M.Bedello Tata Recensione a Camarina. Le

MINISTERO PER I BENI E LE
ATTIVITÀ CULTURALI

BOLLETTINO
D’ARTE

2

CASA EDITRICE

LEO S. OLSCHKI

LA

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI ©

BOLLET TINO D’ARTE
Estratto dal Fascicolo N. 2 – Aprile-Giugno 2009 (Serie VII)

LIBRI


MARGHERITA BEDELLO TATA
recensione a
Camarina. Le terrecotte figurate e la ceramica da una fornace
di V e IV secolo a.C., di Marcella Pisani

RICCARDO NALDI
recensione a
Paolo Giovio. Uno storico lombardo nella cultura artistica del Cinquecento,
di Barbara Agosti

FEDERICO TRASTULLI
recensione a
Architetti e ingegneri a confronto, III. L’immagine di Roma
fra Clemente XIII e Pio VII, a cura di Elisa Debenedetti

CASA EDITRICE LEO S. OLSCHKI

LIBRI

149


149

MARCELLA

PISANI,
Camarina.
Le
terrecotte figurate e la
ceramica da una
fornace di V e IV
secolo
a.C., con
prefazione di PAOLA
PELAGATTI
e
appendice di GIOVANNI
DI STEFANO,
(Studia Archaeologica
164), L’Er- ma di

Bretschneider, Roma
2008, pp. 249, tavole
I– XXXII

La
monografia di
M. Pisani affronta lo
studio del “Complesso
Provide”, costituito dai
resti di una forna- ce e
di un
pozzo
di
deposito di materiali
fittili, che fu oggetto di
uno
scavo
archeologico
compiuto, tra il
1968 e il 1969,

nell’omonima
proprietà, a Nord–Est
dell’antica Camarina,
in località Case
Lauretta.
Si tratta di un nuovo
passo
verso
la
pubblicazione di uno
dei tanti
complessi
inediti, cui non è nuova
la col- lana degli Studia
Archaeologica, e che
serve
a
colmare,
sebbene
solo

in
piccolissima
parte,
l’enorme
lacuna
derivante
dalla
difficoltà di rendere
noti,
in
tempi
accettabili, i risultati dei
tanti interventi legati
alle atti- vità di tutela
del
territorio.1)
L’aumento crescente
del lavoro burocratico
all’interno
degli

organi
preposti alla
salvaguardia
e
di
contro
il
numero
sempre più esi- guo di
tecnici
incaricati del
controllo di territori
pres- sati da interventi
di ogni tipo aggrava
ancor più oggi questo
compito, costringendo
a tralasciare la pronta
diffusione
e
interpretazione di tanti

dati
utili
alla
150

conoscenza del mondo
antico.2) Affidare
a
giovani
stu- diosi
l’ardua
e difficile
incombenza
di
recuperare det- tagli
frammentari
e
di
reperire
documenti

anche
lon- tani nel
tempo e chiusi negli
archivi, è un modo per
passare il testimone e
nel contempo un atto
di dovero- so rispetto
verso
chi
quotidianamente si è
impegnato
a
salvaguardare il nostro
ricchissimo patrimonio
stori- co e culturale.3)
Il merito principale
del lavoro consiste nel
poter entrare
nel
vivo

di
un’antica
attività
artigianale
mediante la disamina
di
un
complesso
modesto, ma unitario,
consistente
in
una
fornace e nei materiali
in
essa
prodotti,
provenienti da
una
fossa di scarico che,
grazie

all’uso
continuato
cui
fu
adibita, fornisce, oltre
a
un
numero
consistente
di
manufatti,
preziosi
dati cronologici. Ne
nasce un interessante
recupero
ove
l’illustrazione del luogo
di
produzione
si

coniuga
con
l’esposizione
della
produzione
stessa,
consistente
in
un
complesso
di
fittili
votivi, architettonici e
d’uso comune,
che
documenta
la
versatilità
della
fornace “Provide”,
la
cui funzionalità era
garantita dalle risor- se
idriche delle
acque
dell’Ippari e dalla sua
prossi- mità a depositi
argillosi.
Il lavoro si articola in
capitoli che riportano i
dati
di
scavo
ed
esaminano le
varie
classi di materiale in
rap- porto con altri
centri sicelioti e con i
culti
attestati nella
città. In appendice, le

puntualizzazioni
carat-

di

tere geologico di G. Di
Stefano,
sulla
distribuzione dei vari
luoghi di produzione
rispetto alla presenza
dei corsi d’acqua e dei
depositi di materia
prima, confer- mano
una
ragionata
progettualità
nella
scelta
delle
dislocazioni, compresa
quella del complesso
artigiana- le oggetto di
studio.
La fornace
Provide
si aggiunge ad altre
attestazioni camarinesi,
in parte legate
alle
esigenze della pietas
verso i luoghi di culto
urbani e suburbani,
alcuni
dei
quali
identificati,
come
quello
di
Athena
sull’acropoli,
altri
ipotizzati, come quello
di Gaios e Persophassa,
desu- mibile in base a
precisi indicatori.
La tipologia della
struttura, rientra in
quella
delle fornaci
verticali
a pianta
rettangolare e canale
centra- le con unico
accesso, arricchendo la
lista di fornaci con
camera
da
fuoco
circolare
o
rettangolare, attestate
singolarmente o in
batteria in
Sicilia,
destinata
ad
implementarsi grazie ai
rinvenimenti,
spesso
legati
all’archeologia
urbana.4) Oltre al vano
di combustione e al
prefurnio, sembra si
possano
identificare,
nell’a- rea, degli spazi
di utilizzo, che fanno
ragionevolmente
pensare
che
il
complesso,
accanto
all’ambiente di cot- tura
e al pozzo di scarico per
l’eliminazione
dei
manu- fatti difettosi,
dovesse includere spazi
per le lavorazio- ni e
per
il deposito del
prodotto finito.
Il
confronto con
altri
impianti siciliani, tra
cui quello con una più
tarda fornace a pianta
circolare di Messina5)
dotata di un ambiente
150

deposito davanti
al
corridoio del prefurnio, porta verso questa
direzione. È difficile
accertare, date le scarse
testimonianze
sul
terreno, la presenza di
un punto vendita per
lo
smercio
dei
prodotti, legato alla
fornace.
L’impianto,
preceduto da tracce di
frequentazione
del
suolo non collegabili
alla futura attività, fu
attivo tra
il terzo
quarto del V secolo
a.C. e il terzo quarto
del successivo, come
risulta dall’esame del
materiale.
Questo
fornisce preziosi dati
circa i rapporti di
Cama- rina con altri
centri della Sicilia e in
particolare con quelli
di sua più diretta
influenza, favoriti dalla
sua
posizione
di
cerniera tra Est e
Ovest.
La
coroplastica
comprende una variata
tipologia di statuette
di piccolo modulo e
di matrici, rivelatrici
della vita cultuale della
città. Nell’ambito della
sfera ctonia rientrano i
vari tipi di offerenti
con porcellino (I A e
II A), le testine isolate
e i bustini (I C e I E).
Athena ricorre nel tipo
dell’Ergane
(I
B),
assisa,
pro- tettrice
delle attività femminili,
con attributi applicati a
mano con la voluta
intenzione
di
caratterizzarne
le
funzioni
con
particolari
elementi,
quelli muliebri del fuso
e della conocchia tra le
mani e quelli guerrieri
sul capo.
Il
tipo
dell’Athena Lindia è
documentato
dal
ritrovamento,
negli
strati più bassi del
deposito, di matrici
che
declinano due
diverse varianti (II B).
La
molteplicità
di
prototipi
riferibili
all’Artemide sicula (I
151

151

D), stante con un cerbiatto in mano, appoggiata a roccia, con attributi di cacciatrice o infine a cavallo di una
cerva, e l’elevato numero di repliche rinforzano l’ipotesi dell’esistenza a Camarina di un luogo di culto
della dea, sebbene non ancora identificato. Ad essa
possono riferirsi giustamente alcuni tipici animali (I
K): cani, cerbiatti, una pantera, ed una matrice riproducente un’auleta (II C).
Le terrecotte architettoniche, risalenti alle ultime
fasi di utilizzo della fornace, fanno capo ad un’antefissa
con palmetta e a una matrice a testa di sileno (III A, III
B). Cronologicamente la coroplastica si attesta tra
la seconda metà del V secolo a.C. e la fine del
successivo, senza che gli eventi culminanti nel 405
a.C. con l’eso- do forzato dei Camarinesi, segnino
una profonda cesura nella produzione. La vivacità
iniziale è favorita dagli stretti rapporti politici ed
economici con Gela e Agrigento. Attivo, anche se
non esclusivo, appare il ruolo di Siracusa, nell’ambito
della vasta koinè artistica che interessa e rende
omogenea la produzione sicelio- ta tra la fine del V
secolo a.C. e la prima metà del suc- cessivo
espandendosi fino alla Campania. Ben si deli- neano,
come d’altra parte accade anche per la
ceramica a vernice nera, i rapporti con l’Attica, di cui
si ha concreta testimonianza nel terzo quarto del V
secolo grazie all’aumento di importazioni ceramiche
ed alla penetrazione di modelli fidiaci e postfidiaci,
che caratterizzano la piccola plastica sia di Camarina
che dei centri di sua influenza e che presuppongono,
più che un diretto intervento di artigiani stranieri,
l’importazione di modelli poi rielaborati localmente.
Ne è testimonianza il tipo dell’Athena Ergane che –pur
nella modestia della fattura– rimanda ad un maestoso
esemplare da Scornavacche e all’influenza attica sui
centri sicelioti. Nella prima metà del IV a.C. si assiste
ad una contrazione del mercato locale e dei centri gravitanti su di esso, che porta alla fine del secolo all’affievolirsi della creatività nella coroplastica di piccolo
modulo, mentre lo spazio viene preso dalla produzione architettonica, dalla suppellettile fittile e soprattutto dalla ceramica.
Di quest’ultima l’Autrice esamina un campione,
esemplare di un ben più ingente quantitativo raccolto
nel corso degli scavi del pozzo, ad illustrazione del
carattere peculiare della produzione che viene
suddivisa in tre principali gruppi. Il primo di essi, relativamente esiguo, comprende la ceramica a vernice nera,
con forme prevalentemente aperte, destinate al bere.
Unico esemplare figurato è un’oinochoe a figure rosse,
la cui attribuzione resta ancora in discussione. Il secondo gruppo comprende ceramiche destinate per lo più
ad uso domestico. Si tratta di forme sia aperte che
chiuse, da mensa, di lunga tradizione, di impasto ben
depurato, decorate a bande su uno strato di ingobbio.
Nel terzo gruppo si annovera la ceramica acroma,
caratterizzata dall’uso di argilla non ben depurata,
raramente ingobbiata, per lo più lisciata all’interno,
presente in svariate forme di uso quotidiano tra cui
prevalgono ancora quelle di ambito domestico: vasellame da mescita, da mensa, da fuoco, vasi miniaturistici.

152

Nell’insieme l’analisi del materiale ceramico, oltre a
confermare l’influenza attica sulla ceramica a vernice
nera, evidenzia i legami delle tipologie comuni con
l’immediato retroterra e con i centri posti lungo gli
assi viari diretti verso Siracusa, Gela, Agrigento. Dal
punto di vista cronologico la produzione si articola fra
il terzo quarto del V secolo a.C. e il terzo quarto del
successivo. Nell’arco di questo periodo la ceramica a
vernice nera va rarefacendosi entro la prima metà del
IV secolo, quella acroma di uso quotidiano copre,
invece, con quantitativi ben più rilevanti, tutto l’arco
di attività della fornace.
Una serie di altri fittili con i quali si conclude il catalogo, dalle lucerne ai lasána, ai distanziatori per fornace, permette di estrapolare, grazie al variegato materiale che vi si raccoglie e ad un dovizioso insieme di
confronti, elementi utili a confermare il quadro di
insie- me che vede Camarina inserita in un tessuto di
rappor- ti fittissimi con i centri della Sicilia, resi
possibili dalla ubicazione stessa della città e dalla sua
rete idrica.
Il volume è corredato da un ricco apparato di note,
che costituiscono la base per eventuali, ulteriori
approfondimenti, ed è sorretto da una bibliografia
non generica nè fuorviante, ben mirata al tema ed
alla lettura dei materiali. Pur complesso per la varietà
e specificità del contesto trattato, risulta ben costruito
e rigoroso nella rilettura dei dati di scavo e nell’ analisi dei manufatti, costituendo il degno approfondimento delle ricerche dall’Autrice stessa anticipate
nella monografia su Camarina edita a 2600 anni dalla
sua fondazione.6) Sul piano della catalogazione, le
schede risultano appesantite da una serie di dettagli,
che vengono poi ripetuti nelle due tabelle tematiche
alla fine del volume, mentre il catalogo dei fittili
votivi risente della mancanza di una numerazione
interna propria e progressiva per ciascuna tipologia,
che avrebbe consentito un più immediato apprezzamento dell’incidenza dell’una rispetto all’altra, tanto
più che la frammentarietà del materiale non permette di spingersi oltre la distinzione del “tipo” e di
adottare quel sistema, utilizzato ormai anche nei casi
più complessi,7) che, imbrigliando in sigle i dati di
presenza di repliche e varianti, rende più agile la lettura dell’intera filiera, dalla meccanica della lavorazione alla diffusione e di conseguenza fortuna di
determinate iconografie.
Per quanto riguarda la ricostruzione dell’attività
artigianale risulta di grande interesse la presentazione
del complesso e delle funzioni nelle quali sembra articolarsi, che consentono di ipotizzare al suo interno
una suddivisione di compiti altrove realizzata con formule e strategie variabili nel dettaglio, ma sostanzialmente affidate a più lavoratori sotto il controllo delle
maestranze più esperte.
In Grecia8) le evidenze archeologiche e le fonti, sia
iconografiche che scritte, rivelano l’esistenza di un’articolazione di attività all’interno di laboratori, che
potevano avere dimensione privata o urbana ed essere
localizzati in zone periferiche ed in genere nei pressi
di una viabilità che consentisse facili collegamenti.

152

In Magna Grecia, piccole unità produttive, a volte
riunite in quartieri staccati dall’abitato, sembrano sfociare nella vendita diretta dei manufatti, prodotti sotto
la guida di un maestro di bottega. I dati di scavo e
soprattutto i caratteri stilistici di alcuni esemplari
hanno rivelato la partecipazione dell’elemento indigeno al processo produttivo in ateliers, che in Magna
Grecia sembrano configurarsi come strutture indipendenti dalla fabbrica dei templi, contrariamente a
quanto attestato, con più frequenza, in Italia centrale.
Queste caratteristiche, desunte dai ritrovamenti
effettuati a Locri, Eraclea, Metaponto,9) potrebbero
essere messe a confronto con la situazione di Camarina, ove sono attestati altri complessi riferibili a attività
connesse alla lavorazione e cottura di materiale ceramico, non riuniti nell’ambito di un quartiere o ubicati
nei pressi dei santuari, ma posti fuori del perimetro
urbano, in posizione periferica per motivi pratici legati presumibilmente alla sicurezza e alla prossimità
della materia prima. In particolare la fornace Provide,
attiva nell’arco di poco meno di un secolo, si configura come una realtà stanziale, radicata nel territorio, il
cui tipo di produzione indica la compresenza di semplice manovalanza e mano d’opera specializzata.10) La
serialità e modestia della coroplastica, infatti, era tale
da necessitare di personale meno qualificato rispetto a
quello impiegato per la tornitura dei vasi,11) attività
che avrà poi uno sviluppo cronologicamente più
ampio. Sul piano numerico, la molteplicità delle operazioni che dovevano essere connesse all’attività della
fornace: il reperimento e depurazione dell’argilla, le
incombenze relative alla produzione sia a stampo che
al tornio, condotte forse nell’area di lavorazione individuata a Nord della fornace, il controllo delle fasi di
cottura, anche senza arrivare ad una ipotesi di vendita
o distribuzione dei manufatti, conferma la presenza di
più unità. Resta, infine, accertato che la fornace poteva ospitare materiali diversi, purchè di dimensioni
affini, come d’altra parte l’Autrice ipotizza giustificando, per la sua particolare esigenza di una cottura differenziata e più accurata, l’esiguità della produzione
di ceramica a vernice nera rispetto al resto della produzione vascolare.
Si chiude qui, positivamente, il commento ad un
volume interessante, pieno di argomenti e spunti sui
quali sarà possibile ritornare anche con tagli e angolature diverse.
MARGHERITA BEDELLO TATA

1) Per restare nel tema specifico ad esempio N. Cuomo Di
Caprio, che raccolse a suo tempo una corposa lista di fornaci (Fornaci e officine da vasaio tardo–ellenistiche, in
Mor- gantina Studies III, Princeton, N. J. 1992, pp.
71–73) traendola da notiziari relativi a scavi e scoperte,
spesso non seguiti da specifiche pubblicazioni, rileva come
ancor oggi la mancanza di dati tecnici, utili alla precisa
definizione di questo
particolare tipo
di manufatti,
costringa a rimandare ancora una volta il compito di un
generale ripensamento

DI
CAPRIO,
Ceramica in
archeo- logia 2: antiche tecniche di lavorazione e
moderni metodi di indagine, Roma 2007, da p. 483.

sull’argomento: N. CUOMO

2) Si aggiunga poi la soppressione, spesso per motivi economici, di alcuni importanti incontri di studio destinati
all’illustrazione delle attività annuali, che si svolgono nelle
Soprintendenze. Viene da pensare ad esempio all’importante Istituto per gli Studi Etrusco–Italici che da più di dieci
anni ha sospeso la sua insostituibile opera di informazione
sulle scoperte relative all’archeologia laziale, che avveniva
annualmente e che quasi in diretta veniva pubblicata. Non
sempre il mezzo informatico cui spesso si demanda oggi
l’informazione ha la stessa immediatezza e freschezza della
notizia riferita e condivisa negli incontri scientifici!
3) Spunti di riflessione sul futuro dell’archeologia, il ruolo
ormai insostituibile dei giovani in questo campo e sul nuovo
modo, oggi, di intendere la comunicazione e sfruttarne i
mezzi, si trovano, validi anche su un piano più generale, nel
volume che ha accompagnato gli Atti del XLVI Convegno di
Studi sulla Magna Grecia (Taranto 29 settembre – 1 ottobre
2006):
Passato e futuro dei Convegni di Taranto,
Taranto
2007, ed in particolare nel contributo di S. DE CARO, Brevi

riflessioni sulle prospettive della metodologia della
ricerca
archeologica in Magna Grecia, ibidem, pp. 101–115.

4) Negli ultimi anni l’interesse per le fornaci quali preziosi indicatori nella catena produttiva è andato aumentando,
grazie all’incremento delle ricerche, spesso sostenute dalla
stessa CUOMO DI CAPRIO, op. cit.
5) G. TIGANO , La fornace, il deposito ipogeico e prime
considerazioni sul ceramico di Messina in
età
ellenisti- co–romana, in Da Zancle a Messina: un
percorso archeo- logico attraverso gli scavi I (a cura di G.
M. BACCI, G. TIGA- NO), Messina 2000, fig. 12, p. 173; G.
PAVIA, Isolato 145. Via dei Mille, ibidem, II, 1, pp. 12–20.

6) Camarina 2600 anni dopo la fondazione. Nuovi
studi sulla città e sul territorio, Atti del Convegno Internazionale: Ragusa, 7 dicembre 2002 / 7–9 aprile 2003 (a cura di
P. PELAGATTI, G. DI STEFANO, L. DE LACHENAL), Ragusa
2006.

7) È il caso della sistemazione di materiale molto complesso come quello dell’imponente corpus di pinakes fittili
locresi: AA.VV., I pinakes di Locri Epizefiri: Musei di
Reggio Calabria e di Locri (a cura di E. LISSI CARONNA, C.
SABBIONE, L. VLAD BORRELLI), Parte I.1, AttiMemMagnaGr ,
IV Serie I (1996–1999), Roma 1999, da p. 15 e in particolare alle pp. 32 e ss.
8) M. VIDALE , L’idea di un lavoro lieve: il lavoro
artigia- nale nelle immagini della ceramica greca tra VI
e IV seco- lo a.C. (Saltuarie dal laboratorio del Piovego
5), Padova
2002, passim.

9) E. LISSI, Gli scavi della Scuola Nazionale di
Archeo- logia a Locri Epizefiri (anni 1950–1956), in
Atti VII Congresso Internazionale di Archeologia
Classica, II, Roma 1961, pp. 109–115; B. D’AGOSTINO,
Appunti sulla funzione dell’artigianato nell’Occidente
greco dall’VIII al IV secolo a.C., in Economia e Società
nella Magna Grecia (Taranto 8–14 ottobre 1972), Atti
del XII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Napoli
1973; M. BARRA BAGNA- SCO, Edilizia privata e impianti
produttivi urbani, in I Greci in Occidente (a cura di
G. PUGLIESE CARRATELLI), Monza 1996, pp. 353–360. Si

153

153

veda recentemente bibliogra- fia in CUOMO
cit., p. 241.

154

DI

CAPRIO, op.

154

10)
M. BONGHI
JOVINO, Artigiani e botteghe
nell’Italia preromana. Appunti e riflessioni per un
sistema di anali- si, in Artigiani e botteghe nell’Italia
preromana di area etrusco–laziale–campana: studi sulla
coroplastica (a cura di M. BONGHI JOVINO), Roma 1990, pp.
19–59; M. BEDELLO TATA, Botteghe artigiane a Capua,
ibidem, pp. 97–122.
11) A. MULLER, Les terres cuites votives du
Thesmopho- rion: de l’atelier au sanctuaire, Athènes 1996,
da p. 509, in partic. pp. 511–512. Si veda anche
D.
GIORGETTI, Alcamo Project: le fasi di un laboratorio, in

Le fornaci romane di Alcamo: rassegna, ricerche e scavi
2003-2005 (a cura di D. GIORGETTI), Roma 2006, pp. 11–
33.