agli storici dell’economia
medievale, visto che ogni voce è corredata dal corrispettivo costo in denaro.
Nell’impossibilità di rendere qui conto di tutti i documenti editi dall’Autrice, per ovvii limiti di spazio, non si può tuttavia passare sotto silenzio
due altre fonti che per la loro tipologia documentaria risultano particolarmente interessanti. Una è la cosiddetta lettera « aperta » di cambio rilasciata
a Londra da Biagio Aldobrandini nel 1305. Inanzitutto, la data, alta, è il primo elemento che rende prezioso questa carta. Non disponiamo infatti di
molti esempi così antichi di lettere di cambio. In secondo luogo, la definizione di lettera « aperta » si giustifica alla luce del fatto che essa era corredata
di un’altra lettera di cambio concernente la stessa transazione, una lettera
« chiusa », cui si fa riferimento nel testo stesso della prima, laddove l’estensore – Biagio Aldobrandini – afferma: « Sere Anfroy di Clovilla nipote ... die
avere ciento vinti fiorini d’oro di Fiorença nela corte di Roma, dei quali
esso àe una lettara chiusa scritta di mano di me Biagio ... ». Questo fatto attesta la pratica, allora evidentemente in vigore presso la comunità mercantile-bancaria, di rilasciare due lettere di cambio per una medesima transazione, una chiusa e una aperta, probabilmente corrispondenti ad una forma più
lunga e ad una forma più sintetica. Si tratterebbe dunque di una fase intermedia tra l’uso dell’instrumentum ex causa cambii, ovvero il documento notarile vero e proprio che certificava con tutti i crismi l’operazione di cambio,
richiedendo alle parti di recarsi insieme presso un notaio, un uso documentato per tutto il Duecento, e la pratica - decisamente più snella e agile - di
rilasciare una semplice lettera di cambio a chi depositava il denaro, riportando l’operazione in un’annotazione nei libri contabili. Sia la lettera di cambio
che l’annotazione sui libri di conto avevano valore giuridico e davano diritto al creditore di riscuotere altrove, presso un’altra filiale o agenzia, la som-
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ma di denaro che aveva inizialmente depositato. Ma in questo caso, nel
1305, sembrerebbe appunto di assistere ad una fase intermedia, ove si riteneva necessario rilasciare, a maggior garanzia del creditore, almeno due lettere
di cambio, una chiusa e una aperta.
L’altra fonte che mi pare essere particolarmente interessante per tipologia
documentaria e contenuti sono le lettere, sia le tre lettere private scritte da
Ranieri al figlio Pietro, sia le due di affari inviate l’una da Siena alle fiere di
Champagne, l’altra da Bruges a Ypres. Le lettere di Ranieri furono tutte
spedite da Nîmes a Parigi, nello spazio di neppure un mese, tra il 6 e il 30
maggio 1307. Delle due lettere di affari, al contrario, la prima fu redatta da
Ciampolo di Giacomo Gallerani, in tutta probabilità il direttore della compagnia (almeno a partire dal 1303), residente stabilmente a Siena, e indirizzata ad uno dei soci più anziani, Giacomino di Giacomo Ubertini, a capo della filiale parigina a partire dall’estate 1307, la seconda fu mandata da Bartolomeo del Massiccio, socio dei Gallerani dal 1303 fino almeno alla fine di ottobre 1307, a Bartolomeo Fini, di stanza a Ypres, al servizio del conte di
Fiandra nella riscossione delle imposte in qualità di esattore e principale assistente del fratello Tommaso, ricevitore generale. Ad aiutare Tommaso e
Bartolomeo nella loro attività in Fiandra vi era poi un terzo fratello, Filippo,
associato alla compagnia Gallerani dal gennaio 1307, al quale si fa riferimento nell’indirizzo della lettera (« Baltalomeo Fini vel a Filippo son frere a
Ipro »).
Come ha osservato l’Autrice, le lettere senesi dell’epoca di cui disponiamo sono quattordici, pubblicate nel 1871 da Paoli e Piccolomini, otto delle
quali edite successivamente da Castellani, secondo criteri filologici rigorosi,
nel 1982. Delle altre sei si sono perse le tracce e risultano irriperibili, benchè a loro tempo Paoli e Piccolomini ne indicassero la collocazione presso
gli archivi privati di Giuseppe Porri e di Alessandro Pucci Sansedoni. Aver
quindi trovato e pubblicato cinque nuove lettere senesi non è piccolo merito, a prescindere dalla data più o meno alta delle lettere in questione. Per la
tipologia, inoltre, e per il fatto di appartenere ad un lasso di tempo molto
ristretto, le tre lettere di Ranieri di Ghegio risultano particolarmente interessanti e rare. Documentano, infatti, aspetti di vita privata altrimenti difficilmente presenti all’interno di lettere d’affari, per lo meno in forma così diretta e confidenziale. Le vicende di Ranieri sono quelle di un mercante e di
un uomo senz’altro non baciato dalla fortuna, anzi travolto da una spirale di
eventi e situazioni negative, tanto da soggiornare perfino nel carcere di Nîmes, detto Malapaga, per più di due mesi, tra la fine di marzo e la fine di
maggio, e, a detta sua, anche nel carcere di Genova. Non che si debba
prendere per oro colato tutto quello che lo sfortunato mercante afferma di
aver subìto, perchè sicuramente cercava di impietosire il figlio e indurlo ad
aiutarlo economicamente drammatizzando ad arte la sua condizione e le sue
sventure, ma certo ne esce il ritratto di un avventuriero, più che di un uomo d’affari, indurito e reso cinico dalle avversità, abituato ad ogni sorta di
espedienti pur di cavarsela e poter godere dei piaceri terreni Ne emerge
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quindi l’affresco di « un mondo – come afferma l’Autrice – fatto di spirito
d’avventura e intraprendenza, di astuzia e amore per i piaceri della vita, per
il gioco e le vesti, ma anche di cinismo, avidità, violenza, solitudine, che
sembra preludere a tanta della migliore novellistica trecentesca ». Non possono non venire in mente, a tal proposito, alcune novelle del Decameron.
Una nota di colore riguarda anche la lettera inviata da Bruges a Ypres
nell’estate del 1309 da Bartolomeo del Massiccio a Bartolomeo Fini, nella
quale il mittente informa il destinatario di aver comprato per suo fratello Filippo un giovane falcone, “un bello terçuolo da fare ramagio”, un falcone
ancora da addestrare alla caccia, rispetto al falcone adulto, chiamato “grifagno”. Ecco così attestata la passione di questi mercanti-banchieri per svaghi
e passatempi come la caccia, spesso considerati appannaggio esclusivo dei
giovani rampolli di famiglie nobili, in nome di una distinzione presunta tra
stili di vita (e ideologie) della nobiltà e della “borghesia”, una distinzione
che esiste più nella testa di alcuni storici contemporanei che nella concreta
realtà dell’Italia basso-medioevale.
Il volume è corredato di un commento linguistico sui testi editi, tutti in
senese antico, più precisamente nel senese della fase di transizione dalla forma arcaica a quella trecentesca. Il commento segue la descrizione e i tratti
evidenziati da Arrigo Castellani nel 2000 (Grammatica storica della lingua italiana, I. Introduzione, Bologna, il Mulino, 2000, pp. 350-362). Sono naturalmente presenti anche degli indici: un indice unico che comprende sia gli
antroponimi che i toponimi, un indice delle cose notevoli e dei testi antichi, un indice dei fenomeni linguistici e delle forme citate, un indice degli
studiosi e degli strumenti citati. Forse, a maggior beneficio del lettori, il primo indice avrebbe potuto essere scomposto in tre indici distinti (uno per gli
antroponimi I, uno per gli antroponimi II e un terzo per i toponimi), ma la
scelta di racchiudere tutte le voci in un indice unico pare comunque legittima. La presenza di un indice delle cose notevoli e dei testi antichi arricchisce l’apparato di uno strumento di orientamento utile per i lettori. Le tavole
finali, con una selezione di fotografie di alcuni testi, offrono un campionario
delle mani dei principali autori dei testi editi, alcune delle quali non facilmente identificabili, mentre l’ultima figura (29b) mostra il signum, lo stemma
della compagnia che i Gallerani, come tutte le società mercantili-bancarie
medievali, apponevano sui loro documenti e sulle balle di merce che
spedivano.
Da rilevare, infine, una sezione del libro dedicata alla disamina di questioni tecniche di tenuta contabile (pp. 40-58) sulla base della documentazione Gallerani-Fini e sulla scorta di alcuni studi ‘classici’ di Melis, De Roover, Nobes e, da ultimo, Arlinghaus, dalla quale di evince che la compagnia
Gallerani gestiva la propria contabilità con un sistema di partita doppia e di
rimandi incrociati tra i registri più importanti, sostanzialmente il libro dell’entrata e dell’uscita (o degli « avuti » e degli « arenduti ») di ciascuna filiale,
il grande libro della filiale, il libro dei conti, ma anche le registrazioni ausiliarie e, nel caso della filiale parigina, il cosiddetto “libro di prima nota” e i
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libri di fiera, ovvero i libri di entrata e uscita compilati appositamente nel
corso di ogni fiera di Champagne alla quale partecipavano soci e fattori della
compagnia 4. Ciò dipendeva dal fatto che il personale della compagnia attivo presso le fiere di Champagne faceva capo alla filiale di Parigi, presso cui
depositava la propria specifica contabilità.
In conclusione, questo libro costituisce uno strumento fondamentale per
lo studio non solo delle vicende della compagnia Gallerani, ma anche del
panorama mercantile-bancario senese di fine Duecento-inizi Trecento e, più
in generale, per lo studio della storia delle compagnie italiane del Tardo
Medioevo. Il volume della Cella si segnala per l’accuratezza filologica e per
uno sforzo di classificare con precisione le varie tipologie funzionali relative
ai documenti e alle carte Gallerani-Fini che, prima delle ricerche dell’Autrice, si presentavano in uno stato di pressochè totale disordine. Un’ultima annotazione può non essere del tutto superflua. Spesso, quando documenti di
così difficile lettura e interpretazione sono resi immediatamente accessibili
ad un pubblico vasto, può succedere che non tutti i lettori riescano a rendersi conto appieno del grado di complessità che caratterizza ricerche simili.
Alle difficoltà di inventariazione del materiale, di lettura ed edizione dei testi secondo criteri filologici rigorosi, si aggiungono i problemi d’identificazione di tutti i personaggi storici e dei luoghi geografici citati, di esatta
comprensione dei contenuti (che spesso hanno un carattere tecnico) e lo
sforzo di dover ricostruire globalmente le attività e le vicende di una determinata società mercantile-bancaria e dei suoi membri. Non è un caso che
molti documenti in volgare giacciano tuttora sepolti in scaffali di archivi italiani e stranieri, inediti o talora affatto sconosciuti alla comunità scientifica
internazionale. Per questo complesso di motivi un libro come quello oggetto di questa recensione risulta tanto più meritevole di apprezzamento.
IGNAZIO DEL PUNTA
4. Cfr. ad esempio la descrizione del “Libro dell’entrata e dell’uscita alla fiera di
Bar sur Aube” (12 marzo – 22 maggio 1304) a p. 78.