13.2 Sisa Tabet Lopez TRENTA LIRE PER UN
TRENTA LIRE PER UN FATTORI
1
Queste pagine livornesi, che risalgono con la memoria
agli ultimi due decenni dell'altro secolo, sono una
testimonianza di prima mano: chi le ha scritte si avvia
a compiere, nel prossimo ottobre, il suo novantesimo
anno di età. Con mente lucida, e con penna non tanto
discorde da quella del suo non meno livornesissimo
marito, il commediografo Sabatino, ecco la signora
Sisa rievocare fatti e fatterelli relativi ai bagni di
Pancaldi e alla retata dei grandi pittori maremmani e
toscani di quegli anni.
M
i dicono che il quadro più importante di Niccolò Cannicci — a sua volta tra i pittori oggi piu
quotati del secondo Ottocento italiano — sia rinchiuso in una cassaforte in Svizzera, e che il
suo attuale proprietario — un industriale del Varesotto — per ottanta milioni non lo
cederebbe; neppure per cento, dicono. Però, a tenerlo in vista non si fida (troppo alto il rischio
del furto, e quindi il prezzo di una polizza): né a casa propria, né in prestito per mostre
pubbliche.
Capisco e non capisco. Il risultato, comunque, è che mi tocca rassegnarmi all' idea di
andarmene all' altro mondo senza più rivederlo. Mi spiace non soltanto perche è un bel
quadro — lo pubblicò per primo Ugo Ojetti, includendolo nei duecentotrenta capolavori
dell' Ottocento italiano esposti alla Biennale veneziana del 1928, — ma anche, e soprattutto,
perché di quelle tre sorelle sedute alla di Pancaldi — in abito di città,
naturalmente, nell' attesa di uno spogliatoio libero per fare il bagno — quella col giacchino a
righe che lavora ad ago è mia Madre; quella dal vestito bianco è mia zia Sisa Carmi; quella in
nero col ventaglio sul grembo è la zia Marietta Mieli. La Sisa si ripara dal sole con
l' ombrellino aperto, un altro ombrello posato sulla sedia; su tutte e tre piove una luce afosa di
pieno luglio. La data: 1880.
1Sisa Lopez Tabet, da: La Martinella di Milano, maggiogiugno 1975, pag. 183190
Ai bagni di Pancaldi, ombrellini e ventagli
Il nome di Pancaldi, specie per i forestieri, che a quei tempi accorrevano a Livorno per
l' estate, era un nome fascinoso, e inscindibile dalla città. Sotto la fitta tenda della sua
, che provvidenzialmente impediva ai raggi cocenti del sole di abbronzare il
candore perlaceo delle braccia e delle spalle, si potevano ammirare le più eleganti, ricche,
avvenenti dame della città, che facevano mostra dei loro abiti nuovi comprati a Firenze o a
Torino, da Ventura o dall' Aloisi, la celebre carissima sarta livornese; e anche quelle di
fuorivia, di Parigi, di Vienna, e le artiste che mandavano in visibilio le platee. Era tutto un
guardarsi e un farsi vedere. Quelle che si frequentavano per parentela o per stretta amicizia,
formavano dei crocchi e, per meglio sentirsi, accostavano le sedie. Probabilmente, quando
una di loro si faceva ancora più vicina, coprendosi la bocca con l' ampio ventaglio — a
evitare che orecchie indiscrete udissero ciò che veniva confidato — si trattava di svelare e
commentare qualche piccante notizia, e il racconto era punteggiato da risatine sommesse, da
esclamazioni scandalizzate. Poi, un solo sapiente colpo del ventaglio sul petto, che il busto
troppo stretto all vita faceva traboccare verso la scollatura, era sufficiente per richiuderlo; un
attimo più tardi, il ventaglio riaperto tornava al suo ufficio di porgere un po' di sollievo al
grande caldo. E' andata perduta, oggi, la mimica dei ventagli; una mimica scandita dal ritmo
del polso, dal contrappunto delle occhiate, languide, fulminee, aggrondate, ambigue,
svenevoli, fra il su e il giù delle grandi ruote multicolori: , ,
, .
Non proprio tutte le signore e signorine che frequentavano i bagni del sor
Pancaldi — o quelli, attigui, del sor Palmieri, più appartati e tranquilli, e che proprio per
questo erano prediletti dal Carducci (altri stabilimenti avevano nomi come questi: Scoglio
della Regina, Trotta, Sgarallino) — scendevano al mare per esercitarsi nella mimica del
ventaglio. Quelle che avevano i figli giovinetti, presto abbandonavano la compagnia delle
amiche e i discorsi di gruppo, per sorvegliare i figli nei loro giuochi. I maschietti, fra le
braccia di Tenebrone, il marinaio che insegnò il nuoto a metà dei bambini che frequentavano
Pancaldi, per lo più guazzavano nel mare o schettinavano sui pattini a rotelle nell' ampio
spiazzo apposito della ; le ragazze passeggiavano su e giù, riunite a gruppi di
amiche, sbocconcellando magari un pasticcino da cinque centesimi, appena acquistato in
Stabilimento.
A volte si intrufolava un qualche suonatore di mandolino o di chitarra — napoletano,
naturalmente — e raccoglieva soldini con i motivi alla moda, sino a che Egisto, il
sorvegliante, non lo faceva allontanare, brusco. Egisto regolava l' accesso alle cabine e agli
annessi spogliatoi: di tanto in tanto sollevava il lembo della tela e, con un' occhiata al porta
abiti, giudicava a che punto fosse l' operazione del rivestirsi: , diceva alle signore in attesa sulla terrazza.
Occorre dire che gli spogliatoi erano fatti a forma di piccoli padiglioni di tela bianca e
sistemati su una palafitta: le signore vi entravano con l' ombrellino, il cappellino, il ventaglio
e tutto il resto si slacciavano e toglievano il busto, sostituivano il vestito col vestito , quindi si lasciavano scendere per una scala al
rettangolino di mare sottostante la cabina, e da quel quadratino — a meno che non sapessero
nuotare verso il largo — non si muovevano per niente, sempre lì, a mollo.
A sua volta, il costume non era affatto concepito per sposarsi con
l' acqua, né per esporre la pelle al sole (soltanto i facchini del porto si lasciavano abbronzare
viso e braccia) né tanto meno — Dio ne liberi — per sottolineare le fattezze delle bagnanti. Il
costume da bagno . La descrizione, dovuta alla penna più
nostalgica che ironizzante di Marino Moretti, rievoca il costume da bagno portato da sua
madre sulla spiaggia di Cesenatico; ma si attaglia anche ai costumi di Pancaldi, metà e fine
secolo, confezionati in una speciale stoffa nera o di un blu scurissimo, che, per la sua rigida
natura, anche bagnata non aderiva al corpo. Aggiungete al tutto le calze, 1' ampio cappello e
la cuffietta, ed eccovi l' imbacuccata ondina livornese del Granducato di Toscana e della
Nuova Italia. E se a Livorno vigeva la promiscuità dei sessi, gli stabilimenti balneari di
Marina di Pisa e dell' Adriatico tenevano ben distinte le fila di cabine per gli uomini da quelle
per le donne; e anche il mare antistante era accuratamente suddiviso fra i due sessi. Luogo
d' incontro promiscuo restava, per lo più, un gran salone centrale, dove ci si fermava a fare
quattro chiacchiere, prima e dopo il bagno, mangiare un bombolone, ordinare una bibita, un
sorbetto; purché, si intende, uomini e donne si fossero accuratamente vestiti o rivestiti da
città. Proprio, insomma, come mia madre e le sue sorelle nel quadro del Cannicci.
Lo zio che posò per Ximènes
Io, in quell'estate del 1880, ero ancora da nascere; ma le tre sorelle erano già sposate e con
figli. Una aveva detto a sedici anni, l' altra a diciassette, mia madre a diciotto, ed era
l' anno della presa di Roma. A Livorno, e non solo a Livorno, la zia Marietta aveva fama
d' essere fra 1e più belle dame di Pancaldi; durante una festa a Palazzo Pitti, quando Firenze
era la capitale, la Regina Margherita ebbe a mandare un gentiluomo di Camera per farsi
presentare . Ma anche le altre due sorelle, e
specialmente Sisa — che veramente si chiamava Ester, ma ebbe soprannome Sisa, , in Egitto — non erano da disprezzare. E piaceva alle donne il loro fratello
maggiore, lo zio Adolfo Belimbau che, dopo aver lavorato per molti anni accanto a suo padre,
commerciante, e averne continuato gli affari come unico erede maschio, si trovò imbrigliato
nel clamoroso fallimento della Banca Corradini, che seminò disastri per tutta Livorno.
Nessuna corresponsabilità, ma un patrimonio distrutto. Fu salva la dote della moglie; e lui,
che sin da giovane, frequentando come frequentava gli ambienti artistici e in particolare la
famiglia dei pittori toscani, si dilettava a usare i pennelli, pensò di passare al professionismo,
e con notevole successo. Africa e vicino Oriente gli erano familiari per i traffici del
commercio; e ne riportò anche in séguito impressioni e bozzetti. Ben oltre gli
ottant' anni — se non sbaglio, ai novanta — si imbarcò ancora una volta per un periplo del
Continente Nero, e qui lo incontrò Arnaldo Fraccaroli, e ne fece un gustoso ritratto nelle sue
corrispondenze per il : agile sulle passerelle con la cassetta dei
colori in mano, bianchi i capelli e la riccia barba, si era slogato il polso per uno scivolone, ma
continuava tuttavia imperterrito la crociera. Smise di navigare non tanto per stanchezza,
quanto perché — diceva — all' idea di finire sottoterra preferiva quella di una
in oceano, ma una nuova legge imponeva, invece, di conservare il defunto
per le consuete cerimonie di terraferma. Negli ultimi anni, del resto, si era fatto malinconico:
tutti i suoi coetanei erano scomparsi, si sentiva letteralmente un superstite.
1
Queste pagine livornesi, che risalgono con la memoria
agli ultimi due decenni dell'altro secolo, sono una
testimonianza di prima mano: chi le ha scritte si avvia
a compiere, nel prossimo ottobre, il suo novantesimo
anno di età. Con mente lucida, e con penna non tanto
discorde da quella del suo non meno livornesissimo
marito, il commediografo Sabatino, ecco la signora
Sisa rievocare fatti e fatterelli relativi ai bagni di
Pancaldi e alla retata dei grandi pittori maremmani e
toscani di quegli anni.
M
i dicono che il quadro più importante di Niccolò Cannicci — a sua volta tra i pittori oggi piu
quotati del secondo Ottocento italiano — sia rinchiuso in una cassaforte in Svizzera, e che il
suo attuale proprietario — un industriale del Varesotto — per ottanta milioni non lo
cederebbe; neppure per cento, dicono. Però, a tenerlo in vista non si fida (troppo alto il rischio
del furto, e quindi il prezzo di una polizza): né a casa propria, né in prestito per mostre
pubbliche.
Capisco e non capisco. Il risultato, comunque, è che mi tocca rassegnarmi all' idea di
andarmene all' altro mondo senza più rivederlo. Mi spiace non soltanto perche è un bel
quadro — lo pubblicò per primo Ugo Ojetti, includendolo nei duecentotrenta capolavori
dell' Ottocento italiano esposti alla Biennale veneziana del 1928, — ma anche, e soprattutto,
perché di quelle tre sorelle sedute alla di Pancaldi — in abito di città,
naturalmente, nell' attesa di uno spogliatoio libero per fare il bagno — quella col giacchino a
righe che lavora ad ago è mia Madre; quella dal vestito bianco è mia zia Sisa Carmi; quella in
nero col ventaglio sul grembo è la zia Marietta Mieli. La Sisa si ripara dal sole con
l' ombrellino aperto, un altro ombrello posato sulla sedia; su tutte e tre piove una luce afosa di
pieno luglio. La data: 1880.
1Sisa Lopez Tabet, da: La Martinella di Milano, maggiogiugno 1975, pag. 183190
Ai bagni di Pancaldi, ombrellini e ventagli
Il nome di Pancaldi, specie per i forestieri, che a quei tempi accorrevano a Livorno per
l' estate, era un nome fascinoso, e inscindibile dalla città. Sotto la fitta tenda della sua
, che provvidenzialmente impediva ai raggi cocenti del sole di abbronzare il
candore perlaceo delle braccia e delle spalle, si potevano ammirare le più eleganti, ricche,
avvenenti dame della città, che facevano mostra dei loro abiti nuovi comprati a Firenze o a
Torino, da Ventura o dall' Aloisi, la celebre carissima sarta livornese; e anche quelle di
fuorivia, di Parigi, di Vienna, e le artiste che mandavano in visibilio le platee. Era tutto un
guardarsi e un farsi vedere. Quelle che si frequentavano per parentela o per stretta amicizia,
formavano dei crocchi e, per meglio sentirsi, accostavano le sedie. Probabilmente, quando
una di loro si faceva ancora più vicina, coprendosi la bocca con l' ampio ventaglio — a
evitare che orecchie indiscrete udissero ciò che veniva confidato — si trattava di svelare e
commentare qualche piccante notizia, e il racconto era punteggiato da risatine sommesse, da
esclamazioni scandalizzate. Poi, un solo sapiente colpo del ventaglio sul petto, che il busto
troppo stretto all vita faceva traboccare verso la scollatura, era sufficiente per richiuderlo; un
attimo più tardi, il ventaglio riaperto tornava al suo ufficio di porgere un po' di sollievo al
grande caldo. E' andata perduta, oggi, la mimica dei ventagli; una mimica scandita dal ritmo
del polso, dal contrappunto delle occhiate, languide, fulminee, aggrondate, ambigue,
svenevoli, fra il su e il giù delle grandi ruote multicolori: , ,
, .
Non proprio tutte le signore e signorine che frequentavano i bagni del sor
Pancaldi — o quelli, attigui, del sor Palmieri, più appartati e tranquilli, e che proprio per
questo erano prediletti dal Carducci (altri stabilimenti avevano nomi come questi: Scoglio
della Regina, Trotta, Sgarallino) — scendevano al mare per esercitarsi nella mimica del
ventaglio. Quelle che avevano i figli giovinetti, presto abbandonavano la compagnia delle
amiche e i discorsi di gruppo, per sorvegliare i figli nei loro giuochi. I maschietti, fra le
braccia di Tenebrone, il marinaio che insegnò il nuoto a metà dei bambini che frequentavano
Pancaldi, per lo più guazzavano nel mare o schettinavano sui pattini a rotelle nell' ampio
spiazzo apposito della ; le ragazze passeggiavano su e giù, riunite a gruppi di
amiche, sbocconcellando magari un pasticcino da cinque centesimi, appena acquistato in
Stabilimento.
A volte si intrufolava un qualche suonatore di mandolino o di chitarra — napoletano,
naturalmente — e raccoglieva soldini con i motivi alla moda, sino a che Egisto, il
sorvegliante, non lo faceva allontanare, brusco. Egisto regolava l' accesso alle cabine e agli
annessi spogliatoi: di tanto in tanto sollevava il lembo della tela e, con un' occhiata al porta
abiti, giudicava a che punto fosse l' operazione del rivestirsi: , diceva alle signore in attesa sulla terrazza.
Occorre dire che gli spogliatoi erano fatti a forma di piccoli padiglioni di tela bianca e
sistemati su una palafitta: le signore vi entravano con l' ombrellino, il cappellino, il ventaglio
e tutto il resto si slacciavano e toglievano il busto, sostituivano il vestito col vestito , quindi si lasciavano scendere per una scala al
rettangolino di mare sottostante la cabina, e da quel quadratino — a meno che non sapessero
nuotare verso il largo — non si muovevano per niente, sempre lì, a mollo.
A sua volta, il costume non era affatto concepito per sposarsi con
l' acqua, né per esporre la pelle al sole (soltanto i facchini del porto si lasciavano abbronzare
viso e braccia) né tanto meno — Dio ne liberi — per sottolineare le fattezze delle bagnanti. Il
costume da bagno . La descrizione, dovuta alla penna più
nostalgica che ironizzante di Marino Moretti, rievoca il costume da bagno portato da sua
madre sulla spiaggia di Cesenatico; ma si attaglia anche ai costumi di Pancaldi, metà e fine
secolo, confezionati in una speciale stoffa nera o di un blu scurissimo, che, per la sua rigida
natura, anche bagnata non aderiva al corpo. Aggiungete al tutto le calze, 1' ampio cappello e
la cuffietta, ed eccovi l' imbacuccata ondina livornese del Granducato di Toscana e della
Nuova Italia. E se a Livorno vigeva la promiscuità dei sessi, gli stabilimenti balneari di
Marina di Pisa e dell' Adriatico tenevano ben distinte le fila di cabine per gli uomini da quelle
per le donne; e anche il mare antistante era accuratamente suddiviso fra i due sessi. Luogo
d' incontro promiscuo restava, per lo più, un gran salone centrale, dove ci si fermava a fare
quattro chiacchiere, prima e dopo il bagno, mangiare un bombolone, ordinare una bibita, un
sorbetto; purché, si intende, uomini e donne si fossero accuratamente vestiti o rivestiti da
città. Proprio, insomma, come mia madre e le sue sorelle nel quadro del Cannicci.
Lo zio che posò per Ximènes
Io, in quell'estate del 1880, ero ancora da nascere; ma le tre sorelle erano già sposate e con
figli. Una aveva detto a sedici anni, l' altra a diciassette, mia madre a diciotto, ed era
l' anno della presa di Roma. A Livorno, e non solo a Livorno, la zia Marietta aveva fama
d' essere fra 1e più belle dame di Pancaldi; durante una festa a Palazzo Pitti, quando Firenze
era la capitale, la Regina Margherita ebbe a mandare un gentiluomo di Camera per farsi
presentare . Ma anche le altre due sorelle, e
specialmente Sisa — che veramente si chiamava Ester, ma ebbe soprannome Sisa, , in Egitto — non erano da disprezzare. E piaceva alle donne il loro fratello
maggiore, lo zio Adolfo Belimbau che, dopo aver lavorato per molti anni accanto a suo padre,
commerciante, e averne continuato gli affari come unico erede maschio, si trovò imbrigliato
nel clamoroso fallimento della Banca Corradini, che seminò disastri per tutta Livorno.
Nessuna corresponsabilità, ma un patrimonio distrutto. Fu salva la dote della moglie; e lui,
che sin da giovane, frequentando come frequentava gli ambienti artistici e in particolare la
famiglia dei pittori toscani, si dilettava a usare i pennelli, pensò di passare al professionismo,
e con notevole successo. Africa e vicino Oriente gli erano familiari per i traffici del
commercio; e ne riportò anche in séguito impressioni e bozzetti. Ben oltre gli
ottant' anni — se non sbaglio, ai novanta — si imbarcò ancora una volta per un periplo del
Continente Nero, e qui lo incontrò Arnaldo Fraccaroli, e ne fece un gustoso ritratto nelle sue
corrispondenze per il : agile sulle passerelle con la cassetta dei
colori in mano, bianchi i capelli e la riccia barba, si era slogato il polso per uno scivolone, ma
continuava tuttavia imperterrito la crociera. Smise di navigare non tanto per stanchezza,
quanto perché — diceva — all' idea di finire sottoterra preferiva quella di una
in oceano, ma una nuova legge imponeva, invece, di conservare il defunto
per le consuete cerimonie di terraferma. Negli ultimi anni, del resto, si era fatto malinconico:
tutti i suoi coetanei erano scomparsi, si sentiva letteralmente un superstite.