O. Selvafolta Testi manuali disegni per

Testi, manuali, disegni per l’insegnamento dell’Architettura pratica
al Politecnico di Milano nella seconda metà dell’Ottocento:
il ruolo di Archimede Sacchi
Ornella Selvafolta

Fondato nel 1863 con una sezione di Ingegneria civile e una sezione di Ingegneria industriale, il Politecnico di Milano ampliava dopo due anni la propria offerta formativa aggiungendo una sezione di Architettura civile. L’iniziativa colmava una lacuna nel complessivo disegno culturale della scuola che, fin
dalle origini, aveva mirato ad accentrare la didattica e a esercitare il controllo sulle professioni del progetto nelle diverse specializzazioni tecniche e artistiche.1 Nello stesso tempo l’iniziativa era il sintomo di
come l’esercizio dell’architettura fosse aperto a interessanti prospettive in un periodo segnato, come ben
sappiamo, da grandi interventi territoriali, dai processi di ampliamento delle città, da rilevanti innovazioni nel campo dei materiali e dei sistemi costruttivi.2
A tali ambiti si addiceva una preparazione che andasse oltre le competenze tradizionali maturate nelle accademie di Belle arti e impostate sulla composizione e l’ornato, e fosse invece in grado di rispondere alle diverse istanze di modernizzazione che avevano investito il sapere e, in particolare, il progetto e il
prodotto edilizio. Il tutto era indice dell’interesse crescente che questo settore disciplinare andava assumendo nell’istituto milanese, così da coinvolgere non soltanto la sezione specifica di architettura, ma
anche quelle di ingegneria dove si assiste a una progressiva immissione di corsi inerenti la progettazione
di edifici.
È il caso dell’insegnamento di Architettura pratica, istituito nell’anno accademico 1867-68,3 dapprima nel triennio specialistico di Ingegneria civile, successivamente esteso, con qualche variante, anche alle altre sezioni: un corso trasversale, quindi, ai diversi sbocchi professionali, che intendeva istruire gli

Sulla storia istituzionale del Politecnico di Milano (in origine Regio Istituto Tecnico Superiore) esistono numerosi contributi, tra cui: FERDINANDO LORI, Storia del R. Politecnico di Milano, Milano, Tip. Antonio Cordani, 1941; Il Politecnico di
Milano (1863-1914). Una scuola nella formazione della società industriale, a cura di GIOVANNI STRACCA, Milano, Electa, 1981;
Il Politecnico di Milano nella storia italiana (1914-1963), Milano-Bari, Cariplo-Laterza, 1989, 2 vol. Per l’ordinamento degli
studi cfr. ORNELLA SELVAFOLTA, Una scuola per il progetto. La formazione tecnico-scientifica al Politecnico di Milano, in Milano
scientifica 1875-1924, I, La rete del grande Politecnico, a cura di ELENA CANADELLI, Milano, Sironi, 2008, p. 49-71. Per approfondimenti specifici si veda da ultimo la sezione Studi “Il Politecnico di Milano”, a cura di ANDREA SILVESTRI, «Annali di
storia delle Università italiane», 12 (2008).

2 Cfr. su questi temi: PAOLO MORACHIELLO, Ingegneri e territorio nell’età della destra, 1860-1875. Dal Canale Cavour all’Agro Romano, Roma, Officina, 1976; con maggiore attenzione all’architettura cfr. VINCENZO FONTANA, Il nuovo paesaggio dell’Italia giolittiana, Bari, Laterza, 1981.
3 Effemeridi 1867-1868, in Regio Istituto Tecnico Superiore di Milano [RITSM], Programma 1868-1869, Milano, RITSM,
1868, p. 25-26: in quest’anno accademico il corso non ha ancora assunto la denominazione ufficiale di Architettura pratica ed
è citato come «Scuola di disegno architettonico».
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Fig. 1 – Ritratto di Archimede Sacchi (1837-1886).
Da «Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere Architetto Civile
e Industriale», vol. 19, 1886.

studenti sui metodi e le pratiche del progetto, da interpretare non tanto come esercizio del bel comporre, quanto come esercizio del comporre bene e in modo efficiente. Un corso che, a parere di Luca Beltrami, non riguardava «solo l’equilibrio e la simmetria delle masse, ma altresì le minute particolarità edilizie che soddisfano le esigenze sociali […], accoppiando alle leggi di proporzioni l’accorta scelta ed applicazione dei materiali, per arrivare così, con metodo ed ordine, a fondere in un solo studio la logica del
comporre colla pratica del costruire».4
Si trattava cioè di un insegnamento perfettamente in linea con gli orientamenti del Politecnico che trasferiva all’architettura quell’impegno pragmatico-applicativo già assegnato alla scienza, auspicando un progetto capace di coniugare le ragioni dell’arte con quelle dell’utile, le facoltà dell’invenzione con la padronanza dell’esecuzione: in ultima analisi, di commisurarsi ad una concreta operatività. «Uno splendido corso» che «le scuole di ingegneria del regno ci invidiano» – affermerà in anni successivi Giuseppe Colombo
– dove «la teoria e l’applicazione si fondevano con mirabile armonia, e in cui l’allievo senza uscire dalla scuola, si trovava alle prese colle difficoltà che la pratica presenta e veniva condotto per gradi a risolverle».5
Suo ideatore e principale professore fu per un ventennio Archimede Sacchi, laureato in Ingegneria all’Università di Pavia, tra i fondatori (con Francesco Brioschi e Giuseppe Colombo) del Politecnico di Mila4 LUCA BELTRAMI, Commemorazione della vita e delle opere di Archimede Sacchi. Lettura fatta al Collegio degli Ingegneri ed
Architetti nell’adunanza 12 dicembre 1886, «Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere Architetto Civile e Industriale», vol. 19, fasc.

1-2, febbraio 1887, p. 47. Per Luca Beltrami (1854-1933), figura di primo piano dell’architettura e della cultura del restauro
tra Otto e Novecento, laureato in Architettura civile al Politecnico di Milano dove, per breve periodo, insegnò Architettura
pratica, cfr. Luca Beltrami architetto. Milano tra Ottocento e Novecento, a cura di LUCIANA BALDRIGHI, Milano, Electa, 1997 e,
in particolare, il saggio di AMEDEO BELLINI, Luca Beltrami architetto restauratore, p. 92-139.
5 GIUSEPPE COLOMBO, Archimede Sacchi, in RITSM, Programma 1886-1887, Milano, RITSM, 1886, p. 70. Per la figura
di Colombo (1836-1921) cfr. Giuseppe Colombo. Industria e politica nella storia d’Italia: scritti scelti, 1861-1916, a cura di CARLO G. LACAITA, Milano-Roma, Cariplo-Laterza, 1985.

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no, scomparso prematuramente, nel 1886, all’età di 49 anni, ma con una perdurante influenza sulla didattica, sinceramente rimpianto e apprezzato dai suoi colleghi. Basta leggere gli scritti in memoria per capire che
non si tratta di testi di maniera e formule di rito, bensì di interventi partecipi e informati, alcuni come quello di Luca Beltrami, preparati dopo un attento studio della sua opera di insegnante e di professionista.6
Interessante, anche ai fini della futura impostazione didattica di Archimede Sacchi, è il modo in cui
tali contributi ricordano la figura del padre Luigi, artista e pioniere della fotografia sulla scena milanese
e lombarda, inventore di particolari procedimenti di stampa e in costante «peregrinazione fotografica»
tra le principali architetture e i monumenti «dell’Italia intera».7 Da lui Archimede ereditò un «amore intenso all’architettura che ebbe un passato così splendido nel nostro paese», con lui «girò la penisola in
pellegrinaggio artistico ed ebbe ad erudirsi profondamente», mentre addestrava la mente alla ricerca dei
soggetti e allenava lo sguardo a cogliere le peculiarità e i dettagli degli edifici.8 «È facile immaginare» come il giovane Archimede si esercitasse a «comprendere perché questo o quel frammento architettonico
meritasse di essere riprodotto» o perché scegliere un determinato punto di vista […]»: in altri termini «è

facile immaginare» come il lavoro sul campo e il confronto diretto con le fabbriche stimolassero una percezione dell’architettura «scevra di ogni concetto scolastico», inducendo ad «abbracciare le questioni edilizie nel loro completo aspetto, sia dal lato estetico che dal lato costruttivo».9
Tornando tuttavia all’Architettura pratica insegnata al Politecnico: le Effemeridi, che per diverse decine di anni accompagnano i programmi a stampa dell’istituto, le dedicavano ampio spazio nel 1868-69,
quando, dopo solo un anno dall’avviamento, il corso aveva già trovato un’organizzazione che rimarrà sostanzialmente invariata, articolandosi in una parte di «esercitazione grafica continua», cioè di disegni e
progetti, e in una di «conferenze», cioè di lezioni ex cathedra: «due rami» coordinati tra loro ed in sussidio reciproco «in modo che riescano ad un unico fine», a loro volta perfettamente congruenti con l’impianto metodologico dell’insegnamento politecnico.10
«Esercitazione grafica continua»: il disegno è disciplina inseparabile da ogni percorso formativo indirizzato al progetto e, come tale, è materia caratterizzante del Politecnico nei diversi ambiti di studio e nelle diverse modulazioni di: rilievo dal vero e disegno architettonico, di schizzi e disegno quotato, di disegno d’ornato e disegno tecnico-strutturale. Per Sacchi è sì il tramite espressivo per eccellenza del progettista, la sua «langue universelle»,11 ma è anche metodo di studio, procedimento di analisi, occasione di apprendimento, invenzione, elaborazione e traduzione concreta dell’idea. L’«esercitazione» che egli propugnava non mirava tanto a fissare gli effetti dell’arte, quanto a rappresentare un processo, così da costituirsi come un fondamentale momento di conoscenza dell’architettura nelle sue multiformi sfaccettature, diSi vedano soprattutto: GIUSEPPE COLOMBO, Archimede Sacchi. Lo stesso brano sotto il titolo generale In morte dell’ing.
Professore Cav. Archimede Sacchi, è pubblicato sulla rivista «Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere Architetto Civile Industriale», XVIII, fasc. 10-11 (novembre 1886), p. 574-576, insieme al discorso pronunciato da CELESTE CLERICETTI al Cimitero Monumentale di Milano (23 luglio 1886), p. 576-577; cfr. inoltre: LUCA BELTRAMI, Commemorazione della vita.
7 Cfr. Alle origini della fotografia: Luigi Sacchi lucigrafo a Milano, 1805-1861, a cura di MARINA MIRAGLIA, Roma, Motta,
1996; Luigi Sacchi. Un artista dell’Ottocento nell’Europa dei fotografi. Le fotografie della Raccolta Parenti nella biblioteca di storia e
cultura del Piemonte, a cura di ROBERTO CASSANELLI, Torino, Provincia di Torino, 1998; ROBERTO CASSANELLI, Luigi Sacchi e
le origini della fotografia d’architettura in Italia, in La cultura architettonica nell’età della restaurazione, a cura di GIULIANA RICCI,
Milano, Mimesis, 2002, p. 385-394; le espressioni citate sono di Giuseppe Mongeri (nel 1852), tratte da CASSANELLI, p. 389.
8 CELESTE CLERICETTI, In morte dell’ing. Professore Cav. Archimede Sacchi, p. 586.
9 LUCA BELTRAMI, Commemorazione della vita, p. 46-47.
10 Effemeridi 1868-1869, in RITSM, Programma 1869-1870, Milano, RITSM, 1869, p. 25-33.
11 Espressione nel testo del famoso corso di disegno: ARMENGAUD aîné, ARMENGAUD jeune, avec AMOUROUX, Nouveau cours
raisonné de dessin industriel appliqué principalement à la mécanique et à l’architecture, Paris, Librairie Scientifique-Industrielle,
1848, Préface, s.n.p.
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Fig. 2 – Dettagli costruttivi della copertura a shed di un edificio industriale. Disegno dell’allievo ingegnere L. Castellazzi, 23 giugno 1909. Raccolta di disegni originali: Costruzioni industriali, a.a. 1909-1910, Biblioteca Centrale di Ingegneria del Politecnico di Milano.

ventando una sorta di ‘simulazione’ della futura vita professionale, come se che il foglio dovesse «passare
nelle mani del costruttore» e illuminarlo su ogni componente e circostanza della loro messa in opera.12
Fin dalle loro origini settecentesche questa impostazione aveva del resto caratterizzato le scuole di Ingegneria moderna dove il disegno quale «le plus intelligent intérmediaire entre la pensée et l’exécution»,13
12 Si legge ad esempio nelle Effemeridi 1868-1869: «Nella scuola di disegno […] uno o due progetti di architettura […]
devono essere sviluppati da ciascheduno degli allievi in maniera completa come se in seguito dovessero essere eseguiti; […] per
cui gli allievi incominciano effettivamente in questa scuola il primo tentativo dell’esercizio della professione, fanno le prime
prove dell’esperienza sulle cose di architettura.[…]» (p. 25). Fu stabilita «l’importanza, per esempio, di inscrivere tutte le misure nei disegni uniti ai contratti, di completare il progetto aggiungendo ai disegni una descrizione precisa corredata di schizzi in iscala [sic] ove occorra, di non confondere le prescrizioni tecniche colle convenzioni […] furono eseguiti dagli allievi, con
molta precisione, disegni nei quali era indicato ogni accessorio della costruzione» (p. 31). Per considerazioni sul disegno, specialmente in rapporto al progetto di edifici industriali, cfr. ORNELLA SELVAFOLTA, Il progetto d’industria e la «fatica del calcolo».
Disegni del Politecnico di Milano, in I disegni d’archivio negli studi di storia dell’architettura, Atti del Convegno, Napoli, Electa,
1994, p. 209-212; da ultimo, cfr. ADELE BURATTI MAZZOTTA, Cultura del progetto e didattica della rappresentazione al Politecnico di Milano tra Ottocento e Novecento, «Annali di storia delle università italiane», 12 (2008), p. 147-169.
13 ARMENGAUD aîné, ARMENGAUD jeune, avec AMOUROUX, Nouveau cours raisonné, Préface, s.n.p. Sul disegno nelle scuo-

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era sempre stato considerato veicolo di una scrittura chiara e precisa, capace di sottrarre la misura all’opinione, di anticipare sviluppi e risultati, di dialogare con il mondo della produzione e con gli operatori dell’arte edilizia. Le stesse finalità erano quindi perseguite nelle «esercitazioni grafiche» che scandivano le ore di Architettura pratica e che conducevano gli allievi al progetto spesso tramite elaborati di notevole qualità grafica: lo dimostrano alcune tavole di studenti risalenti al periodo tra il 1880 e il 1910,
rilegate in grandi volumi e da intendersi, forse, come modelli per gli allievi, dove, «ogni accessorio della
costruzione» è rappresentato con ricchezza e esattezza di dettagli, a garanzia di una realizzazione conforme, frutto di un dialogo proficuo tra progettista ed esecutore.14
Le conferenze di Architettura pratica vertevano sulle «importanti questioni le quali costituiscono come l’economia dell’architettura», nelle quali rientravano sia gli aspetti progettuali, le caratteristiche strutturali, la tecnologia degli impianti e dei materiali, sia l’organizzazione del lavoro durante il cantiere, i sussidi meccanici e la quantificazione delle loro prestazioni, le stime preventive, i contratti di appalto, i capitolati di onere, la redazione del giornale dei lavori, la produttività della manodopera.15 L’attenzione era
quindi rivolta a un cantiere mirato all’efficienza prospettando, in un settore ancora artigianale e basato
sulle pratiche tradizionali dei mestieri, rendimenti razionali e ottimizzati che, in alcuni punti, sembrano
preconizzare tempi e metodi dell’organizzazione scientifica del lavoro.16
La padronanza grafica proveniente dagli esercizi di disegno, le conoscenze acquisite dalle conferenze
confluivano poi nel progetto di edifici scelti tra una campionatura ‘realistica’ rispetto ai futuri sbocchi
professionali, che abbandonava le ambizioni artistiche e le tipologie monumentali a favore di architetture diffuse. Non a caso, campo obbligato di studio per tutti gli studenti era quello dell’edilizia residenziale nelle varie declinazioni delle «case d’affitto e signorili, essendo queste composizioni ordinarie e piene di particolarità esclusive oltre quelle comuni»: vale a dire essendo un campo ricco di opportunità, in
cui tenere conto sia delle generalità del progetto, sia delle specificità funzionali e delle individualità delle aspettative.
Scuole, asili, ospizi, ospitali, fontane, macelli, mercati, lavatoi, ed alcuni esempi di architetture industriali erano le altre tipologie contemplate: edifici definiti da Sacchi «modesti ma necessari, di piccole proporzioni ma di grande interesse» e passibili di significativi «miglioramenti». Edifici, funzioni e servizi richiesti dalla maggior parte delle città italiane, anche di medie e piccole dimensioni e che, di conseguen-

le di ingegneria in rapporto alla manualistica, cfr. anche il mio, “Le dessin bien entendu” e il progetto ben congegnato. Considerazioni dalla letteratura tecnica del XIX secolo, in Rappresentazione dell’architettura e dell’ambiente: principi costitutivi del progetto tra artificio e natura, I, Rappresentazione dell’architettura: forma, geometria e tipologia, Milano, Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, 1997, p. 119-128.
14
I disegni sono conservati alla Biblioteca Centrale di Ingegneria del Politecnico di Milano, rilegati in volumi: un volume
per l’anno 1880 col titolo Sezione ingegneria industriale. III corso; tre volumi per gli anni 1909-1910 col titolo Costruzioni industriali; cfr. ORNELLA SELVAFOLTA, Il progetto d’industria e la «fatica del calcolo».
15 Effemeridi 1868-1869, p. 26-31.
16 Cfr. Ivi, p. 29: Nel corso delle conferenze si fece «una rassegna dei diversi metodi seguiti nella pratica costruzione di ogni

parte di un edifizio [sic], e si andarono di mano in mano a raccogliere ed ordinare gli elementi necessarii [sic] per la estimazione delle spese di costruzione. Fu indispensabile, per esempio, parlare a proposito delle fondazioni, delle manovre delle macchine per palificare, distinguere i diversi lavori, dedurre dalla esperienza valori di tempii [sic] medi di mano d’opera, e poi indicare e le composizioni delle malte, dei calcestruzzi colle relative dosi dei diversi materiali impiegati in essi, e le macchine colla produzione di lavoro, e la lavoratura delle pietre, e via via ordinatamente trattare della posizione in opera di ogni cosa dalle fondamenta al tetto [...]. Escluse le considerazioni teoriche che costituiscono un ramo della scienza delle costruzioni [...], fu
rivolta principalmente l’attenzione agli insegnamenti derivati dalla esperienza, si cercò di fornire [...] tutte le norme tecniche
utili nella pratica direzione dei lavori di costruzione e si fecero conoscere le industrie che hanno una relazione con l’arte del
costruttore».

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Fig. 3 – Composizione di illustrazioni tratte da Archimede Sacchi, Le abitazioni. Alberghi, case operaie, fabbriche rurali,
case civili, palazzi e ville, Milano, Hoepli, 1874.

za, aprivano un vasto campo di intervento dove i politecnici potevano dimostrare la loro competenza e affidabilità attraverso soluzioni contraddistinte da «un giudizioso impiego dei materiali, da una ragionata
disposizione delle parti, da un prudente equilibrio delle spese in relazione allo scopo dell’opera».17
L’utilità dell’insegnamento, la continuità con cui venne impartito, il numero crescente di allievi, la sua
novità nel panorama didattico italiano, richiesero da parte del docente la preparazione di un volume di
testo che andò oltre il consumo nelle aule scolastiche per diventare parte del bagaglio culturale e della strumentazione professionale di molte generazioni di ingegneri e architetti. È significativo che, tra gli argomenti trattati nel corso, Sacchi scegliesse di affrontare quello della residenza, considerata in un’ampia gamma tipologica e nelle diverse gradazioni di reddito; nel 1874 pubblicò infatti Le abitazioni. Alberghi, case operaie, fabbriche rurali, case civili, palazzi e ville: un volume di più di 700 pagine, corredato da circa
300 illustrazioni, frutto di un lungo e assiduo lavoro, nato dal proposito di fondere composizione e co17 Ivi, p. 32-33: «L’attività con cui vennero intraprese le costruzioni nelle cospicue città deve propagarsi anche in quei Comuni le cui amministrazioni pei rivolgimenti delle relazioni commerciali, per le nuove vie, pel progresso industriale, dovranno preoccuparsi dei bisogni cambiati, nuovi e sempre crescenti. Le condizioni adunque dell’architettura moderna devono modificarsi, ed accanto all’architettura diremo artistica si avrà quella dei piccoli edifizi [sic] pubblici, delle scuole, degli asili, degli ospizi, degli ospitali, delle fontane, dei macelli, dei mercati, dei lavatoi. Opere modeste ma necessarie, di piccole proporzioni ma di grande interesse e miglioramento. Compito degli ingegneri è di concorrere colla loro coltura a rendere efficace questo miglioramento, col redigere progetti nei quali si dimostri un giudizioso impiego dei materiali, una ragionata disposizione
delle parti, un prudente equilibrio delle spese in relazione dello scopo dell’opera».


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struzione, i principi con le evenienze del fabbricare, i concetti estetici e scolastici «colle minute particolarità che la pratica del costruire suggerisce».18
Ne sortì, scrivevano i contemporanei, un «risultato inatteso», nuovo per metodo e fini, fittissimo di
argomenti, non facile per contenuti e organizzazione, perché non poteva fare riferimento alle certezze della scienza e, soprattutto, alla sua limpida catena di «logiche conseguenze». Lo rilevava ancora una volta
Luca Beltrami in un bel passaggio che merita una citazione: «Nelle materie puramente scientifiche ogni
passo non è che la conseguenza logica, immediata della dimostrazione precedente: l’ordine delle varie parti è dettato, anzi imposto, dallo stesso sviluppo metodico della materia, formando un filo continuo che
costituisce la traccia precisa, evidente dell’insegnamento: al contrario nell’argomento trattato da Sacchi
con tanta indipendenza da ogni vecchio sistema, era assai difficile il mantenere un nesso, un filo d’assieme:
le varie parti dell’insegnamento non hanno quella dipendenza reciproca che imponga un prestabilito ordine nello svolgimento, nessuna ha quella prevalenza che possa costituire un punto di partenza, un cardine per lo sviluppo delle altre, cosicché riesce arduo il tenere in evidenza all’allievo la linea fondamentale, la traccia dell’insegnamento».19
Nonostante tali difficoltà e nonostante l’indice sovrabbondante, il volume ebbe il merito di sistematizzare per la prima volta in Italia il vasto campo di conoscenze necessarie al progetto di abitazione e incontrò notevole fortuna anche dal punto di vista editoriale. Pubblicato a Milano da Ulrico Hoepli, ebbe infatti altre due edizioni riviste e ampliate entro il 1886, segnalandosi, osservava Giuseppe Colombo
come un’«opera magistrale», tra le più «originali» in materia di architettura, segnata da un successo che
«superò le previsioni dell’autore», compensandolo delle sue lunghe fatiche.20 A Le abitazioni spettò inol-

18 Cfr. ARCHIMEDE SACCHI, Le abitazioni. Alberghi, case operaie, fabbriche rurali, case civili, palazzi e ville, Milano, Hoepli,
1874. Per il nesso con le osservazioni successive si riporta l’indice del volume nella sua suddivisione in parti e capitoli, tralasciando i numerosi paragrafi: I FORMA DEGLI EDIFICI DI ABITAZIONE: 1 Corpi di fabbrica. 2 Distribuzione dei muri maestri e
dei corpi di fabbrica. 3 Altezze dei piani, 4 Spessezza dei muri. 5 Proporzioni dei fabbricati. 6 L’insieme delle piante. II SPECIE DIFFERENTI DI EDIFIZI [sic]. 7 Principi fondamentali di distribuzione. 8 Situazione ed impianto degli edifizi [sic]. 9 Distribuzione generale degli alberghi. 10 Distribuzione generale delle case operaie. 11 Distribuzione generale delle case rustiche.
12 Distribuzione generale delle case civili. 13 Distribuzione generale di ville e palazzi. III DIPARTIMENTO DEI PASSAGGI E DEL

COMMERCIO. 14 Principi di distribuzione dei passaggi. 15 Androne, Atrio, Porteria [sic] e Cortili. 16 Conformazione delle scale e loro specie. 17 Distribuzione degli scalini nella pianta. 18 Particolari distributivi degli scalini nelle scale curve. 19 Costruttura [sic] delle scale di legno e di metallo. 20 Costruttura [sic] delle scale di pietra. 21 Particolari di costruzione e finimento
di scale. 22 Piano mobile o lift. 23 Anticamere, corridoi e gallerie. 24 Dipartimento pel commercio. IV DIPARTIMENTO RUSTICO. 25 Stalle. 26 Bovili e stalle per le vaccine. 27 Ovili. 28 Porcili. 29 Abbeveratoio e guazzatoio. 30 Fenile [sic] e stanzone della paglia. 31 Letamaia. 32 Rimesse, portici e piccolo rustico. 33 Cortile rustico. V DIPARTIMENTO DEI PADRONI. 34 Requisiti generali delle stanze per ricevere. 35 Stanze per ricevere. 36 Ballatoi, terrazzini, terrazze e logge. 37 Serre. 38 Camere
da letto. 39 Bagno. VI DIPARTIMENTO DEI SERVI. 40 Principali distinzioni e stanze di abitazione. 41 Particolarità delle cucine.
42 Forni. 43 Ordinamento delle cucine. 44 Ordinamento delle panetterie. 45 Acquaio. 46 Lavanderia. 47 Bigattaie. 48 Tinaio. 49 Latteria. 50 Aie. 51 Dispense. Caciaie e granai. 52 Legnaie. 53 Bottaio, celliere e cantine. 54 Ghiacciaie. 55 Cisterne. 56 Pozzi. VII FOGNATURA E CONDOTTE. 57 Latrine o ritirate. 58 Cloache e pozzi neri. 59 Fognatura generale. 60 Tubi di
condotta. 61 Trombe, chiavi, conserve e purgatoi. 62 Assetto delle piccole condotte. VIII ACCESSORI DI FINIMENTO. 63 Cammini [sic]. 64 Stufe e caloriferi. 65 Assetto generale degli apparati di riscaldamento. 66 Ventilazione. 67 Distribuzione del gaz.
68 Tubi e apparati pel gas. 69 Apparati avvisanti e chiamativi.
19 LUCA BELTRAMI, Commemorazione della vita, p. 48.
20 GIUSEPPE COLOMBO, Archimede Sacchi, p. 70: «Le abitazioni costituiscono una delle opere più originali che l’ingegno
umano abbia prodotto in materia di architettura; e oso dire che se per tutte le scienze applicate esistessero dei libri ispirati a
un così giusto concetto della pratica, la letteratura speciale dell’ingegnere, così abbondante di opere scolastiche, vacue, copiate le une dalle altre, non avrebbe più nulla da desiderare. Malgrado una forma alquanto inviluppata e prolissa il successo dell’opera fu assai grande: certo superò le previsioni dell’autore e lo compensò delle notti vegliate su questa vasta tela, che egli aveva lentamente ordita per così lungo tempo, scarificandole gli anni più belli della sua vita». Per le altre edizioni del volume cfr.
Le abitazioni: alberghi, case operaie, fabbriche rurali, case civili, palazzi e ville. Ricordi compendiati da Archimede Sacchi, ed. ri-

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tre il privilegio di inaugurare la collana «Biblioteca tecnica»: quel nuovo e proficuo filone di pubblicazioni che connoterà, forse più di altri, l’attività di Hoepli, nato dall’incontro e dalla collaborazione con
i professori del Politecnico, all’origine di un intreccio virtuoso tra editoria e università che, da Sacchi in
poi, si svolse con continuità e con risultati molto concreti.
Lo testimonia il fatto che nel 1875, l’anno successivo a Le abitazioni, su 20 nuovi titoli pubblicati, la

metà apparteneva all’indirizzo tecnico-scientifico, poi straordinariamente potenziato dall’uscita, nel 1877,
del Manuale dell’Ingegnere di Giuseppe Colombo, riproposto con lo stesso titolo per almeno 84 edizioni, fino al 2003: un fenomeno editoriale di grande rilievo e significato che associava due nomi simbolo
delle cultura dell’epoca, «quello di Colombo, la figura di maggior spicco nella Milano industriale e quello di Hoepli, l’editore che più di tutti avrebbe fornito a quella stessa Milano e a quanti in Italia intendevano cimentarsi con le nuove tecnologie, testi e materiali sui quali studiare, specializzarsi, svolgere la
professione»21.
Per quanto riguarda il volume di Sacchi, la scelta dell’argomento «abitazioni», oltre ad offrire le già
segnalate opportunità di progetto, è indice della sua importanza nella cultura dell’epoca, testimoniato dal
proliferare di una letteratura variamente specialistica da cui il tema-casa emergeva come nodo centrale
di riflessione: per la presenza immanente nella storia umana, per essere espressione di necessità, ma anche prodotto dell’arte e della tecnica, per rivelare attitudini e comportamenti, per rispecchiare le strategie dell’organizzazione sociale, per stimolare il confronto tra modernità e tradizione.22 Secondo Camillo Boito, professore di Architettura al Politecnico, l’abitazione era il «contenente, per così dire, del mondo architettonico» e rappresentava «il monumento essenziale» della società, il paradigma in base a cui si
poteva misurare il grado di «incivilimento» e di «progresso».23
Fu tuttavia Archimede Sacchi a dare concretezza a tali osservazioni dedicando il suo spesso tomo ai
diversi modi di abitare, consapevole sia della ricchezza di implicazioni culturali che essi presupponevano, sia delle moltiplicate opportunità professionali che offrivano ai progettisti politecnici, in rapporto ai
fenomeni di crescita urbana, all’affacciarsi sul mercato di nuovi soggetti sociali, al diversificarsi dei bisoformata, aumentata e con un trattato sui giardini, Milano, Hoepli, 18782, 2 vol.; Le abitazioni: alberghi, case operaie, fabbriche rurali, case civili, palazzi e ville: ricordi / compendiati da Archimede Sacchi, ed. riformata, aumentata, Milano, Hoepli, 1886.
21 Ulrico Hoepli 1847-1935, editore e libraio, a cura di ENRICO DECLEVA, Milano, Hoepli, 2001, p. 24, cfr. inoltre EMANUELA SCARPELLINI, Editoria e cultura tecnico-scientifica nella Milano del secondo Ottocento, in Innovazione e modernizzazione
in Italia fra Otto e Novecento, a cura di ENRICO DECLEVA-CARLO G. LACAITA-ANGELO VENTURA, Milano, Franco Angeli, 1995,
p. 578-632. In generale sull’apporto di Hoepli alla manualistica tecnica cfr. ELENA SVALDUZ, Aggiornare la professione: l’editoria tecnico-scientifica, Ulrico Hoepli e i manuali per l’architetto, «Ricerche Storiche», a. XXIX, 1999, p. 299-329. Per considerazioni sulla letteratura tecnica anche in riferimento alle riviste e al loro significato nella didattica rimando inoltre ai saggi di
ANDREA SILVESTRI: La rivista «Il Politecnico» da Francesco Brioschi a Cesare Saldini e altro, in questo stesso volume e La comunicazione tecnico-scientifica sull’Esposizione: qualche campionatura, in Milano e l’Esposizione internazionale del 1906. La rappresentazione della modernità, a cura di PATRIZIA AUDENINO-MARIA LUISA BETRI-ADA GIGLI MARCHETTI-CARLO G. LACAITA,
Milano, Franco Angeli, 2008, p. 61-79.
22
Solo a titolo di esempio si riporta quanto scrive CÉSAR DALY ad introduzione di Architecture privéé au XIXe siècle sous Napoléon III, Paris, Morel & Cie, 1864 (molto diffuso e conosciuto dagli ingegneri e architetti italiani): «En quelque lieu du globe et à quelque époque de l’histoire – y compris le temps présent – qu’on veuille considérer la Maison par son plan, elle répond au mode d’existence que le climat et la civilisation imposent, par son aspect, elle fait entrevoir le sentiment d’art qui domine, tandis que par son ensemble, elle fait mille révélations sur le goût du public, sur les usages et sur les mœurs du foyer domestique, et elle offre des échappées de vue sans nombre sur le caractère des relations sociales», cit. in apertura al contributo
di MONIQUE ELEB-VIDAL - ANNE DEBARRE-BLANCHARD, Architectures de la vie privée. Maisons et mentalités XVIIe et XIXe siècles, Bruxelles, Archives d’Architecture Moderne, 1989, p. 4.

23
Cfr. CAMILLO BOITO, Sullo stile futuro dell’architettura italiana, Introduzione a Architettura del Medio Evo in Italia, Milano, Hoepli, 1880, qui usato nella riedizione antologica: CAMILLO BOITO, Il nuovo e l’antico in architettura, a cura di MARIA
ANTONIETTA CRIPPA, Milano, Jaca Book, 1989, p. 5.

Testi, manuali, disegni per l’insegnamento dell’Architettura pratica

521

Fig. 4 – Doppia pagina del volume di ARCHIMEDE SACCHI, Le abitazioni. Alberghi, case operaie, fabbriche rurali, case civili, palazzi e ville, Milano, Hoepli 1874: piante di case disegnate secondo il metodo palladiano (a sinistra) e secondo il
metodo inglese (a destra).

gni e anche al modificarsi delle opzioni di gusto. Dalle residenze collettive alle residenze individuali, dalle meno agiate alle più ricche, il volume di Sacchi può in fondo essere letto anche come un contributo
sociologico che fa il punto sui cambiamenti nella committenza di architettura: attraverso le sue distinzioni e suddivisioni tipologiche ci segnala infatti come il luogo domestico rifletta la modernità e corrisponda a nuove prospettive professionali che ormai appaiono più legate al concetto di classe e di categoria sociale che a quello tradizionale di individuo.
Scorrendone velocemente l’indice,24 ne segnaliamo gli argomenti principali. Il progetto moderno di
abitazione è svolto in base ad alcune fondamentali angolazioni: la configurazione delle piante, la distribuzione degli ambienti, la tecnica costruttiva e la dotazione di impianti tecnici. Partendo dall’analisi dei
modelli esistenti, Sacchi distingue tra «diversi metodi per disegnare le piante», individuando il cosiddetto sistema regolare o «palladiano», ispirato alle simmetrie armoniose delle ville di Palladio; il metodo
«inglese», detto anche «gotico», o «irregolare» che sacrifica la simmetria a favore del confort e degli effetti pittoreschi; il metodo «poligonale», esemplificato dalla pianta di palazzo Farnese a Caprarola, sug24

Cfr. la nota 18.


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Ornella Selvafolta

gestiva nel suo profilo a figura geometrica, ma di difficile applicazione; il metodo «reticolare» reso popolare dal Précis des leçons d’Architecture professate da Jean-Nicolas-Louis Durand all’Ecole Polytechnique di Parigi nel 1802, utile soprattutto per i primi schizzi di una pianta; e infine, il metodo così detto
«degli assi» che individua le linee principali intorno a cui organizzare gli spazi in base alle particolarità
del progetto e alla sua situazione urbanistica.25
Non vincolato a norme a priori e non soggetto a un reticolo astratto e uniforme, quest’ultimo metodo è il più apprezzato da Sacchi, ma si consiglia all’architetto una certa flessibilità e, possibilmente, la combinazione dei diversi sistemi, proponendo quindi una forma di ‘negoziazione’ tra metodi e fini nel nome di un duttile adattamento ai programmi. In ultima analisi, proponendo un concetto pragmatico di
composizione quale azione intellettuale che tende ad armonizzare punti di vista diversi e a risolverne le
contraddizioni interne: in sostanziale sintonia con i più generali orientamenti della cultura architettonica. Non è del resto irrilevante sottolineare che, a distanza di trent’anni, la stessa classificazione spaziale,
con le medesime conclusioni e corredata dai medesimi disegni, verrà proposta da Daniele Donghi nel capitolo Sulla compilazione del progetto di una casa di abitazione, incluso nel più famoso Manuale dell’architetto dei primi decenni del secolo XX, pubblicato a Torino in diversi volumi tra il 1906 e il 1935.26
Disegnare la pianta di una casa significa anche disporre gli ambienti: significa «scompartire le diverse parti» dell’alloggio in aree omogenee rispetto al loro uso e assicurare tra queste una rete di collegamenti
razionali ed efficienti. Significa cioè affrontare il tema della «distribuzione», esercizio che ha un ruolo primario nel progetto di«architettura pratica» e al quale spetta il compito di organizzare la vita all’interno
di specifici ambiti materiali e culturali.27 Ad esso si richiede l’analisi delle funzioni, l’individuazione degli spazi, il coordinamento delle loro separazioni e connessioni, l’articolazione dei percorsi, fino ad arrivare a istituire una sorta di ‘topografia domestica’ che, in quegli anni, adottava strategie non dissimili da
quelle che toccavano la gestione e l’organizzazione della città, assimilando per molti aspetti la pianificazione della sfera privata a quella della sfera pubblica. Non è irrilevante, ad esempio, che Sacchi, chiami
per lo più col nome di «quartiere» quello che noi comunemente chiamiamo alloggio, specificando che
esso si compone di «ripartimenti», ovvero di locali a funzione analoga, di zone omogenee e di un sistema di collegamenti che sembrano imporre alla casa una organizzazione di tipo microurbanistico.
La distribuzione è tema non nuovo, già presente nella trattatistica settecentesca e nelle sue eleganti dimore, ma ora quest’«arte» appare perfettamente calata nella pratica diffusa estendendosi dai desideri delle élite ai bisogni dell’intero corpo sociale.28 Progressivamente Sacchi precisa i singoli ambienti, la loro
posizione all’interno della casa, il rapporto con le altre stanze, i disimpegni, le condizioni di luce, il decoro complessivo, tanto che per certi versi il testo Le abitazioni, pur nella sua neutralità tecnica, va assomigliando anche ai manuali del saper vivere, poiché definire gli ambienti domestici significa anche
ARCHIMEDE SACCHI, Le abitazioni, p. 30-44.
Si veda DANIELE DONGHI, Abitazioni civili, in Manuale dell’Architetto, II, La composizione architettonica, parte I, La distribuzione, sezione I, Abitazioni civili – Edifici religiosi – Edifici per Istituti di educazione – Edifici di conforto – Stabilimenti balneari – Edifici per il servizio postale, telegrafico e telefonico, Torino, Unione Tipografico Editrice Torinese (UTET), 1917, (qui
usato nella edizione del 1923) p. 1-266. Le coincidenze sono evidentissime; per un riscontro diretto cfr. Sacchi, Le abitazioni, p. 30-44 e Donghi, Abitazioni civili, p. 22-226; cfr. le considerazioni di ORNELLA SELVAFOLTA, La casa unifamiliare nelle
pagine del “Manuale”: modelli architettonici e decorativi, in Daniele Donghi. I molti aspetti di un ingegnere totale, a cura di GIULIANA MAZZI-GUIDO ZUCCONI, Venezia, Marsilio, 2006, p. 277-294.
27 Cfr. ARCHIMEDE SACCHI, Le abitazioni, Principi fondamentali di distribuzione, p. 45-51.
28 Cfr. MONIQUE ELEB-VIDAL - ANNE DEBARRE-BLANCHARD, Architectures de la vie privée, il capitolo Connaissance des usages et commodité. L’art de la distribution au XVIIIe siècle, p. 39-72. Si veda inoltre Appendice: La distribuzione interna di palazzi e ville nella trattatistica del tardo Seicento e del Settecento, in L’uso dello spazio privato nell’età dell’Illuminismo, a cura di GIORGIO SIMONCINI, Firenze, Olschki, 1995, 2 vol., I, p. 603-657.
25

26

Testi, manuali, disegni per l’insegnamento dell’Architettura pratica

523

suggerire modi d’uso, organizzare economie, delineare i confini delle relazioni reciproche, stabilire comportamenti, implicitamente valorizzando il ruolo del progettista come esperto di bisogni, interprete di
desideri e regista della loro organizzazione.
Al pari che nella città pianificata, nell’abitazione pensata dall’«architettura pratica» si segnala l’importanza della rete dei percorsi e dei dispositivi di comunicazione: disimpegni e corridoi per agevolare il
transito e i rapporti tra le parti senza attraversamenti inopportuni di stanze; per convogliare e rendere fluide le operazioni (la «continuità» dei collegamenti e la mancanza di interruzioni sono considerate un criterio ottimale da Sacchi), ma nello stesso tempo per dividere e separare, a favore di una formulazione moderna dell’abitare come spazio di relazione e, insieme, come spazio intimo e privato. «Precipuo requisito di ogni abitazione, sia pure di minima qualità, di modestissima importanza, è quello di fornire alle persone della famiglia il vantaggio di una vita assolutamente privata, tranquilla, non disturbata neppure
momentaneamente», osservava Sacchi, facendoci capire come anche il suo volume, così dichiaratamente «pratico», riecheggiasse una nuova sensibilità per l’intérieur in linea con la nascente psicologia dell’intimità e dell’individuo.29
A questi aspetti non è neppure estranea l’attenzione che Sacchi dimostra per i dispositivi del confort. Anche la ricerca di benessere, di agio e di comodità del vivere non era stata assente dalle considerazioni sull’abitare nell’ancien régime, anzi vi aveva trovato estese e raffinate formulazioni, ma essa era essenzialmente
legata ad una concezione globale di bienséance dove contavano i principi della composizione classica, il décor, i modelli di riti sociali e di costumi individuali propri agli orizzonti culturali e ai mezzi economici dell’aristocrazia e delle élite. E se pure nell’Ottocento un grande divario continuerà ad opporre la casa del ricco a quella del povero, è pur vero che ora la riflessione sul confort interessava tutta la società delineandosi
come un requisito permanente del sapere, capace di permeare ogni angolatura del progetto.
Ne Le abitazioni si dedicava quindi ampio spazio ai temi del confort, inteso soprattutto come condizione di salubrità, collegata al progredire delle conoscenze mediche in merito al propagarsi delle malattie e ai modi di contrastarne gli effetti perniciosi, nonché al suo interagire con le contemporanee acquisizioni delle discipline tecniche connesse alla nozione di igiene ambientale. L’aria, l’acqua, la luce, i
nutrimenti necessari per vivere o da cui difendersi nella loro forma patogena di portatori di microbi, in
altri termini, i principi della salute potevano infatti tradursi in altrettante analisi sulla composizione del
suolo, sulla quantità e qualità delle sostanze per la migliore respirazione, sulla composizione dei liquidi
e dei solidi di deiezione, diventando successivamente impianti di canalizzazioni e condutture, quantificaazione di spazi aperti e chiusi, di caldo e freddo, di luminosità e di buio. Dall’incontro tra medicina e
tecnica, tra salute e igiene si era sviluppato il campo di azione dell’ingegneria sanitaria, fortemente impegnata, come è noto, nel risanamento e modernizzazione della città e dell’edilizia nella seconda metà
del secolo XIX.30
L’Igiene sarà insegnata al Politecnico come materia specifica soltanto dal 1900,31 spetta quindi al cor-

MONIQUE ELEB-VIDAL - ANNE DEBARRE-BLANCHARD, Architectures de la vie privée.
La bibliografia su questi temi è molto vasta; segnalo, tra le fonti dell’epoca, il contributo fondamentale di: LUIGI PAGLIANI,
Trattato di igiene e di sanità pubblica, colle applicazioni all’ingegneria e alla vigilanza sanitaria, Milano, Francesco Vallardi,
1906-1910, 2 vol.. Tra i contributi recenti sull’igiene in rapporto alla città, cfr. GUIDO ZUCCONI, La città contesa. Dagli ingegneri sanitari agli urbanisti (1885-1942), Milano, Jaca Book, 1989; CARLA GIOVANNINI, Risanare le città. L’utopia igienista di
fine Ottocento, Milano, Franco Angeli, 1996. Per lo spazio domestico rimando al mio Comfort e progresso tecnico nella casa dell’Ottocento: il nuovo progetto domestico, in Il mito del progresso e l’evoluzione tecnologica, a cura di LORETTA MOZZONI-STEFANO
SANTINI, Napoli, Liguori, 2003, p. 285-312.
31 FERDINANDO LORI, Storia del R. Politecnico di Milano, p. 218: l’insegnamento di Igiene applicata all’ingegneria, fu tenuto dal 1900 al 1932 dal dottor Guido Bordoni Uffreduzzi, capo dell’Ufficio di Igiene di Milano.
29

30

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Ornella Selvafolta

Fig. 5 – Dettagli dell’allacciamento di
un edificio alla rete della fognatura stradale. Da CARLO FORMENTI, La pratica
del fabbricare, II, Il finimento delle fabbriche, Milano, Hoepli, 1895.

so di Architettura pratica il merito di averla anticipata, predisponendo lezioni e capitoli sugli impianti di
smaltimento dei rifiuti e di approvvigionamento idrico, sui sistemi di riscaldamento e ventilazione, sulle loro prestazioni, sui tipi di condutture e apparecchi sanitari. Ulteriori quantità, ulteriori obblighi e requisiti che si aggiungono al progetto della casa, spostandone sensibilmente i fini e i contenuti dalle ragioni dell’arte a quelle della tecnica, della funzionalità, delle prestazioni ambientali.
Manca nel volume la parte sui lavori di costruzione, sulla loro gestione e sui procedimenti esecutivi
che pure rientravano nell’insegnamento e costituivano oggetto di diverse conferenze. Vi porrà rimedio
lo stesso Archimede Sacchi, pubblicando, ancora con Hoepli, nel 1878, L’economia del fabbricare: stime
di previsione e di confronto, analisi di prezzi di produzione, appalti, condotta e direzione dei lavori.32 Il te32

L’economia del fabbricare: stime di previsione e di confronto, analisi di prezzi di produzione, appalti, condotta e direzione dei
lavori. Ricordi compendiati da Archimede Sacchi, Milano, Hoepli, 1878. Cfr. su questo libro in particolare SAVERIO MECCA, Eco-

Testi, manuali, disegni per l’insegnamento dell’Architettura pratica

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Fig. 6 – Frontespizio di: CARLO FORMENTI,
La pratica del fabbricare, II, Il finimento delle fabbriche,
Milano, Hoepli, 1895.

sto, altrettanto fitto di contenuti, indagava la struttura materiale degli edifici, gli aspetti economici, l’organizzazione del cantiere in tutti i suoi molteplici aspetti considerandolo un momento insostituibile di
apprendimento, di verifica e giudizio intorno allo stato delle conoscenze, l’utilità e l’etica delle professioni. L’economia del fabbricare non ebbe lo stesso successo di Le abitazioni, ma non è da sottovalutarne
il merito nel formulare un nuovo pensiero costruttivo modulato tra l’arte, la tecnica e l’economia e nel
prefigurare una cultura del progetto di grande modernità per cui l’invenzione architettonica doveva sintonizzarsi con l’invenzione produttiva.
Alla morte di Sacchi, avvenuta nel 1886, l’insegnamento passò a Luca Beltrami che lo ricoprì fino al 1890
senza apportare sostanziali cambiamenti.33 Ad arricchire la rosa dei testi inerenti i temi dell’Architettura pratica fu successivamente Carlo Formenti, ingegnere civile, laureato a Milano nel 1870, professionista di fiducia della classe imprenditoriale milanese, allievo di Sacchi e per lungo tempo suo assistente.34 Nel 1893
e nel 1895, seppure non ancora titolare ufficiale del corso, egli pubblicava infatti, sempre con Hoepli, La
pratica del fabbricare: due volumi di testo accompagnati da due atlanti di tavole a colori splendidamente
stampate in cromolitografia.35
nomia come etica del progetto nella formazione dell’architetto e dell’ingegnere civile: la formazione etica del progettista da Philibert
De l’Orme ad Archimede Sacchi, Firenze, Università degli studi, Dipartimento di Processi e metodi della produzione edilizia, 1994.
33
Luca Beltrami insegnò Architettura pratica per cinque anni dal 1886 al 1891; seguirono l’ingegnere Carlo Mina, dal 1891
al 1897 e l’ingegnere Carlo Formenti, dal 1897 al 1907, cfr. FERDINANDO LORI, Storia del R. Politecnico di Milano, p. 206.
34
Carlo Formenti (1847-1923) fu ingegnere-architetto civile di un certo successo; direttore della rivista «L’Edilizia Moderna», progettò, tra l’altro, a Milano le residenze dell’ingegnere Ernesto Breda, Giovanni Battista Pirelli e Ulrico Hoepli. Cfr. ORNELLA SELVAFOLTA, Famiglie di imprenditori a Milano tra Otto e Novecento: luoghi, gusto e stili di abitare, in Milano le grandi famiglie. Nobiltà e borghesia. Le radici del carattere milanese e lombardo, a cura di ROBERTA CORDANI, Milano, Celip, 2008, p. 272-275.
35
CARLO FORMENTI, La pratica del fabbricare, Milano, Hoepli, 1893-1895: I, Il rustico delle fabbriche (1893), II, Il finimento delle fabbriche (1895), entrambi composti da un volume di testo e un atlante di tavole. Le tavole furono eseguite con

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Ornella Selvafolta

Fig. 7 – Sezione parziale di un edificio con il dettaglio delle tubazioni di scarico delle acque e l’allacciamento alla rete
fogniaria. Da CARLO FORMENTI, La pratica del fabbricare, II, Il finimento delle fabbriche, Milano, Hoepli, 1895.

L’opera rientrava nella sfera di una manualistica tecnica illustrata dedicata alle arti del costruire che aveva alle spalle una storia già significativa, ma che, con Formenti, riceveva una sorta di consacrazione per
completezza e qualità.36 La pratica del fabbricare, si legge nell’introduzione, non affrontava i «principi generali», ma intendeva «rappresentare i principali particolari costruttivi […] in base alle effettive pratiche di
esecuzione»:37 in altre parole l’opera era dedicata esclusivamente al cantiere, così da portare a compimento
il programma e la strumentazione didattica del corso di Architettura pratica.
grande cura dalla tipografia Gaffuri e Gatti di Bergamo su disegni a colori dello stesso Formenti. Si ricorda che nel 1893, all’uscita del manuale, Architettura pratica era insegnata da Carlo Mina, mentre Carlo Formenti era passato all’insegnamento di
Costruzioni; il suo manuale fu comunque da subito riferimento obbligato per gli studenti del corso, bene integrandosi ai testi
di Archimede Sacchi. Si veda anche la recensione al primo volume di L.B. [quasi sicuramente Luca Beltrami], “La pratica del
fabbricare” per l’Ing. Carlo Formenti, Professore di costruzioni al R. Istituto Tecnico di Milano (Milano, Ulrico Hoepli, 1893), «Il
Politecnico. Giornale dell’Ingegnere Architetto Civile e Industriale», vol. 25, agosto 1893, p. 322-323.
36
Sui manuali costruttivi del periodo cfr. L’arte di edificare. Manuali in Italia 1750-1950, a cura di CARLO GUENZI, Milano,
Be-Ma, 1981; LUIGI RAMAZZOTTI, L’edilizia e la regola. Manuali nella Francia dell’ottocento, Roma, Edizioni Kappa, 1984. Tra i
manuali più diffusi tra i progettisti italiani del periodo cfr.: GIORGIO CURIONI, L’arte di fabbricare. Corso completo d’Istituzioni teorico-pratiche per gli Ingegneri, per gli Architetti, pei Periti in costruzione, pei Periti misuratori, Torino, Negro, 1865-1884, 6 vol.; GUSTAV ADOLF BREYMANN, Trattato generale di costruzioni civili con cenni speciali intorno all