M. Bedello Tata Piccola coroplastica e l

LE SEMBIANZE
DEGLI DEI
E IL LINGUAGGIO
DEGLI UOMINI
Studi di lessico
e forma degli artigiani capuani
A cura di
Maria Bonghi Jovino - Federica Chiesa

MIMESIS

INDICE

A GUISA DI PRELUDIO: LINGUAGGIO E FORMA PER UN APPROCCIO
AL COMPORTAMENTO E ALL’IMMAGINARIO CREATIVO DEI COROPLASTI

xx

Maria Bonghi Jovino
LE SEMBIANZE DI MENERVA-ATHENA DAI MODELLI PRIMARI ASTRATTI
AGLI EX-VOTO MATERICI

Maria Bonghi Jovino

xx

IL CANTO DELLA NATURA: LA SIGNORA DEGLI ANIMALI
Federica Chiesa

xx

LA DONNA, IL PARTO, LA DEA
Mariarosaria Borriello

xx

ERCOLE IN DIMENSIONE EROICA E AGRESTE
Alessandra Gobbi

xx

LE IÚVILA: SPAZI DEDICATI? L’ARTIGIANO’ AL SERVIZIO DELLA COMUNITÀ

Valeria Sampaolo

xx

LA CETRA DI APOLLO
Cristina Ridi

xx

ECHI DI ANTICHI CULTI. ANIMALI VOTIVI E PERCEZIONE AMBIENTALE
Rossella Patricia Migliore

xx

PICCOLA COROPLASTICA E L’ESPERIENZA DELLA GRECITÀ
Margherita Bedello Tata

xx

TIFATA, REGIO DIANAE SACRATA: APPUNTI SULL’ORIGINE E L’ESTENSIONE

DELLO SPAZIO SACRO

Stefania Quilici Gigli

xx

UN BREVE RESOCONTO DELLA STORIA DEGLI STUDI SULL’ANTICA CAPUA.
DALL’IPERCRITICISMO RADICALE DEL BELOCH ALL’AUTONOMIA
INTERDISCIPLINARE E AI NUOVI ORIZZONTI PER LA RICERCA

xx

Gianluca Melandri
ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE*1

xx

TAVOLE

xx


INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI

xx

*

Le abbreviazioni delle Riviste sono quelle della Archäologische Bibliographie.
Quando non ivi comprese, le citazioni sono per esteso.

MARGHERITA BEDELLO TATA

PICCOLA COROPLASTICA E L’ESPERIENZA
DELLA GRECITÀ

Nel corso del III secolo a.C. , soprattutto a partire dagli anni centrali,
la cultura artistica e la religiosità capuana registrano un nuovo fenomeno,
all’interno del quale i due aspetti, culturale e religioso, appaiono talora
intimamente correlati e insieme veicolati sulla scia di un sempre più ampio
repertorio iconografico di matrice greca, che dispiega il suo ricco potenziale nella coroplastica devozionale.

L’ ellenismo greco, con la dovizia delle sue esperienze artistiche, influenzerà, infatti, la società di Capua, fornendo nuovi codici visivi alle esigenze
cultuali, sfruttando il linguaggio laico creato da una geniale generazione di
scultori, maestri nel dare vita ai sentimenti attraverso un gioioso repertorio
di divinità, adatte ad essere replicate nella piccola plastica1.
Si tratta di un fenomeno a tutto tondo, destinato a permeare la penisola e
l’ambito mediterraneo intero, con manifestazioni tese ad una generale uniformità, il cui riflesso nelle aree santuariali centro-italiche si esprimerà per

1

Il materiale che si presenta, in parte censito dal Patroni in un prezioso quanto
ormai introvabile catalogo (PATRONI 1897-1904), è per lo più inedito e frutto di
una lontana operazione di classificazione. Benchè l’attuale modalità di immagazzinamento nel Museo Campano non permetta un’agevole revisione dei fittili
votivi ivi conservati, si ritiene utile offrirne una panoramica, anche se incompleta,
attraverso la presentazione di alcune tipologie a suo tempo raccolte nell’ambito
del previsto programma di pubblicazione dell’intero complesso capuano. Allora
furono eseguite le fotografie che si presentano e le schede dei singoli fittili, ora
stipati in cassette di difficile consultazione. Va da sé, in questa situazione, che non
si possono controllare quei dati che ora mancano all’appello. Per fare un esempio,
per l’identificazione delle botteghe e di eventuali problemi di importazione, si dovrebbe approfondire l’esame delle argille rivederle in un confronto con quelle dei
centri vicini. Questo è al momento impossibile. Naturalmente molto ci si attende

dalla pubblicazione di altro materiale fittile inedito proveniente da scavi e saggi
eseguiti a Capua a vario titolo, spesso inseguendo lavori di pubblica utilità. Ma
questo è un altro problema.

138

Le sembianze degli dei e il linguaggio degli uomini

il tramite di una cospicua produzione di piccolo modulo, gremita da figure
femminili, infantili e giovanili dall’incerta sessualità2.
La permeabilità di Capua sarà favorita da quello che sul piano storico
sembra potersi interpretare come un momento di crisi dei suoi valori tradizionali, favorito da una più facile apertura e dinamismo dei mercati, cui
contribuì la crescente influenza di Roma, che dopo il 330 a.C. aveva esteso
il proprio dominio dall’Etruria alla Campania.
Il momento risulta, dunque, nonostante le vicende di cui la città fu alla
fine perdente protagonista, come una stagione florida che andò a beneficio
della vivacità commerciale e che ebbe una ricaduta proprio sui suoi santuari.
Soggetti e modi della produzione annoverano novità anche nell’espressione del linguaggio religioso, a segnalare un ripensamento delle immagini
tradizionali3, come dimostra la curiosità verso i culti orientali, di cui è testimone una statuetta di Bes (Tav. 33,1) che denuncia precoci contatti con
l’Egitto tolemaico, da cui il manufatto, per caratteristiche tecniche peculiari, sembra essere stato importato4. Da ricordare è anche la presenza5, di un

singolare busto di Giove Ammon (un unicum a Capua sia per fattura che
per soggetto), che conferma questi interessi, forse transitati attraverso Puteoli, porto vivace e naturale sbocco a mare del fecondo distretto campano.
La nuova, dinamica società capuana6 costituita in parte da mercanti, soldati, mercenari favorirà anche l’interesse verso altre espressioni religiose,
tra cui quelle verso il culto di Attis, attestato sia al Museo Campano (Tav.
33,2) sia al Museo Nazionale di Napoli da fittili, alcuni dei quali di provenienza tifatina, la cui presenza non sembra in contrasto con i culti che si
coagulano intorno al santuario di Diana nel II secolo a.C.7
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7

POTTIER 1890, pp. 79-114, 197-225. Sull’Ellenismo mediterraneo si veda con bibliografia The Hellenistic West 2014.
BONGHI JOVINO 1995.
TÖRÖK 1995, Pl. XVIII, 10, pp. 32-33; I Fenici 1988, p. 329. I due esemplari il
primo dall’Egitto (frammentario nella parte superiore: h. cm 10,9) e il secondo
dalla Sardegna punica (h. cm 14) hanno forti assonanze con l’esemplare capuano
(h. cm 13,7) in termini di dimensioni e caratteristiche tecniche, essendo pieni e

modellati con unico stampo anteriore. “Romano” è un più tardo Bes da Pompei:
D’AMBROSIO – BORRIELLO 1990, tav. 13, fig. 78, p. 42.
L’esemplare, proveniente da Capua, fa parte delle collezioni del Museo Archeologico Nazionale di Napoli: DELLA TORRE – CIAGHI 1980, tav. I, 2; BEDELLO TATA
1987, p. 94.
JOHANNOWSKY 1976.
Il PATRONI 1897-1904, ai nn. 4760- 4763 ricorda almeno quattro statuette raffiguranti Attis, al Museo Campano. Quella qui presentata, frutto di un primo screening

M. Bedello Tata - Piccola coroplastica e l’esperienza della grecità

139

L’affermazione di rappresentanti di vecchie famiglie e di nuovi esponenti di origine servile nei commerci internazionali, nelle compagnie
mercantili e nelle società finanziarie nei centri egei8, provoca una mobilità sociale che si riflette anche nelle più modeste manifestazioni dei
devoti.
Diventa dunque impensabile presso questa società la persistenza di alcune offerte fittili come bustini, testine, oscilla, arulae9, connesse ad una
religiosità ancora legata alla terra. L’esame delle piccole figure panneggiate, ampiamente presenti dalla fine del IV secolo a.C., ha rivelato, su questo
nuovo fronte, una intensa rete di contatti culturali con il mondo mediterraneo – Grecia, Asia Minore e Africa costiera – confermando i contatti con
l’Egitto ellenistico10.
In questo ambito non certo improntato all’originalità, ma senza dubbio
diverso, rientra con il corpus delle figurine panneggiate, di cui Capua offre

ricca documentazione11, lo stuolo di eroti (con alcune centinaia di esemplari è la categoria più rappresentata dopo le tanagrine) raffigurati in pose e
attributi diversi (isolati, su animali con Afrodite, etc.)12, che ne denunciano
di volta in volta la destinazione votiva o funeraria e le piccole dee con un
più ridotto pantheon maschile (Apollo, Attis, Ganimede, etc).
Si tratta naturalmente di un materiale seriale, spesso prodotto a lungo,
come dimostra l’usura di molti manufatti, destinato a genti dalla borsa
leggera, che genera quel vivace circuito economico, che con felice sintesi
viene definita industria del pellegrino e di cui le vicende politiche capuane,
posteriori al 211 a.C., non sembrano aver interrotto il corso.
Proprio per una più adeguata comprensione sul versante religioso e per
le ragioni che in principio abbiamo specificato, non sarà superfluo seguitare a sorvegliare in parallelo le immagini e lo stile in quanto entrambi possibile mezzo per penetrare problematiche che investono, solo in apparenza
da lontano, la fenomenologia religiosa.
Ecco quindi che le offerte in terracotta di piccolo modulo appaiono consistenti di numero e stilisticamente omogenee, dando nuova forma anche

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reca il n. inv. 4760. Due statuette dallo stesso prototipo sono al Museo Nazionale di Napoli: DELLA TORRE – CIAGHI 1980, pp. 15-16, tav. IV, 3. Recentemente
sull’argomento, con riferimento ai ritrovamenti tifatini, si veda con bibl.: QUILICI
GIGLI 2009.
COARELLI 1983, pp. 217-239.
BEDELLO TATA 1990a, pp. 3-13.
BARONI – CASOLO 1990, pp. 105-107.
BARONI – CASOLO 1990.
BONGHI JOVINO 1976; DELLA TORRE – CIAGHI 1980.

140

Le sembianze degli dei e il linguaggio degli uomini

alle offerenti e devote con infanti tra le braccia13, caratteristico tema di un
santuario matronale, che finiscono anch’esse, come per la plastica in tufo,
per aderire, non senza qualche inciampo, alle mode ellenistiche. La varietà
dei prototipi a soggetto divino e mitologico documenta l’apertura degli
artigiani verso modelli, veicolati appunto dai rapporti commerciali e di affari con i mercati d’oltremare. Tuttavia, come avviene quasi sempre anche
in altre stipi dell’Italia peninsulare, tali modelli, nelle mani di una società
comunque modesta culturalmente, tendono a perdere i tratti reciprocamente diversificanti per assumere tonalità più omogenee, con conseguente e

progressivo scarico della tensione e della qualità. Il carattere quasi industrializzato della produzione si riverbera nella quantità di oggetti prodotti
su larga scala, che appare particolarmente abbondante nelle statuette femminili panneggiate.
Purtroppo Capua, depauperata all’epoca del ritrovamento di quei formidabili strumenti di lettura derivanti da una corretta documentazione di scavo, non ha conservato il senso e le modalità del riversarsi sui suoi luoghi di
culto di questo materiale: decontestualizzato, esso resta infatti fluttuante in
una indeterminatezza che disorienta, nella perdita pressoché totale di quelle
tracce necessarie a ricostruire tempi e forme del rito preposto all’offerta. È
comunque evidente la differenza che corre tra le effigi delle offerenti, delle
madri, delle oranti di aspetto paesano (solo per citare le iconografie più
note), frutto di una religiosità popolare molto sentita sin dalla prima fase
di produzione delle botteghe e le tante divinità forgiate sul modello grecoellenistico, che si moltiplicano ora a servizio di una religiosità riferibile ad
una classe sociale pur sempre modesta, ma più evoluta. Tanto espressione
di una sensibilità più arcaica e diretta appaiono le prime, quanto più congeniali sono le seconde, a interpretare richieste più astratte rivolte a fatti più
simbolici, legati a momenti particolari dell’esistenza femminile14.
La varietà offerta dalla statuaria ellenistica e la sua capacità di comunicazione fanno il resto, fornendo i modelli. La coroplastica capuana di piccolo modulo presenta, dunque, varie effigi di divinità, da non ritenersi necessariamente legate a quella titolare, come accade anche nel mondo greco,
ove al numen tutelare di un santuario poteva essere dedicata la statua di un
altro dio e in uno stesso tempio esservi simulacri di più divinità15, con ciò
volendosi garantire protezione nei riguardi dei vari accadimenti della vita.
13
14
15

DELLA TORRE – CIAGHI 1980, esempi alle tavv. VIII, 6; X, 3.
PENSABENE – RIZZO – ROGHI – TALAMO 1980, da p. 25. Negli ultimi anni la bibliografia relativa al sacro ha avuto notevole sviluppo. Si considerino tra i tanti
LIPPOLIS 2001; PENSABENE 2005; Lo spazio del rito 2005, passim.
ALROTH 1987, pp. 9-19.

M. Bedello Tata - Piccola coroplastica e l’esperienza della grecità

141

Come avviene peraltro anche in ambiente italico ove divinità secondarie si
raccolgono intorno ad un culto principale e il votivo riflette le richieste e le
preoccupazioni più varie in materia di salute, sentimenti, fertilità in senso
lato, pericoli…16.
In analogia, il nutrito numero di tipi muliebri capuani può inserirsi
nell’ambito di quelle manifestazioni, indici di un nuovo modo di rivolgersi
alle divinità che soprassedevano ad alcuni importanti passaggi della vita,
particolarmente articolati e complessi quando si tratti della sfera muliebre,
dalla pubertà, al matrimonio, alla maternità.
Il santuario del Fondo Patturelli, da cui sembra provenire la maggior
parte del materiale fittile qui considerato, poteva aver titolo per la sua stessa collocazione liminare, ad ospitare celebrazioni che regolamentassero
l’entrata nei costumi socio religiosi della collettività, attraverso la divinità
femminile poliadica, che vi aveva sede, la cui precisa identità rimane tuttora oggetto di ricerca17. Dalle fonti e da altri contesti archeologici si ricavano indicazioni in relazione ai gesti e alle cerimonie legate sin dai tempi
più remoti ai passaggi di stato, come il deposito di materiali deperibili: la
prima barba, i vestiti dell’infanzia, i capelli, i giocattoli…18.
Un gruppo di stele funerarie attiche di IV secolo a.C.19 testimonia il gesto dell’offerta di una statuetta femminile nuda intera o parziale, (che la
si interpreti quale bambola o ex-voto è in discussione) da parte di fanciulle alle soglie della vita adulta. Parimenti le numerose statuette capuane a
soggetto divino, come quelle riferibili alla sfera afrodisia e forse anche
le c.d. tanagrine, la cui diffusione coincide con un momento di evoluzione dell’espressione religiosa e di crisi verso comportamenti rituali tradizionali20, potrebbero aver significato l’offerta nel contesto di cerimonie
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LIPPOLIS 2001; MOREL 1991, da p. 25.
Sui culti capuani, nel più vasto ambito della Campania settentrionale, sulla persistenza del sostrato culturale e religioso etrusco nonchè sull’incidenza, certo non
marginale, dell’elemento nativo, la bibliografia è ampia e destinata ad arricchirsi.
Da questo panorama quanto mai vasto e articolato si traggono contributi ricchi di
proposte e di riferimenti bibliografici, alcuni dei quali ormai storici, altri derivanti
da studi recenti: HEURGON 1942, da p. 297; la serie Capua preromana. Terrecotte
votive (a cura di M. Bonghi Jovino, 1965 ...); BIANCHI 1992; BONGHI JOVINO 1995;
COARELLI 1995; CRISTOFANI 1998; CARAFA 2008; BONGHI JOVINO 2010; CERCHIAI
2011; BONGHI JOVINO 2012. Tra gli ultimi lavori, legati alla ripresa delle ricerche
sul campo e mirati alla comprensione degli aspetti rituali suggeriti da alcune tipologie fittili: MIGLIORE 2011.
TORELLI 1976, da p. 163; TORELLI 1984, passim; HERSCH 2010, da p. 65.
REILLY 1997, fig. 32, p. 155.
LIPPOLIS 2003.

142

Le sembianze degli dei e il linguaggio degli uomini

legate al passaggio nell’età adulta. Certo è che dalla metà del III secolo
a.C., fino agli albori del II secolo a. C., la produzione fittile capuana si
veste a suo modo di forme greche, quasi un contraltare femminile alla
diffusione dello strigile, come ufficiale adesione dei giovani uomini agli
ideali della paideia.
Accade comunque che i modelli non vengano sempre accolti in modo
filologico dalle botteghe capuane, per il riaffiorare di quella variabile popolare, che vira verso una versione caricaturale. Ne è testimonianza la popolare coppia con Afrodite/Venere e Pan (Tav. 33,3), replicata in numerosi
esemplari, che riecheggia in forme scollacciate la scultura delia21 o il piccolo nudo asessuato22 (Tav. 34,1-2) in atteggiamento epifanico, che l’evanescenza del calco impedisce di riferire ad un personaggio femminile23,
ovvero a una figura giovanile. O ancora la Venere accucciata su bacile,
presente con numerose repliche esaminata in altra parte del volume24 (Tav.
11), quasi una parodia della plastica ellenistica di matrice rodia. Altri soggetti appaiono più aderenti ai modelli, come nel caso dell’Apollo musico
(Tav. 34,3), che soprattutto nella versione stante con lungo chitone cinto,
himation, cetra e plettro (Tav. 27,1), riflette i modi della statuaria ellenistica25, filtrata dalla produzione fittile microasiatica, come accade anche
a Pompei26. O per l’ermafrodito (Tav. 34,4), presente in più copie27, la cui
posa sognante presuppone una dipendenza da modelli statuari ellenistici28,
come a Taranto29, Etruria e Lazio30.
Analogamente ad altri santuari della Campania, del Lazio e dell’Etruria
meridionale, le botteghe capuane immettono sul mercato, nel III secolo
a.C., un tipo di Diana/Artemide, rappresentata con gli attributi della cacciatrice (la faretra, l’abbigliamento), e nel contempo appoggiata alla torcia che
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BIEBER 1961, p. 147, figg. 629-630.
Sicuramente da comune prototipo viene un esemplare conservato a Madrid, Collezione Salamanca: LAUMONIER 1921, tav. CX, 2, p.191.
MOLLARD-BESQUES 1954, Pl. LXXXV, n.. 227, p. 119.
Si veda BORRIELLO supra, p. 000.
GUALANDI 1976, pp. 71-73.
D’AMBROSIO – BORRIELLO 1990, tav. 9, fig. 38, p. 33. Cfr. nella glittica: LIMC II,
ad vocem Apollon, II,1, p. 200, II, 2, n. 89.
Nella collezione Pasquale è confluito un esemplare, sempre da Capua (WINTER
1903, II, p. 359,7) presumibilmente dallo stesso prototipo. Un esemplare molto
simile è attestato a Corfù (?): WINTER 1903, II, p. 96,5.
LIMC VII, 2, ad vocem Pothos I: VII,1, p. 502, VII, 2, nn. 14, 16, 18.
WINTER 1903, II, p. 253.
NAGY 1988, tav. LXXI, fig. 218, p. 223; GATTI LO GUZZO 1978, tav. XXVII: l’esemplare E a p. 73, sembra ispirarsi al tipo dell’ermafrodito.

M. Bedello Tata - Piccola coroplastica e l’esperienza della grecità

143

ne evoca i caratteri catactoni (Tav. 34,5-36,1)31. Il risultato è una mescolanza laica, non priva di una certa coqueterie, presa in prestito dal repertorio
ellenistico con le sue pose fluide e aggraziate. Nell’iconografia più usuale e
corsiva, esaminata in un recente contributo32, il tipo trova confronti soprattutto in analoghi manufatti fittili dalle stipi del Tevere e dell’Esquilino33 ed
in Campania, a Teano e Fratte di Salerno34. In essa si mescolano vari tipi
statuari, su cui predominano i caratteri dell’Artemis Laphria, che fu alla
base di una copiosa produzione marmorea e di numerose più tarde copie
romane. Ai prototipi isolati nel Museo Campano debbono aggiungersene
altri documentati in musei e collezioni europee35, che attestano la fortuna dell’immagine, che Capua sembra aver esportato almeno in due casi
a Cales (Tav. 35,5) e a Nola36. Questa tipologia aggraziata risulta in forte
contrasto con la concezione osca che emana da un’altra rappresentazione
della dea, rigida, frontale, “xoanica”, nota nella coroplastica di piccolo e
medio modulo37.
Nel confronto appare particolarmente interessante la netta distinzione
di linguaggio che riflette due tempi, ma soprattutto due modi di vedere la
dea: l’uno, legato ad una visione più antica e tradizionale da parte dei pagi
rustici e montani, l’altro ad una committenza diversa, senza dubbio più
mondana, ormai aperta alle stesse tendenze ellenizzanti che ispirano le c.d.
tanagrine. Il legame con la caccia, qui definito dall’abbigliamento è suggerito nella vicina Teano dalla presenza di oggetti simbolici, che rientrano
piuttosto nella vera e propria sfera dell’offerta, quali giavellotti e cinghiali
fittili38. Tra le altre iconografie si segnala la presenza di più copie della c.d.
Artemide sicula con arco e pantera a lato (Tav. 36,2), prototipo condiviso

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La bibliografia sulla dea, Trivia, infernale, lucifera, preposta ai luoghi di margine
e la sua originaria sfera cultuale in Italia centro-meridionale è vastissima. Recentemente con bibliografia SPINETO 2000, da p. 19; PASQUALINI 2013, pp. 289-307.
BEDELLO TATA 2012, da p. 223.
PENSABENE – RIZZO – ROGHI – TALAMO 1980, tav. 18, n. 59; GATTI LO GUZZO 1978,
tav. XI, esemplare E XXIXa.
JOHANNOWSKI 1963, p. 151, fig. 14p; MOREL 1998, tav. XLIV,5; GRECO 1990,
fig. 225.
Ai prototipi di cui alle sigle Diana I-VIII in BEDELLO TATA 2012, va aggiunto un
altro esemplare da Capua: WINTER 1903, II, p. 164,6 con repliche disperse tra
Berlino, Monaco, Parigi, Londra e collezioni private. Si veda anche un esemplare a Madrid di probabile provenienza capuana: LAUMONIER 1921, tav. LXXX, 1,
p. 159.
WINTER 1903, II, p. 164, 2 e 6.
BONGHI JOVINO 1971, tav. XI; BEDELLO TATA 2012, fig. 5.
MOREL 1998, p. 160.

144

Le sembianze degli dei e il linguaggio degli uomini

con Teano39 e Cuma40, da cui proviene un esemplare di maggiori dimensioni, per il quale si suppone una dipendenza da modelli siracusani mediati
dalla costa campana. Richiami al tipo ellenistico dell’Artemis Bendis41 presenta un esemplare, cinto da nebris (Tav. 36,3), che risulta strettamente apparentato a manufatti dalle stipi romane di Minerva Medica e del Tevere42,
ed ancor di più ad un fittile dal santuario di Santa Venera a Paestum43, quasi
identico. Piuttosto a un tipo statuario di Artemide come Ekate, che a una
Afrodite, sembra possa riferirsi una statuetta (Tav. 36,4), in posizione rotata, vestita con chitone sottile e mantello le cui pieghe si raggruppano sulla
coscia, molto vicina tipologicamente ad una serie marmorea da Rodi44.
La raffigurazione di Venere/Afrodite, presente in numero cospicuo a Capua, prende avvio dalla coroplastica greca, a sua volta ispirata da quella rivoluzione “laico-borghese” che tra IV e III secolo a.C. investe l’immagine
femminile e il pensiero della società. È una “icona” che attraverso la diffusione delle terrecotte di Tanagra e poi di Myrina invade la penisola italiana,
così che si può affermare che non esiste quasi nessuna stipe votiva priva
della sua Afrodite, soprattutto nel tipo stante in appoggio laterale. Basta
dare uno sguardo al volume del Winter 1903, per avere un’idea del vasto
campionario di personaggi femminili, legati alla dea e alla sua cerchia, che
dalla Grecia attraverso la Magna Grecia giunse a influenzare Capua.
Al Museo Nazionale di Napoli ne sono attestati più tipi che al Museo
Campano: seduti e stanti, in associazione con Eros o Pan. Variazioni sul
tema, con la dea stante, nuda o seminuda, nel tipo della Cnidia e della
pudica, appoggiata ad erma, anfora o, più frequentemente, a pilastro45,
in associazione con Eros, sono presenti anche in altri Musei e collezioni
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GABRICI 1910, pp. 6-151; JOHANNOWSKY 1963, fig. 14p.
SCATOZZA HÖRICHT 1987, tav. III,1, pp. 36-37.
PARIBENI 1959, pp. 70, 71, tav. 92, figg. 159, 160.
GATTI – LO GUZZO 1978, tav. XIX, 3, p. 59. PENSABENE – RIZZO – ROGHI – TALAMO
1980, tav. 18, n. 59.
MILLER AMMERMANN 2002, Pl. XL, n.1866, p.154.
GUALANDI 1976, da p. 130.
In base all’edito vi sono attestati i seguenti tipi presso il Museo di Napoli: diademata e appoggiata ad erma (LEVI 1926, n. 559, p. 123); seduta in trono con
Eros (DELLA TORRE – CIAGHI 1980, tav. III, 2, p. 10); in piedi con Pan (DELLA
TORRE – CIAGHI 1980, tav. III, 3, pp. 14-15); nuda stante (LEVI 1926 n. 562-565,
pp. 124-125); seminuda au pilier (LEVI 1926, n. 553, 554, p. 122; DELLA TORRE –
CIAGHI 1980, tav. XIV, 2-4, pp. 38-39). Al Museo del Louvre, nella collezione del
marchese Campana (BESQUES 1986, pp. IX-X): Afrodite seminuda (BESQUES 1986,
pl. 2 a, c); au pilier (BESQUES 1986, Pl. 3 b); assisa su roccia (BESQUES 1986 Pl. 4
e); assisa su volatile (BESQUES 1986, Pl. 5,b, p. 8); con Pan (BESQUES 1986, Pl. 6e,
p. 9). Dubbia la provenienza da Capua per BESQUES 1986, Pl. 3f. Un’Afrodite del

M. Bedello Tata - Piccola coroplastica e l’esperienza della grecità

145

europee, ove il materiale capuano pervenne in seguito ai ben noti traffici
ottocenteschi. La varietà delle iconografie ed il numero elevato documentato nei manufatti presenti nei vari musei europei oltre che a Napoli e al
Campano confermano la curiosità dei coroplasti verso le forme assunte nella statuaria greca dalla dea, simbolo di un nuovo modo di vedere
la donna. Manifestano inoltre la popolarità della dea, che per il mondo
muliebre evoca la raggiunta maturità sessuale, il matrimonio, la legittima procreazione, in complementarietà con Diana/Artemide, che vigila
sui momenti precedenti, dalle fasi prenatali, poi infantili, fino al limitare
dell’età adulta.
La tipologia più diffusa al Museo, definita sinteticamente “au pilier,”
forse la più popolare della penisola46, riproduce una figura di donna aggraziata e sinuosa, nuda fino ai fianchi, improntata a modello statuario elaborato nel primo Ellenismo. L’immagine è ricorrente nella coroplastica dell’area apulo-tarantina, che dalla produzione di Atene e poi di Tanagra prende
le mosse47 sulla scia delle correnti dinamiche dell’Ellenismo e dell’opera
scultorea di Prassitele48, rispetto a cui la terracotta, materiale fondamentalmente anticlassico, mostra una sua ovvia autonomia. Ogni confronto con
la grande arte infatti, nella maggior parte dei casi, è possibile nell’insieme
ed impossibile nel dettaglio, soprattutto in quei centri come Capua, ove
i modelli giungono per la maggior parte già filtrati. Il tipo “au pilier” è
declinato al Museo Campano in vari prototipi (Tav. 36,5; 37, 2-4,; 38,1),
che generano esemplari di dimensioni minute (in complesso non più alti
di cm 20), sostanzialmente analoghi (posa flessuosa, pilastro di appoggio,
abbigliamento succinto) salvo piccole variazioni in quei particolari, che
servono a differenziare l’offerta commerciale. È il caso dell’esemplare qui
riprodotto alla Tav. 36,5, derivante dallo stesso prototipo di una statuetta di

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tipo della pudica, presente a Berlino e a Napoli e proveniente, la prima da Pompei,
la seconda da Curti è catalogata da WINTER 1903, II, p. 217, 8 A, B.
Gli esempi sono numerosi, rispondono ad un’immagine standard, che viene
resa con esiti spesso diversi. A titolo di esempio: Teano, Fondo Ruozzo (MOREL
1991, fig. 9d); santuario di Marica alle foci del Garigliano (MINGAZZINI 1938, tav.
XXV,5); santuario irpino della Mefite in Valle d’Ansanto (RAININI 1976, fig. 164,
p. 441); Pompei (D’AMBROSIO – BORRIELLO 1990, tav. 8, fig. 30); Torre di Satriano
di Lucania (BATTILORO – DI LIETO 2005, p. 145, fig. 8); Lucera (D’ERCOLE 1990,
tavv. 65 d,e, 66,a, p. 150); Rossano del Vaglio (ADAMESTEANU – DILTHEY 1992, tav.
X). Nel Lazio: Fregellae (FERREA – PINNA 1986, p. 128, tav. LXIX, 4). In Etruria:
NAGY 1988, Pl. LIII, 144; PAUTASSO 1994, tav. 30, c.
GRAEPLER 2003.
GUALANDI 1976, in particolare dalla p. 96.

146

Le sembianze degli dei e il linguaggio degli uomini

Nike (Tav. 37,1), da ritenersi variante dalla stessa bottega, dipendente, per
il tramite tarantino dalla coroplastica dell’Attica e della Beozia49.
Echi della statuaria greca si avvertono in una statuetta che riproduce
la dea vestita da un aderentissimo chitone (Tav. 37,4)50 e in un esemplare
(Tav. 38,3)51, molto consunto, la cui lettura è favorita dal confronto con
un altro prototipo capuano generatore di una statuetta dell’Ashmolean
Museum di Oxford52. Ma più che nella statuaria in marmo gli esemplari
capuani trovano appunto nella coroplastica dell’Italia meridionale, soprattutto dell’Apulia e dell’Asia minore, il loro più diretto interlocutore: così
dicasi per l’esemplare della Tav. 38,2, confrontabile con una terracotta
da Reggio Calabria53 e per gli esemplari di cui alle Tavv. 38,4 e 39,154.
Il fittile con la dea che si scopre, aprendo il manto, (Tav. 39,2), derivante
da tipologie ellenistiche e tardo ellenistiche55, riveste particolare interesse per il fatto di condividere lo stesso prototipo di quattro esemplari di
dimensioni minori da Fratte di Salerno56. Per questo specifico caso resta da stabilire se il fittile sia giunto a Capua come dono di un devoto o
sia frutto di commercio. È altresì possibile che alla base vi sia l’opera
di maestranze itineranti57 o l’esistenza di matrici parallele nei due centri.
L’associazione di Afrodite ed Eros è documentata da una statuetta acefala
stante (Tav. 39,3) che nella sua compostezza riecheggia la statuaria greca
con riferimenti all’Eirene di Kephisotodos. Un altro esemplare (Tav. 39,4)
conservato fino al busto riporta la dea con pettinatura a nodo sul capo
associata a un piccolo erote sulla spalla, tipologia attestata nella statuaria
fittile capuana di medio modulo58 nell’ultimo quarto del II secolo a.C., in
dipendenza da tipi apuli59, microasiatici e di Myrina60. Moltissime repliche fanno capo, infine alla coppia con Pan, già illustrata (Tav. 33,3) che, in
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BESQUES 1986, Pl. 3,c e ; BESQUES 1972, Pl. 7 b, d.
LIMC II, ad vocem Aphrodite, 1, p. 42; II, 2, fig. 300.
LIMC II, ad vocem Aphrodite, II, 1, p. 79; II, 2, fig. 700.
LIMC II, ad vocem Aphrodite, II, 1, p. 80; II, 2, fig. 710; KEKULÉ 1884, tav
XXVI, 2.
LIMC II, ad vocem Aphrodite, II, 1, p. 80; II, 2, fig. 720.
LIMC II, ad vocem Aphrodite, II, 1, p. 70; II, 2, fig. 617. Gli esemplari di cui alle
figg. 27 e 28 sono repliche dal medesimo prototipo
LIMC II, ad vocem Aphrodite, II, 1, p. 86; II, 2, fig. 775. Un confronto stretto
viene da Megara: WINTER 1903, I, p. 85,7.
GRECO 1990, fig. 224, p. 118.
BONGHI JOVINO 1990b, da p. 48.
BONGHI JOVINO 1971, tav. XXVIII, 4, n. 38.
WINTER 1903, II, p. 101,1.
WINTER 1903, II, pp 85, 8 e 88,4.

M. Bedello Tata - Piccola coroplastica e l’esperienza della grecità

147

virtù dell’assioma ubi multa ibi domestica61, è da ritenersi creazione certa
di una bottega capuana.
La sfera afrodisia accoglie ancora, con richiami all’aspetto erotico, figure femminili (Afrodite o Leda) assise nude o seminude su oca o cigno (Tav.
40,1-2)62, riconducibili in genere alla ceramica greca e alla coroplastica
dell’Italia meridionale e di area microasiatica ove il tipo è testimoniato a
Myrina fino al volgere del I secolo a.C. – inizi del successivo63. In particolare l’esemplare della Tav. 40,1, apparentato ad altro fittile capuano del
Louvre64, trova confronti nella coroplastica tarantina65. L’altro, di fattura
più aggraziata (Tav. 40,2) ha in una statuetta della collezione Salamanca
di Madrid il suo corrispondente integro66 e nel fittile di cui alla nostra Tav.
40,3, noto in più repliche, il confronto interno più appropriato, configurandosi tutti come prodotti della medesima bottega.
Controversa risulta l’identificazione di un piccolo gruppo di figure femminili sedute su roccia di cui nel Museo Campano sono stati isolati alcuni
esemplari, in numero minore rispetto a quelli indicati dal Patroni67. Identificarle come Afrodite, Muse, Ninfe o personificazioni legate alla sfera afrodisia dipende generalmente dal contesto68, soprattutto nel mondo romano
quando copie marmoree servirono ad ornare ninfei ed edifici imperiali.
Negli esemplari del Museo Campano non sarei aliena dal riconoscere
delle Ninfe, non estranee alla sfera afrodisia o ancor meglio la stessa Afrodite. Nell’area etrusca, in via di romanizzazione, questo particolare tipo
femminile, dalle forme esposte e libere nel movimento, risulta particolarmente adatto a dar corpo a personaggi mitologici, come Arianna e Andro61

Ai 15 esemplari del Museo Campano e ai 3 del Museo Nazionale di Napoli (DELLA TORRE – CIAGHI 1980, pp. 14-15, tav. III, 3), sono da aggiungere: uno da Pompei

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(D’AMBROSIO – BORRIELLO 1990, p. 39, tav. 12, fig. 69), uno da Castellammare di
Stabia (MINIERO et Alii 1997, fig. 16, pp. 24-25) e gli esemplari confluiti al Louvre
(BESQUES 1986, p. 9, Pl. 06e), a Berlino, Londra, Monaco e in collezioni private
(WINTER 1903, II, p. 406, 5).
Un’altra piccola figura femminile su cigno risulta tra i materiali forse pertinenti ad
una stipe, rinvenuti in via Campania a Santa Maria Capua Vetere: DE FRANCISCIS
1952, p. 324, n. 9.
MOLLARD BESQUES 1963, Pl. 37 a-c, p. 32. Esempi dalla Grecia, dall’area microasiatica e dall’Italia meridionale: WINTER 1903 II, p. 193.
BESQUES 1986, Pl. 5 b, p. 8.
WINTER 1903, II, p. 193, 7.
LAUMONIER 1921, tav. LXXXIII, 2, p. 163.
Il Patroni (PATRONI 1897-1904, n. 4160-4170), elenca un buon numero di esemplari corrispondenti alla stessa tipologia al momento non tutti rintracciabili.
Il tipo fu utilizzato ampiamente in età imperiale in ninfei ed edifici imperiali:
GALLIAZZO 1976, pp. 74-77. DE LACHENAL 1979, pp. 136-137 e 140-141.

148

Le sembianze degli dei e il linguaggio degli uomini

meda, quali appaiono nella coroplastica architettonica69. Scoperte fino ai
fianchi, di dimensioni ridotte, tra i cm 9 e i 12, tutti questi fittili conservati
al Museo Campano sono, come accade per la maggior parte dei manufatti
qui presentati prive di testa70. Anche in presenza di un accenno ad una basetta, il loro aspetto rimane sciolto ed evidente il legame con la statuaria di
matrice rodia. La postura è simile con qualche variazione nel busto, fermo
o leggermente girato e nelle gambe, ora incrociate, ora divaricate e sfalsate.
La fattura, rispetto al materiale finora illustrato appare molto più accurata.
Tre degli esemplari del gruppo (Tav. 40,4 e Tav. 41,1-2) mostrano caratteristiche simili e confronti diretti e stringenti con la produzione di Tanagra
e Myrina71. Scendendo in ulteriori dettagli l’esemplare della Tav. 40,4 con
torso nudo lievemente rotato e gambe leggermente divaricate deriva da un
prototipo analogo o identico a quello di un fittile apulo72, di ispirazione
rodia, la stessa che alimenterà, più tardi, la statuaria romana di medesimo
soggetto. Gli altri esemplari (Tav. 41, 2-3) con le gambe incrociate e lievi
differenze nella rotazione del busto, trovano sempre nell’ambito dell’Ellenismo mediterraneo il terreno di coltura73.
L’esemplare di cui alla Tav. 41,1 trova anch’esso riferimenti nelle coroplastica di Tanagra, che veicolato da Taranto74 giunge a influenzare contesti
romani ove uno specifico confronto nella c.d. stipe di Minerva Medica75 testimonia dell’uniformità raggiunta dalla produzione del periodo. Per la figura alla Tav. 41,2 valgono le stesse considerazioni circa la derivazione da
tipi fittili tanagrini e apuli di ascendenza scultorea76. Il fittile sembra condividere lo stesso prototipo di un manufatto capuano confluito a Berlino77,
con monogramma sul retro, uguale a quello rilevato su statuette capuane

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COLONNA 1992: tav. XXIV; BONAMICI 1992, tav. V.
Il fatto che la maggior parte dei fittili qui presentati siano prive di testa può dipendere da un motivo tecnico legato alla modellatura, come accade per moltissime
delle figure fittili panneggiate del Museo Campano per cui le teste potevano essere
applicate al corpo in un diverso momento, il che le avrebbe rese più fragili nel
punto dell’attacco, corrispondente al collo. Questo non escluderebbe una rottura
intenzionale per motivi cultuali.
A titolo di esempio: WINTER 1903, II, pp. 127-132.
WINTER 1903, II, p. 132, 2.
PARIBENI 1959, tav. 122, n. 238, pp. 92-93.
WINTER 1903, II , p. 128, 4, 5; LEVI 1926, n. 209, fig. 48, p. 49.
GATTI – LO GUZZO 1978, p. 82, Fb 34, tav. XXXI.
Tanagra, Taranto e il mondo apulo, la Sicilia sono un fiorire di tipi stanti e seduti:
WINTER 1903, II, p. 131, p. 127, 4. Si confronti con una statua di Musa da Atene,
forse parte di gruppo frontonale: THOMPSON 1952, pp. 109-110, pl. 28, c-d.
WINTER 1903, II, p. 132, n. 4.

M. Bedello Tata - Piccola coroplastica e l’esperienza della grecità

149

dal Louvre78 e dal Museo Campano79, per le quali si richiama un marchio
presente su di un fittile da Camiro. Il dato si rivela di estremo interesse
rafforzando la tesi di rapporti diretti con Rodi o per importazione di matrici
o per presenza a Capua di maestranze rodie. Tali ipotesi di lavoro si rileverebbero di conseguenza percorribili anche per gli altri due esemplari (Tav.
40,4 e Tav. 41,1) che per caratteristiche tecniche, iconografiche e stilistiche
sembrano essere prodotti della stessa bottega. L’esemplare della Tav. 41,3
presenta prototipo affine a un fittile del Louvre da Capua, di fattura più
corsiva, ma integro80.
Andando verso le conclusioni, vale riaffermare come esse siano inficiate
dalla mancanza dei dati di scavo. Da qui la necessità di affidarsi per la cronologia, come si è tentato di fare, ad un allargamento dei confronti con materiale affine. La ricerca effettuata in questa direzione permette di collocare
la maggior parte dei manufatti tra la fine della seconda fase di attività delle
botteghe capuane e l’inizio della seguente, con limiti cronologici compresi
tra la metà del III e la fine del II secolo a. C.81.
Nel corso di questo periodo si constata un’effettiva abbondanza nella
produzione, che contrasta con la perdita di peso politico della città e di ampie parti del suo territorio, dopo la defezione del 215-211 a.C., ma che trova ampie giustificazioni nel suo inalterato peso economico82. Nell’ambito
del periodo proposto, si possono operare delle distinzioni che permettono
di porre ancora sullo scorcio del IV secolo il fittile dell’Artemide sicula
(Tav. 36,2), dipendente da tipo cumano a sua volta tradito da Siracusa,
attraverso la costa campana e quello di Afrodite/Venere con erote (Tav.
39,3). Risultano più recenti, invece, le statuette di Attis (Tav. 33,2), Afrodite/Venere con Eros sulla spalla (Tav. 39,4) e Afrodite/Venere su cigno
(Tav. 40,1), che scendono al II secolo a.C. con attardamenti verso la fine
del secolo e l’inizio del successivo per la coppia di Afrodite/Venere e Pan
(Tav. 33,3) e per l’Artemide/Diana con nebride (Tav. 36,3). Anche le figure
sedute su roccia alla base delle quali debbono ritenersi fondamentali gli

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BESQUES 1986, p. 38, pl. 28 c-d.
BESQUES 1972, p. 60, tav. 73 b-d; CASOLO 1987, pp. 61-62, tav. I, nn. 6685, 6305,
5898; BARONI – CASOLO 1990, pp. 457-458, esemplari C LXXXII a1, C LXXXII
a2.
BESQUES 1986, Pl. 5,c.
Il riferimento è alle ampie periodizzazioni proposte da BONGHI JOVINO 1971, da p.
21.
All’epoca della calata di Annibale Capua risultava ricchissima anche rispetto a
Napoli, Cuma e Pozzuoli: POL. Hist III,91. In questo contesto si inseriscono le
botteghe coroplastiche di Capua: BONGHI JOVINO 1995, con ampia bibliografia.

150

Le sembianze degli dei e il linguaggio degli uomini

apporti della statuaria rodia, filtrata attraverso la coroplastica greca e magno greca, potrebbero scendere al II secolo a.C. Per il resto, la produzione
si può collocare nel corso della seconda metà del III secolo a. C. con fittili
la cui resa piuttosto “stanca” è da attribuire ad un impiego prolungato delle
matrici nel tempo.
Per quanto concerne l’aspetto stilistico si conferma il ruolo avuto da Taranto83 e dai centri apuli nella trasmissione delle mode scultoree assimilate
e fatte proprie dalle botteghe coroplastiche dei centri ellenistici, primi tra
tutti Tanagra e Myrina. L’Attica, la Beozia e soprattutto Rodi hanno offerto
vari spunti, ma si possono ipotizzare veri rapporti diretti soprattutto con
quest’ultima.
Per quanto riguarda, invece, l’aspetto tipologico, la piccola statuaria fittile capuana offre in questo periodo un vasto repertorio, specie, come si
è visto, se si volge lo sguardo oltre il Museo Campano. Per restare a noi
vicino, dalla stessa collezione capuana del Museo Nazionale di Napoli,
proviene una ben più consistente casistica di eroti, divinità, personaggi e
gruppi mitologici che testimoniano di un vero e proprio “boom” della piccola coroplastica che ruota intorno alle altrettanto numerose figure panneggiate. In questa sede si sono analizzate solo alcune delle tipologie più frequenti nella piccola statuaria, conservata presso il Museo Campano, tra cui
quella riferibile a Diana/Artemide appoggiata a pilastro, in una iconografia
particolarmente apprezzata in Campania e nel Lazio84. La posa in appoggio
laterale della dea viene condivisa anche dal corposo drappello di figurette
di Venere/Afrodite e dall’ermafrodito, che più della cacciatrice mostrano
stretti rapporti con la coroplastica greca e magno greca.
Sui contatti con altri centri della Campania è da osservare che l’edito,
non dà ancora la piena misura dell’interesse dei coroplasti verso la piccola
statuaria a soggetto divino, come a Napoli, ove è documentata una scarsa
presenza di figure di divinità e “tanagrine”, in una situazione ancora da
approfondire85.
Nell’ambito del circuito degli scambi, che dovevano essere numerosi e
frequenti, in questa sede si è segnalata la presenza a Nola, Cales e Teano
di un tipo di Diana/Artemide di derivazione capuana e, in area vesuviana,
la presenza del gruppo con Afrodite/Venere e Pan, prodotto a Capua, la cui
fortuna è testimoniata dal grande numero di repliche a noi note. La presenza dell’Artemide sicula a Teano, Capua, Cuma denuncia l’interscambio
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BONGHI JOVINO 1961; EADEM 1968; EADEM 1976; BEDELLO TATA 1978.
BEDELLO TATA 2012, p. 224, nota 50.
BORRIELLO – DE SIMONE 1985.

M. Bedello Tata - Piccola coroplastica e l’esperienza della grecità

151

tra i tre centri, confermando quanto già noto, specie per Cuma la cui storia
si intreccia a quella di Capua nella Praefectura Capuam Cumas dal 318
a.C.86.
A Pompei, ove sono documentati tipi di Afrodite/Venere “au pilier”, di
eroti e divinità varie tra cui Apollo e Atena87, giunge da Capua, come anche
nel santuario in località Privati presso Stabia il noto gruppo di Afrodite/
Venere e Pan (Tav. 33,3). Molti punti di contatto, dovuti anche all’avanzato
livello d’informazione, li cogliamo in area pestana, ove si confermano i
numerosi scambi già evidenziati sia nella coroplastica votiva (teste tra viticci, donne fiore, eroti in groppa ad animali, soggetti divini e mitologici, la
piccola figura di cui alla Tav. 39,2) sia in quella architettonica, quest’ultima
permettendoci di allargare lo sguardo fino alla penisola sorrentina88. Gli influssi apuli rilevati in entrambi i contesti subiscono analoghi riadattamenti,
in diretta funzione di una analoga committenza89.
Infine appaiono particolarmente degni di nota e pregni di significato gli
stretti confronti con materiale affine proveniente da due importanti stipi
votive “romane”, che confermano l’esistenza di un linguaggio sempre più
comune, conseguenza di cambiamenti nella compagine sociale e in una politica che si concretizza in una interrelazione commerciale e stradale articolata, in cui Capua occupa un ruolo non secondario nello scambio di uomini
e idee. In quest’ottica ci sono di supporto i confronti con i materiali più
modesti provenienti dalle stipi dell’Esquilino e del Tevere90, ove tra III e II
secolo a. C. si respira un analogo clima culturale con la corposa presenza
della piccola statuaria e si verificano imprestiti da Capua91.
Nel materiale fittile dal Tevere la produzione si configura come espressione di un ceto popolare che personalizza il rapporto con gli dei, come
si suppone per Capua, utilizzando come veicolo nuove iconografie, formalmente legate a modelli esterni di matrice microasiatica e post classica.
Come a Capua i tipi vanno dagli eroti cavalcanti animali alle figurine femminili panneggiate, a divinità sia maschili (Apollo, Ermes…) che femminili (Afrodite, Diana) sedute e statuarie, più spesso stanti nel tipo “au pilier”. Tale produzione è da ritenersi legata alla sfera muliebre e alla ritualità
connessa ai passaggi di stato sia fisici che sociali, a partire dalla pubertà
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CATUCCI – JANNELLI 2005.
D’AMBROSIO – BORRIELLO 1990.
MINIERO et Alii 1997, pp. 18-19, figg. 5, 6.
Per i materiali architettonici di Fratte, cui si fa riferimento: GRECO 1990, da p. 65.
BEDELLO TATA 1978; JOHANNOWSKY 1989, p. 63.
GATTI LO GUZZO 1978; PENSABENE – RIZZO – ROGHI – TALAMO 1990.
BONGHI JOVINO 1990a, p. 80.

152

Le sembianze degli dei e il linguaggio degli uomini

fino all’entrata nella collettività, attraverso il matrimonio e la riproduzione,
come si verifica nei santuari ove la varietà dei tipi, tradotti in forme classiche, ben illustra i ruoli fondamentali della donna.
Il confronto con il materiale di queste stipi romane, per il periodo che va
dalla fine del IV agli inizi del II, con un vero e proprio incremento nel III
secolo a.C., indica che l’entrata nell’orbita di Roma della città campana, e
non solo di essa, favorì senza dubbio il formarsi di un linguaggio uniforme,
che in qualche modo si sostituisce a quella identità, più rustica e vivace che
si era espressa a Capua a partire dalla presa di potere da parte degli Osci, e
che si manifesta ancora limitatamente nell’interpretazione locale di alcune
tipologie.
Se ne ricava un panorama articolato, che proprio sulla base delle molteplici dialettiche tipologiche e formali sinora illustrate lascia intendere un
parallelo arricchimento sul versante religioso propriamemte inteso, con le
sfere dei culti e le divinità le quali ne rappresentavano le pertinenze, e che,
pur legati alle antiche matrici locali, mostrano di accogliere ispirazioni e
influssi anche da quegli stessi luoghi che avevano contribuito a veicolare
nella città campana, partecipe di un fenomeno su più larga scala, nuovi
modelli iconografici al cui interno le raffigurazioni delle divinità italiche
avevano in parte rinnovato i propri spazi iconografici.

Tav. 33

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3
Capua, Museo Campano, statuette fittili. 1. Bes; 2. Attis; 3. Afrodite/Venere e Pan.

Tav. 34

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Capua, Museo Campano, statuette fittili. 1-2. Figurette stanti; 3. Apollo musico
4. Ermafrodito; 5. Diana/Artemide.

Tav. 35

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Capua, Museo Campano, statuette fittili. 1-5. Diana/Artemide.

Tav. 36

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Capua, Museo Campano, statuette fittili. 1. Diana/Artemide; 2. Artemide sicula;
3. Diana/Artemide; 4. Figura muliebre stante; 5. Venere/Afrodite.

Tav. 37

1
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3

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Capua, Museo Campano, statuette fittili. 1. Nike; 2-4. Venere/Afrodite.

Tav. 38

2

1

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Capua, Museo Campano, statuette fittili. 1-4. Venere/Afrodite.

Tav. 39

1

2

4
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Capua, Museo Campano, statuette fittili. 1-2. Venere/Afrodite;
3-4.Afrodite ed Eros.

Tav. 40

1

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2

4

Capua, Museo Campano, statuette fittili. 1-2. Figura assisa su cigno;
3-4. Figura femminile assisa.

Tav. 41

1

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3
Capua, Museo Campano, statuette fittili. 1-3. Figura femminile assisa.