Banksy urban guerrilla art guerrilla art
Il numero affronta il tema dello spazio pubblico nella città contemporanea attraverso una chiave di lettura innovativa; lontano dalle
modalità rappresentative e stabili della città pre-moderna, ma anche dal vuoto neutrale della città moderna, lo spazio pubblico
contemporaneo è concepito come una entità leggera e pervasiva, un territorio potenziale e trasformabile che permea l’intero tessuto
della città.
This issue takes a radically innovative look at public space in contemporary cities. Far from the stable, representative approaches
typical of pre-modern towns but also from the neutral emptiness of modern cities, contemporary public space is seen as a light,
pervasive entity; a potential, transformable area that permeates the fabric of the entire city.
I contributi dell’Editoriale e dell’Opening affrontano lo scenario urbano contemporaneo ed il ruolo dello spazio pubblico
delineando nuove modalità interpretative e nuovi modelli teorici. Le ipotesi della “Nuova Carta di Atene”, proposta da
Andrea Branzi, descrivono la città contemporanea come un territorio continuo, un organismo vivente in costante trasformazione;
per Maria Claudia Clemente la città è concepita come un teorico ed infinito potenziale spazio collettivo, uno sfondo da
modificare, in cui è possibile rintracciare nuove modalità d’uso e nuove relazioni sociali; un tessuto complesso per il quale Vincent
Teodoli, direttore della Tate Modern, invita a riflettere sul rapporto tra arte, luogo e collettività, tra visibile ed invisibile.
The Editorial and the Opening discuss the contemporary urban scenario and the role of public space, outlining
some new interpretation methods and theoretical models. The hypotheses in the ‘New Athens Charter’ by Andrea
Branzi describe the contemporary city as a continual, integrated location – a sort of living organism undergoing
constant transformation. Maria Claudia Clemente conceives the city as a theoretical and infinite potential collective
space: a background to be modified in which it is possible to note fresh forms of use and new social relationships. In
this complex web, Tate Modern director Vicente Todoli invites us to reflect on the relationship between art, location
and the community, and between visible and invisible elements.
Nella rubrica Designer sono analizzate alcune esperienze di trasformazione urbana: da una parte l’innovativa High Line di New
York - raccontata da Diller & Scofidio – dall’altra i temporanei e mobili esperimenti realizzati nel progetto Urban Play ad
Amsterdam e nel festival di Esterni a Milano, che indagano le potenzialità programmatiche e sociali dello spazio pubblico.
The Designer feature analyses some important urban transformation experiences: the radical and innovative High
Line in New York –by Diller & Scofidio discuss– and the temporary, mobile experiments in Amsterdam’s Urban Play
project and the Esterni festival in Milan, investigating of the planning and social potential of public space.
Nella rubrica Factory, attraverso il caso studio della Philips, si evidenzia il ruolo della luce nella qualità dello spazio urbano.
The Factory feature, using a Philips case study, reveals the role of light in the perception and quality of urban space.
Innovation & Research investiga su modalità e potenzialità della città on-demand, ovvero sulle possibilità insite nella
invenzione di spazi pubblici temporanei e reversibili.
Innovation & Research presents numerous case studies in his examination of the methods and potential for ondemand cities, i.e. the inherent possibilities associated with the invention of temporary, reversible public spaces that
are ready for use.
Open Space esplora il territorio delle megalopoli contemporanee: dall’Expò di Shanghai, alle foto di Francesco Jodice,
alle incursioni radicali di Bansky.
Open Space explores the world of contemporary megalopolises, with a sort of reportage from the Shanghai Expo,
with the imaginative photos of Francesco Jodice and the description of the radical initiatives by Banksy.
diid
n_44
anno | year VII, 2010 n.44 € 10,00
Designing the Void
Rivista bimestrale - Bimonthly magazine innovazione e ricerca - innovation and research
diid disegno industriale industrial design innovazione e ricerca innovation and research Designing the Void n_44
diid
disegno
industriale
industrial
design
Designing the Void
In Close-up viene raccontato da vicino uno dei primi e più riusciti spazi pubblici rubati alla città: l’allestimento della mostra
Contemporanea nel 1973 a Roma, all’interno del parcheggio di Villa Borghese, progettato da Luigi Moretti.
The Close-up takes a look at one of the first and most successful public spaces to be appropriated from the city:
1973’s ‘Contemporanea’ exhibition in the underground car park of Villa Borghese in Rome, designed by Luigi
Moretti.
Infine nella nuova rubrica Thinking about…, viene esplorato il pensiero di De Lucchi, maestro del design italiano.
Finally, the new Thinking about… feature presents the ideas of De Lucchi, a master of Italian design.
€ 10,00
English and Italian Texts
Designing the Void
Codirettore | Codirector
Lorenzo Imbesi
Vice direttore | Deputy Director
Raimonda Riccini
Coordinamento scientifico | Scientific Coordination Committe
Achille Bonito Oliva, Massimo d’Alessandro, Tonino Paris
Corso di Laurea in Disegno Industriale, Sapienza Università di Roma
Mario Morcellini
Facoltà di Scienze della Comunicazione, Sapienza Università di Roma
Francesco Cervellini
Corso di Laurea in Disegno Industriale e Ambientale, Università di Camerino
Vanni Pasca
Facoltà di Design, Politecnico di Milano
indice
disegno
industriale
industrial
design
Direttore | Director
Tonino Paris
04
editorial
Tonino Paris
4 Mutazioni | Mutations
10
opening
Andrea Branzi
10 Urbanizzazioni deboli e debolissime | Weak and Very Weak Urbanization
Maria Claudia Clemente
14 Il progetto dello spazio publico | Designing Public Space
Roberto Perris
Corso di Laurea in Disegno Industriale, Politecnico di Bari
Medardo Chiapponi
Massimo d’Alessandro
Facoltà di Design e Arti, Università IUAV di Venezia
24 Tate Modern ‘Square’
Andrea Branzi
Facoltà di Design, Politecnico di Milano
Redazione | Editorial Staff
34
Coordinamento redazionale | Editorial Coordination Committe
Sabrina Lucibello (caporedattore | Editor-in-Chief), Fiorella Bulegato, Federica Dal Falco,
Loredana Di Lucchio, Lorenzo Imbesi, Carlo Martino
designer
Massimo d’Alessandro
34 N.Y.C., vista sulla High Line | N.Y.C., High Line View
Napoli: Vincenzo Cristallo, Alfonso Morone
Milano: Alessandro Biamonti, Marinella Ferrara
Palermo: Cinzia Ferrara, Dario Russo
Roma: Paolo Balmas, Barbara Deledda, Paola Schiattarella
Venezia: Simona Romano, Olga Barmine
Susanna Mirza
44 Public Design Festival
Daniele Durante
Bangkok: Tommaso Maggio
Boston: Kristian Kloeck e Carla Farina
Buenos Aires: Pablo Ungaro
Hong Kong: Victor Lo, Lorraine Justice
Parigi: Federica Dal Falco
San Diego: Adriana Cuellar
50 Strategie creative urbane open source | Open Source Urban Creative Strategies
60
Segreteria di redazione | Editorial Headquarter
factory
Bianca Elena Patroni Griffi
Chiara Mele
Via Angelo Brunetti 42, 00186 Roma | telfax +39063225362
via Flaminia 70 c/o dip ITACA, 00196 Roma
tel. +39 (0)6 49919016 | fax.+39 (0)6 49919015
www.disegnoindustriale.net | [email protected]
60 City Beautification by Philips
68
innovation&research
Collaborazione all’attività editoriale | Editorial Activity Partnership
DE-TALES Ltd. 1-5 Lillie road SW61TX London
Davide Sani
Progetto grafico | Art Director
Roberta Sacco
68 Città reversibile | Reversible Cities
Impaginazione | Production
Factory LSD
80
Traduzione | Translations
A cura di | by Claudia Vettore
open space
Cecilia Cecchini
80 Banksy: Urban Guerrilla Art
DIID_Disegno Industriale | Industrial Design
Rivista bimestrale | Bimonthly magazine
Sabrina Lucibello
Fondata da | Founded by
Tonino Paris
Registrazione presso il Tribunale di Roma 86/2002 del 6 marzo 2002 | Registered in Rome, Italy
ISSN: 1594-8528 Anno / year VIII, 2010 n.44, may | june
86 Shanghai Forever
Direttore Responsabile | Editorial Director
Tonino Paris
92 L’immaginazione dello spazio pubblico | The Perception of Public Space
Editore | Publisher
Rdesignpress
Via Angelo Brunetti 42, 00186 Roma - fax +39063225362
4 bis rue neue popincourt | passage petite voire, 750011 Paris XI
www.rdesignpress.it | [email protected]
Francesco Jodice
I-XV
close up
Federica Dal Falco
Distribuzione librerie | Distribution through bookstores
joo distribution – milano
Incursioni dell’arte nel tessuto urbano | Art Incursions in the Urban Fabric
Distribuzione estero | Distribution for other countries
s.i.e.s. srl – milano
20092 cinisello balsamo (milano), via bettola 18 – tel. 02 66030400 – fax 02 66030269
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Federica Dal Falco
Concessionaria pubblicità | Concessionary agent for advertising
Roma designpiu srl
Via Angelo Brunetti 42, 00186 Roma - fax +390649919015
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XVI-XXIV
Stampa| Printing
Tipografia Ceccarelli, Grottedi Castro - VT
www.disegnoindustriale.net
I tracciati percettivi di Piero Sartogo | Piero Sartogo’s Perceptive Pathways
thinking about...
Tonino Paris
numero curato da | edited by
Claudia Clemente, Massimo d’Alessandro, Susanna Mirza
I clienti di De Lucchi | De Lucchi’s Client
street art
open space
80
Banksy: Urban Guerrilla Art
Cecilia Cecchini
Banksy, interventi urbani | urban
interventions
Pagina | Page 81:
Banksy, dipinti appesi furtivamente in vari
musei del mondo | paintings hung furtively
in various museum in the world
Banksy, dipinti appesi al New York
Metropolitan Museum nel 2005, scoperti e
rimossi dopo due ore | paintings hung in
the New York Metropolitan Museum in
2005, they was discovered and removed
after two hours
Gli interventi di Banksy sul territorio
costituiscono una sorta di denuncia
sociale a scala urbana delle piccole e
grandi violenze della società
contemporanea, delle ossessioni, dei
miti e dei valori dominanti.
Incuriosiscono e stupiscono grazie alla
loro capacità di relazionarsi con gli
spazi e di interagire con essi in modo
inconsueto, caratteristica che rende
riconoscibili le sue opere e dà luogo, in
chi le guarda, ad una sorta di
straniamento percettivo di surrealistica
memoria.
La storia dei writers, tra arte e
vandalismo, accompagna il modificarsi
della scena urbana da quando, nel
corso degli anni Quaranta, i soldati
alleati disegnavano sui muri un volto
stilizzato accompagnato dalla scritta
Kilory was here, l’antesignano di una
anonima tag a testimonianza del
passaggio in un certo luogo.
Il graffiti writing - a Filadelfia, nella
seconda metà degli Sessanta, a New
York negli anni Settanta, fino a
raggiungere una diffusione planetaria a
metà degli anni Ottanta - con le sue
lettere giganti legate tra loro, fumetti,
immagini stilizzate, slogan, ha colorato,
imbrattato, rallegrato, deturpato le
città. A secondo dei punti di vista, ma
anche dei luoghi scelti e, soprattutto,
degli autori, fra i quali si possono
ascrivere artisti internazionalmente
riconosciuti, come Keith Haring, solo
per citare il più famoso.
Non è un caso se nell’area di West
Hollywood, a Los Angeles, sono stati
recentemente chiamati dal Mark
Center for Arts and Architecture
ventuno giovani artisti della scena
underground americana per eseguire
lavori di grandi dimensioni posizionati
al posto degli onnipresenti cartelloni
pubblicitari. Una sorta di
legittimazione, ma forse anche di
snaturamento, di ciò che è nato
“libero” e “contro”.
Banksy è nel solco di questa tradizione.
La potenza dell’immaginazione e il
talento pittorico di quello che viene
definito come uno dei massimi
esponenti della Street Art, si
materializzano attraverso interventi che
spiazzano l’osservatore per lo sguardo
irriverente che - con spregiudicati
accostamenti, lievi o radicali
trasfigurazioni - ridicolizza immagini
consuete, a volte vere e proprie icone
della società contemporanea: la
bambina vietnamita scampata alla
bomba al napalm che cammina
piangente tra Topolino e il pupazzo del
Mc Donald sorridenti; il codice a barre
che diventa una gabbia da cui fuggire; i
Bobbies in divisa che si baciano
appassionatamente; il ragazzo dal volto
coperto nell’atto di lanciare una pietra
che è invece un mazzo di fiori; la
donna di servizio con crinolina che
nasconde la spazzatura sotto un muro
dipinto come un drappo sollevato; i
turisti ciccioni che si autofotografano
sorridenti seduti su un risciò trainato da
un bambino smilzo; i personaggi di
Pulp Fiction che impugnano banane al
posto delle pistole, murales rimosso tra
il cordoglio generale...
In alcuni casi sono immagini diventate
note perché riprodotte su magliette,
cartoline, poster, ma dalle quali Banksy,
come spiega sul suo sito ufficiale, non
trae profitti. Non è lui che le diffonde,
così come precisa che non è su
Facebook, Myspace, Twitter e che non
è rappresentato da alcun gallerista.
Infatti, nonostante le sue opere
abbiano raggiunto quotazioni notevoli,
che giornali e televisioni di tutto il
mondo lo corteggino, la sua identità
rimane sconosciuta, attorno ad essa si
fanno solamente ipotesi più o meno
verosimili (Robert o Robin Banks?). Si sa
che è nato in Inghilterra, vicino Bristol,
nel 1974 e che le sue gesta di guerrilla
artist sono iniziate alla fine degli anni
’80 nella crew Bristol’s DryBreadZ.
E ciò è sorprendente. In un’epoca nella
quale l’apparire è diventato più
importante dell’essere il suo
perseverare nell’anonimato risulta una
scelta - all’inizio sicuramente dettata
dalla possibilità di essere perseguito
dalle autorità – di tutto rispetto.
Nelle pochissime interviste rilasciate è
camuffato, così come nei rari video
“rubati” mentre è all’opera.
Nonostante un giurato di uno dei più
prestigiosi premi di arte
contemporanea, il Turner Prize, abbia
proposto la sua nomination, Banksy
rimane nell’ombra e continua ad
esprimersi tramite i suoi lavori.
Questi sono realizzati prevalentemente
con la tecnica dello stencil, che gli
consente precisione e soprattutto
rapidità, indispensabile per i suoi
interventi “di rapina” effettuati
soprattutto in spazi residuali, luoghi
inconsueti, perfino gabbie degli zoo come a Bristol, Londra, Barcellona,
Melbourne - che grazie alle sue scritte
sulla noia, la monotonia del cibo, il
caldo, il freddo sopportato dagli
animali, vengono improvvisamente
percepiti come insopportabili lager.
La fantasia sovversiva di Banksy
risparmia generalmente gli edifici di
interesse storico-artistico e i vagoni
delle metropolitane; sceglie piuttosto
aree marginali che diventano
immediatamente meta di giovani
visitatori, quasi i suoi fulminanti
interventi potessero riscattarene la
bruttezza. Del resto il Banksy-pensiero
recita: “Alcune persone diventano
poliziotti perché vogliono far diventare
il mondo un posto migliore. Alcune
diventano vandali perché vogliono far
diventare il mondo un posto migliore
da vedere”.
Banksy trae ispirazione più che dalle
superfici neutre dei muri da loro piccoli
crolli, che incornicia con linee
tratteggiate facendoli diventare punti
di vista privilegiati; da manifesti sbiaditi,
che completa stravolgendone il senso;
82
da marciapiedi sconnessi uniti con una
riga bianca che corre senza sosta fino
ad un muro sul quale è accucciata una
guardia che sembra sniffare quella che
è diventata una lunga striscia di
cocaina; dalla chiglia arrugginita di una
nave alla fonda, sulla quale appare una
morte con sembianze di scimmia la cui
falce è un vero tubo di plastica che
pende da un oblò; da uno sportello con
lucchetto, che un ratto-ladro cerca
inutilmente di aprire o da una
sbrecciatura di un muro che un rattooperaio ha appena fatto con un
una sorta di tag, di firma-logo del loro
autore.
Nel 2005 Banksy ha raggiunto l’apice
della disobbedienza creativa
materializzando altri possibili mondi
proprio nei luoghi dove la segregazione
e le divisioni sono più forti, dove le
barriere non sono solo mentali ma
anche, terribilmente, fisiche.
E’ il caso degli interventi realizzati sul
muro di separazione costruito dal
governo israeliano nei territori della
Cisgiordania. Alcuni tratti
dell’imponente barriera in cemento
Banksy le istanze attiviste e la pratica
artistica si fondono, mostrando quanto
può essere forte l’impatto visivo,
emozionale e di denuncia che l’arte
può avere sui luoghi - o, come in
questo caso, sui non-luoghi -,
trasfigurandoli e creando nuovi possibili
immaginari, spaziali e sociali.
A scala dimensionale ridotta, ma non
per questo meno incisiva, la sua
abitudine di appendere furtivamente
nei musei di tutto il mondo quadri da
lui realizzati in perfetto “stile”, ma con
particolari alla Banksy: dal gentiluomo
Banksy’s work on the urban fabric
constitutes a sort of social statement on
an urban scale on the major and minor
forms of violence of contemporary
society, on our obsessions, and on
myths and dominant values. His works
arouse curiosity and amazement
through their ability to relate with the
spaces and interact with them in
unusual ways. This characteristic makes
his work instantly recognisable and
arouses in the viewer a sort of
perceptive estrangement of a surreal
memory. The story of ‘writers’, a cross
places chosen, and above all, the
authors, which include some
internationally renowned artists, like
Keith Haring, just to mention the most
famous.
It’s no accident that in West Hollywood,
in Los Angeles, 20 young artists of the
American underground were recently
called by the Mark Center for Arts and
Architecture to execute large works to
replace the omnipresent billboards. This
acts as a sort of legitimisation, but
perhaps also corruption, of that which
was born ‘free’ and ‘anti’.
martello pneumatico.
“The rat” – forse non casualmente
anagramma di “art” - è l’animale
preferito e più dipinto da Banksy
perché è: “Il più infimo, quello da
sempre perseguitato dall’uomo ma che
nonostante ciò è riuscito a
sopravvivere”.
A ben guardare il più adatto a
rappresentare quella sorta di
disaccordo come diritto-dovere
praticato dal suo autore.
I suoi topi, seppure sempre diversi,
affaccendati nelle più varie azioni, sono
riconoscibilissimi e si configurano come
sono diventati la gigantesca tela per
idilliache quanto provocatorie visioni:
bambini che giocano immaginando
spiagge tropicali, che scavalcano il
muro salendo una lunga scala o appesi
ad un grappolo di palloncini che li
sollevano, finestre che inquadrano
tranquilli paesaggi montani, squarci di
cieli azzurri... L’enorme contrasto con
la desolazione dei luoghi rende la
barriera ancora più intollerabile.
Quanto di più lontano
dall’estetizzazione del politico o, con
Benjamin, dalla politicizzazione
dell’estetico. Al contrario nelle opere di
settecentesco che ha appena fatto
scritte contro la guerra con la
bomboletta spray (rimosso dopo 8
giorni dal Brooklyn Museum), alla
donna Ottocentesca con maschera
antigas (rimossa dal Metropolitan dopo
due ore), al frammento di simil parete
rocciosa con disegno alla maniera degli
uomini primitivi di un carrello del
supermercato (scoperto dopo otto
giorni ma acquisito nella collezione
museale dal British): “Evidentemente ha detto l’autore - i musei fanno più
attenzione a ciò che esce che a ciò che
entra”.
between art and vandalism, has
accompanied changes to the urban
scene, ever since allied soldiers in the
1940s drew stylised faces on walls with
the caption ‘Kilory was here’, the
forerunner of an anonymous tag
testifying to having been in a certain
place. Graffiti writing — in Philadelphia,
during the late Sixties, in New York in
the Seventies, and worldwide in the
mid-Eighties — with its huge, joined
letters, cartoon characters, stylised
images and slogans, has coloured,
dirtied, brightened and defaced cities,
depending on the point of view, the
Banksy arrives in the wake of this
tradition. The power of this artist’s
imagination and painting talent, who is
known as one of the greatest
exponents of Street Art, is seen in
works which catch the viewer off guard
because of their irreverent attitude
which — through unscrupulous
combinations, minor or radical
transfigurations — ridicule common
images, sometimes veritable icons of
contemporary society, like the
Vietnamese girl escaping a napalm
attack, running as she cries between a
smiling Mickey Mouse and Ronald
Banksy, topi | rats
Banksy, interventi urbani | urban
interventions
Pagine successive | Next pages:
Banksy, interventi realizzati sul muro di
separazione costruito dagli israeliani in
Cisgiordania, 2005 | Interventions on the
wall in the West Bank built by the Israelis,
2005
84
McDonald; a bar code that becomes a
cage from which to escape; Bobbies in
uniform kissing passionately; a boy
wearing a bandana caught in the act of
throwing a bouquet of flowers; a maid
in uniform sweeping dirt beneath a wall
painted like a raised cloth; obese
tourists taking each other’s photo
sitting on a rickshaw pulled by a
scrawny boy; characters from Pulp
Fiction brandishing bananas instead of
pistols. Such murals have been removed
to general dismay. In some cases, his
images have become well-known after
being reproduced on T-shirts, postcards
and posters. But, as he explains on his
official website, Banksy does not profit
from his images. He doesn’t distribute
them, and he also explains that he’s not
present on Facebook, MySpace or
Twitter, and is not represented by any
gallery. Indeed, despite the fact that his
works demand high prices, and that
newspapers and TV networks around
the world court him, his identity
continues to remain a mystery, with
speculation of varying probability as to
his real name (Robert or Robin Banks?).
It is known that he was born in
England, near Bristol, in 1974 and that
his work as a guerrilla artist began in
the late Eighties with the Bristol’s
DryBreadZ crew.
This is surprising. At a time when being
seen is more important that simply
being, his perseverance in remaining
anonymous is a clear choice — certainly
initially dictated by the possibility of
being charged by the authorities —
that is worthy of respect. In the rare
interviews he has granted, he appears
in disguise, as he is in the few ‘stolen’
videos of him at work. Although he has
been nominated for one of the most
prestigious contemporary art awards,
the Turner Prize, Banksy remains in the
shadows, and continues to express
himself through his work.
His pieces are created primarily using
stencils, which permit precision and
especially speed, which is essential for
his ‘hits’, created most often in residual
areas, unexpected places, even inside
zoo cages — like in Bristol, London,
Barcelona and Melbourne — which,
thanks to his graffiti regarding the
boredom, monotonous food, heat and
cold borne by the animals, suddenly
become perceived as unbearable lagers.
Banksy’s subversive imagination is
generally not expressed on buildings of
historic or artistic value or on
underground trains; rather, he selects
marginal areas which immediately
become destinations for young visitors,
with his lightning-fast interventions
practically redeeming their ugliness. In
fact, Banksy’s thought is expressed as
follows: ‘Some people become cops to
make the world a better place, some
people become vandals to make the
world a better-looking place’.
Banksy derives inspiration from the
neutral surfaces of walls, but even more
so from their little broken bits, which he
outlines with dashed lines, making
them a privileged viewpoint; from
faded posters, which he completes,
totally transforming their meaning,
from broken sidewalks joined with a
white line that continues to a wall on
which a cop crouches to sniff what has
become a long line of cocaine; the
rusted keel of a ship at anchor, on
which Death appears, looking like a
monkey, and whose scythe is actually a
plastic pipe hanging from a porthole;
from a padlocked window that a rat
thief tries unsuccessfully to open, or to
a wall that a construction rat has
chipped away at with his jackhammer.
‘The rat’ — perhaps not accidentally an
anagram of ‘art’ — is Banksy’s favourite
and most commonly painted animal,
because it’s: ‘The lowest, the one most
persecuted by man, but still manages to
survive’. If we look well, the rat is best
suited to representing that sort of
disagreement as a right-obligation
practised by its author. His rats, though
always different, busy in a variety of
activities, are immediately recognisable
and have become a sort of tag, a logo
or signature of their author.
In 2005, Banksy reached the apex of
creative disobedience, creating other
possible worlds in the very places where
segregation and divisions are the
greatest, where barriers are not just
mental, but also terribly physical.
One example is his work on the wall
built by the Israeli government in the
West Bank. Some sections of the
concrete imposing barrier have become
the gigantic canvas for idyllic and
provocative visions: children at play,
while imagining tropical beaches,
children climbing up a long ladder over
the wall or hanging from bunches of
balloons which lift them up, windows
that frame tranquil mountain
landscapes, holes revealing the blue sky,
etc. The extreme contrast with the
desolation of the place makes the wall
even more intolerable.
How far we are from the aesthetisation
of politics or, as with Benjamin, from
the politicisation of aesthetics. On the
contrary, in Banksy’s works, activism
and artistic expression combine,
showing just how strong a visual,
emotional and protesting impact art
can have on places — or, in this case,
on non-places —, transforming them
and creating new imaginary, spatial and
social possibilities.
On a smaller — but no less incisive —
scale, is his habit of furtively hanging
his paintings in museums around the
world, his own paintings done in
perfect style, but with Banksy details:
from the 17th century gentleman
writing an anti-war slogan in spray
paint (removed from the Brooklyn
Museum after eight days), to the 18thcentury lady wearing a gas mask
(removed from the Metropolitan after
two hours), to the fake rock fragment
with cave art containing a shopping
trolley (discovered after eight days, but
acquired by the British museum):
‘Obviously’, said the author, ‘museums
are more concerned about what goes
out than about what comes in’.
modalità rappresentative e stabili della città pre-moderna, ma anche dal vuoto neutrale della città moderna, lo spazio pubblico
contemporaneo è concepito come una entità leggera e pervasiva, un territorio potenziale e trasformabile che permea l’intero tessuto
della città.
This issue takes a radically innovative look at public space in contemporary cities. Far from the stable, representative approaches
typical of pre-modern towns but also from the neutral emptiness of modern cities, contemporary public space is seen as a light,
pervasive entity; a potential, transformable area that permeates the fabric of the entire city.
I contributi dell’Editoriale e dell’Opening affrontano lo scenario urbano contemporaneo ed il ruolo dello spazio pubblico
delineando nuove modalità interpretative e nuovi modelli teorici. Le ipotesi della “Nuova Carta di Atene”, proposta da
Andrea Branzi, descrivono la città contemporanea come un territorio continuo, un organismo vivente in costante trasformazione;
per Maria Claudia Clemente la città è concepita come un teorico ed infinito potenziale spazio collettivo, uno sfondo da
modificare, in cui è possibile rintracciare nuove modalità d’uso e nuove relazioni sociali; un tessuto complesso per il quale Vincent
Teodoli, direttore della Tate Modern, invita a riflettere sul rapporto tra arte, luogo e collettività, tra visibile ed invisibile.
The Editorial and the Opening discuss the contemporary urban scenario and the role of public space, outlining
some new interpretation methods and theoretical models. The hypotheses in the ‘New Athens Charter’ by Andrea
Branzi describe the contemporary city as a continual, integrated location – a sort of living organism undergoing
constant transformation. Maria Claudia Clemente conceives the city as a theoretical and infinite potential collective
space: a background to be modified in which it is possible to note fresh forms of use and new social relationships. In
this complex web, Tate Modern director Vicente Todoli invites us to reflect on the relationship between art, location
and the community, and between visible and invisible elements.
Nella rubrica Designer sono analizzate alcune esperienze di trasformazione urbana: da una parte l’innovativa High Line di New
York - raccontata da Diller & Scofidio – dall’altra i temporanei e mobili esperimenti realizzati nel progetto Urban Play ad
Amsterdam e nel festival di Esterni a Milano, che indagano le potenzialità programmatiche e sociali dello spazio pubblico.
The Designer feature analyses some important urban transformation experiences: the radical and innovative High
Line in New York –by Diller & Scofidio discuss– and the temporary, mobile experiments in Amsterdam’s Urban Play
project and the Esterni festival in Milan, investigating of the planning and social potential of public space.
Nella rubrica Factory, attraverso il caso studio della Philips, si evidenzia il ruolo della luce nella qualità dello spazio urbano.
The Factory feature, using a Philips case study, reveals the role of light in the perception and quality of urban space.
Innovation & Research investiga su modalità e potenzialità della città on-demand, ovvero sulle possibilità insite nella
invenzione di spazi pubblici temporanei e reversibili.
Innovation & Research presents numerous case studies in his examination of the methods and potential for ondemand cities, i.e. the inherent possibilities associated with the invention of temporary, reversible public spaces that
are ready for use.
Open Space esplora il territorio delle megalopoli contemporanee: dall’Expò di Shanghai, alle foto di Francesco Jodice,
alle incursioni radicali di Bansky.
Open Space explores the world of contemporary megalopolises, with a sort of reportage from the Shanghai Expo,
with the imaginative photos of Francesco Jodice and the description of the radical initiatives by Banksy.
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n_44
anno | year VII, 2010 n.44 € 10,00
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disegno
industriale
industrial
design
Designing the Void
In Close-up viene raccontato da vicino uno dei primi e più riusciti spazi pubblici rubati alla città: l’allestimento della mostra
Contemporanea nel 1973 a Roma, all’interno del parcheggio di Villa Borghese, progettato da Luigi Moretti.
The Close-up takes a look at one of the first and most successful public spaces to be appropriated from the city:
1973’s ‘Contemporanea’ exhibition in the underground car park of Villa Borghese in Rome, designed by Luigi
Moretti.
Infine nella nuova rubrica Thinking about…, viene esplorato il pensiero di De Lucchi, maestro del design italiano.
Finally, the new Thinking about… feature presents the ideas of De Lucchi, a master of Italian design.
€ 10,00
English and Italian Texts
Designing the Void
Codirettore | Codirector
Lorenzo Imbesi
Vice direttore | Deputy Director
Raimonda Riccini
Coordinamento scientifico | Scientific Coordination Committe
Achille Bonito Oliva, Massimo d’Alessandro, Tonino Paris
Corso di Laurea in Disegno Industriale, Sapienza Università di Roma
Mario Morcellini
Facoltà di Scienze della Comunicazione, Sapienza Università di Roma
Francesco Cervellini
Corso di Laurea in Disegno Industriale e Ambientale, Università di Camerino
Vanni Pasca
Facoltà di Design, Politecnico di Milano
indice
disegno
industriale
industrial
design
Direttore | Director
Tonino Paris
04
editorial
Tonino Paris
4 Mutazioni | Mutations
10
opening
Andrea Branzi
10 Urbanizzazioni deboli e debolissime | Weak and Very Weak Urbanization
Maria Claudia Clemente
14 Il progetto dello spazio publico | Designing Public Space
Roberto Perris
Corso di Laurea in Disegno Industriale, Politecnico di Bari
Medardo Chiapponi
Massimo d’Alessandro
Facoltà di Design e Arti, Università IUAV di Venezia
24 Tate Modern ‘Square’
Andrea Branzi
Facoltà di Design, Politecnico di Milano
Redazione | Editorial Staff
34
Coordinamento redazionale | Editorial Coordination Committe
Sabrina Lucibello (caporedattore | Editor-in-Chief), Fiorella Bulegato, Federica Dal Falco,
Loredana Di Lucchio, Lorenzo Imbesi, Carlo Martino
designer
Massimo d’Alessandro
34 N.Y.C., vista sulla High Line | N.Y.C., High Line View
Napoli: Vincenzo Cristallo, Alfonso Morone
Milano: Alessandro Biamonti, Marinella Ferrara
Palermo: Cinzia Ferrara, Dario Russo
Roma: Paolo Balmas, Barbara Deledda, Paola Schiattarella
Venezia: Simona Romano, Olga Barmine
Susanna Mirza
44 Public Design Festival
Daniele Durante
Bangkok: Tommaso Maggio
Boston: Kristian Kloeck e Carla Farina
Buenos Aires: Pablo Ungaro
Hong Kong: Victor Lo, Lorraine Justice
Parigi: Federica Dal Falco
San Diego: Adriana Cuellar
50 Strategie creative urbane open source | Open Source Urban Creative Strategies
60
Segreteria di redazione | Editorial Headquarter
factory
Bianca Elena Patroni Griffi
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60 City Beautification by Philips
68
innovation&research
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Progetto grafico | Art Director
Roberta Sacco
68 Città reversibile | Reversible Cities
Impaginazione | Production
Factory LSD
80
Traduzione | Translations
A cura di | by Claudia Vettore
open space
Cecilia Cecchini
80 Banksy: Urban Guerrilla Art
DIID_Disegno Industriale | Industrial Design
Rivista bimestrale | Bimonthly magazine
Sabrina Lucibello
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Tonino Paris
Registrazione presso il Tribunale di Roma 86/2002 del 6 marzo 2002 | Registered in Rome, Italy
ISSN: 1594-8528 Anno / year VIII, 2010 n.44, may | june
86 Shanghai Forever
Direttore Responsabile | Editorial Director
Tonino Paris
92 L’immaginazione dello spazio pubblico | The Perception of Public Space
Editore | Publisher
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Francesco Jodice
I-XV
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Incursioni dell’arte nel tessuto urbano | Art Incursions in the Urban Fabric
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I tracciati percettivi di Piero Sartogo | Piero Sartogo’s Perceptive Pathways
thinking about...
Tonino Paris
numero curato da | edited by
Claudia Clemente, Massimo d’Alessandro, Susanna Mirza
I clienti di De Lucchi | De Lucchi’s Client
street art
open space
80
Banksy: Urban Guerrilla Art
Cecilia Cecchini
Banksy, interventi urbani | urban
interventions
Pagina | Page 81:
Banksy, dipinti appesi furtivamente in vari
musei del mondo | paintings hung furtively
in various museum in the world
Banksy, dipinti appesi al New York
Metropolitan Museum nel 2005, scoperti e
rimossi dopo due ore | paintings hung in
the New York Metropolitan Museum in
2005, they was discovered and removed
after two hours
Gli interventi di Banksy sul territorio
costituiscono una sorta di denuncia
sociale a scala urbana delle piccole e
grandi violenze della società
contemporanea, delle ossessioni, dei
miti e dei valori dominanti.
Incuriosiscono e stupiscono grazie alla
loro capacità di relazionarsi con gli
spazi e di interagire con essi in modo
inconsueto, caratteristica che rende
riconoscibili le sue opere e dà luogo, in
chi le guarda, ad una sorta di
straniamento percettivo di surrealistica
memoria.
La storia dei writers, tra arte e
vandalismo, accompagna il modificarsi
della scena urbana da quando, nel
corso degli anni Quaranta, i soldati
alleati disegnavano sui muri un volto
stilizzato accompagnato dalla scritta
Kilory was here, l’antesignano di una
anonima tag a testimonianza del
passaggio in un certo luogo.
Il graffiti writing - a Filadelfia, nella
seconda metà degli Sessanta, a New
York negli anni Settanta, fino a
raggiungere una diffusione planetaria a
metà degli anni Ottanta - con le sue
lettere giganti legate tra loro, fumetti,
immagini stilizzate, slogan, ha colorato,
imbrattato, rallegrato, deturpato le
città. A secondo dei punti di vista, ma
anche dei luoghi scelti e, soprattutto,
degli autori, fra i quali si possono
ascrivere artisti internazionalmente
riconosciuti, come Keith Haring, solo
per citare il più famoso.
Non è un caso se nell’area di West
Hollywood, a Los Angeles, sono stati
recentemente chiamati dal Mark
Center for Arts and Architecture
ventuno giovani artisti della scena
underground americana per eseguire
lavori di grandi dimensioni posizionati
al posto degli onnipresenti cartelloni
pubblicitari. Una sorta di
legittimazione, ma forse anche di
snaturamento, di ciò che è nato
“libero” e “contro”.
Banksy è nel solco di questa tradizione.
La potenza dell’immaginazione e il
talento pittorico di quello che viene
definito come uno dei massimi
esponenti della Street Art, si
materializzano attraverso interventi che
spiazzano l’osservatore per lo sguardo
irriverente che - con spregiudicati
accostamenti, lievi o radicali
trasfigurazioni - ridicolizza immagini
consuete, a volte vere e proprie icone
della società contemporanea: la
bambina vietnamita scampata alla
bomba al napalm che cammina
piangente tra Topolino e il pupazzo del
Mc Donald sorridenti; il codice a barre
che diventa una gabbia da cui fuggire; i
Bobbies in divisa che si baciano
appassionatamente; il ragazzo dal volto
coperto nell’atto di lanciare una pietra
che è invece un mazzo di fiori; la
donna di servizio con crinolina che
nasconde la spazzatura sotto un muro
dipinto come un drappo sollevato; i
turisti ciccioni che si autofotografano
sorridenti seduti su un risciò trainato da
un bambino smilzo; i personaggi di
Pulp Fiction che impugnano banane al
posto delle pistole, murales rimosso tra
il cordoglio generale...
In alcuni casi sono immagini diventate
note perché riprodotte su magliette,
cartoline, poster, ma dalle quali Banksy,
come spiega sul suo sito ufficiale, non
trae profitti. Non è lui che le diffonde,
così come precisa che non è su
Facebook, Myspace, Twitter e che non
è rappresentato da alcun gallerista.
Infatti, nonostante le sue opere
abbiano raggiunto quotazioni notevoli,
che giornali e televisioni di tutto il
mondo lo corteggino, la sua identità
rimane sconosciuta, attorno ad essa si
fanno solamente ipotesi più o meno
verosimili (Robert o Robin Banks?). Si sa
che è nato in Inghilterra, vicino Bristol,
nel 1974 e che le sue gesta di guerrilla
artist sono iniziate alla fine degli anni
’80 nella crew Bristol’s DryBreadZ.
E ciò è sorprendente. In un’epoca nella
quale l’apparire è diventato più
importante dell’essere il suo
perseverare nell’anonimato risulta una
scelta - all’inizio sicuramente dettata
dalla possibilità di essere perseguito
dalle autorità – di tutto rispetto.
Nelle pochissime interviste rilasciate è
camuffato, così come nei rari video
“rubati” mentre è all’opera.
Nonostante un giurato di uno dei più
prestigiosi premi di arte
contemporanea, il Turner Prize, abbia
proposto la sua nomination, Banksy
rimane nell’ombra e continua ad
esprimersi tramite i suoi lavori.
Questi sono realizzati prevalentemente
con la tecnica dello stencil, che gli
consente precisione e soprattutto
rapidità, indispensabile per i suoi
interventi “di rapina” effettuati
soprattutto in spazi residuali, luoghi
inconsueti, perfino gabbie degli zoo come a Bristol, Londra, Barcellona,
Melbourne - che grazie alle sue scritte
sulla noia, la monotonia del cibo, il
caldo, il freddo sopportato dagli
animali, vengono improvvisamente
percepiti come insopportabili lager.
La fantasia sovversiva di Banksy
risparmia generalmente gli edifici di
interesse storico-artistico e i vagoni
delle metropolitane; sceglie piuttosto
aree marginali che diventano
immediatamente meta di giovani
visitatori, quasi i suoi fulminanti
interventi potessero riscattarene la
bruttezza. Del resto il Banksy-pensiero
recita: “Alcune persone diventano
poliziotti perché vogliono far diventare
il mondo un posto migliore. Alcune
diventano vandali perché vogliono far
diventare il mondo un posto migliore
da vedere”.
Banksy trae ispirazione più che dalle
superfici neutre dei muri da loro piccoli
crolli, che incornicia con linee
tratteggiate facendoli diventare punti
di vista privilegiati; da manifesti sbiaditi,
che completa stravolgendone il senso;
82
da marciapiedi sconnessi uniti con una
riga bianca che corre senza sosta fino
ad un muro sul quale è accucciata una
guardia che sembra sniffare quella che
è diventata una lunga striscia di
cocaina; dalla chiglia arrugginita di una
nave alla fonda, sulla quale appare una
morte con sembianze di scimmia la cui
falce è un vero tubo di plastica che
pende da un oblò; da uno sportello con
lucchetto, che un ratto-ladro cerca
inutilmente di aprire o da una
sbrecciatura di un muro che un rattooperaio ha appena fatto con un
una sorta di tag, di firma-logo del loro
autore.
Nel 2005 Banksy ha raggiunto l’apice
della disobbedienza creativa
materializzando altri possibili mondi
proprio nei luoghi dove la segregazione
e le divisioni sono più forti, dove le
barriere non sono solo mentali ma
anche, terribilmente, fisiche.
E’ il caso degli interventi realizzati sul
muro di separazione costruito dal
governo israeliano nei territori della
Cisgiordania. Alcuni tratti
dell’imponente barriera in cemento
Banksy le istanze attiviste e la pratica
artistica si fondono, mostrando quanto
può essere forte l’impatto visivo,
emozionale e di denuncia che l’arte
può avere sui luoghi - o, come in
questo caso, sui non-luoghi -,
trasfigurandoli e creando nuovi possibili
immaginari, spaziali e sociali.
A scala dimensionale ridotta, ma non
per questo meno incisiva, la sua
abitudine di appendere furtivamente
nei musei di tutto il mondo quadri da
lui realizzati in perfetto “stile”, ma con
particolari alla Banksy: dal gentiluomo
Banksy’s work on the urban fabric
constitutes a sort of social statement on
an urban scale on the major and minor
forms of violence of contemporary
society, on our obsessions, and on
myths and dominant values. His works
arouse curiosity and amazement
through their ability to relate with the
spaces and interact with them in
unusual ways. This characteristic makes
his work instantly recognisable and
arouses in the viewer a sort of
perceptive estrangement of a surreal
memory. The story of ‘writers’, a cross
places chosen, and above all, the
authors, which include some
internationally renowned artists, like
Keith Haring, just to mention the most
famous.
It’s no accident that in West Hollywood,
in Los Angeles, 20 young artists of the
American underground were recently
called by the Mark Center for Arts and
Architecture to execute large works to
replace the omnipresent billboards. This
acts as a sort of legitimisation, but
perhaps also corruption, of that which
was born ‘free’ and ‘anti’.
martello pneumatico.
“The rat” – forse non casualmente
anagramma di “art” - è l’animale
preferito e più dipinto da Banksy
perché è: “Il più infimo, quello da
sempre perseguitato dall’uomo ma che
nonostante ciò è riuscito a
sopravvivere”.
A ben guardare il più adatto a
rappresentare quella sorta di
disaccordo come diritto-dovere
praticato dal suo autore.
I suoi topi, seppure sempre diversi,
affaccendati nelle più varie azioni, sono
riconoscibilissimi e si configurano come
sono diventati la gigantesca tela per
idilliache quanto provocatorie visioni:
bambini che giocano immaginando
spiagge tropicali, che scavalcano il
muro salendo una lunga scala o appesi
ad un grappolo di palloncini che li
sollevano, finestre che inquadrano
tranquilli paesaggi montani, squarci di
cieli azzurri... L’enorme contrasto con
la desolazione dei luoghi rende la
barriera ancora più intollerabile.
Quanto di più lontano
dall’estetizzazione del politico o, con
Benjamin, dalla politicizzazione
dell’estetico. Al contrario nelle opere di
settecentesco che ha appena fatto
scritte contro la guerra con la
bomboletta spray (rimosso dopo 8
giorni dal Brooklyn Museum), alla
donna Ottocentesca con maschera
antigas (rimossa dal Metropolitan dopo
due ore), al frammento di simil parete
rocciosa con disegno alla maniera degli
uomini primitivi di un carrello del
supermercato (scoperto dopo otto
giorni ma acquisito nella collezione
museale dal British): “Evidentemente ha detto l’autore - i musei fanno più
attenzione a ciò che esce che a ciò che
entra”.
between art and vandalism, has
accompanied changes to the urban
scene, ever since allied soldiers in the
1940s drew stylised faces on walls with
the caption ‘Kilory was here’, the
forerunner of an anonymous tag
testifying to having been in a certain
place. Graffiti writing — in Philadelphia,
during the late Sixties, in New York in
the Seventies, and worldwide in the
mid-Eighties — with its huge, joined
letters, cartoon characters, stylised
images and slogans, has coloured,
dirtied, brightened and defaced cities,
depending on the point of view, the
Banksy arrives in the wake of this
tradition. The power of this artist’s
imagination and painting talent, who is
known as one of the greatest
exponents of Street Art, is seen in
works which catch the viewer off guard
because of their irreverent attitude
which — through unscrupulous
combinations, minor or radical
transfigurations — ridicule common
images, sometimes veritable icons of
contemporary society, like the
Vietnamese girl escaping a napalm
attack, running as she cries between a
smiling Mickey Mouse and Ronald
Banksy, topi | rats
Banksy, interventi urbani | urban
interventions
Pagine successive | Next pages:
Banksy, interventi realizzati sul muro di
separazione costruito dagli israeliani in
Cisgiordania, 2005 | Interventions on the
wall in the West Bank built by the Israelis,
2005
84
McDonald; a bar code that becomes a
cage from which to escape; Bobbies in
uniform kissing passionately; a boy
wearing a bandana caught in the act of
throwing a bouquet of flowers; a maid
in uniform sweeping dirt beneath a wall
painted like a raised cloth; obese
tourists taking each other’s photo
sitting on a rickshaw pulled by a
scrawny boy; characters from Pulp
Fiction brandishing bananas instead of
pistols. Such murals have been removed
to general dismay. In some cases, his
images have become well-known after
being reproduced on T-shirts, postcards
and posters. But, as he explains on his
official website, Banksy does not profit
from his images. He doesn’t distribute
them, and he also explains that he’s not
present on Facebook, MySpace or
Twitter, and is not represented by any
gallery. Indeed, despite the fact that his
works demand high prices, and that
newspapers and TV networks around
the world court him, his identity
continues to remain a mystery, with
speculation of varying probability as to
his real name (Robert or Robin Banks?).
It is known that he was born in
England, near Bristol, in 1974 and that
his work as a guerrilla artist began in
the late Eighties with the Bristol’s
DryBreadZ crew.
This is surprising. At a time when being
seen is more important that simply
being, his perseverance in remaining
anonymous is a clear choice — certainly
initially dictated by the possibility of
being charged by the authorities —
that is worthy of respect. In the rare
interviews he has granted, he appears
in disguise, as he is in the few ‘stolen’
videos of him at work. Although he has
been nominated for one of the most
prestigious contemporary art awards,
the Turner Prize, Banksy remains in the
shadows, and continues to express
himself through his work.
His pieces are created primarily using
stencils, which permit precision and
especially speed, which is essential for
his ‘hits’, created most often in residual
areas, unexpected places, even inside
zoo cages — like in Bristol, London,
Barcelona and Melbourne — which,
thanks to his graffiti regarding the
boredom, monotonous food, heat and
cold borne by the animals, suddenly
become perceived as unbearable lagers.
Banksy’s subversive imagination is
generally not expressed on buildings of
historic or artistic value or on
underground trains; rather, he selects
marginal areas which immediately
become destinations for young visitors,
with his lightning-fast interventions
practically redeeming their ugliness. In
fact, Banksy’s thought is expressed as
follows: ‘Some people become cops to
make the world a better place, some
people become vandals to make the
world a better-looking place’.
Banksy derives inspiration from the
neutral surfaces of walls, but even more
so from their little broken bits, which he
outlines with dashed lines, making
them a privileged viewpoint; from
faded posters, which he completes,
totally transforming their meaning,
from broken sidewalks joined with a
white line that continues to a wall on
which a cop crouches to sniff what has
become a long line of cocaine; the
rusted keel of a ship at anchor, on
which Death appears, looking like a
monkey, and whose scythe is actually a
plastic pipe hanging from a porthole;
from a padlocked window that a rat
thief tries unsuccessfully to open, or to
a wall that a construction rat has
chipped away at with his jackhammer.
‘The rat’ — perhaps not accidentally an
anagram of ‘art’ — is Banksy’s favourite
and most commonly painted animal,
because it’s: ‘The lowest, the one most
persecuted by man, but still manages to
survive’. If we look well, the rat is best
suited to representing that sort of
disagreement as a right-obligation
practised by its author. His rats, though
always different, busy in a variety of
activities, are immediately recognisable
and have become a sort of tag, a logo
or signature of their author.
In 2005, Banksy reached the apex of
creative disobedience, creating other
possible worlds in the very places where
segregation and divisions are the
greatest, where barriers are not just
mental, but also terribly physical.
One example is his work on the wall
built by the Israeli government in the
West Bank. Some sections of the
concrete imposing barrier have become
the gigantic canvas for idyllic and
provocative visions: children at play,
while imagining tropical beaches,
children climbing up a long ladder over
the wall or hanging from bunches of
balloons which lift them up, windows
that frame tranquil mountain
landscapes, holes revealing the blue sky,
etc. The extreme contrast with the
desolation of the place makes the wall
even more intolerable.
How far we are from the aesthetisation
of politics or, as with Benjamin, from
the politicisation of aesthetics. On the
contrary, in Banksy’s works, activism
and artistic expression combine,
showing just how strong a visual,
emotional and protesting impact art
can have on places — or, in this case,
on non-places —, transforming them
and creating new imaginary, spatial and
social possibilities.
On a smaller — but no less incisive —
scale, is his habit of furtively hanging
his paintings in museums around the
world, his own paintings done in
perfect style, but with Banksy details:
from the 17th century gentleman
writing an anti-war slogan in spray
paint (removed from the Brooklyn
Museum after eight days), to the 18thcentury lady wearing a gas mask
(removed from the Metropolitan after
two hours), to the fake rock fragment
with cave art containing a shopping
trolley (discovered after eight days, but
acquired by the British museum):
‘Obviously’, said the author, ‘museums
are more concerned about what goes
out than about what comes in’.