Dove incomincian listorie . LOrlando fu

«Dove incomincian l’istorie»
l’Orlando furioso, le arti
e la definizione del canone letterario
Federica Caneparo

U

na delle caratteristiche più sorprendenti e frequentemente ricordate dell’Orlando furioso è il suo straordinario
successo editoriale: centocinquantaquattro edizioni nel solo
Cinquecento; traduzioni in spagnolo, in francese, in inglese,
in olandese, rifacimenti e travestimenti in dialetto bergamasco, bolognese, friulano, genovese, padovano, veneziano;1 un
dilagante proliferare di edizioni illustrate e commentate, senza esclusione di colpi fra editori in competizione l’uno con
l’altro nel contendersi l’attenzione dei lettori con edizioni
innovative, spudorate imitazioni e legni reimpiegati da botteghe diverse, pubblicazioni di lusso per i lettori più esigenti
e versioni in ottavo per clienti meno abbienti.
Alla fortuna editoriale si affianca poi quella figurativa, notevole non solo in termini di illustrazioni a stampa, ma anche
di dipinti, maioliche, affreschi, sculture. Per secoli considerato
marginale, l’influsso del poema sulle arti è oggi concordemente riconosciuto dalla critica per essere invece vasto e variegato.2
Ciò che tuttavia sembra essere passato quasi inosservato è
che l’Orlando furioso è di fatto il primo testo della letteratura
italiana ad avere influenzato largamente le arti figurative.

Se infatti sono numerose e spesso pregevoli le illustrazioni,
manoscritte o a stampa, dedicate alla Commedia, al Decameron, ai Trionfi, va rilevato però che questi stessi testi non
hanno lasciato un segno altrettanto profondo sulle cosiddette
arti maggiori.
Il Decameron e i Trionfi furono sporadicamente scelti come
soggetti per opere d’arte applicata, quali cassoni e deschi da
parto, tradizionalmente legati a tematiche amorose e morali per occasioni nuziali e familiari, mentre affreschi, dipinti
e opere scultoree di carattere narrativo profano trovarono
ispirazione più facilmente nella mitologia e nella letteratura
antica, almeno fino alla metà del Cinquecento.3
Sul versante religioso, Dante e Petrarca furono presto accolti quali fonti addizionali per varie opere d’arte, basti pen-

108

sare ai Giudizi Universali o ai Trionfi della Morte che dal
Trecento in avanti si dimostrano aggiornati in questo senso;
tuttavia occorre sottolineare che in questi casi l’obiettivo
della rappresentazione era l’ammonimento dei fedeli tramite
l’allegoria morale, e non la traduzione in immagine dell’opera letteraria in sé.
È questa una distinzione necessaria per inquadrare la

fortuna figurativa di un’opera letteraria in quanto tale e in
questo senso l’Orlando furioso si impone come un punto di
snodo fondamentale.
I primi ad accorgersi del maggiore potenziale del poema
ariostesco rispetto alle altre opere cavalleresche furono gli
editori, che invece di corredarlo di xilografie generiche e
facilmente riutilizzabili in altra sede, come era prassi da
mezzo secolo per testi di questo genere, commissionarono
illustrazioni appositamente pensate per raffigurare specifici
episodi ariosteschi: una scelta di campo e un impegno di risorse tutt’altro che banali per qualsiasi officina tipografica,
ma soprattutto per quelle di piccole o medie dimensioni,
quali furono le prime ad intraprendere questa via. Un primo passo in questa direzione si ebbe infatti con l’edizione
pubblicata «per istanza del prouido huomo Sisto libbraro»4
nel 1526, dove quattro vignette mostrano Orlando furioso,
traducendo in immagine il titolo del poema, mentre fu Nicolò Zoppino a proporre per la prima volta un corredo illustrativo originale, pensato per offrire al lettore un supporto
visivo canto per canto.5
Se nel 1530 lo Zoppino aveva avuto la felice intuizione di
proporre la prima serie di illustrazioni originali e nel 1535
Francesco Bindoni e Maffeo Pasini quella di offrire al lettore una prima forma di supporto paratestuale alla lettura,6
fu però uno dei maggiori editori del Cinquecento, Gabriele

Giolito de’ Ferrari, a rielaborare queste suggestioni in una
formula più matura e raffinata, capace di distinguere definiti| 109

Fig. 1

Fig. 3

Lucano da Imola, Duello tra
Bradamante e il mago Atlante,
1542-1550, Bergamo, Palazzo
Alessandri, salone d’onore

Lucano da Imola,
Astolfo uccide Orrilo,
1542-1550, Bergamo, Palazzo
Alessandri, salone d’onore

Fig. 4
Ludovico Ariosto, Orlando furioso,
Venezia, Gabriele Giolito de’ Ferrari,

1542, Astolfo uccide Orrilo (canto xv)

Fig. 2
Lucano da Imola, Duello tra Rinaldo
e Ferraù mentre Angelica fugge in
sella a Baiardo, 1542-1550, Bergamo,
Palazzo Alessandri, salone d’onore

vamente l’Orlando furioso dagli altri testi cavallereschi anche
dal punto di vista materiale. L’edizione giolitina trasformò il
Furioso nel best seller del secolo, primeggiò sul mercato per
due decenni e provocò un effetto a catena forse non previsto:
non solo determinò la tendenza dominante nelle successive
edizioni illustrate, che tennero conto di questo modello evidentemente vincente, ma influenzò largamente le arti maggiori, innescando un meccanismo che avrebbe portato artisti
e committenti a guardare con occhi nuovi l’Orlando furioso
e, più in generale, le opere della letteratura italiana.
Fu infatti dopo la pubblicazione dell’edizione giolitina che
si verificò una vera e propria esplosione del gusto per le opere
d’arte ispirate all’Orlando furioso, cui seguì un recupero di
quei testi della letteratura in volgare che andavano definendosi come i pilastri portanti del canone letterario italiano, e

che vennero scelti da quel momento in poi come soggetti di
opere d’arte più frequentemente di quanto non fosse accaduto nei due secoli precedenti. Inoltre, il successo del poema
ariostesco nelle arti spianò la via alla straordinaria fortuna
110 | Federica Caneparo

figurativa della Gerusalemme liberata, che a tratti convisse
con il Furioso, traducendo in immagine il dibattito critico incentrato sul confronto fra i due poemi, ma che più spesso
ebbe vita a sé, soprattutto nel corso del Seicento, riflettendo
la predilezione della sensibilità barocca per il poema eroico.
Se le prime opere d’arte ispirate al Furioso fiorirono in ambito estense in anni precoci e si spiegano generalmente in
chiave cortigiana,7 i primi esiti non ferraresi vanno rintracciati in un servizio in maiolica realizzato da Francesco Xanto
Avelli nei primi anni Trenta del secolo per il fiorentino Antonio Pucci, appena nominato cardinale,8 e nei cicli pittorici
affrescati in disparate aree della penisola all’indomani della
pubblicazione dell’edizione giolitina.9
Il servizio istoriato realizzato da Xanto nel 1532 è uno dei
più raffinati e completi esistenti, e risulta particolarmente interessante in questa sede per i soggetti letterari rappresentati,
che, come ha evidenziato Julia Triolo, sono di natura epica, lirica e storica.10 Tuttavia, ciò che qui interessa maggiormente è la
presenza, accanto alle auctoritates latine (Virgilio, Ovidio, Tito

Livio, Plinio il Vecchio, Valerio Massimo e Giustino) di due

autori della letteratura italiana, Petrarca e Ariosto, l’ultimo
dei quali, in particolare, era ancora vivente e lontano dall’essere considerato un classico della letteratura. Il fatto che Petrarca e ancora di più Ariosto vengano affiancati ai classici
latini è particolarmente significativo perché rivela nell’atteggiamento del committente e dell’artista — non a caso un pittore con velleità poetiche11 — una propensione a conferire
pari autorevolezza a fonti antiche e moderne, proprio negli
anni in cui il canone letterario andava formandosi, non senza
contrasti e discussioni. In particolare in merito all’Orlando
furioso, come è noto, la critica si divise tra fautori e detrattori
in un acceso dibattito destinato a durare decenni.12
Il caso di Xanto è singolarmente precoce, ma a partire dagli anni Quaranta nacque e rapidamente crebbe la domanda di
cicli dipinti ispirati all’Orlando furioso: erede della tradizione
cavalleresca medievale, riletta e rinnovata in chiave rinascimentale, il poema offriva storie, situazioni, personaggi da seguire per puro diletto, da commentare in direzione morale, da
scrutare per analizzarne il dna letterario, o di cui appropriarsi
in ottica dinastica, politica o celebrativa. L’inesauribile varietà
della trama ariostesca divenne occasione per nuove possibili
interpretazioni, accontentando i nostalgici di un mondo cavalleresco ormai in frantumi e al contempo i lettori aperti alla modernità. È a questo punto, dunque, che davvero «incomincian
l’istorie» (Of, xxxiii, 13, 2): non le pitture murali della rocca
di Tristano «prima dipinte, che sian fatte» (Of, xxxiii, 6, 4),
ma i primi cicli dipinti dedicati ad un’opera letteraria di lingua
italiana con lo specifico obiettivo di «narrarla coi pennelli […]
altri su l’asse, altri sul muro», (Of, xxxiii, 3, 3-4) e altri su ceramica, verrebbe da aggiungere.

Per rispondere alle esigenze dei committenti, gli artisti furono chiamati ad inventare un filone iconografico nuovo, im-

presa stimolante ma certo non facile, che portò molti di loro a
confrontarsi naturalmente con l’unico precedente figurativo
disponibile: le illustrazioni a stampa.
Si diffusero così cicli «giolitini» come quello di Palazzo
Alessandri a Bergamo per esempio, dove le avventure di svariati personaggi si susseguono in un fregio formato da dieci
larghi riquadri (figg. 1-2), divisi da coppie di stemmi che sottolineano il peso sociale acquisito dalla famiglia Alessandri
nel contesto bergamasco. Quasi tutte le scene affrescate dal
pittore Lucano da Imola rispecchiano il modello a stampa,
ma il pittore distende la composizione in ampi paesaggi e
stempera l’intonazione eroica trasformando i riquadri in
moderno racconto cortese, con non pochi accenti ironici. Il
quarto riquadro, dedicato allo scontro fra Astolfo e Orrilo,
ne è un esempio eloquente (figg. 3-4).13 La xilografia che apre
il xv canto descrive l’episodio con enfasi guerresca: Astolfo cavalca a spron battuto allontanandosi dal nemico Orrilo,
che lo insegue a cavallo nonostante la sua testa mozzata sia
nelle mani del duca inglese, il quale ben presto si accingerà a
reciderne i capelli, in modo da tagliare fra gli altri quell’unico
«Dove incomincian l’istorie» | 111


crine che costituisce il punto debole del temibile gigante. L’episodio sarebbe truculento se non fosse narrato dall’Ariosto
con toni divertiti, che però tendono a perdersi nella xilografia
(fig. 4). Lucano da Imola recupera invece le sfumature dell’ironia ariostesca enfatizzando la testa di Orrilo, letteralmente
preso per il naso da un Astolfo decisamente meno nerboruto
del suo omonimo giolitino, e raffigurato mentre cavalca senza foga con il pennacchio al vento e si volge indietro verso
il gigante, che continua ad inseguirlo con la lancia adagiata
sul tronco acefalo (fig. 3). Inoltre, in secondo piano, si vede
un coccodrillo zampe all’aria assente nella xilografia e nel testo: il poeta accenna soltanto alla «bestia» che Orrilo teneva a
guardia della sua torre e che i due fratelli Grifone e Aquilante
avevano ucciso poco prima dell’arrivo di Astolfo. Ariosto si
riallaccia però a un episodio narrato da Boiardo, il quale rivelava che il feroce animale di guardia alla «torre in su il fiume
del Nilo», era una «bestia a guisa di dragone/ che là viene
appellata cocodrilo»:
Fatto è come lacerta, over ramaro
ma di grandezza già non sono al paro;
ed ogni altro animal fa pel contrario.
ché questo è lungo trenta braccia o piue,
il dosso ha giallo, maculoso e vario;
la mascella di sopra egli apre in sue,

Tutta una vacca se ingiottisce, o due,
ché ha il ventre assai maggior de un grande armario,
e denti ha spessi e lunghi de una spana:
mai fu nel mondo bestia tanto istrana.14

Distaccandosi apertamente dal tono eroico delle illustrazioni giolitine, l’atmosfera leggera degli affreschi bergamaschi
rivela la distanza fra le intenzioni sottese al libro illustrato e
all’affresco: enfatizzare il nesso tra poesia ariostesca ed epica virgiliana in un caso,15 dilettare e omaggiare i committenti
con un moderno racconto cortese nell’altro.
L’arguta allusione al Boiardo negli affreschi di Palazzo
Alessandri rappresenta una curiosa eccezione nel panorama
delle opere cinquecentesche dedicate al Furioso: non solo non
si trovano altrove simili riferimenti, ma più in generale è raro
riscontrare la presenza di storie tratte dall’Inamoramento de
Orlando, la cui fortuna figurativa restò circoscritta anche in
ragione della sua travagliata vicenda editoriale.16 Solo dopo
che il Furioso ebbe aperto la via ad un innovativo utilizzo del112 | Federica Caneparo

Fig. 6
Girolamo Mirola,

L’Isola di Alcina, 1563 circa,
Parma, Palazzo del Giardino,
sala dell’Ariosto

Fig. 5
Girolamo Mirola e Jacopo Bertoja, Il Fiume del Riso, settimo decennio
del Cinquecento, Parma, Palazzo del Giardino, sala del Boiardo

le opere letterarie contemporanee o quasi, si poté assistere ad
un recupero, seppure parziale, del poema boiardesco in pittura. Una rara occorrenza si trovava a Scandiano, nel cortile
della Rocca dei Boiardo, dove Storie di Prasildo e Tisbina (Oi,
i, xii), furono dipinte da Nicolò dell’Abate nei primi anni
Quaranta del Cinquecento, e si spiega naturalmente con l’intenzione di celebrare la gloria letteraria di famiglia.17 Nel Palazzo del Giardino di Parma si osserva invece la compresenza
di Boiardo e Ariosto negli affreschi voluti dal duca Ottavio
Farnese negli anni Sessanta del secolo.18 Circa cinquant’anni
più tardi, il duca Odoardo, pronipote di Ottavio, fece completare la decorazione commissionando Storie di Erminia per
una terza sala, rappresentando così per la prima volta le «tre
corone ferraresi»19 una accanto all’altra (figg. 5-7) .
Leggendo l’Orlando furioso, gli artisti iniziarono dunque
ad inserire nel proprio canone di riferimento le opere letterarie di lingua italiana, oltre ai classici latini. Se la fortuna del

poema del Boiardo restò limitata, crebbe invece l’attenzione
per Boccaccio e in particolare per il Decameron, scelto come
soggetto accanto al Furioso ad esempio nella palladiana Villa
Pisani Bonetti a Bagnolo di Lonigo, o nel Palazzo del Mauriziano a Reggio Emilia.20
Parallelamente fiorì l’interesse per specifici episodi danteschi, che iniziarono ad essere considerati autonomamente
rispetto al resto del poema e ai contesti religiosi nei quali la

Fig. 7
Alessandro Tiarini,
Erminia tra i pastori, 1628, Parma,
Palazzo del Giardino, sala del Tasso

«Dove incomincian l’istorie» | 113

Fig. 8
Julius Schnorr von Carolsfeld, volta della sala dell’Orlando furioso, 1822-1825,
Roma, Casino Massimo Giustiniani

Commedia compariva quale poderosa e immaginifica fonte
per artisti impegnati a descrivere il Giudizio Universale. Risale alla fine degli anni Quaranta la prima opera autonoma
sicuramente ispirata a un singolo episodio della Commedia
dantesca, il rilievo bronzeo che narra l’atroce fine del conte
Ugolino e dei suoi figli, commissionato a Pierino da Vinci da
Luca Martini, ingegnere al servizio di Cosimo I de’ Medici,
amico di letterati e artisti come Benedetto Varchi, Annibal
Caro e Benvenuto Cellini, nonché appassionato lettore e studioso di Dante.21
Occorre attendere però la fortuna romantica di Dante per
trovarlo in compagnia di altri testi fondanti del canone italiano in un contesto narrativo marcatamente letterario: nel
Casino Giustiniani Massimo al Laterano (noto anche come
Casino Massimo Lancellotti in ragione della fusione tra le
due casate nel 1865), i pittori Nazareni risposero ai desideri
del marchese Carlo Massimo affrescando scene tratte dalla
Divina Commedia, dall’Orlando furioso e dalla Gerusalemme liberata. Gli affreschi dedicati all’Orlando furioso da
114 | Federica Caneparo

Julius Schnorr von Carolsfeld occupano la più ampia delle
tre sale e innovano la composizione tradizionale dei cicli
pittorici anteriori all’Ottocento: Schnorr si distacca sia dai
«cicli antologici» tipicamente cinquecenteschi, dove l’entrelacement ariostesco era efficacemente tradotto in figura
sottolineando la varietà a la ricchezza della materia narrata,
sia da quelli «monografici», presenti già nel XVI secolo, ma
prevalenti dal Seicento in avanti, dove la vicende di un singolo personaggio erano estrapolate dal poema e ricollocate
in una ordinata sequenza.22
Nel Casino Massimo gli affreschi appaiono organizzati
per categoria retorica di appartenenza (fig. 8). I lati lunghi
della sala sono dedicati all’epica: sulla volta sono rappresentate le battaglie vittoriose dei paladini contro gli infedeli, ovvero la vittoria navale di Dudone, la presa di Biserta,
Rinaldo all’assalto dell’accampamento saraceno e il duello
di Lipadusa, mentre sulle pareti sfilano l’esercito saraceno
di Agramante e quello franco guidato da Carlo Magno (a
ovest) e i più temibili guerrieri saraceni, Ferraù, Mandricar-

Fig. 9
Johann Friedrich Overbeck, volta della sala della Gerusalemme liberata,
1819-1821, Roma, Casino Massimo Giustiniani

do, Rodomonte e Marsilio (a est). Eloquentemente rappresentato il tema eroico, il pittore dedica il lato sud agli amori:
sulla volta, il sentimento insieme elegiaco, tragico ed esemplare di Isabella e Zerbino e quello ambiguo di Bradamante e Fiordispina esplicitano le diverse facce di una passione
declinata poi in altre forme nella lunetta e sulle pareti. Qui,
Angelica e Medoro vivono il loro idillio pastorale causando
involontariamente la follia devastatrice di Orlando, al cui
rinsavimento si allude nella lunetta, dove Astolfo è raffigurato in compagnia di san Giovanni sul carro di Elia di
ritorno dal viaggio sulla Luna, come dimostra l’ampolla con
il senno di Orlando che il cavaliere inglese regge saldamen-

te tra le mani. Il lato nord è dedicato invece al tema della
magia, che i detrattori contemporanei dell’Ariosto avevano
criticato e che i sostenitori avevano frequentemente eluso,
nel tentativo di canonizzare il Furioso come poema epico.
L’Ottocento romantico non esita invece a recuperare anche
questo aspetto, filtrato nel poema ariostesco direttamente
dalla tradizione cavalleresca e lirica medievale; ecco dunque
sulla volta le eroine femminili Marfisa e Bradamante che introducono la lunetta dedicata ai maghi che le proteggono
o le ostacolano nelle ottave del poema: Atlante, Melissa e
Alcina. Sulla parete, la profezia di Melissa nella grotta di
Merlino e il battesimo di Ruggiero, antecedenti necessari
per il brano celebrativo che domina la volta, il matrimonio
di Bradamante e Ruggiero, episodio cruciale per le intenzioni encomiastiche e cortigiane dell’Ariosto nei confronti
del ducato estense, qui rielaborato in chiave personale in
omaggio al committente Carlo Massimo, il cui stemma è
raffigurato ai lati del riquadro.
Un’impostazione simile ma meno complessa si trova nella
sala tassiana: sulle pareti dominano episodi epici, che hanno
per protagonista Rinaldo e soprattutto Goffredo di Buglione. La volta è invece riservata alla tematica amorosa, di cui
sono illustrate varie declinazioni, dal sentimento altruista
di Olindo e Sofronia in opposizione alle false seduzioni del
regno di Armida, al drammatico momento in cui Tancredi battezza Clorinda in punto di morte, al lirismo bucolico
di Erminia tra i pastori; al centro, l’allegoria della Gerusalemme liberata, ragione prima e fine ultimo di ogni azione
all’interno del poema (fig. 9).
A completare la triade letteraria romana compare inoltre Dante, la cui fortuna crebbe largamente nell’Ottocento,
quando il poeta divenne simbolo delle aspirazioni identitarie
della nazione italiana dal punto di vista linguistico e politico,
ruolo che non poté non riflettersi sulle arti figurative. Nel casino romano Dante è raffigurato come narratore e poi come
personaggio, minacciato dalle tre fiere nella selva oscura prima dell’apparizione salvifica di Virgilio. È questa un’efficace
sintesi dell’incipit del viaggio dantesco che ricorda le prime
illustrazioni a stampa, dove una simile composizione fungeva
da introduzione visiva all’intera Commedia. Sulle altre pareti
della sala, l’osservatore può ripercorrere le tre cantiche accompagnando Dante nell’incontro con alcuni dei personaggi principali, dai dannati in preda ai tormenti infernali,24 ai penitenti
radunati sulla navicella condotta dall’angelo nocchiero, fino
ad assistere ad una selezione di punizioni dei peccati capitali,
«Dove incomincian l’istorie» | 115

dove domina la superbia di un peccatore scelto a rappresentare tutti gli altri, identificabile in Omberto Aldobrandeschi o
forse in Oderisi da Gubbio (fig. 10). In questo secondo caso
l’ammonimento sarebbe particolarmente efficace non solo nei
riguardi di Dante, che si riconosce nel peccato di superbia e si
copre il volto con le mani, ma del pittore stesso. Più in generale il monito si rivolge anche all’osservatore, affinché raccolga
l’invito «Te Deum laudamus», che Dante ode provenire «in
voce mista a suono» dalla cornice dei superbi e che il pittore Joseph Anton Koch incide sul macigno. L’inno liturgico di
lode e ringraziamento alla Trinità sottolinea qui il valore salvifico della sofferenza di tutte le anime del Purgatorio e rivela
al contempo l’autonomia del pittore nel rielaborare la materia
letteraria ai fini di una narrazione visiva eloquente. Sulla volta,
Philipp Veit subentrò a Koch nel delineare un’ordinata rappresentazione dell’Empireo e degli otto cieli del Paradiso, dove
Dante e Beatrice sono raffigurati su ogni spicchio e nell’ovato
centrale a colloquio con i beati.
Il Casino Massimo, con la sua monumentale rappresentazione pittorica dei tre maggiori poemi della letteratura italiana,
si pone come ideale meta conclusiva di questo breve percorso,
cteso ad evidenziare il ruolo nodale svolto dall’Orlando furioso, capace di appropriarsi della ricchissima tradizione classica
e medievale e di rielaborarla in modo tanto innovativo da riuscire a modificare la prospettiva dei suoi contemporanei nei
confronti della letteratura e del concetto stesso di auctoritas di
riferimento. Negli anni in cui i letterati andavano definendo il
canone dei testi di lingua italiana, necessariamente misurandosi con la presenza imponente dei modelli classici, gli artisti si muovevano su un terreno più libero, dove il confronto
con il passato ricopriva sì un ruolo essenziale, ma conviveva a
livello iconografico, compositivo e stilistico con le sfide date
dalle novità contemporanee, e proprio per questo si trovarono
a giocare un ruolo non trascurabile nell’aprire alla modernità
anche i contenuti delle proprie opere. Più flessibili nel cogliere
suggestioni da modelli contemporanei, figurativi o testuali che
fossero, le arti di fatto anticiparono le conclusioni cui i letterati
sarebbero convenuti più tardi, accogliendo l’Orlando furioso
come primo classico moderno.
Fig. 10
Joseph Anton Koch, Purgatorio («Te deum laudamus»), 1825-1826,
Roma, Casino Massimo Giustiniani

116 | Federica Caneparo

1. G. Agnelli, G. Ravegnani, Annali
delle edizioni ariostee, 2 voll., Bologna, Zanichelli, 1933.
2. In particolare negli ultimi quindici
anni numerosi studi hanno investigato questo campo di ricerca e portato
in luce nuove evidenze: M. Rossi, F.

Gioffredi Superbi (a cura di), L’arme
e gli amori. Ariosto, Tasso and Guarini in late Renaissance Florence, atti
del convegno internazionale, Firenze,
Olschki, 2004; E. Fumagalli, M. Rossi, R. Spinelli (a cura di), L’arme e gli
amori. La poesia di Ariosto, Tasso e

Guarini nell’arte fiorentina del Seicento, cat. della mostra, Livorno, Sillabe,
2001; M. Jeanneret, M. Preti (a cura di),
Imaginaire de l’Arioste, l’Arioste imaginé, cat. della mostra, Paris, Louvre
éditions – Gourcuff-Gradenigo, 2009);
L. Bolzoni, S. Pezzini, G. Rizzarelli (a
cura di), «Tra mille carte vive ancora».
Ricezione del Furioso tra immagini e
parole, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 2011;
G. Venturi (a cura di), L’uno e l’altro
Ariosto. In corte e nelle delizie, Firenze, Olschki, 2011; M. Paoli, M. Preti
(a cura di), L’Arioste et les Arts, ParisMilano, Louvre éditions – Officina
Libraria, 2012; L. Bolzoni, (a cura di),
L’Orlando furioso nello specchio delle
immagini, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2014; F. Caneparo,
«Di molte figure adornato». L’Orlando
furioso nei cicli pittorici tra Cinque e
Seicento, Milano, Officina Libraria,
2015, cui si aggiungono il catalogo della mostra prevista a Ferrara quest’anno,
G. Beltramini, A. Tura (a cura di), Orlando furioso 500 anni. Cosa vedeva
Ariosto quando chiudeva gli occhi, cat.
della mostra Ferrara, Ferrara Arte, cds,
nonché il presente catalogo.
3. A questo proposito si rimanda ad un
breve saggio complementare a questo,
che contiene anche una panoramica
degli esiti figurativi ispirati a Dante,
Petrarca e Boccaccio in opere d’arte
autonome, non fisicamente legate al testo come sono invece le illustrazioni: F.
Caneparo, Ariosto e il canone moderno:
il ruolo delle opere d’arte nel dibattito
letterario, in «Romanische Studien»,
2016 [numero monografico: 500 Jahre
Orlando furioso: geplante Beiträge,
a cura di C. Rivoletti, K, Nonnenmacher]. Un discorso a parte meriterebbero i testi cavallereschi medievali,
protagonisti di narrazioni visive su ampia scala che tuttavia si rifanno a fonti
disparate, ognuna con una limitata fortuna figurativa. Sugli esiti della letteratura cavalleresca nella pittura murale,
M.L. Meneghetti, Storie al muro. Temi
e personaggi della letteratura profana
nell’arte medievale, Torino, Einaudi,
2015, con ampia bibliografia.
4. Orlando furioso di Lodouico Ariosto nobile ferrarese ristampato, et con
molta diligenza da lui corretto […], in
Vinegia, ad instanza del prouido huomo Sisto Libbraro al Libbro, 1526.
5. F. Caneparo, Il Furioso in bianco

e nero. La prima edizione illustrata
dell’Orlando furioso pubblicata da
Nicolò Zoppino nel 1530, in «Schifanoia», 34-35, 2008 [2010], pp. 65-172.
6. Gli editori commissionarono a Ludovico Dolce una serie di paratesti:
una «apologia […] contra ai detrattori dell’Autore», una «tavola di tutto quello, che è contenuto nel libro»
e una «breve espositione dei luoghi
difficili»; A. Ricci, «Si gran volume in
piccola e manigevole forma»: Bindoni
and Pasini’s 1535 Edition of the Orlando furioso, in «Quaderni d’italianistica», xviii, 1997, pp. 183-204.
7. Il riferimento è ai dipinti realizzati dai fratelli Dossi a Ferrara negli
anni Dieci e Venti del Cinquecento: la Ninfa inseguita da un satiro di
Dosso Dossi (1516) ora alla Galleria
Palatina, verosimilmente una suggestiva interpretazione dell’episodio in
cui Angelica sfugge a Orlando pazzo
(cfr. cat. 41), la celebre Melissa della Galleria Borghese (1518 circa), la
controversa Didone o Fiordiligi (1519
circa) della Galleria Doria Pamphilj,
e la Lotta di Orlando e Rodomonte
del fratello Battista (1523 circa) oggi
al Wadsworth Atheneum di Hartford.
8. F. Cioci, Xanto e il duca di Urbino. Il servizio Pucci e il suo titolare.
Un omaggio all’Impero, in «Faenza»,
lxxxiii, 1997, pp. 205-228; Id., Xanto e il duca di Urbino. Antonio Pucci... «ma chi diavolo era costui?», in
«Faenza», xcii, 2006, pp. 47-55; si
rimanda inoltre al saggio di Gabriele
Pedullà nel presente catalogo.
9. Sui cicli pittorici «giolitini» F. Caneparo, De l’art du livre à l’art de la fresque: sur les pas de l’Arioste à travers
l’arc alpin», in L’Arioste et les Arts,
cit., pp. 156-170; Caneparo «Di molte
figure adornato cit.
10. J. Triolo, Il servizio Pucci (15322533) di Francesco Xanto Avelli, prima
parte, in «Faenza», lxxiv, 1988, pp. 3244; Ead., Francesco Xanto Avelli’s Pucci
Service (1532-1533): A Catalogue, Part
Two, in «Faenza», lxxiv, 1988, pp. 228284; A. Holcroft, Francesco Xanto
Avelli and Petrarch, in «Journal of the
Warburg and Courtauld Institutes», li,
1988, pp. 225-234; T. Wilson, Xanto and
Ariosto, in «The Burlington Magazine»,
cxxxii, 1990, pp. 321-327; G. Pedullà,
Paladini d’argilla. Ariosto sulle ceramiche, in S. Luzzatto, G. Pedullà, (a cura

di), Atlante della letteratura italiana,
3 voll., Torino, Einaudi, 2010-2012, ii,
Dalla Controriforma alla Restaurazione, a cura di E. Irace, 2011, pp. 19-30.
11. Sull’originale figura di Francesco
Xanto Avelli, F. Cioci, Xanto e il duca
di Urbino, Milano, Fabbri editori,
1987; G.B. Siviero (a cura di), Francesco Xanto Avelli da Rovigo, Rovigo, Accademia dei Concordi, 1988; e
J.V.G. Mallet, Xanto, Pottery-painter,
Poet, Man of the Italian Renaissance,
cat. della mostra, London, Wallace
Collection, 2007.
12. D. Javitch, Ariosto classico. La
canonizzazione dell’Orlando furioso [Princeton, 1991], Milano, Bruno
Mondadori, 1999.
13. M. Previto, Gli affreschi di Casa
Alessandri, in Lucano da Imola e il
Cinquecento Bergamasco, tesi di laurea, Università di Bergamo, Facoltà
di Lettere e Filosofia, a.a. 1992-1993,
(relatore V. Fortunati), p. 72; G. Moser, Palazzo Alessandri in Via Pignolo
a Bergamo, tesi di laurea, Politecnico
di Milano, Facoltà di Architettura,
a.a. 2002-2003 (relatore G. Colmuto Zanella); Id., Il Palazzo Alessandri
in Via Pignolo a Bergamo, in «Atti
dell’Ateneo di Scienze Lettere e Arti di
Bergamo», 67, 2003-2004, pp. 255-283.
Ringrazio il proprietario degli affreschi
Giorgio Moser per la sua disponibilità.
14. M.M. Boiardo, Orlando innamorato, a cura di R. Bruscagli, Torino, Einaudi, 1995: iii, ii, 46, 3-5 e iii, iii, 3, 7-8, 4.
15. M. Cerrai, Una lettura del Furioso
attraverso le immagini: l’edizione giolitina del 1542, in «Strumenti critici»,
xvi, 1, 2001, pp. 99-133.
16. N. Harris, L’avventura editoriale
dell’«Orlando innamorato», in I Libri
di «Orlando innamorato», a cura dell’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara, Modena, Panini, 1987, pp, 37-100.
17. Gli affreschi furono in seguito
staccati e sono in parte conservati alla
Galleria Estense di Modena. D. Cuoghi, «Ut pictura poësis». Versi cortesi e
figure dipinte nella Rocca di Scandiano,
in S. Béguin, F. Piccinini (a cura di),
Nicolò dell’Abate. Storie dipinte nella
pittura del Cinquecento tra Modena e
Fontainebleau, cat. della mostra, Cinisello Balsamo, Silvana, 2005, pp. 67-75.
18. Sul Palazzo del Giardino restano
fondamentali G. Godi (a cura di), La
reggia di là da l’acqua. Il giardino e il

palazzo dei duchi di Parma, Parma,
FMR, 1991, e gli studi di D. de Grazia,
in particolare Bertoja, Mirola and the
Farnese Court, Bologna, Nuova Alfa
Editoriale, 1991, con bibliografia precedente. Per un’interpretazione in chiave
neoplatonica degli affreschi ispirati ai
poemi di Boiardo e Ariosto, R. Venturelli, La corte farnesiana di Parma,
Roma, Bulzoni, 2001; per una lettura
comparata delle due sale intese come un
dittico letterario, Caneparo, «Di molte
figure adornato» cit., pp. 270-285.
19. L. Caretti, Le tre corone estensi:
Boiardo, Ariosto, Tasso, Torino, Loescher, 1974.
20. Caneparo, «Di molte figure adornato» cit., pp. 377-81; U. Bellocchi, II
Mauriziano. Gli affreschi di Niccolò
dell’Abate nel «nido» di Ludovico
Ariosto, Reggio Emilia, Aedes Muratoriana per la Cassa di Risparmio di
Reggio Emilia, 1974, pp. 161-169.
21. J. Nelson, Luca Martini, dantista,
and Pierino da Vinci’s Relief of the
Death of Count Ugolino della Gherardesca and his Sons, in M. Cianchi
(a cura di), Pierino da Vinci, atti della
giornata di studio, Firenze, Becocci,
1995, pp. 39-46.
22. F. Caneparo, Tra palazzi e ville,
torri e grotte: affreschi cinquecenteschi, in L. Bolzoni (a cura di), L’Orlando furioso attraverso lo specchio
cit., pp. 345-394.
23. Come è noto, alcuni personaggi
furono pesantemente ritoccati e persino cancellati per volere di Cristina
di Sassonia, entrata in possesso del
casino dopo la morte di Carlo Massimo. Fu eliminato ad esempio il gruppo di Paolo e Francesca (chiaramente
visibile nell’acquerello preparatorio
conservato al Museum Boijmans Van
Beuningen di Rotterdam) che faceva
da contraltare alla discesa di di Dante
e Virgilio a cavallo di Gerione; cfr. K.
Gerstenberg, P.O. Rave, Die Wandgemälde der deutschen Romantiker
im Casino Massimo zu Rom, Berlin,
Deutscher Verein für Kunstwissenschaft, 1934; K. Andrews, Le pitture
dei Nazareni di Villa Massimo, Roma,
Istituto di Studi romani, 1968; G. Piantoni, S. Susinno (a cura di), I Nazareni
a Roma, cat. della mostra, Roma, De
Luca, 1981; M. Minati, Il Casino Giustiniani Massimo al Laterano, Milano,
Edizioni Terra Santa, 2014.

«Dove incomincian l’istorie» | 117

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MOSTRA
I VOLI DELL’ARIOSTO
L’ORLANDO FURIOSO E LE ARTI
Tivoli, Villa d’Este,
15 giugno – 30 ottobre 2016

I VOLI DELL’ARIOSTO
L’Orlando furioso e le arti
a cura di Marina Cogotti, Vincenzo Farinella e Monica Preti

N

I voli

Ariosto

dell’

336 pp., brossura, 22 5 24 cm
103 tavv. e 143 figg. a colori
35,00 €
isbn: 978-88-99765-05-7

Sommario
L. Bolzoni, Prefazione
M. Cogotti, V. Farinella, M. Preti, Introduzione.
Motivi e percorso della mostra
M. Dorigatti, Ludovico Ariosto e il suo tempo, da
Alfonso I a Carlo V
M. Menegatti, Ippolito I d’Este, dedicatario della
prima edizione del Furioso
V. Farinella, Su Ludovico Ariosto e le arti:
premesse figurative al Furioso 1516
M. Folin, Ariosto architetto
G. Pedullà, Paladini d’argilla. Il Furioso sulle
maioliche istoriate e la sfida figurativa di
Ariosto
M. Cogotti, I giardini del Furioso
F. Caneparo, «Dove incomincian l’ istorie»:
l’ Orlando furioso, le arti e la definizione del
canone letterario
M. Preti, La lacrima di Alfieri. Ariosto e i patrioti
S. Jossa, Il volo dell’ ippogrifo
G. Venturi, Rappresentare il Furioso. Sanguineti
e Ronconi, 1969: frantumazione – unità –
simultaneità
Catalogo delle opere
C. Longhi, Le rotte lunari. L’ Orlando furioso di
Sanguineti e Ronconi attraverso l’obiettivo
fotografico di Ugo Mulas
M. Vallora, Intervista a Pier Luigi Pizzi

ella Villa d’Este a Tivoli si terrà una grande mostra, accompagnata da un
importante catalogo, per celebrare il cinquecentesimo anniversario della
pubblicazione della prima edizione (1516) dell’Orlando furioso.
L’Ariosto è sempre stato considerato un vero e proprio «poeta-pittore», capace
di dipingere «le armi e gli amori» con penna e inchiostro: già nel 1557 Ludovico Dolce ne parlava come di un «poeta che colorisce, et in questo suo colorire
dimostra essere un Titiano». E in effetti lungo i secoli moltissimi artisti si sono
ispirati alle narrazioni ariostesche, ma anche l’Ariosto si era nutrito di suggestioni visive attingendo a moltissime fonti.
Le opere convocate a Villa d’Este per documentare l’enorme fortuna figurativa
del poema attingono alle tipologie più varie: dipinti, sculture, ceramiche, incisioni, disegni, medaglie, libri illustrati, documenti, fotografie, oggetti di scena, e
coprono un arco cronologico che va dal Cinquecento al Novecento (il Furioso di
Luca Ronconi documentato dalle foto di scena inedite di Ugo Mulas), passando
per il Sette e Ottocento italiano e francese (splendide le opere di Fragonard e Ingres). Non manca una sezione dedicata ai ritratti dell’Ariosto, reali e immaginari.

Marina Cogotti è la direttrice di Villa d’Este a Tivoli, di cui, dal 2007, promuove un’intensa attività di valorizzazione. Architetto del Mi.BACT, autore di numerosi restauri su immobili e complessi monumentali, si è occupata
in particolare di complessi architettonici e giardini storici, con responsabilità diretta sulla conservazione, tutela
e valorizzazione delle ville tuscolane. Tra le sue diverse pubblicazioni ricordiamo la monografia Ippolito II d’Este. Cardinale principe mecenate (Roma, 2013).
Vincenzo Farinella è professore di Storia dell’arte moderna all’Università di Pisa. Ha studiato l’arte italiana
del Rinascimento nei suoi rapporti con l’antichità classica, occupandosi inoltre di pittura dell’Ottocento e del
primo Novecento. Tra le sue ultime pubblicazioni, Dipingere farfalle. Giove, Mercurio e la Virtù di Dosso Dossi
(Firenze 2007) e Alfonso I d’Este. Le immagini e il potere (Milano 2015); ha curato di recente varie mostre,
tra cui Virgilio. Volti ed immagini del poeta (Mantova 2011-2012) e Dosso Dossi. Rinascimenti eccentrici al
Castello del Buonconsiglio (Trento 2014).
Monica Preti è responsabile della programmazione
di Storia dell’arte e Archeologia presso l’auditorium
del Museo del Louvre. Si è
occupata di storia del collezionismo e degli scambi
fra i diversi ambiti artistici.
È autrice e curatrice di numerose pubblicazioni tra le
quali ricordiamo L’Arioste
et les arts (curato con M.
Paoli; Parigi-Milano 2011)
e il recentissimo Wounded
Cities: The Representation
of Urban Disasters in European Art (14th- 20th Centuries) (curato con M. Folin;
Boston-Leiden 2015).

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MOSTRA
I VOLI DELL’ARIOSTO
L’ORLANDO FURIOSO E LE ARTI
Tivoli, Villa d’Este,
15 giugno – 30 ottobre 2016

DAL CATALOGO DI OFFICINA LIBRARIA
Federica Caneparo

Vincenzo Farinella

DI MOLTE FIGURE ADORNATO
L’Orlando furioso nei cicli pittorici
tra Cinque e Seicento

ALFONSO I D’ESTE.
LE IMMAGINI E IL POTERE
Da Ercole de’ Roberti a Michelangelo

480 pp., brossura
17 x 24 cm,
248 figg. a colori e bn
ISBN 978-88-97737-33-9
39,00 €

«Vicenda appassionante quella narrata [...]
in questo importante lavoro, tanto da leggere
per i numerosi affondi saggistici che da consultare come atlante» L’Indice dei libri del mese

1056 pp., cartonato
17 x 24 cm,
319 figg. a colori e bn
ISBN 978-88-89854-33-4
65,00 €

«Lo straoridinario volume [...] riassume quasi
15 anni di ricerche [...] per la prima volta
viene ricostruita analiticamente la figura di
questo mecenate» La Repubblica

L’ARIOSTE
ET LES ARTS
a cura di Michel Paoli
e Monica Preti

336 pp., cartonato
21 x 26,5 cm,
200 figg. a colori
ISBN 978-88-89854-68-6
48,00 €
lingua francese

«Bellezza della copertina, eleganza dell’impaginazione, numero delle illustrazioni – spesso
di grande qualità – tutto fa venir voglia di
aprire questo libro» La quinzaine littéraire