I geometri greci e gli specchi ustori

1 Un dominio di ricerca indipendente

Alcuni aspetti dell’ottica greca sono sorprendenti in una prospettiva mo- derna. I raggi visivi (che promanano dall’occhio e grazie ai quali ha luogo il processo di percezione visiva) e i raggi di luce sono considerati entit`a distinte e sono studiati da scienze distinte, che partono per`o dalle

stesse ipotesi. 1 Leggiamo in proposito questo passo di Gemino proposto in estratto in Definitiones 135.12:

Le parti dell’ottica potrebbero essere denominate in accordo con le differenti materie anche in pi`u modi, ma i tre generi principali sono quello chiamato ottica per omonimia con l’intera disciplina, quello catottrico, quello scenografico. ` E detto catottrico quello che si occupa in generale delle riflessioni dagli oggetti lisci, non solo su di un solo specchio, ma a volte anche su molti, e ancora a dire il vero anche dei colori che appaiono nell’aria a causa dell’umi- dit`a, quali sono quelli lungo l’arcobaleno. Un altro `e quello che studia ci`o che accade ai raggi del sole sia nel loro inflettersi che nell’illuminazione stessa che nelle ombre, ad esempio quale risulti la linea che delimita l’ombra in ciascuna figura, e quello denomi- nato <teoria> degli specchi ustori, che investiga, riguardo ai raggi che concorrono per riflessione, quelli che danno fuoco ad un certo luogo, concorrendo in un solo <punto> oppure secondo una linea

retta oppure circolare, 2 come conseguenza della convergenza com-

1 Le ipotesi sono le stesse perch´e la trattazione in termini matematici utilizza gli stessi concetti e gli stessi metodi. 2 Gli specchi in questione sono rispettivamente un paraboloide di rotazione intorno all’asse, uno specchio sferico, una superficie mista una parte della quale `e ottenuta ruotando una parabola intorno

ad un diametro che non sia l’asse. Questi risultati sono dimostrati negli Specchi ustori di Diocle, risp. prop. 1, 2 e ancora 1 – di quest’ultimo genere di specchio sono date due costruzioni, la prima delle quali errata; si veda l’Appendix D (di O. Neugebauer) in [48, pp. 213-216].

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patta della luce riflessa da parte di una certa qual forma dello spec- chio. Queste teorie, avendo le stesse ipotesi di quella che si occupa di raggi visivi, procedono allo stesso modo di quella: quale infatti sia l’emissione dei raggi visivi, tale risulta anche l’illuminazione solare, talora secondo rette non flesse, talora secondo <rette> che si immergono, proprio come per i vetri – <i raggi> diffusi da par- te di certe figure convergono infatti in un solo <punto e> danno fuoco – talora per riflessione, proprio come i giochi di riflessi ap- paiono sui tetti – e come la visione deriva da ogni raggio visivo, anche l’illuminazione deriva da ogni parte del sole. Quell’ottica che investiga le <immagini> che passano per acqua e membra- ne ha una teoria di minor portata, e studia gli oggetti sott’acqua

e <dietro> membrane e vetro: quando gli oggetti uniti appaiano lacerati, e composti gli oggetti semplici, e flessi quelli diritti e in moto quelli fermi [20, pp. 104.9-106.13].

Gemino scrive nel I secolo a.C., e, per quanto attento agli aspetti classi- ficatori e quindi potenzialmente interessato a introdurre distinzioni pi`u o meno fittizie tra scienze affini, riflette molto probabilmente lo stato della ricerca a lui contemporanea. I documenti a nostra disposizione attesta- no invece uno stato ancora fluido del processo di compartimentazione disciplinare nella prima opera che si occupa, per quanto marginalmen- te, di specchi ustori: la Catottrica di Euclide. Dopo che la proposizione

28 aveva enfatizzato il ruolo strategico del punto medio del raggio nel- la visione di oggetti mediata da specchi sferici concavi, la proposizione

30 investiga, passando dai raggi visivi a quelli solari, le propriet`a ustorie degli stessi specchi. Per quanto sia rischioso assumere che la Catottrica come ci `e pervenuta risalga recta via ad Euclide, la testimonianza di Dio- cle, che vedremo nella Sez. 4, corrobora l’ipotesi che uno dei motori di tutta la tradizione di ricerca sugli specchi ustori sia la proposizione che andiamo a leggere (Figure 1 e 2):

Catottrica

30. Dagli specchi concavi posti al sole si accende il fuoco. Sia uno specchio concavo A BG, sole E Z , centro dello specchio

Q , e da un certo punto D congiunta D Q fino al centro Q sia stata prolungata fino a B, e risulti incidere un raggio DG e risulti essere riflesso fino a K . Sar`a pertanto riflesso sopra il centro Q – l’angolo sulla circonferenza P `e infatti minore di quello restante sulla cir- conferenza BG D –. E sia l’arco A B uguale a BG, e da D incida un certo altro raggio D A. ` E dunque manifesto che il raggio A D riflesso incider`a su K per il fatto di essere l’arco A B uguale a BG.

I geometri greci e gli specchi ustori

Similmente sar`a dimostrato che tutti i <raggi> che da D incidono sullo specchio e che staccano <archi> uguali incontreranno B Q nello stesso <punto> pi`u sopra di Q.

Figura 1.

Figura 2.

Sia di nuovo uno specchio concavo A BG, sole D E Z , e da un certo punto E per il centro Q sia E Q B, e dagli altri D, Z D QG, Z Q A.

E dunque abbiamo dimostrato prima che i raggi da E incontreran- no se stessi per essere gli angoli P, R uguali – sono infatti diametri – e quelli da Z per gli angoli K , L, quelli da D fino a DG per es- sere gli angoli N , X uguali. E che tutti questi siano riflessi in se stessi `e chiaro – essendo dal centro fanno infatti semicerchi, e gli angoli dei semicerchi sono uguali –: le riflessioni risultano quindi per angoli uguali: sono dunque riflessi in se stessi. Tutti <i raggi>

da tutti i punti sulle <rette> per il centro si incontreranno quin- di nel centro. Riscaldatisi dunque questi raggi intorno al centro si concentrer`a un fuoco. Cos`ı che della stoppa posta qui si accender`a [14, pp. 340.1-342.10].

Come risulta dal passo letto sopra, Gemino conosce quasi sicuramente l’opera di Diocle, di cui menziona in estremo compendio i risultati pi`u rilevanti. Nel trattato di quest’ultimo la separazione tra campi di ricerca su cui insiste Gemino si `e in effetti compiuta, e si manterr`a negli autori

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che seguono. Lo studio degli specchi ustori assunse in effetti una con- notazione geometrica molto spiccata, inusuale per opere di matematica applicata: si tratta sostanzialmente di trattazioni molto brevi che si con- centrano su problemi assai circoscritti di teoria delle sezioni coniche o, nel caso di riflessioni da specchi sferici, di geometria piana elementare. Altro tratto piuttosto inusuale `e la longevit`a del campo di ricerca. Dio- cle `e probabilmente un contemporaneo di Apollonio (a cavallo tra III e

II secolo a.C.); Antemio di Tralle, l’ultimo da cui si hanno contributi tecnicamente interessanti, oper`o nel pieno del VI secolo d.C. Altri mate- matici tennero vivo l’interesse per la geometria degli specchi ustori, come vedremo nelle prossime tre sezioni.

2 Archimede e gli specchi ustori

Bisogna preliminarmente sgombrare il campo da un mito storiografico duro a morire, per quanto la sua implausibilit`a fosse apparsa chiara gi`a

ad Antemio: Archimede che mette in opera specchi ustori nella difesa di Siracusa. La questione `e stata dibattuta fin dall’et`a rinascimentale, e gli interpreti hanno enfatizzato due aspetti della questione: la (in)fattibilit`a materiale e il silenzio delle fonti pi`u attendibili o vicine all’evento [32, 41, 43]. Vorrei qui discutere le varie testimonianze (la lista canonica risale alla Bibliotheca graeca di Fabricius [6, vol. III.C.22], compilata all’inizio del Settecento!) e mostrare che formano una catena dossografica molto strettamente connessa. L’unica testimonianza sicura e indipendente, per quanto di seconda mano, risulter`a essere quella di Antemio di Tralle.

Inizio presentando brevemente i passaggi, altamente problematici, che attribuiscono una Catottrica (cio`e un’opera che si occupa della riflessione di raggi visivi) ad Archimede. Non `e in effetti a priori chiaro se gi`a all’epoca di Archimede i due campi di ricerca si fossero differenziati. Lo scolio 7 alla Catottrica euclidea gli attribuisce la seguente dimostrazione (Figura 3): 3

Archimede dice cos`ı, che l’angolo Z o `e uguale ad E oppure mi- nore oppure maggiore. Sia in primo luogo Z maggiore di E: E `e quindi minore. Di nuovo, sia dunque stato posto un occhio D, e dall’occhio <il raggio> sia stato riflesso di nuovo fino a ci`o che

`e visto B. L’angolo E sar`a quindi maggiore di Z . Ed era anche minore; il che `e assurdo [14, p. 348.17–22].

3 La dimostrazione richiede un poco di elaborazione per essere resa accettabile, dato che la situazione `e simmetrica solo se occhio e oggetto sono alla stessa distanza dal piano di riflessione.

I geometri greci e gli specchi ustori

BD

Figura 3.

Pur nella sua forma eccessivamente compressa, si riconosce inequivoca- bilmente un argomento basato su considerazioni di simmetria, che sfrut- tano la reversibilit`a del cammino ottico. ` E per`o un argomento comple- tamente geometrico, che intende spiegare il fenomeno all’interno di un quadro teorico ben preciso. Un riassunto molto sintetico della presunta opera di Archimede si trova in Apuleio:

Uideturne uobis debere philosophia haec omnia uestigare et inqui- rere et cuncta specula, uel uda uel suda, uidere? Quibus praeter ista quae dixi etiam illa ratiocinatio necessaria est, cur in planis quidem speculis ferme pares obtutus et imagines uideantur, tumi- dis vero et globosis omnia defectiora, at contra in cauis auctiora; ubi et cur laeua cum dexteris permutentur; quando se imago eodem speculo tum recondat penitus, tum foras exserat; cur caua specula, si exaduersum soli retineantur, appositum fomitem accendant; qui fiat ut arcus in nubibus uariae, duo soles aemula similitudine ui- santur, alia praeterea eiusdem modi plurima, quae tractat uolumine ingenti Archimedes Syracusanus, uir in omni quidem geometria multum ante alios admirabilis subtilitate, sed haud sciam an prop- ter hoc uel maxime memorandus, quod inspexerat spaesulum saepe

ac diligenter [22, pp. 18.17-19.8]. Ulteriori riferimenti si trovano in autori tardi. Teone di Alessandria (se-

conda met`a del IV secolo) spiega, nel suo commento all’Almagesto, il passo in cui Tolomeo afferma che i corpi celesti, quando sono vicini all’orizzonte, appaiono ingranditi per un effetto ottico:

per questo, imbattendosi la vista in aria pi`u caliginosa, i raggi che

da essa incidono sull’astro subiscono un’inflessione e fanno mag- giore l’angolo sull’occhio, come dimostr`o anche Archimede nei

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< libri> Sulle catottriche. [. . . ] E incidano raggi sulla superfi- cie dell’acqua E Q, E K , e siano inflessi fino ad A, B, come E Q A,

EKB , come anche Archimede nei <libri> Sulle catottriche, come abbiamo detto [40, pp. 347.2-348.1 e 349.5-7].

Commentando i passi matematici dei Meteorologica di Aristotele, Olim- piodoro (VI secolo) afferma:

Anche Archimede dimostra in altro modo questo stesso fatto, che il raggio visivo `e inflesso, dall’anello gettato nel vaso. Qualora infatti tu getti un anello in un vaso senz’acqua, non ti apparir`a, per il fatto di stare davanti il corpo del vaso. Se invece getti dell’acqua, apparir`a spostato, dato che il raggio visivo incide nell’acqua come su uno specchio ed `e inflesso per rifrazione fino all’anello. Cos`ı dunque va dimostrato che il raggio visivo `e inflesso [45, p. 211.18- 23].

Sembra dunque che il commentatore attribuisca ad Archimede una di- mostrazione della def. 6 della Catottrica euclidea. ` E difficile valutare l’attendibilit`a di questi passaggi. ` E stato proposto che si riferiscano in realt`a ad una versione pi`u ampia della Catottrica euclidea, che ci sarebbe quindi giunta mutila [29]. Una parte di quanto dice Apuleio costituisce in effetti un riassunto piuttosto preciso della Catottrica, e la sua menzio- ne delle propriet`a ustorie dei «caua specula» sarebbe semplicemente un riferimento alla prop. 30 letta sopra.

Le prime testimonianze sul (mancato) uso da parte di Archimede di specchi ustori durante l’assedio di Siracusa sono attestazioni ex silen- tio . Polibio (ca. 203-120 a.C) [5, pp. 337.30-341.9], Tito Livio (59

a.C.-17 d.C.), 4 Plutarco (ca. 50-120 d.C.) 5 descrivono pi`u o meno detta- gliatamente alcuni degli ordigni bellici progettati da Archimede ed i suoi espedienti tattici per opporsi alle navi romane, ma non menzionano gli specchi ustori. In realt`a, non possiamo dare peso dirimente in negativo a queste testimonianze: rimontano sicuramente ad una fonte comune (for- se Polibio stesso) e quindi vanno contate come una sola testimonianza; non siamo sicuri che la narrazione di quest’ultimo dei fatti siciliani ci sia giunta completa (manca ad esempio l’episodio della morte di Archime-

de, ma il resoconto degli assalti via mare a Siracusa sembra conchiuso).

4 Ab urbe condita XXIV.34 e XXV.31, quest’ultimo contenendo solo una breve descrizione della morte di Archimede.

5 Vita Marcelli xiv-xix [58].

I geometri greci e gli specchi ustori

Sia come sia, in Polibio la narrazione `e scandita da un principio ordina- tore ben preciso: la distanza delle quinquiremi romane dalle mura, cui corrispondono, kat` a l´ogon ’ae`i pr`oV t`o par`on ’ap´osthma «ogni volta in rapporto con la distanza presente», adeguate macchine da guerra at- te a contrastarle. Quando sono lontane, le navi sono colpite da grossi proiettili lanciati da catapulte; macchine da lancio pi`u piccole entrano in funzione quando le navi si sottraggano alla gittata di quelle pi`u grandi; quando si facciano troppo vicine sono bersagliate da frecce e altra bali- stica leggera scagliata da cesse praticate ad altezza d’uomo nelle mura di Siracusa. A questo punto la tecnica difensiva ammette una biforcazione: se i Romani si pongono sotto le mura con navi accoppiate in modo da sorreggere le torri d’assedio chiamate sambuche, tutto l’apparato viene distrutto da enormi pesi sganciati da bracci mobili (in sostanza delle sta- dere) improvvisamente fatti spuntare da sopra le mura; se invece le navi recano soltanto combattenti muniti di protezioni contro la balistica legge- ra, pietre li respingono a poppa mentre una mano di ferro calata con una catena `e velocemente fissata alla prua: un sistema di carrucole permette di issare in verticale la nave, che viene poi sbattuta gi`u con conseguenze rovinose: quale si appoggia un fianco, quale si rovescia, quale imbarca acqua. Niente viene detto su navi cui venga appiccato il fuoco. La nar- razione dell’assalto da terra da parte delle truppe di Appio procede in maniera strettamente parallela.

Il resoconto di Tito Livio, Ab urbe condita XXIV.34, `e un’epitome di quello di Polibio. Le coincidenze lessicali e di struttura argomentativa sono dirimenti; il parametro che regola la narrazione `e ancora la distanza delle navi romane dalle mura di Siracusa:

aduersus hunc naualem apparatum Archimedes uariae magnitudi- nis tormenta in muris disposuit. in eas quae procul erant naues saxa ingenti pondere emittebat; propiores leuioribus eoque magis cre- bris petebat telis; postremo, ut sui uolnere intacti tela in hostem in- gererent, murum ab imo ad summum crebris cubitalibus fere cauis aperuit, per quae caua pars sagittis, pars scorpionibus modicis ex occulto petebant hostem. [quae] propius quaedam subibant naues quo interiores ictibus tormentorum essent; in eas tollenone super murum eminente ferrea manus firmae catenae inligata cum iniec- ta prorae esset grauique libramento plumbum recelleret ad solum, suspensa prora nauem in puppim statuebat; dein remissa subito uelut ex muro cadentem nauem cum ingenti trepidatione nautarum ita undae adfligebant ut etiamsi recta recciderat, aliquantum aquae acciperet.

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Plutarco `e uno scrittore e non uno storico: la narrazione, ripresa senza ombra di dubbio da Polibio, `e arricchita di qualche digressione e al con- tempo resa meno coesa: il parametro della distanza delle navi romane dalle mura `e mantenuto (cfr. xv.9), ma semplificato riducendolo ad una dicotomia lontano dalle mura (xv.1-7 e xvi.2) / sotto le mura (xv.8-xvi.1) che ammette all’interno espansioni, rispetto alla narrazione asciutta di Polibio, di singoli episodi come quello delle navi agganciate e solleva- te (xv.3-4). Plutarco costruisce inoltre una cornice pedagogica di stam- po prettamente platonico in cui inserire l’episodio dell’assedio: si tratta della ben nota giustificazione del perch´e Archimede, celebre per le sue prodezze nel campo della geometria pura, si sia abbassato ad occuparsi di meccanica (xiv.7-15), ma sia uscito netto da una tale sozza commistio- ne evitando di pubblicare alcunch´e sull’argomento (xvii.5-12). Plutarco non menziona specchi ustori; in compenso offre tre versioni differenti dell’episodio della morte di Archimede (xix.8-12). Nel frattempo, Silio Italico (25/26-101 d.C.), Punica XIV, 292-352, ci spiega che i Siracusani usarono proiettili infuocati contro la fanteria romana, ma non fa cenno ad ordigni incendiari messi in opera nel corso dell’assedio per mare, la cui descrizione ricalca e romanza quella di Livio (il nome di Archimede non compare perch´e le prime tre sillabe del suo nome – lunga/breve/lunga: un cretico – non si adattano all’esametro). In conclusione, le quattro fonti

da cui si `e soliti trarre il forte argomento ex silentio contro il preteso uso di specchi ustori da parte di Archimede si riducono in effetti ad una sola, Polibio.

Il passaggio pi`u antico addotto solitamente come prova in positivo `e

Luciano (II sec. d.C.), Hippias 2.1-13, 6 ma non vi si menzionano gli specchi ustori: parlando di personaggi «illustri in campo teorico ma che lasciarono ai posteri anche monumenti ed applicazioni della tecnica», l’autore menziona un certo Sostrato di Cnido ed Archimede, quest’ul- timo per «aver dato alle fiamme le triremi nemiche con l’ausilio della tecnica t` aV t˜wn polem´iwn tri´hreiV katafl´exanta t˜Ñ t´ecnÑ». Frutto di un equivoco interessante e probabilmente decisivo per la tradizione sus- seguente `e invece il preteso riferimento di Galeno (129-ca. 216 d.C.) in De temperamentis III.2:

Non c’`e per niente da meravigliarsi se ci`o che prende le mosse in forma minimale possa prodursi in uno stravolgimento massimo della natura originaria. ` E innegabile che anche molti dei fenomeni all’esterno [del corpo umano] si osservino di tal genere. In Misia,

6 Ma sull’autenticit`a dell’opera sono stati sollevati dubbi.

I geometri greci e gli specchi ustori

che `e in Asia, una casa bruci`o completamente in questo modo: vi si trovava dello sterco di piccione, gi`a in putrefazione e surriscaldato

ed emanante vapore e piuttosto caldo al tatto. Vicino ad esso, al punto da toccarlo, c’era una finestra il cui legno era stato da poco completamente imbevuto di una gran quantit`a di resina. Dunque, il sole violento di piena estate appicc`o il fuoco sia alla resina che al legno, e di qui altre porte e finestre che si trovavano vicino e da poco imbevute di resina accolsero facilmente il fuoco e lo estese- ro fino al tetto. Una volta che la fiamma lo ebbe preso, si propag`o velocemente a tutta la casa. Pi`u o meno cos`ı, credo, si dice che Ar- chimede abbia incendiato le triremi dei nemici per mezzo di [ma- teriali] ustori o“utw d´e pwV oÿimai, ka`i t` on ’Arcim´hdhn jas`i di` a t˜wn pure´iwn ’empr˜hsai t` aV t˜wn polám´iwn tri´hráiV. Sono accese facilmente da [materiali] ustori lana, stoppa, lucignoli, ferula e tut- to ci`o che, similmente, sia secco e poroso. Appiccano la fiamma anche pietre sfregate tra loro e soprattutto se si spruzza dello zolfo su di esse. Anche il composto di Medea era di questo genere. Tutto ci`o che ne viene spalmato si incendia, una volta fornitogli calore. Quello si prepara con zolfo e bitume liquido [33, vol. I, pp. 657-8] = [23. p. 93].

` E degna di nota la triplice modulazione dubitativa «Pi`u o meno cos`ı, cre- do, si dice». Gi`a Galeno lavorava dunque su notizie di seconda mano,

innestandovi di suo una componente estrapolativa che riconosce esplici- tamente come tale. Il passo non contiene per`o riferimenti a specchi usto- ri: purá˜ia sono in generale tutti gli oggetti composti di materiali adatti

a fungere da innesco, e in questo senso il termine `e usato da Galeno. Il parallelo con l’ammasso di sterco di piccione e il piccolo elenco di ma- teriali che segue la menzione di Archimede danno indicazioni univoche. Dal passo di Galeno nacque sicuramente l’equivoco in epoca moderna, e probabilmente gi`a in epoca antica [44]: il termine purá˜ia designava gi`a nella letteratura tecnica, per metonimia, gli specchi ustori: lo troviamo almeno nel titolo dell’opera di Diocle, anche se a rigore questo potrebbe essere dovuto al compilatore, e sicuramente in Gemino, come abbiamo letto all’inizio. Si noti anche la denominazione, in Galeno e in Luciano, delle navi romane come «triremi». Erano invece delle quinquiremi, come attesta anche Polibio: le fonti del II secolo attualizzano informazioni su cui non hanno pi`u controllo. 7

7 Similmente a Galeno si muove Plinio (23-79 d.C.), Naturalis historia II.239, in un contesto inteso corroborare la tesi che piccole sorgenti di fuoco sono dappertutto, e dunque « excedet profecto mira-

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La testimonianza principale si trova in Antemio di Tralle (morto nel 534), Sui meccanismi sorprendenti [Pár`i parad´ oxwn mhcanhm´ atwn], il quale per`o, per sua stessa ammissione, si basa su narrazioni precedenti. L’accenno alle sue fonti suggerisce che queste gi`a contenessero infor- mazioni piuttosto vaghe, e che non si trattasse di autori tecnici. Merita leggere un lungo estratto del breve trattato:

2. Come monteremo un apparato in modo che si verifichi accen- sione, per mezzo dei raggi solari, in un luogo dato che disti non meno di un tiro d’arco. Se ci basiamo su quelli che espongono le costruzioni dei cosiddetti ustori, sembra quasi che quanto proposto sia impossibile: vediamo infatti gli ustori guardare sempre verso il sole quando producano l’accensione, di modo che, se il luogo dato non `e proprio in linea retta con i raggi solari, ma punta da un’altra parte o da quella op- posta, non `e possibile che si produca quanto proposto per mezzo dei detti ustori; e inoltre prendere in considerazione una distanza sufficiente fino all’accensione comporta necessariamente che an- che la grandezza dell’ustorio, se ci basiamo sulle esposizioni degli

antichi, venga ad essere praticamente impossibile: 8 cos`ı che, se ci

basiamo sulle dette esposizioni, `e ragionevole ritenere impossibile anche quanto proposto. Ma poich´e non `e possibile attentare alla fama di Archimede, e trovandosi narrato concordemente da parte di tutti che bruci`o le navi dei nemici per mezzo dei raggi solari, per ci`o stesso neces- sariamente e ragionevolmente il problema sar`a possibile, e an- che noi, avendolo studiato nella misura in cui ci era possibile in- vestigare, esporremo una costruzione siffatta, premettendo alcu- ne brevi <considerazioni> necessarie a quanto proposto [21, pp. 81.19-82.15] = [38, pp. 353.6-354.2]. [. . . ] Antemio mostra che con uno specchio piano disposto opportuna- mente i raggi solari possono sempre essere diretti verso un luogo

cula omnia ullum diem fuisse, quo non cuncta conflagrarent, cum specula quoque concaua aduersa solis radiis facilius etiam accendant quam ullus alius ignis » .

8 Il secondo motivo di Antemio riguarda le dimensioni dello specchio. Siccome gli « antichi »

esposero soltanto costruzioni di specchi parabolici esatti, e la distanza focale `e 1/4 del parametro di una parabola (si veda la sez. 5 pi`u oltre), un paraboloide che incendi a un tiro d’arco dovrebbe avere dimensioni enormi oppure, se ridotto a una sua porzione maneggevole, essere praticamente indistinguibile da uno specchio piano. Antemio intende promuovere in anticipo la sua costruzione approssimata.

I geometri greci e gli specchi ustori

dato, e pone il problema di come concentrare sul luogo pi`u raggi siffatti. [. . . ]

3. Per non avere il fastidio di ingiungerlo a molti (abbiamo infatti scoperto che ci`o che deve accendere abbisogna di non meno di 24

riflessioni), 9 costruiremo cos`ı:

Sia uno specchio piano esagonale ABGDEZ e altri specchi esago- nali simili, di un diametro di poco minore, posti intorno a questo e contigui al primo secondo le dette rette AB, BG, GD, DE, EZ, ZA

e che possano muoversi intorno alle dette rette, tenute insieme o essendo incollate ad essi delle lamine o le cosiddette cerniere. Se invero facciamo che anche gli specchi all’intorno siano nello stesso piano dello specchio di mezzo, la riflessione, `e chiaro, avverr`a si- milmente per tutto il complesso. Se invece, restando quello di mez- zo in qualche modo immobile, facciamo convergere, con un’at- tenzione particolarmente accresciuta, tutti quanti quelli all’intorno verso quello di mezzo, `e chiaro che i raggi da essi riflessi giungono al luogo di mezzo dello specchio originario. Facendo pertanto lo stesso e ponendo altri specchi all’intorno di quelli detti e potendo farli convergere verso il mezzo, concentreremo i loro raggi nello stesso <luogo>, cos`ı da produrre l’accensione nel luogo dato, una volta concentratisi tutti quanti nel modo detto.

4. E la stessa accensione si produrr`a ancor meglio se siffatti usto- ri siano affidati a quattro o cinque persone, sette in numero per

ciascuno, 10 ed elongati di una distanza commensurabile tra lo-

ro in proporzione alla distanza dell’accensione, cos`ı che i raggi < provenienti> da essi, secandosi tra loro, possano rendere pi`u ef- ficace la detta conflagrazione: se infatti gli specchi si trovano in un solo luogo, le riflessioni si secano tra loro ad angoli acuti, cos`ı che prende fuoco per riscaldamento quasi tutto il luogo intorno all’as- se e la conflagrazione non avviene soltanto sul punto dato. Ed `e possibile, per mezzo della stessa configurazione di specchi piani, anche oscurare la vista dei nemici, in modo che questi non riesca- no a discernere dove camminano o si dirigano, siffatti specchi piani essendo disposti come si `e detto prima, conficcati nella parte supe- riore degli scudi e convergendo in qualche modo verso l’esterno, cos`ı da deviare le riflessioni solari, nel modo che si `e detto, verso i

9 Nessuna giustificazione di quest’affermazione si trova nel trattatto cos`ı come ci `e pervenuto. 10 Cio`e lo specchio esagonale centrale pi`u i sei connessi ad ognuno dei lati.

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nemici e in questo modo poterli sconfiggere agevolmente. Per mezzo della costruzione dei detti specchi ovverosia specchi ustori sia l’accensione che tutto ci`o che segue pu`o avvenire ad un intervallo dato: e infatti coloro che riportano di specchi usto- ri costruiti dal divinissimo Archimede ricordano che <provocasse l’accensione> non per mezzo di un solo specchio ustorio ma per mezzo di molti, e ritengo che non ci sia altro modo per produrre accensione ad una tale distanza: [21, sez. 3-5, pp. 83.24-85.11] = [38, sez. 3-4, pp. 355.15-357.15]

Dopo Antemio troviamo tre testimonianze in autori tardo-bizantini: Gio- vanni Tzetze (ca. 1110-1180), Zonara (attivo intorno al 1161) ed Eustazio (morto nel 1198). A quella di Tzetze in particolare `e stato dato un peso notevole, se non altro perch´e `e l’unica in assoluto che, in un contesto am- pio di presentazione dei risultati archimedei in `ambito meccanico, riporta

quanto visse Archimede, 11 ed inoltre menziona tra le sue fonti Cassio Dione (morto dopo il 229 d.C.) e Diodoro Siculo (I secolo a.C.), storici le cui narrazioni della presa di Siracusa non ci sono pervenute. Gli autori tardo-bizantini lavoravano di norma per compilazione di fonti disparate, spesso inserendo nei loro resoconti estrapolazioni congetturali non se- gnalate come tali. L’esposizione di Tzetze «Su Archimede e certi suoi congegni» (Chiliades II.103-156 (Hist. 35) [34]), ne `e un esempio para- digmatico. L’unico dato inedito `e appunto quello sull’et`a di Archimede all’epoca dell’assedio – altrimenti: la storiella sul varo della nave effet- tuato con una sola mano grazie a un sistema di carrucole (107-108) e la descrizione della variet`a di proiettili scagliati contro le navi romane (109- 117), funzione di una distanza dalle mura crescente, sono prese di peso

da Plutarco con l’aggiunta di un fantasioso scrupolo di esattezza sul peso della nave e sul numero di carrucole; 12 la stessa ficelle stilistica che deve alla sua fonte (l’allontanamento fuori tiro delle navi romane) permette a Tzetze di introdurre come cerniera lessicale l’espressione «tiro d’arco»

e, di s´eguito (118-127), un’epitome di quanto abbiamo letto in Antemio, veramente impressionante per coincidenze lessiche e argomentative (`e ad

11 Tzetze asserisce soltanto che Archimede « aveva passato i settantacinque » , mentre correntemente si assume che questa fosse l’et`a esatta alla sua morte. Occorre tener presente che le Chiliades di Tze-

tze sono redatte in versi, il che impone dei vincoli a priori sul tipo e la forma di date « esprimibili » . Va per`o aggiunto che il « verso politico » , accentuativo, adottato da Tzetze impone vincoli di gran lunga meno stretti di una qualsiasi metro quantitativo antico.

12 Il peso della nave `e spropositato ma le carrucole sono soltanto tre, indicazioni tra loro ovvia- mente incompatibili. Tzetze si permette finezze variazionali tipiche del compilatore estroso di cen-

toni: la sua precisazione sulla mano

« sinistra » riprende a livello fonetico l’avverbio « tranquillamente » con cui Plutarco qualifica il moto della nave varata da Archimede.

I geometri greci e gli specchi ustori

esempio identica la descrizione dello specchio piano esagonale congiun- to con specchi pi`u piccoli tramite «lamine e certe cerniere»). 13 Seguono

l’episodio della leva con cui sollevare il mondo (129-130), che leggia- mo gi`a in Pappo (Collectio VIII.10); due versioni discordanti su come Siracusa venne presa (131-134), una attribuita a Diodoro Siculo e l’altra

a Cassio Dione; e infine la narrazione della morte di Archimede (135- 148) nella stessa versione che leggiamo in Livio. Tzetze ci rivela poi (149-156) le sue fonti: Cassio Dione e Diodoro Siculo, naturalmente, ma anche i «molti che con loro hanno menzionato Archimede: Antemio in primo luogo, lo scrittore di cose sorprendenti, Erone e Filone, Pappo e ogni scrittore di cose meccaniche, nei quali abbiamo letto delle accensio- ni catottriche e di ogni altra sapienza tra quelle pi`u meccaniche [. . . ]». Il fatto, dunque, che Tzetze menzioni Diodoro Siculo e Cassio Dione non dimostra che le notizie sugli exploits archimedei vengano in toto da questi autori, ma autorizza soltanto ad assumerli come fonte dei due re- soconti contrastanti sulla maniera in cui Siracusa fu presa. Al contrario, i riferimenti agli autori «tecnici», in particolare quello ai Meccanismi sor- prendenti di Antemio di Tralle (unica opera di cui `e fornito il titolo tra- mite la figura retorica dell’antonomasia), e le coincidenze linguistiche e di contenuto col resoconto di quest’ultimo autore, autorizzano una sola conclusione: Tzetze pesca da Antemio le sue notizie su Archimede e gli specchi ustori. Gli altri due autori tardo-bizantini sono meno interessan- ti. Dopo aver narrato degli ordigni difensivi archimedei in una maniera che chiaramente rimonta, per via di innumerevoli compendi, al resocon- to di Polibio, Zonara offre in Epitome historiarum IX.4 una versione in cui sembra mettere insieme la notizia sull’accensione tramite specchi con quella sui proietti incendiari:

E infine mand`o a fuoco tutta quanta la flotta dei Romani in maniera sorprendente [parad´ oxwV]. Disponendo infatti uno particolare spec- chio in faccia al sole convogli`o il suo raggio nello stesso <luogo>

e, infuocando l’aria a partire da questo grazie allo spessore e alla levigatezza dello specchio, accese una fiamma enorme e la scagli`o tutta verso le navi che venivano all’assalto lungo il percorso del fuoco e le arse tutte [4, vol. II, p. 263.2-8].

Non sfuggir`a al lettore che la parola con cui Zonara qualifica il proprio breve racconto `e contenuta nel titolo del trattato di Antemio. Veniamo

13 Tzetze pesca dalla prima parte dello scritto di Antemio l’inutile precisazione che Archimede concentr`o i raggi del « sole meridiano, sia estivo che invernale » (123-124).

200 Fabio Acerbi

infine ad Eustazio di Tessalonica, autore tra l’altro di un commentario all’Iliade. Archimede viene menzionato tre volte; le prime due ci interes- sano da vicino. La prima prende occasione nel titano centimani Briareo. Eustazio evidentemente si ricorda del breve discorso che Plutarco (xvii.2) mette in bocca a Marcello ed in cui Archimede `e definito «Briareo geo- metrico», e ne ripete pi`u o meno esattamente l’ultima frase per giustifi- care l’epiteto «centimani» applicato ad Archimede stesso [52, vol. I, p. 191.6-8]. In s´eguito `e questione del passo omerico sull’elmo abbagliante di Diomede, che viene spiegato cos`ı:

Pare a qualcuno che sia stato congegnato un qualche ritrovato ca- tottrico anche per Diomede, sia nel suo elmo che nello scudo, com’`e probabile, cos`ı che si oscuri completamente la vista di colo- ro che guardano verso di lui, quando balenava di fronte al sole sfa- villante – e con questo metodo il sapientissimo Archimede mand`o

a fuoco le navi nemiche come se fosse un lanciatore di fulmini;

e un certo Antemio, dopo, accec`o un vicino fastidioso e cos`ı, im- paurendolo, lo indusse a trasferirsi lontano da s´e [52, vol. II, p. 5.1-7].

Troviamo ancora congiunti Archimede ed Antemio, ma certo Eustazio non fa una gran figura. La conclusione naturale di questa discussione `e che i tre autori tardo-bizantini non possono essere considerati testimoni indipendenti da Antemio, cui risale quindi tutta la tradizione posteriore. Egli offre in definitiva l’unica menzione antica – di seconda mano e aperta

a dubbi – dell’impegno di Archimede nella costruzione di specchi ustori.

3 Le opere pervenute

Dei trattati (o frammenti di opere) che si occupano di specchi ustori e che sono attribuibili a matematici greci, solo due sono giunti in greco: il cosiddetto frammento matematico Bobiense e i Meccanismi sorprendenti di Antemio di Tralle.

Il primo consiste semplicemente in una delle tre proposizioni che com- pongono un lacerto di testo contenuto in un palinsesto un tempo conser- vato nel monastero di San Colombano a Bobbio, ora in provincia di Pia- cenza. Il codice riscritto, risalente all’ottavo secolo e contenente i primi dieci libri delle Etimologie di Isidoro di Siviglia, fu donato nel 1606 a Fe-

derico Borromeo, fondatore della Biblioteca Ambrosiana, 14 dove tuttora

14 Il fatto risulta dal foglio di risguardo aggiunto all’inizio del manoscritto: « Codex hic longobardis

I geometri greci e gli specchi ustori

si trova con segnatura S.P. II 65 (olim L 99 sup.). 15 Otto bifogli recano come testo inferiore una miscellanea matematica scritta in una maiuscola greca databile al VII o pi`u probabilmente al VI secolo. La parte in pa-

linsesto contiene qualche frammento dell’Analemma di Tolomeo, 16 altro materiale analemmatico, alcune proposizioni di teoria degli specchi usto- ri e un brandello finale che sembra riferirsi alla determinazione del centro di gravit`a di certi solidi. Due dei fogli furono cancellati ma non riscritti,

e tre di queste quattro pagine recano appunto quello che viene chiamato per metonimia frammento matematico Bobiense. 17 Il palinsesto `e attual- mente in condizioni deplorevoli, dopo i trattamenti con reagenti nella prima met`a del XIX secolo; 18 una rilettura recentissima con tecnologie digitali non ha ancora dato luogo a pubblicazioni rilevanti. 19 L’autore del frammento di Bobbio `e sconosciuto, anche se sono stati proposti argo- menti consistenti per identificarlo con Antemio di Tralle stesso. 20 Che anche il frammento Bobiense sia una compilazione di epoca tarda `e reso chiaro gi`a dalla presenza di materiale del tutto eterogeneo: 21 considera-

characteribus minusculis conscriptus, ex bibliotheca Bobii a S. Columbano instituta prodiit, fuitque illustrissimo et reverendissimo Card. Frederico Borrhomeo B. Caroli patruchi, dum Ambros. bi- bliothecam instruerat et manuscriptos codices undique conquireret, a religiosissimis patrib. ord. S. Benedecti vicissim munere donatis humanissime oblatus. Anno 1606 » .

15 Per ulteriori informazioni sul manoscritto si veda [15]. 16 Testo greco edito da J.L. Heiberg, a fronte della corrispondente traduzione di Guglielmo di Moer-

beke, in [17, pp. 194-216]. Nell’ordine sono le pp. 119-120, 139-140, 157-158, 143-144, 129-130 e 117-118 del codice ambrosiano. Guglielmo tradusse tutta l’opera.

17 Precisamente pp. 113-114 e 123-124. Per riproduzioni conformi (fatte cio`e a mano) delle pp. 113-114 si veda [2], che costituisce la prima edizione; la p. 124 `e riprodotta in [54, tavola 8]. Nello

stesso numero di Hermes contenente [2] si trovano, sotto il titolo « Ueber das neue Fragmentum mathematicum Bobiense » , note critiche di C. Wachsmuth (pp. 637-640) e di M. Cantor (pp. 640- 642).

18 Probabilmente ad opera di Angelo Mai. Sulla sua figura ed attivit`a si veda [46], la cui appendice

A tratta di « scoperte e pubblicazioni di palinsesti prima del Mai » . 19 L’edizione di riferimento resta [21, pp. 87-90]. Si veda, preliminarmente, [7, pp. 43-44].

20 In realt`a sarebbero dello stesso autore solo le due compilazioni: le fonti originali sono quasi sicuramente pi`u antiche. Pro identificazione: [12, pp. 127-129] e [28, pp. 63-70]. Contra: [10, pp.

200-203], [48, pp. 18-21] (che propone per il frammento un Bizantino anonimo). L’analisi in [28] `e sicuramente la pi`u ampia, ma la questione resta sospesa; la brevit`a dei trattati in oggetto rende

vane considerazioni di carattere linguistico o statistico. Si noti per`o che nel frammento Bobiense [21, p. 88.4] si usa sia la denominazione « sezione di cono rettangolo » per la parabola sia il termine « parabola » [21, p. 87.16] – quest’ultimo a dire il vero in un contesto un po’ dubbio –; inoltre « diametro » compare al posto di « asse » [21, p. 87.17].

21 Nel frammento di Bobbio [21, p. 88.5.12] troviamo, per la parola chiave « specchio ustorio » , la forma tarda

invece di , con il dittongo semplificato in accordo con la pronuncia corrente a partire dalla tarda antichit`a. Questa caratteristica lo accomuna sia ad Eutocio, In De sphaera et cylindro [19, vol. III, pp. 66.8, 130.23, 160.3.4] che ad Antemio, Sui meccanismi

202 Fabio Acerbi

zioni preliminari allo studio dei centri di gravit`a in certi solidi geometrici seguono le proposizioni riguardanti le propriet`a focali della parabola e della sfera.

Il testimone greco di gran lunga pi`u antico dei Meccanismi sorpren- denti di Antemio di Tralle sono i primi due fogli del Vaticanus graecus 218. Il manoscritto, della prima met`a X secolo, 22 `e il solo testimone in- dipendente della Collectio di Pappo [51]; la mano del trattato di Antemio coincide con una delle due della Collectio. 23 L’edizione di riferimento dei Meccanismi sorprendenti si trova in [21, pp. 78-87]. 24 Una nuova collazione dei primi due fogli del Vat. gr. 218 `e stata effettuata da M. Rashed; la sua edizione, che migliora in alcuni punti quella di Heiberg, si trova in [38, pp. 349-359].

Gli altri due contributi sono noti solo in traduzione araba. 25 Il primo `e costituito da due proposizioni del trattato Sugli specchi ustori di Diocle. 26 L’opera come ci `e pervenuta `e di contenuto eterogeneo 27 ed `e sicuramente

sorprendenti [21, pp. 81.22.24, 82.3.5, 83.8, 84.19, 85.5.9.11.19]. 22 La mano che ha scritto la maggior parte del Vat. gr. 218 `e molto simile a quella del notario Baanes, uno dei copisti di Areta. A Baanes `e attribuito in particolare un manoscritto datato esplicitamente

913-914 [8, p. 143 nota 43].

23 N. Wilson ha fatto osservare che probabilmente la mano del palinsesto di Archimede `e la stessa dei Meccanismi sorprendenti [56, p. 139 e addendum a p. 278]. La posizione attuale di Wilson `e

I have now consulted a photograph afresh. My considered view is that the scribe is very close to the scribe of the Archimedes, especially in the use of abbreviations, but I no longer think he was the same person; I would prefer to say that he appears to be contemporary and quite likely a member of the same scriptorium (assuming that they were not private individuals working freelance, which cannot be excluded) » (comunicazione personale).

pi`u sfumata: «

24 Heiberg si limita a fornire una trascrizione accurata del Vat. gr. 218; una classificazione completa dei manoscritti dei Meccanismi sorprendenti non esiste ancora. C’`e per`o un’ampia sovrapposizione

con quelli recanti la Collectio di Pappo, per cui si veda l’articolo di Treweek appena citato.

25 Jones [27] riferisce del contenuto di una revisione araba di un’opera attribuita ad Antemio (?) intitolata Sugli specchi ustori e altri specchi e contenuta nel manoscritto Istanbul Laleli 2759/1. Il

breve trattato non `e stato mai edito.

26 La data di Diocle va fissata verso la seconda met`a del III secolo a.C.; si vedano le informazioni fornite in [48, pp. 1-2]. Buona parte del resto del trattato ci `e giunto anche in greco: Eutocio

riporta le prop. 7-8 e le 11-16, anche se in versioni considerevolmente riviste, nel suo commento al De sphaera et cylindro di Archimede [19, vol. III, pp. 160-174 e 66-70 rispettivamente]. Per un’analisi si veda [31, pp. 81-87]. La prop. 10 presenta affinit`a solo superficiali con la dimostrazione alternativa che segue quella di Menecmo nella rassegna di Eutocio [19, vol. III, pp. 82-84].

27 Le proposizioni 1, 4 e 5 si occupano di specchi sferici parabolici, la 2 e 3 di specchi sferici concavi; la 6 dimostra in modo involuto e quasi sicuramente fallace lo stesso che Euclide, Ottica 4,

le 7 e 8 danno la dimostrazione di un risultato menzionato da Archimede, la 9 `e un lemma elementare senza ulteriore utilizzo nel trattato; la 10 risolve il problema della duplicazione del cubo per mezzo dell’intersezione di due parabole; quelle da 11 a 16 risolvono il problema correlato del reperimento di due medie proporzionali tra segmenti dati per mezzo di una curva speciale, appunto la cosiddetta cissoide di Diocle. Le prop. 6 e 9 sono fortemente sospettate di essere interpolazioni tarde.

I geometri greci e gli specchi ustori

il risultato di una compilazione tarda. 28 Se proprio vogliamo cercare un denominatore comune ai risultati raccolti, lo scopo sembra essere quello di dare una soluzione a questioni lasciate aperte nella tradizione archi-

medea: 29 la costruzione di specchi ustori; la risoluzione di un particolare problema in De sphaera et cylindro II.4; il metodo per reperire due medie proporzionali tra segmenti dati, 30 quest’ultimo necessario per completare la sintesi in De sphaera et cylindro II.1. Sugli specchi ustori `e preceduta

da una lettera prefatoria che si riferisce solo alla prima parte del tratta- to, quella appunto che d`a il titolo; questo fatto corrobora la tesi che gli originali dioclei si trovassero in lavori distinti.

Il secondo contributo si trova in un’opera sugli specchi ustori attribuita

a un certo Dtr¯ums. Su questo nome, probabilmente la corruzione di un nome greco, si possono fare solo congetture. 31 La prima parte dell’o- pera presenta risultati tratti dalle Coniche di Apollonio (e corrispondenti rispettivamente alle prop. 1, 3, 4, 6, 11, 20, 33, 35 del primo libro di que- sto trattato). Un redattore anonimo li ha sostituiti ai primi due libri del trattato originale, che contenevano a quanto pare un’esposizione analoga. Seguono sei proposizioni; le prime quattro riguardano specchi paraboli-

ci, 32 le ultime due specchi sferici. Autori arabi si sono occupati di specchi ustori sferici, ma non `e il caso di discuterne qui. 33

28 La raccolta `e anteriore ad Eutocio, che la conosce in questa forma, come appare evidente dal fatto che dichiara di trarre i suoi spezzoni dioclei proprio da Sugli specchi ustori [19, vol. III, pp.

66.8, 130.23 e 160.3]. La terminologia pre-apolloniana che viene impiegata nell’opera in materia di sezioni coniche fa pensare che si tratti di una serie di estratti non sempre rielaborati. Si veda [48, pp. 1-2 e 9-17] per una discussione. Unica eccezione la proposizione 8, che costituisce un problema in questo rispetto.

29 Knorr [30, p. 233] suggerisce invece che il denominatore comune dei materiali presenti sia « their shared association with constructions employing conic sections » .

30 Si noti che nelle prop. 11-16 ricerca di due medie proporzionali e duplicazione del cubo sono affrontate separatamente. Inversamente, nella prop. 10 le due medie proporzionali sono menzionate

solo di sfuggita. 31 Si veda la discussione in [38, pp. 155-157]. In particolare, per quanto riguarda l’origine greca, gli argomenti addotti da Rashed sono: (i) il nome dell’autore, per quanto corrotto, non pu`o essere arabo;

(ii) il vocabolo « parabola » `e la traslitterazione in arabo di quello greco; molte delle costruzioni sintattiche della traduzione sono ben poco tipiche della lingua araba. Non `e molto ma l’ipotesi di un’origine araba creerebbe pi`u problemi.

32 La prima stabilisce la propriet`a focale, le altre tre forniscono un’interessante costruzione per punti della parabola.

33 Per la trattazione di ibn al-Haytham si veda [55], per quella di al-Kind¯ı si veda [37, pp. 102-110 (analisi) e 376-400 (testo)], per quella di ibn ¯Is¯a [37, pp. 650-667].

204 Fabio Acerbi

4 Lo sviluppo del dominio di ricerca

Sia Diocle che, in misura minore, l’autore del frammento di Bobbio fan- no precedere le proposizioni da considerazioni introduttive di notevole interesse. Merita analizzarle in dettaglio, in quanto permettono di de- lineare l’evoluzione storica delle ricerche sulla geometria degli specchi ustori, ponendo inoltre in giusta evidenza la messa a punto di assunzioni semplificative cruciali. Diocle inizia cos`ı:

Pitione il geometra, che `e della gente di Taso, scrisse una lettera

a Conone in cui gli chiede come trovare una superficie riflettente tale che, quando la si ponga di fronte al sole, i raggi riflessi su di essa incontrino la circonferenza di un cerchio. E quando l’astro-

nomo Ippodamo 34 venne in Arcadia e ci fu presentato, ci chiese

come trovare una superficie riflettente tale che, quando la si ponga di fronte al sole, i raggi riflessi su di essa si incontrino in un punto e causino cos`ı l’accensione. Noi desideriamo mostrare la soluzione di ci`o che `e stato richiesto da Pitione e da Ippodamo, e utilizziamo

a questo scopo i lemmi che sono stati dimostrati dai nostri prede- cessori. Uno di questi due problemi, cio`e quello che richiede la costruzione di uno specchio tale che tutti i raggi si incontrino in un solo punto, venne costruito da Dositeo [38, p. 98] = [48, p. 34].

Diocle attribuisce quindi a Dositeo la scoperta delle propriet`a focali della parabola. Un problema `e costituito dall’uso del verbo «costruire»: se, co-

me `e probabile, il verbo greco utilizzato era kataskáu´ azáin, non `e chiaro se il termine «costruzione» sia una metonimia per «dimostrazione» 35 op-

pure se si riferisca ad una risoluzione con mezzi pratici. Toomer propende per il senso materiale di «costruire», e nega che Dositeo abbia fornito una

dimostrazione geometrica oltre all’enunciato. Questa era per`o nelle corde di un contemporaneo di Archimede [48, pp. 16 e 140]: la propriet`a foca- le, come vedremo, `e conseguenza pressoch´e immediata di due propriet`a della parabola, che erano note in epoca pre-apolloniana. Inoltre, una co- struzione solo approssimata, oppure «meccanica», non avrebbe mancato di suscitare le critiche di Diocle, cosa che avviene puntualmente nel caso degli specchi sferici. D’altro canto, Apollonio non si occupa delle pro-

34 Toomer emenda e legge Zenodoro, traendone indicazioni precise sulla datazione di costui e di Diocle. Si vedano [48, pp. 2 e 139] e [49]. 35 Questo uso era normale nel caso di problemi, la cui risoluzione era identificata naturalmente con l’effettuazione della costruzione richiesta: si veda ad esempio Pappo, Collectio, III.21 – il contesto

`e quello della classificazione dei problemi geometrici secondo le tecniche impiegate per risolverli.

I geometri greci e gli specchi ustori

priet`a focali della parabola, mentre tratta quelle delle coniche centrali: 36 potremmo interpretare questa omissione come indice del fatto che il risul- tato fosse ben noto [48, p. 16]. A Diocle andrebbe quindi attribuita, oltre

ad eventuali miglioramenti nella dimostrazione di Dositeo, la costruzione per punti della parabola nelle prop. 4 e 5. Ulteriore conferma viene dal s´eguito dell’introduzione, che leggeremo tra un attimo. Le rivendicazioni autoriali sono l`ı in effetti ben precise, sia per quanto riguarda la trattazio- ne degli specchi sferici (in particolare l’invenzione della meridiana senza gnomone), sia per una delle costruzioni di specchi che ardono lungo un

arco di circonferenza. 37 La necessit`a di separare il contributo di Dosi- teo, per quanto rielaborato, dal proprio potrebbe anche spiegare in parte la singolare struttura del trattato di Diocle, in cui alle proposizioni su- gli specchi parabolici sono inframezzate quelle sugli specchi sferici; non si vede perch´e il compilatore avrebbe dovuto sostituire quest’ordine ap- parentemente bizzarro ad uno differente. Una ricostruzione ragionevole vede quindi Pitione che fa pervenire a Conone il problema menzionato

da Diocle di accensione lungo una circonferenza. La riduzione alla de- terminazione di uno specchio che concentra i raggi in un solo punto, 38 e la risoluzione di questo problema, `e dovuta a Dositeo, «amico di Conone

e versato in geometria», secondo quanto afferma Archimede nell’inviare al primo la Quadratura parabolae dopo la morte del secondo.

Dopo una descrizione dello specchio parabolico, Diocle passa dunque