Q UANDO IL PRIVATO DIVENNE PUBBLICO . L OTTA C ONTINUA 1968-1976

Q UANDO IL PRIVATO DIVENNE PUBBLICO . L OTTA C ONTINUA 1968-1976

Stefania Voli

È una tendenza storiograficamente diffusa considerare la fine di Lotta Continua, gruppo della sinistra extra- parlamentare italiana degli anni Settanta, come un crol- lo improvviso e inatteso causato da una combinazione di eventi nei quali femminismo e terrorismo si conten- dono il ruolo di principali responsabili.

Tuttavia, privilegiando nel presente lavoro il punto di vista della questione femminile, sarà più appropriato parlare di un «processo», o meglio, di un percorso lun- go almeno sette anni, segnato da scelte rivelatesi, in ul- tima analisi, decisive per la sorte di Lotta Continua. Scelte private come politiche. Mantenere convenzio-

nalmente la tradizionale divisione delle due sfere (pur non dimenticando quanto, in questo gruppo, esse siano

e Associati

legate una all’altra), renderà più semplice considerare le prime al fine di comprendere alcune delle motivazio- ni per le quali il femminismo, e il ritardo con il quale entrò nell’organizzazione, venga indicato come una delle principali cause della fine di questa esperienza

Guerini

Edizioni Angelo ©

«rivoluzionaria».

La scelta di considerare il «privato» per la compren- sione di un fenomeno «politico» è dovuta al fatto che Lotta Continua è, tra i gruppi ad essa omologhi, quello nel quale l’adesione emotiva attorno ai principi basilari del gruppo è più marcatamente evidente. La vita perso- nale dei militanti è intimamente condizionata dalle scel- te politiche. Accade di rado, se non mai, il contrario. Gli amici sono i compagni, l’amante è innanzitutto la compagna o il compagno: tutti i rapporti personali esterni all’organizzazione vengono trascurati, la socializ- zazione completamente delegata al gruppo. I testimoni sono generalmente concordi con quanto ricordato dalla militante torinese Donatella Barazzetti:

Era veramente un misto, in Lotta Continua c’era vera- mente tutto, non era: da una parte la militanza, dall’altra vivi. Era un coacervo di problemi, di intrecci, che riguar-

davano amori, sofferenze, tutto insieme 1 . Parlare del «privato» in Lotta Continua senza tenere

conto di tale fusione sarebbe riduttivo perché non chia- rirebbe le ragioni che stanno alla base di alcune decisio- ni prese dai militanti, ma soprattutto dalle militanti. In particolare, i legami amorosi, così come essi nascono e vengono vissuti dai compagni di Lotta Continua, reca- no in sé caratteristiche profondamente dipendenti alla situazione specifica vissuta all’interno del gruppo. Que- sta peculiarità pone le basi dalla quale molte compagne

1 Testimonianza di Donatella Barazzetti resa all’autrice, Roma 9 giugno 2003.

inizieranno ad intraprendere il cammino della presa di coscienza della loro condizione di subordinazione, che le porterà, successivamente, anche all’avvicinamento e alla partecipazione al movimento femminista. Sarà pro- prio grazie a tale contaminazione che le militanti rin- tracceranno nei rapporti intimi e, di conseguenza, nella sessualità, uno dei centri di quella subordinazione fem- minile che, quando scoperta, arriverà a mettere in di- scussione il partito.

Le coppie «endogamiche». Non è possibile parlare dei rapporti affettivi nati in Lot-

ta Continua senza tenere conto di un fattore fondamen- tale: avere un rapporto di coppia non interno al gruppo è una scelta che, oltre ad essere invisa agli stessi membri dell’organizzazione, è resa pressoché impossibile da motivazioni logistiche, esistenziali, psicologiche e politi- che. Come per inseguire un modello di perfezione per- sonale, i «neorivoluzionari» rifiutano relazioni che non condividono, limitano o, addirittura, ostacolano la loro scelta di vita. Per questo motivo Lotta Continua è un

gruppo che facilmente si presta ad essere definito «en- dogamico», perché così sono le coppie che si formano

e Associati

al suo interno. L’endogamia porta con sé un modo pub- blico e collettivo di vivere il rapporto: per i militanti, questa è una conseguenza inevitabile, ma anche, per un lungo periodo iniziale, ben accetta. Così un militante to- rinese parla del suo legame con una compagna di Lotta

Guerini

Edizioni Angelo ©

Continua:

Facevamo la militanza insieme, (…) avevamo allora que- sto rapporto di gruppo con i compagni di Mirafiori, cioè vivevamo all’interno dell’organizzazione con i compagni di Mirafiori. Si andava davanti alle porte della fabbrica, poi si mangiava qualche volta insieme, si faceva qualche riunione, le assemblee generali, quindi andava a finire che poi alla domenica si andava tutti fuori insieme, poche vol- te capitava che noi andassimo in giro per conto nostro, qualche volta capitava, però si viveva questa dimensione

di gruppo 2 .

I militanti che vivono il legame in una dimensione «di gruppo», non solo rinunciano a qualunque altra forma di socializzazione esterna, ma anche alla dimensione privata. In alcune occasioni questo modo pubblico di stare in coppia arriva addirittura a creare problemi al- l’organizzazione: rivalità e gelosie diventano oggetto di discussione nelle assemblee, conferendo in questo mo- do una dimensione collettiva a quanto di più personale tradizionalmente esiste.

Tuttavia accade anche il contrario. Dice una testimo- ne intervistata da Aldo Cazzullo: «Il nostro modo di sta- re insieme era un modo di costruire una famiglia» 3 : es- sere parte di una comunità talmente chiusa all’esterno, nella quale privato e politico si sovrappongono fino a

2 Mauro Perino, Lotta Continua. Sei militanti dopo dieci anni, Rosenberg&Sellier, Torino 1979, p. 168.

3 Testimonianza di Carmen Bertolazzi in Aldo Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione. 1968-1978: storia di Lotta Continua,

Mondadori, Milano 1998, p. 166.

confondersi, crea le condizioni perché gli stessi schemi familiari dai quali molti hanno voluto fuggire, entrino nell’organizzazione senza che, apparentemente e inizial- mente, i suoi componenti se ne accorgano. Riflettendo proprio sulla privatizzazione del politico (o sulla politi- cizzazione del privato), scrive Guido Viale: «la relativa libertà di vita che il movimento degli studenti e quello “di strada” si sono conquistati, cede ampiamente il pas- so alla formazione delle coppie, e ad un aumento dello sfruttamento familiare da parte dei compagni e degli operai che “fanno politica”. È il modo migliore per rea- lizzare la propria militanza. La famiglia – proprio lei – si rivela la cellula elementare dell’organizzazione e del partito, così come resta la cellula elementare della so-

cietà e dello Stato» 4 .

Se questo accade in Lotta Continua è perché all’i- deologia politica «rivoluzionaria» non corrisponde la volontà di sovvertire i valori che regolano i rapporti personali e, in particolare, quello fra uomo e donna, definito da Marx «immediato, naturale, necessario al-

l’uomo» 5 . I comportamenti borghesi, patriarcali, ma- schilisti, sui quali si basano tradizionalmente i legami affettivi nella società occidentale contemporanea, si ri-

presentano anche nel gruppo: vivere in Lotta Continua come «in famiglia», fa sì che le donne finiscano presto

e Associati

Guerini

4 Guido Viale, Il sessantotto tra rivoluzione e restaurazione, Maz- zotta, Milano 1978, p. 181.

5 Laura Grasso, Compagno padrone. Relazioni interpersonali nel- le famiglie operaie della sinistra tradizionale e extraparlamentare,

Edizioni Angelo ©

Guaraldi, Rimini-Firenze 1974, p. 85.

con l’essere confinate nei ruoli dai quali hanno tentato di fuggire attraverso la militanza politica. Così, ad una condotta di vita che pretendeva di essere rivoluziona- ria nel pubblico, corrispondono molto spesso scelte in- volutive nel privato, anche se la divisione dei ruoli al- l’interno delle mura di casa si pone in netto contrasto con l’emancipazione raggiunta dalle donne nell’orga- nizzazione. Queste contraddizioni emergeranno tutta- via solo successivamente: fino a tutto il 1969 (cioè fino alla strage di Piazza Fontana) il movimento vive infatti una fase ascendente sia dal punto di vista politico (sia- mo nella fase dell’«autunno caldo») che emotivo. A contatto con il movimento operaio poi, ogni problema- tica di tipo femminile si dissolve, per lasciare il posto a questioni più ampie, generali, che, di fatto, escludono la condizione della donna dall’ambito della critica quotidiana.

Il «leaderismo»

Nelle dinamiche dei rapporti tra militanti, è necessario tenere in considerazione un fatto di estrema importanza. In Lotta Continua, come in ogni nuova comunità che si crea, sorgono, per lo più tacitamente, alcuni principi ai quali i rapporti intimi, completamente immersi nell’uni- verso politico del gruppo, non possono sottrarsi. Scrive Luigi Bobbio che tra il ’70 e il ’72 Lotta Continua è «un’aggregazione compatta di militanti cementata da una forte tensione emotiva attorno al potere carismatico Nelle dinamiche dei rapporti tra militanti, è necessario tenere in considerazione un fatto di estrema importanza. In Lotta Continua, come in ogni nuova comunità che si crea, sorgono, per lo più tacitamente, alcuni principi ai quali i rapporti intimi, completamente immersi nell’uni- verso politico del gruppo, non possono sottrarsi. Scrive Luigi Bobbio che tra il ’70 e il ’72 Lotta Continua è «un’aggregazione compatta di militanti cementata da una forte tensione emotiva attorno al potere carismatico

zioni private sfuggiva a Adriano, né a Pietrostefani» 7 . Una testimone torinese intervistata da Cazzullo ricorda l’atteggiamento di Pietrostefani – figura di leader inviso a molte donne per l’invadenza nella vita dei compagni – il quale oppose resistenza alla decisione da lei presa di in- terrompere la relazione con il proprio compagno:

(…) mi convocò per dirmi che non potevo lasciare un compagno che sarebbe entrato in crisi come militante e, poiché abitava con me, con la fidanzata avrebbe perso an-

che la casa 8 .

e Associati

Guerini

6 Luigi Bobbio, Storia di Lotta Continua, Feltrinelli, Milano 1988, p. 129.

7 Aldo Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, cit., p. 164.

8 Testimonianza di Margherita D’Amico in Aldo Cazzullo, I ra-

Edizioni Angelo ©

gazzi che volevano fare la rivoluzione, cit., p. 165.

Sempre di più con il passare del tempo, i leaders avran- no la tendenza ad eliminare qualunque elemento poten- zialmente minaccioso per il cammino rivoluzionario. Non solo l’onda liberatoria, spensierata e allegra che ca- ratterizzava il movimento studentesco viene gradata- mente allontanata, ma cala il divieto su qualunque com- portamento in contraddizione con il cliché del perfetto «rivoluzionario»: niente capelli lunghi, niente abiti stra- vaganti o vistosi, niente concerti o discoteca e, soprat-

tutto, niente sostanze stupefacenti 9 . Ricorda a questo proposito Margherita D’Amico, militante sopra citata:

Io fui rimproverata aspramente (…) perché frequentavo un’osteria in cui c’erano ex militanti che avevano lasciato la politica e fumavano spinelli. Non avrei più dovuto fre- quentarli. Un’altra volta Pietrostefani mi apostrofò, dopo avermi vista con gli orecchini e la gonna: «Ma come ti sei

conciata?» 10 . Ma esiste anche un’altra faccia di questo potere, che

coinvolge direttamente ed esclusivamente le donne: le figure dei leaders infatti, rappresentano un’innegabile attrattiva per molte, soprattutto perché, lo ripetiamo, essi venivano riconosciuti come tali grazie alle loro ri-

9 La chiusura di Lotta Continua rispetto all’uso delle droghe leg- gere (e, naturalmente anche pesanti) è ricordata da molti ex militan-

ti intervistati dall’autrice e, in particolare, da Giuliano Mochi e Gio- vanni De Luna.

10 Aldo Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, cit., p. 165.

sorse, al loro carisma; inoltre, le ragazze che iniziano a militare in Lotta Continua sono giovani o giovanissime

e, di conseguenza, sprovviste di strumenti culturali utili

a fissare una distanza critica, «di sicurezza», tra se stes- se e l’esperienza coinvolgente nella quale si trovano a vivere. Questi fattori contribuiscono a far sì che l’in- fluenza posseduta dai leaders abbia un ruolo importan- te nelle dinamiche dei rapporti amorosi. Ammette Franca Fossati:

Nelle relazioni con gli uomini eravamo subalterne, i lea- ders avevano con le ragazze un rapporto usa e getta: non c’era tempo, la rivoluzione incalzava e giustificava tradi-

menti e abbandoni 11 .

La testimone ricorda gli elementi che contribuiscono a rendere questi rapporti amorosi impari e dolorosi per le donne: vecchi e profondi condizionamenti culturali sono ancora presenti sia nelle compagne che nei com- pagni. Ma ad essi si sommano quelli nuovi, «rivoluzio- nari», le cui priorità non recano vantaggio ai legami af- fettivi:

Nella vita privata, nella vita di relazione, i compagni nostri erano incapaci di una relazione proprio vera, come quella che tu ti aspettavi. Poi, che tu te l’aspettassi così perché

e Associati

Guerini

eri ancora prigioniera del mito dell’amore totale, del prin- cipe azzurro… però, la quantità di sofferenza che loro di-

11 Testimonianza di Franca Fossati in Aldo Cazzullo, I ragazzi

Edizioni Angelo ©

che volevano fare la rivoluzione, cit., p. 253.

stribuivano… perché inevitabilmente ci innamoravamo di loro… molte donne erano innamorate, sognavano di stare con loro, perché il fascino del leader… è quello che parla meglio, è quello più bravo, quello più potente, quello più

forte… 12 . Oltre ai «capi», esiste poi un’altra figura fondamentale

nella vita comunitaria di Lotta Continua: l’operaio, co- lui sul quale l’organizzazione imposta l’intero apparato ideologico e concettuale. I rapporti nati in una dimen- sione in cui l’operaio (o il proletario) è il protagonista e l’interlocutore privilegiato nelle giornate di molti e mol- te giovani militanti, si trovano a dover rispondere a taci- te gerarchie di potere. Ricorda la militante (poi femmi- nista) Vicky Franzinetti a questo proposito:

Alcune donne hanno sentito molto la pressione a stare o col leader o col proletario, questi erano i due modelli 13 .

Da questo condizionamento sono esenti le ragazze coin- volte nell’esperienza del femminismo, (movimento che si diffonde nel nostro a partire dal 1969-1970) il quale si rivela fondamentale nel fornire alle militanti gli stru- menti utili per annullare l’aura da eroi che avvolge que- ste figure maschili. Al contrario, per le donne che subi- scono questa attrattiva, desiderare o rifiutare di stare

12 Testimonianza di Franca Fossati resa all’autrice, Roma 10 giu- gno 2003.

13 Testimonianza di Victoria Franzinetti resa all’autrice, Torino 22 aprile 2003.

con un operaio diventa una scelta politica, un indice di quanto realmente esse sappiano vivere ed agire da «compagne». Accusa Paola, militante torinese:

Dai compagni sentivi importi questa ideologia sulla tua testa: «Se sei una compagna devi fare l’amore con gli

operai» 14 . Tale ideologia, definita dalla stessa testimone «terro-

rista» e «fascista», viene avvallata perché, «(…) nella misura in cui si riteneva tipico della società borghese l’atteggiamento repressivo “classico”, si è creduto di fa- re della “morale rivoluzionaria” predicando la giustezza

e l’importanza del far l’amore, a prescindere da ogni al- tro discorso. Se guardiamo un momento alla “libertà sessuale” vigente nelle organizzazioni rivoluzionarie, ve- diamo come i suoi protagonisti sono ragazzi (…) per lo più privi di ogni connotazione veramente rivoluzionaria

e ragazze che sacrificano con ardore la loro verginità sull’altare della morale comunista» 15 . Iniziare un vero e proprio rapporto di coppia impli-

ca, per le donne, l’accettazione di tutte le condizioni im- poste dalla situazione e dalla mentalità da «nuovi rivo-

luzionari». Nel bene, in termini di maggiore sicurezza e fiducia in se stesse:

e Associati

Guerini

Mi piaceva avere un uomo, il mio compagno, insieme: questo mi dava una gran sicurezza, perché lui era all’al-

14 «Storie di compagne», Ombre Rosse, n. 15, p. 97.

Edizioni Angelo 15 ©

«Sesso e repressione sessuale», Ombre Rosse, n. 12, p. 35.

tra porta, io ero alla uno lui era alla due, e questa sensa- zione, ero anche comunque la «ragazza di», mi rendeva

più forte 16 .

E nel male, in termini di dissimulazione del disagio av- vertito:

Non si doveva essere gelosi (perché se no non si era com- pagni…). (…) Nel gruppo la posizione delle donne era in generale un po’ terribile: eravamo le donne di quelli che facevano politica; allora però era anche gratificante, per- ché loro erano bravi, erano dei leaders, e avevano prescel-

to noi 17 . Le situazioni che gli uomini vivono come rivoluzionarie

e interpretano come possibilità di rottura degli schemi, alle donne lascia al contrario un forte senso di sofferenza

e di privazione: le teorie dell’amore «libero» non tarda- no infatti a diventare forzature esercitate da un pensiero che pretende di essere rivoluzionario, ma che, nel mo- mento in cui si estende nella sfera dei rapporti privati, si rivela superficiale, incapace di mettere in discussione al- la radice la mentalità borghese dei militanti. Inoltre, que- sto nuovo modo di gestire i rapporti personali si trova in contrasto con il desiderio di stabilità che inevitabilmente emerge da una situazione di grande disordine sociale. Tuttavia, come la gelosia, anche questo sentimento verrà

16 Testimonianza di Daniela Monaci resa all’autrice, Roma 9 giu- gno 2003.

17 «Storie di compagne», cit., p. 100.

vissuto dai «rivoluzionari» come una debolezza da non esternare. Ingrid Austerlitz, militante bolognese, confer- ma con la sua testimonianza le tensioni che attraversano

i rapporti tra uomini e donne nell’organizzazione:

Tutto il personale era assolutamente soffocato per altre cose che bisognava fare. Chiaro che poi scoppiava anche perché erano anni in cui la sofferenza psicologica era for- te, quindi, doverlo sempre soffocare era veramente fatico- so… tant’è che i rapporti fra uomini e donne erano tesissi- mi, c’era chi teorizzava l’amore libero nel senso più largo

e tutti, credo, eravamo in qualche misura affascinati da queste teorie, salvo il fatto di dover fare i conti con il pro- prio sentire che era altro. Era, per me sicuramente anche qualcosa di molto forzato: avevo consapevolezza che in ogni incontro, anche nei rapporti più sporadici, c’era un grande bisogno di affetto, però tutte cose che non doveva- no mai essere esplicitate… Magari poi persone più grandi possono averle vissute diversamente, gli uomini sicura- mente, ma per me, che avevo dai 17 ai 20 anni, è stata una

cosa brutta… 18 . Non solo gli atteggiamenti prevalenti rispecchiano mo-

di libertini e maschilisti, ma, come ammette Guido Via- le, «i rapporti amorosi non erano solo i frutti della libe-

e Associati

razione sessuale, ma rappresentavano anche una forma di competizione» 19 . La competizione è una componen-

Guerini

18 Testimonianza di Ingrid Austerlitz resa all’autrice, Bologna 10 aprile 2003.

19 Testimonianza di Guido Viale in Aldo Cazzullo, I ragazzi che

Edizioni Angelo ©

volevano fare la rivoluzione, cit., p. 167.

te fondamentale all’interno di un gruppo come Lotta Continua, che elegge i suoli leaders in base alle capacità carismatiche, intellettuali e «rivoluzionarie». Competi- zione persiste anche sul piano del privato.

Esiste una terza categoria, quella dei militanti cosid- detti «di base», che resta schiacciata da tali dinamiche. Questi sono i più svantaggiati, perché privi degli stru- menti e dell’influenza posseduti dai leaders o dagli ope- rai. Ricorda un militante torinese come l’esistenza di al- cuni «poli» d’attrazione, provocasse la sofferenza di chi non apparteneva a nessuna delle due categorie:

Si diceva che c’era una categoria che erano gli eletti che potevano pensare di avere delle fidanzate, delle avventu- re, delle storie con le ragazze, invece, altre categorie, al- l’interno di Lotta Continua, che non avevano niente! In questo senso, gli operai rappresentavano un tipo di mito- logia che poteva anche solleticare «appetiti». E alcuni

operai infatti si sono poi sposati con compagne… 20 . Nell’aprile del 1977, quando ormai l’esperienza di Lotta

Continua può considerarsi conclusa, leggiamo sul quo- tidiano, in uno spazio dedicato alle corrispondenze con

i lettori, una lettera di un «compagno che non è in gam-

ba, non è dirigente, non parla di più nelle riunioni e che non spranga meglio e di più degli altri», le cui amare ri- flessioni tradiscono la profondità delle tensioni che at- traverseranno l’intera storia di Lotta Continua e coin-

20 Testimonianza di Giuliano Mochi Sismondi all’autrice, Torino 10 settembre 2003.

volgeranno le relazioni al suo interno intraprese: «(…) quante volte una compagna la si è persa perché lei ha preferito il compagno più in gamba, quello che era diri- gente, oppure chi parlava di più nelle riunioni, o chi sprangava meglio e di più e tanti altri casi (…), che egualmente sono frutto della competitività esistente an- che fra i compagni? No, compagne, questo non è solo un problema delle donne in esclusiva; ma è un proble- ma più vastamente politico che riguarda la sbagliata im- postazione dei rapporti anche fra noi che metta in di- scussione tutto e tutti. Qui finisco perché (…) sono un

po’ triste. Ciao con amore» 21 .

Le logiche interne ai rapporti che si creano in Lotta Continua sono tanto più complesse quanto più forte è la coesione interna tra i militanti. L’intera vita di una gene- razione di aspiranti rivoluzionari rimane per almeno set- te anni circoscritta ad un unico universo simbolico, col trascorrere del tempo sempre più ripiegato su se stesso e isolato dal resto della società: una tale chiusura verso l’e- sterno porta a stringere rapporti sempre più saldi tra co- loro che condividono questa esperienza. Tuttavia, le contraddizioni nascenti da questa situazione, se inizial- mente sono poco visibili, o comunque avvallabili per

paura di intaccare l’unità dell’organizzazione, proprio perché sublimate attraverseranno come un fiume carsico

e Associati

l’organizzazione, fino a trovare uno spiraglio per emer- gere via via che le vicende attraversate dall’organizzazio- ne intaccheranno il senso di comunità dei suoi membri.

Guerini

21 Care compagne cari compagni. Lettere a Lotta Continua, Edi-

Edizioni Angelo ©

zioni cooperativa giornalisti lotta continua, Roma 1978, pp. 51-52.

La crisi delle militanti

Nel 1972 Lotta Continua vive il suo primo momento di crisi. Dopo la strage di Piazza Fontana e il conseguente inasprimento dello scontro sociale, il partito reputa op- portuno procedere in direzione di una maggiore strut- turazione interna. In termini pratici, tale svolta porta ad una più rigida divisione dei compiti e quindi ad una più marcata burocratizzazione. La militanza perde la spon- taneità del primo periodo e, così come il sacrificio del privato, accettato fino a questo momento dai «rivolu- zionari», inizia ad essere vissuta come un obbligo sem- pre meno sopportabile. La «crisi della militanza» è maggiormente avvertita dalle donne, le quali si trovano

a fare i conti anche con la loro esclusione dalle cariche decisionali che, di pari passo con l’istituzionalizzazione, vanno destinandosi per la maggior parte ai compagni senza rispecchiare minimamente l’ampia partecipazione delle militanti alle attività politiche. Per la prima volta le prospettive personali delle compagne si dissociano da quelle del gruppo, muovendosi alla ricerca di una di- mensione privata più gratificante da affiancare (o sosti- tuire) a quella politica.

Decidere di diventare madri sembra essere la reazio- ne più comune: gli anni che vanno dal 1971 al 1973 so- no infatti quelli che potremmo definire del «baby boom» di Lotta Continua. Soprattutto per chi ha inizia- to la militanza già dal 1967-8 con le lotte studentesche, questa scelta sembra concretizzare il desiderio di co- struire al di fuori del mondo politico, qualcosa di per- sonale e solido, che sostituisca le aspettative ormai fru- Decidere di diventare madri sembra essere la reazio- ne più comune: gli anni che vanno dal 1971 al 1973 so- no infatti quelli che potremmo definire del «baby boom» di Lotta Continua. Soprattutto per chi ha inizia- to la militanza già dal 1967-8 con le lotte studentesche, questa scelta sembra concretizzare il desiderio di co- struire al di fuori del mondo politico, qualcosa di per- sonale e solido, che sostituisca le aspettative ormai fru-

te» 22 , le «rivoluzionarie» compiono così un passo a pri- ma vista totalmente contraddittorio rispetto al percorso politico intrapreso fino a quel momento. Avere un figlio è un’esperienza che per molte viene vissuta, per usare le parole di Daniela Monaci, come un tentativo di «radi- carsi» alla normalità, e quindi, in questo caso, al priva- to. Ma soprattutto è una decisione che fa nuovamente sentire la donna l’unica artefice e protagonista delle scelte operate:

Negli anni ’71-’72 c’era una grossa crisi, finito quel mo- mento bello negli anni ’70-’71, dopo sono stati anni più difficili, in cui dalla parte del movimento si passava dalla parte della «politica» e quindi della strutturazione delle organizzazioni e io non mi ci sentivo un gran che, ho sof- ferto tanto, me ne volevo andare, ma non ho avuto la for- za. Non l’ho fatto perché hanno ammazzato Calabresi 23 c’è stato un gran momento di crisi, hanno arrestato delle persone. Era quello il momento in cui sentivo una crisi micidiale. In quegli anni ho deciso di fare un figlio. Nel

e Associati

22 «Storie di compagne», cit., p. 101. 23 Il 17 maggio 1972 viene ammazzato Luigi Calabresi, il com-

Guerini

missario indicato dai gruppi della sinistra extraparlamentare come il principale responsabile della morte Giuseppe Pinelli, caduto il 15 dicembre 1969, in circostanze misteriose, dalla finestra dell’ufficio di Calabresi stesso. Per l’omicidio del commissario sono stati con- dannati i due principale leaders dell’organizzazione, Adriano Sofri e

Edizioni Angelo ©

Giorgio Pietrostefani, e l’ex militante Ovidio Bompressi.

’72 ho fatto questa istintiva scelta del figlio e poi lì la mia vita ha preso un’altra direzione completamente. Era un modo anche di riradicarmi alla vita, alla normalità. E con il mio compagno abbiamo fatto un figlio. Di fronte al fat- to che diventava «lotta dura senza paura», io istintiva- mente ho radicato me stessa e ho radicato il mio compa-

gno alla terra 24 . La maternità, per le donne che non vogliono abbando-

nare del tutto il gruppo, costituisce un valido pretesto per allontanarsi momentaneamente dalla vita politica in un momento ricordato da alcuni militanti come «mo-

struoso» 25 per i livelli di violenza e disciplina. Questa scelta permette da una parte di scoprire una nuova fon- te di appagamento, questa volta del tutto privata e, dal- l’altra, fornisce una «lente» attraverso la quale osservare con maggiore distacco l’organizzazione. Le motivazioni che avevano portato a non avere figli (quali, ad esempio, il rischio costante di essere arrestati o, in alternativa, di dover vivere alcuni periodi di latitanza), proprio in for- za della disaffezione che caratterizza la militanza di que- sto periodo, vengono viste ormai come insufficienti e fa- cilmente evitabili.

Seguendo un percorso di allontanamento contrario, alcune militanti, a causa delle delusioni subite nell’orga- nizzazione, decidono prima di uscire e solo in seguito di

24 Testimonianza di Daniela Monaci resa all’autrice, Roma 9 giu- gno 2003.

25 Cfr testimonianza di Giovanni De Luna resa all’autrice, Tori- no 24 settembre 2003.

«metter su» famiglia. L’abbandono di Lotta Continua provoca grandi sensi di colpa, perché vissuto come ce- dimento ai valori borghesi della famiglia e quindi come una sconfitta personale e collettiva, talmente lacerante

da portare la militante a mettere in discussione le sue capacità e quelle dell’intero gruppo, come testimonia Simona, una militante torinese:

Ho vissuto in molto lacerante la mia uscita dall’organiz- zazione, come una sconfitta personale e collettiva, ma soprattutto come un atto individuale perdente per me ma anche paradossalmente per tutti i compagni che co- noscevo. E ho vissuto il mio essere una «dissidente» donna come povertà di strumenti e come mancanza o comunque diminuzione di credibilità politica a livello

collettivo 26 . Il rapporto di coppia – che in seguito al riflusso assume

una dimensione maggiormente privata rispetto a mo- menti precedenti – e la maternità vengono vissuti addi- rittura come una «trappola», un ripiego indotto dal fal- limento di progetti politici nei quali i militanti avevano riposto la speranza di realizzare un sistema di rapporti personali diversi da quelli tradizionalmente proposti.

e Associati

Continua Simona:

Dopo l’uscita prima mia e poi di Carlo da L.C., il nostro rapporto di coppia si è involuto sempre su se stesso, è di- ventato la trappola di una famiglia tradizionale. Io sto vi- vendo la scelta di aver fatto dei bambini come una sconfit-

Guerini

Edizioni Angelo 26 ©

«Storie di compagne», cit., p. 101.

ta, anche Carlo l’ha vissuta così. Ho avuto a lungo paura dei ruoli tradizionali della casa, ho cercato di sfuggire, poi quando è arrivata mia figlia mi sono ripiombati addosso. Insomma, ho vissuto il mio rapporto di coppia come un processo di involuzione, (…) è involutivo come scelta, ri-

spetto a quello che pensavo, che pensavamo di poter fare 27 . Per i «rivoluzionari» trovarsi improvvisamente a vivere

la propria relazione in una dimensione totalmente pri- vata, porta allo scoperto le incoerenze esistenti nei rap- porti tra uomini e donne all’interno dei neo costituiti nuclei famigliari. Le contraddizioni precedentemente «diluite» nella vita collettiva dell’organizzazione si am- plificano, le stesse dinamiche della famiglia patriarcale che i militanti avevano creduto di poter distruggere si ripresentano intatte, diventando un reale problema nel momento in cui l’uomo, tendenzialmente, finisce con l’accettarle e la donna col subirle: torna ad imporsi, non senza turbamenti, una divisione di compiti, che assegna inevitabilmente alla donna l’ambito domestico e all’uo- mo quello politico. La condizione di estraniazione alla vita del partito è comune in entrambi i genitori solo du- rante il periodo immediatamente successivo alla nascita dei figli, periodo dopo il quale il compagno può decide- re – a differenza della donna, che vive questa esperienza in un modo, anche suo malgrado, totalizzante – di ri- prendere l’attività politica:

27 «Storie di compagne», cit., p. 101.

Vivevo anche con molta rabbia con il mio compagno, per- ché poi finiva che doveva uscire lui, non potevo uscire io,

non andavo alle riunioni… 28 .

La possibilità di scegliere se rientrare o meno nell’orga- nizzazione diventa una prerogativa maschile negata alle donne ed è proprio questo fatto a mettere in evidenza la posizione di svantaggio in cui quest’ultima è relegata. La donna si trova improvvisamente faccia a faccia con una quotidianità che ha perso qualunque connotato «ri- voluzionario» e viene investita dall’evidenza dell’inca- pacità – propria e dei suoi compagni – di creare un mo- do di vivere alternativo al «nucleo modellato secondo

l’impronta originaria, cioè maschilista» 29 . La decisione di avere dei figli, nata come desiderio di maturazione personale per entrambi i partners, non di rado assume per questi significati e conseguenze diverse:

C’era la voglia di alcuni valori che facendo molto il mili- tante ti erano negate: il rapporto con la tua donna e la vo- glia di avere un dopo con un figlio o una figlia. La gestio- ne dei figli, era evidentemente delegata alla donna, magari con rare eccezioni. Una figlia ti proponeva una serie di impegni che tagliavano fuori naturalmente prevalente-

e Associati

mente lei, piuttosto che anche un po’ tu, dalla vita che eri abituato a svolgere: quindi andare al mattino alla Fiat, se

devi allattare, piuttosto che far da mangiare, non lo fai più e così via. Per cui un figlio è sicuramente stato visto come

Guerini

28 Testimonianza di Daniela Monaci resa all’autrice, Roma 9 giu- gno 2003.

Edizioni Angelo 29 ©

Laura Grasso, Compagno padrone, cit., p. 15.

un po’ un ostacolo alla tua vita e alla militanza. Però era proprio nel ruolo: a te era permesso di continuare l’atti- vità politica, a lei no; a te era permesso continuare ad ave- re rapporti maschi-femmine e quindi magari avere le tue storie, lei meno, perché stava a casa e quindi aveva meno socialità e meno possibilità di stare fuori. E per questo non a caso nacquero poi i collettivi, i gruppi [femministi], perché c’era l’esigenza di presumere da noi e affrontare come donne i problemi che noi in parte ponevamo o pro- blemi che noi assolutamente non potevamo risolvere, anzi

che accentuavamo… 30 .

La testimonianza del militante torinese mette in luce le difficoltà con cui si trovano a convivere i militanti che desiderano cercare una maggiore stabilità «reinserendo- si» nella società dopo un periodo di «incapsulamento» all’interno dell’organizzazione e anticipa le soluzioni che adotteranno le donne, nel tentativo di risolverli, o, per lo meno, d’affrontarli. Ma non solo: dalle parole dell’ex militante emerge soprattutto la persistenza del pregiudizio secondo il quale la maternità sia «se non proprio un attributo indispensabile alla donna, un fatto che comunque la riguarda più da vicino, più di quanto

riguardi l’uomo» 31 . La compagna del testimone si trova infatti a pagare questa forzata «normalità» con l’esclu- sione dalla vita politica, ambito al quale lei stessa si è de- dicata in modo totalizzante fino a poco tempo prima e

30 Testimonianza di Giuliano Mochi Sismondi all’autrice, Torino 10 settembre 2003.

31 Laura Grasso, Compagno padrone, cit., p. 178.

questa situazione non può che essere vissuta come una costrizione.

Oltre ai problemi di coppia, le compagne si trovano

ad affrontare l’ostilità, diffusa in Lotta Continua, nei confronti di chi sceglie la maternità come un’alternativa alla militanza. Così Donatella Barazzetti ricorda il clima che caratterizza il partito attorno al 1972:

Una condizione che è andata sempre più stringendosi e burocratizzandosi all’interno di un’idea di partito molto più tradizionale, diciamo leninista, con delle chiusure, delle rigidità veramente forti, e con tutte le conseguenze che comunque le donne in quel gruppo avuto, proprio classiche: faccio un bambino e quindi vengo emargi-

nata… 32 . L’idea «mitica» di solidarietà condivisa da tutti i mili-

tanti inizia ad infrangersi contro l’indifferenza che i compagni dimostrano rispetto al nascente disagio delle donne:

Dopo ’71, con il riflusso delle lotte, questo vivere (…) ha cominciato a scontrarsi con la realtà (…). Prima io avevo un’idea mitica e moralista del fare politica (…) ai miei

problemi personali non volevo pensarci. Nel ’72 ho avuto una figlia, una cosa completamente incosciente: avevo bi- sogno di privato, di intimità, di vivere decentemente. (…)

e Associati

Guerini

Ho detto incosciente, perché (…) avevo un’idea mitica della solidarietà tra i compagni, pensavo che mi avrebbero

32 Testimonianza di Donatella Barazzetti resa all’autrice, Roma 9

Edizioni Angelo ©

giugno 2003.

aiutato. Invece sono stati fatti miei, l’isolamento che ho subito è stato una cosa allucinante 33 .

I rapporti sorti nell’organizzazione e basati sui valori da essa imposti – primo fra tutti la produttività, il dover «fare» – causano infatti una profonda incomprensione per le scelte dettate da esigenze private e quindi non condivisibili collettivamente. Questa atteggiamento di ostilità si esprime in modo più diretto contro le donne, emarginate dall’attività del gruppo:

Un episodio che ancora mi fa male a pensarci è la discri- minazione che noi abbiamo – noi, dico tutti noi – usato verso le poche, in particolare una donna che in qualche modo era diversa da noi perché aveva fatto due figli e quindi stava a casa a guardarli, mentre suo marito faceva il dirigente di Lotta Continua, tutti a dire: «Ah ma come,

ma com’è che lei non viene mai!» 34 .

I militanti inoltre vivono l’organizzazione come un «pa- dre» autorevole e i vertici stessi di Lotta Continua han- no la consapevolezza di possedere un tale ascendente, tanto da credere di potersi opporre o di poter imporre la loro volontà anche nel caso di una decisione persona- le quale è quella della maternità, qualora essa fosse ve- nuta a stornare l’attenzione dei militanti dalla lotta di classe. A questo proposito, Anna Totolo, militante tori-

33 «Storie di compagne», cit., p. 101. 34 Testimonianza di Donatella Barazzetti resa all’autrice, Roma 9

giugno 2003.

nese, ricorda la reazione dei «capi» che, informati della sua sospetta gravidanza tentarono di convincerla ad abortire,

dicevano che ero troppo importante per l’organizza- zione. A un maschio non avrebbero mai chiesto di ri-

nunciare a un figlio 35 .

In realtà il problema si pone diversamente, dato che

ad un compagno la scelta di avere un figlio non impli-

ca una definitiva esclusione dalla vita politica, come invece, in molti casi, accade alle donne: Anna Totolo nel ’72 abbandona la militanza per la maternità. Come lei, Marianna Bartoncelli, dirigente siciliana di Lotta Continua, la quale, in un articolo scritto sul quotidia- no di partito durante la campagna elettorale del giu- gno 1976 (alla quale partecipa come candidata), ricor-

da le difficoltà incontrate in seguito alla scelta di di- ventare madre: «avevo deciso di fare un figlio. Essen- do incinta diventava sempre più difficile continuare a fare politica, sino a quando poi il figlio è nato e allora lavorare nell’organizzazione è stato impossibile. E così ho scoperto che la politica era un privilegio dei maschi

a meno di non rinunciare ad un rapporto con mio fi-

e Associati

glio. Da quel momento ho capito cosa significa vivere con la contraddizione di madre. E poi se andavo ad

Guerini

una riunione portandomi il figlio dietro, bastava che

35 Aldo Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, cit.,

Edizioni Angelo ©

p. 251.

piangesse o disturbasse che i compagni me lo facevano portare via» 36 . Se questo accade è perché è da considerare ancora largamente condivisa l’idea secondo la quale «all’uomo è sempre attribuita la sfera del pubblico, alla donna quella del privato. Questo concretamente, in termini di tempo, voleva dire l’impedimento o la limitazione del-

l’attività politica» 37 .

A causa delle contraddizioni che da questo momen- to iniziano a manifestarsi, ormai in maniera palese e sof- ferta, nel rapporto con il proprio compagno così come con alcune frange dell’organizzazione, non saranno po- che le neo madri a decidere di aumentare le distanze con l’organizzazione. Per gli stessi motivi, contempora- neamente, alcune di loro inizieranno anche ad avvici- narsi ai collettivi femministi, non senza tentare di intro- durre la problematica femminile anche in Lotta Conti- nua. Chiara, militante torinese, ricorda brevemente le motivazioni che l’hanno condotta fino all’esperienza del femminismo, partendo dalla maternità e dall’insoddi- sfazione provocata dal suo sentirsi costretta nel ruolo di madre e donna «di casa»:

È cominciato nella mia casetta, col mio maritino e la mia bambina sempre sporca, uno strano e confuso disagio. (…) Mi ero rotta le scatole di questa vita che (…) non mi

36 Marianna Bartoncelli, «I doveri di militante rivoluzionaria e i diritti di donna. La politica non è più un privilegio dei maschi», Lot-

ta Continua, 19 giugno 1976. 37 «Storie di compagne», cit., p. 94.

dava in realtà niente altro che alienazione e panni sporchi. E questo è stato il primo passo verso la presa di coscienza della mia condizione. Il comunicare il mio disagio alle al- tre donne è stato il passo successivo 38 .

Il femminismo La maternità, espressione palese della nuova esigenza

di «privato», non tarda a portare a galla contraddizioni dalle quali le militanti stesse si erano credute esentate.

A cominciare da questa esperienza, le donne iniziano a porsi, prima individualmente, poi collettivamente, del- le domande circa i rapporti personali nati all’interno dell’organizzazione: un tale atteggiamento contribuisce

ad incoraggiare l’adesione alle nuove idee che con il femminismo si vanno diffondendo e affermando in un vero e proprio movimento. Esso diventa un’alternativa reale per le compagne insofferenti ai cambiamenti del- l’organizzazione. Il percorso in direzione di questo mo- vimento, per le donne dei partiti «rivoluzionari» avvie- ne inizialmente in «negativo», seguendo cioè l’esigenza di capire, razionalizzare e inquadrare le frustrazioni av-

e Associati

vertite nel gruppo. La transizione dal movimento «ri- voluzionario» a quello femminista – che assumerà ca-

Guerini

ratteri di massa dopo il 6 dicembre 1975 – inizia intor- no al 1972, ma è ancora un fenomeno poco evidente. Esso ha soprattutto le caratteristiche di una reazione di

Edizioni Angelo 38 ©

«Storie di compagne», cit, p. 104.

disapprovazione della nuova linea promossa da Lotta Continua, è un primo sintomo del desiderio femminile di riflettere sulla propria esperienza di militante, che solo in seguito si tradurrà in presa di coscienza delle contraddizioni politiche che compromettono i rapporti fra uomini e donne anche nei gruppi della sinistra ex- traparlamentare.

Sempre di più, riunioni, discussioni e, soprattutto, spazi comuni, iniziano ad essere visti come strumenti necessari per elaborare e portare avanti, all’interno del gruppo, uno specifico punto di vista femminile. Ricorda Ingrid Austerlitz:

Era una cosa abbastanza spontanea: ad un certo punto è successo che si cominciasse a fare riunioni come donne e

la cosa era veramente indivisa, osteggiata dai maschi 39 . Nonostante la centralità operaia resti il punto di vista

privilegiato, la campagna per il referendum sul divorzio prima e quella per l’aborto dopo, mettono Lotta Conti- nua nella condizione di doversi esprimere su temi ri- guardanti da vicino famiglia, condizione della donna e rapporti privati, pur non riconoscendo queste proble- matiche come «politiche». A questo proposito, nel gen- naio del 1974, in conclusione ad una lunga analisi di- retta ad inquadrare il referendum all’interno della com- plessiva situazione economica, politica e internaziona- le, sul quotidiano si afferma: «Noi dobbiamo evitare

39 Testimonianza di Ingrid Austerlitz resa all’autrice, Bologna 10 aprile 2003.

l’errore di sottovalutare l’intervento specifico sul tema del divorzio, di considerarlo un puro pretesto (…) per- ché trascurerebbe l’importanza di un orientamento co- munista su temi come quelli della famiglia e della mo- rale (…). Dobbiamo essere preparati a sviluppare un discorso di classe sulla famiglia, sui rapporti tra uomini

e donne, sui rapporti tra figli e genitori (…). La nostra campagna deve raggiungere le donne proletarie, e i gio- vani, quelli che dall’uso padronale della crisi economi-

ca e dalla fascistizzazione del potere sono più pesante-

mente colpiti (…)» 40 .

Proprio la campagna per la liberalizzazione dell’a- borto riuscirà a concentrare le energie e le attenzioni delle compagne sugli aspetti più privati della questione femminile: l’intervento politico sulle donne, inizial- mente attento alle sole esigenze «materiali» (autoridu- zione delle bollette, sospensione dell’affitto, occupa- zioni delle case), porta, da una parte a far emergere con chiarezza l’urgenza dei «bisogni» femminili e a stimola- re una riflessione sulla condizione delle donne proleta- rie attraverso la conoscenza diretta di aspetti di vita quotidiana fino a quel momento considerati «sovra- strutturali», mentre, dall’altra, provoca nelle militanti il

e Associati

desiderio di denunciare l’atteggiamento dei partiti del- la sinistra (vecchia e nuova), che hanno «sempre enfa-

Guerini

tizzato i bisogni materiali dei proletari, come se i pro-

40 «Il referendum contro il divorzio. La ripresa della lotta ope- raia. La sconfitta della Dc. L’affossamento del compromesso stori-

Edizioni Angelo ©

co», Lotta Continua, 13 gennaio 1974.

blemi «esistenziali» fossero esclusivo appannaggio del- la borghesia» 41 . In particolare, il lavoro sociale svolto durante le occupazioni delle case contribuisce a realiz- zare il desiderio delle donne di Lotta Continua di inter- venire «sulle» proletarie e renderle direttamente parte-

cipi alla vita dell’organizzazione 42 , ma soprattutto a far loro prendere coscienza dell’urgenza e dell’estensione del problema dell’aborto. Se infatti Lotta Continua considera quasi solamente il strumentalmente politico di tale problema (vale a dire la battaglia contro il gover- no democristiano), sorvolando, come già aveva fatto con il divorzio, su tutto ciò che tocca più da vicino le donne, per le compagne delle neo nate commissioni l’a- borto, diventa un obiettivo principale e aggregante: riunite in un secondo convegno nazionale alla fine di febbraio, discuteranno di questo come dell’argomento

centrale dei loro dibattiti e delle loro iniziative 43 . Ricor-

da Donatella Barazzetti: La lotta per l’aborto è in qualche modo diventata un po’ il

collante perché era un obiettivo concreto che assomiglia- 41 Derossi G., Re G., L’occupazione fu bellissima, 600 famiglie oc-

cupano la Falchera, Edizioni delle donne, 1976, p. 10. 42 Alla fine del 1973 si formano a Torino e immediatamente do-

po a Roma, le prime due commissioni femminili, seguite, in pochis- simo tempo, da molte altre. Nonostante il loro rapido fiorire tutta- via, Lotta Continua ufficializzerà la loro presenza solo durante il 1° Congresso Nazionale del gennaio 1975.

43 «Il Convegno Nazionale delle commissioni femminili», Lotta Continua, 7 febbraio 1975.

va ad altri obiettivi da raggiungere che erano stati in pas-

sato quelli delle lotte operaie 44 .

Il personale è politico La lotta per la liberalizzazione dell’aborto porta alla ma-

nifestazione del 6 dicembre 1975: una data che per Lot- ta Continua rappresenta «la» svolta, l’esplosione violen- ta di una contraddizione interna che conduce ad un la- cerante scontro di posizioni etiche e politiche. Quel giorno ventimila donne si danno appuntamento a Roma per rivendicare la legittimità di abortire legalmente, gra- tuitamente, con le adeguate assistenze. Proprio in quel- l’occasione, un gruppo di militanti di Lotta Continua – sezione Cinecittà – tenta di introdursi nel corteo in no- me dell’unità di classe, privando le stesse compagne del diritto di condurre una lotta femminista e interclassista. L’atto di prepotenza viene avvertito come un’aggressio- ne e come tale respinto dalle donne con la forza. Agli occhi delle militanti, il 6 dicembre rende definitivamen- te esplicita la cecità politica dei loro compagni, i gravi ritardi e le ambiguità con cui la questione femminile è

stata affrontata nel gruppo, la profonda influenza che la mentalità borghese ha sul loro modo di vivere nel priva-

e Associati

to Guerini 45 . Le compagne respingono l’idea che il terreno ma-

44 Testimonianza di Donatella Barazzetti resa all’autrice, Roma 9 giugno 2003.

45 «Comunicato della commissione femminile di Roma», Lotta

Edizioni Angelo ©

Continua, 10 dicembre 1975.

teriale sia l’unico veramente «politico», vogliono poter capire con una diversa logica, quella femminista, che sappia affrontare la specificità dell’essere donna, esalta- re lo stretto legame esistente tra «politico» e «privato», facendone il terreno di confronto indispensabile per una nuova pratica politica. Esse non esitano a rimettere in discussione tutto l’universo politico e personale (que- sta volta senza più distinzione tra i due ambiti) che in prima persona hanno contribuito a creare; intendono rivedere tutta la storia del partito alla luce della con- traddizione principale, quella fra uomo e donna. Par- tendo dalla parola d’ordine «il personale è politico», ri- vendicano così la necessità di un’analisi di classe e una battaglia sul terreno dei bisogni fino a quel momento relegati nell’ambito del privato (maternità, paternità, sessualità, sentimenti) e una messa in discussione dello stile, della qualità del lavoro politico e della concezione stessa del partito. Ma condurre una riflessione critica di un’organizzazione come Lotta Continua, nella quale l’i- dentificazione tra militanti e partito è stata profonda fin dall’inizio, significa, soprattutto per le compagne che in essa hanno militato fin dal primo giorno, ripercorrere e riconsiderare tutta la loro storia di militanti e quindi di donne. Esse iniziano modificando innanzitutto la loro pratica politica: intervengono nelle assemblee partendo direttamente dalla propria vita, rivendicando il diritto di esprimersi sull’intera strategia rivoluzionaria, proprio

a partire dalle loro condizione di donna: il «privato» en- tra a pieno diritto nei loro dibattiti, gettando le basi di una nuova politica, femminista, che garantisce al perso- nale lo stesso diritto di cittadinanza che ha il «politico».

Trovarsi fra donne, esternare i propri disagi in con- dizioni informali e sottratte alle rigidità mentali e orga- nizzative del partito, è la pratica che maggiormente con- tribuirà a dare forza alle femministe di Lotta Continua. Donatella Barazzetti ricorda a questo proposito:

L’idea che le piccole cose, i disastri della tua vita quoti- diana fossero in realtà qualcosa che era proprio di tutte le altre, che potevi condividere, che aveva un senso che andava al di là della specifica relazione col tuo compa- gno, aveva un fondamento generale, è stata una scoperta travolgente, dopodiché, come tutte le scoperte travol- genti, è stata irriducibile, anzi, tanto più per così dire, si è posta una resistenza della parte maschile, tanto più noi ci siamo radicalizzate in senso di opposizione a tutto

questo 46 . La rivelazione contenuta nella possibilità di partecipa-

zione alle sofferenze e alle emozioni delle altre donne è accompagnata da un’altra scoperta altrettanto fonda- mentale: il carattere invasivo e di mediazione del partito nei rapporti personali, i quali restano in molti casi su- perficiali e formali. Le militanti scoprono che passare insieme la maggior parte delle proprie giornate, anche

e Associati

per molti anni, non è una garanzia di conoscenza reci- proca e che l’aumentare della burocrazia dà origine ad

Guerini

una scala gerarchia che crea difficoltà d’approccio e di avvicinamento. Quest’ultimo aspetto pone la questione

46 Testimonianza di Donatella Barazzetti resa all’autrice, Roma 9

Edizioni Angelo ©

giugno 2003.

non solo delle differenza, ma anche delle gerarchie esi- stenti tra donne. Afferma Ingrid Austerlitz:

Partendo dall’esperienza di Lotta Continua abbiamo co- minciato a raccontarci come stavamo nell’organizzazione, abbiamo scoperto che non avevamo quasi rapporti fra di noi, non erano nati rapporti d’amicizia tra donne all’inter- no dell’organizzazione. La cosa appunto che abbiamo scoperto è stato proprio questo: che fino ad allora non ci si conosceva, stavamo assieme un sacco di ore senza sape- re niente una dell’altra, senza avere confidenza, in rappor- ti comunque gerarchici. Nei confronti delle più grandi c’era comunque una forma di rispetto, non scattava in- somma la solidarietà, la confidenza che poi invece abbia-

mo instaurato successivamente 47 . Le militanti trovano il coraggio di analizzare anche i lo-

ro reciproci rapporti, di riconoscere le somiglianze che le uniscono e denunciare le divergenze che le dividono. Scrivono alcune militanti femministe torinesi: «I rap- porti tra le compagne e coi compagni sono vecchi e stantii. Le dirigenti femmine travestite da dirigenti ma- schi, che scimmiottano i loro atteggiamenti e la loro vi- sione del mondo, negando di avere anche loro in sé la contraddizione di donna, non ci interessano e non ci rappresentano. Lotta Continua trasforma troppe volte il politico in personale, invece del contrario, (…) non ri- conoscendo il dibattito non «ortodosso» e soprattutto

47 Testimonianza di Ingrid Austerlitz resa all’autrice, Bologna 10 aprile 2003.

non aprendo un dibattito tale nell’organizzazione e fuo- ri, perché la «questione femminile» diventi veramente uno degli elementi nella coscienza, nella lotta e nell’or-

ganizzazione» 48 . Le cause di tali divisioni quindi sono esterne rispetto alle donne, risiedono cioè nel partito, nel suo essere totalizzante, nella creazioni di ruoli e nel- la distribuzione del potere al proprio interno.

Le compagne non si accontenteranno, questa volta, di autocritiche superficiali e di irreggimentati spazi di discussione, ma pretenderanno l’apertura delle porte delle sedi, così come quelle delle proprie case, finendo con il coinvolgere il politico e il privato in un unico, co- mune processo, che in soli tre mesi arriverà a sovvertire completamente l’organizzazione.

Il Congresso di Rimini (31 ottobre-4 novembre 1976)

Al suo secondo congresso Lotta Continua arriva attra- versata da una grave crisi che investe, prima ancora del- la sua linea politica, il suo stesso modo di fare politica, le ragioni della sua esistenza e quelle dell’impegno di

e Associati

ogni suo singolo militante. A Rimini si riversano molti anni di lotta di classe, di lavoro comune, di errori ma,

Guerini

soprattutto, di storie personali di almeno quattro «leve»

48 «Le donne sono la metà della politica», Lotta Continua, 7 feb-

Edizioni Angelo ©

braio 1975.

di militanti «rivoluzionari» 49 . L’emotività ancora una volta fa da collante in questi cinque giorni di discussio- ni. Prendono la parola le «vecchie» militanti, quelle più legate al partito, che per più tempo delle altre hanno creduto (e che forse credono ancora) che Lotta Conti- nua avrebbe potuto assumere la «doppia» faccia (classi- sta e femminista); che hanno alle spalle più anni e più episodi taciuti da denunciare, come militanti esterne da- vanti alle fabbriche, come «angeli del ciclostile», come dirigenti intermedie e anche come donne «del tal com- pagno»; che hanno avuto con gli uomini rapporti trava- gliati, difficili, mediati dai ruoli imposti dal partito o dai tempi della rivoluzione, sacrificati in nome di una cen- tralità operaia «che se è rivoluzionaria nelle piazze è in- vece reazionaria nel privato e nei rapporti interni del-

l’organizzazione» 50 . Ma parlano anche le più giovani, entrate in Lotta Continua quando quest’ultima aveva intrapreso la strada dell’istituzionalizzazione e della bu- rocratizzazione e che per questo hanno avuto anche me- no remore nel rivolgersi al femminismo; parlano le fem- ministe, quelle che lo erano già prima del 6 dicembre e quelle che lo sono diventate dopo. Ma soprattutto, par- lano quelle che non hanno mai osato farlo, che hanno percorso tutte le tappe di un’emancipazione ottenuta soltanto al costo della sublimazione del proprio essere donna e che a Rimini o poco prima, trovano la forza di rivalutare la propria militanza. Prendono la parola par-

49 Cfr Il 2° congresso di Lotta Continua, Rimini 31 ottobre-4 no- vembre 1976, Edizione «Coop. giornalisti Lotta Continua», p. IX.

tendo dalla propria condizione di donne, scardinando i binari di anni di discussioni di disciplinati congressi e convegni, nei quali si preparava una rivoluzione mai av- venuta, in nome della quale contraddizioni e bisogni so- no stati ignorati. E si rivolgono proprio contro questo irrealizzato sogno e contro coloro che hanno contribui- to a far credere che esso si sarebbe velocemente. Ricor-

da Ornella di Padova: (…) quando per anni la linea che anche noi come donne

portavamo avanti, ci diceva che la rivoluzione era dietro l’angolo, che ogni lotta era fondamentale, che ogni lotta operaia era l’inizio dell’insurrezione o cose del genere, io per esempio le mie contraddizioni me le buttavo dietro. (…) Le mie contraddizioni di donna le rimandavo a

dopo 51 . Tutte le scelte che nella vita dei militanti sono state ri-

mandate e le cause di tale ritardo, vengono in questa se-

de indagate e denunciate, ed anche per questo motivo «Rimini» – come i militanti informalmente si riferiscono al secondo congresso di Lotta Continua – viene ricorda- to come una gigantesca seduta di autocoscienza, un rito sentimentale di massa nel quale si riversano anni di

e Associati

sconfitte e contrapposizioni interne, di rancori covati e repressi.

Guerini

Le compagne mettono in discussione il potere, in tutte le sue diramazioni e i suoi aspetti e, attraverso que-

50 Il 2° congresso di Lotta Continua, cit., p. 178.

Edizioni Angelo 51 ©

Il 2° congresso di Lotta Continua, cit., p. 170.

sto, questa volta in maniera definitiva, anche l’intera storia di Lotta Continua, con un susseguirsi di denunce

e confessioni nel quale privato e politico si rincorrono fino a confondersi. Quello che ormai è considerato il «vecchio» partito, strumento di perpetuazione del pote- re maschile, viene preso di mira dalle compagne che ne dichiarano la fine:

Non mi va bene questa struttura del partito, che è una struttura maschile gerarchica, cha ha all’interno una logi-

ca di potere, che ha una base e un vertice 52 . Un’organizzazione che si pone come obiettivo il rove-

sciamento della società capitalista non è più sufficiente, ma, anzi, è considerata parziale perché non comprende

i bisogni delle donne e assume la centralità operaia co- me unica prospettiva privilegiata. Le compagne rivendi- cano un nuovo modo di organizzarsi, da realizzare at- traverso una nuova concezione di partito rivoluziona- rio, che, per essere tale, deve considerare primari i biso- gni degli individui e, in particolare, delle donne. Affer- ma con decisione Laura di Siracusa:

Oggi per noi ci sono innanzitutto i nostri bisogni e non c’è il punto di vista degli altri. (…) Allora, qualsiasi concezio- ne del partito che si opponga a questo modo di vedere, io

non sono d’accordo che esista 53 .

52 Il 2° congresso di Lotta Continua, cit., p. 173. 53 Il 2° congresso di Lotta Continua, cit., p. 176.

Le compagne presentano all’organizzazione il conto dei ritardi imposti alle loro vite e alle loro scelte da un pro- getto del quale non sono mai state del tutto partecipi e protagoniste. Responsabile di questo ritardo è il gruppo dirigente, detentore per eccellenza del potere, del quale le donne non esitano a mettere a nudo l’autoritarismo e il paternalismo: i leaders sono infatti accusati di aver espropriato tutti i compagni degli strumenti critici per partecipare attivamente alla costruzione della linea. Tra dirigenti e militanti si è verificato, con il tempo, un al- lontanamento che ha contribuito alla crescita della con- cezione del «genio», alla creazione cioè di una serie di figure autorevoli e rispettate, mai messe in discussione, attorno alle quali si è così concentrata, con il tempo, tut- ta la gestione dell’organizzazione. Questo gruppo di persone, insieme da tempi addirittura precedenti alla nascita dell’organizzazione, ha sviluppato una concezio- ne patrimoniale del partito che l’ha portato a considera- re Lotta Continua come un bene privato, del quale po- ter disporre senza dover rendere conto a nessuno. A questa concezione personalistica del partito, le donne ne contrappongono un’altra, basata su quella che Dona-

tella Barazzetti chiama l’«intelligenza collettiva» 54 , ba-

e Associati

sata cioè su un’omogeneità da costruirsi con la pratica della discussione e del confronto, come hanno fatto le

Guerini

compagne nei giorni del congresso. Proprio a partire da questa pratica, quindi, le com- pagne si rivolgono ai «capi», facendo nomi e cognomi,

Edizioni Angelo 54 ©

Il 2° congresso di Lotta Continua, cit., p. 245.

senza più remore e senza mediazioni: Sofri, Pietrostefa- ni, Rostagno, Viale sono i principali capri espiatori, co- loro che negli anni hanno finito con l’incarnare il ruolo dell’oppressore, i maggiori responsabili del «terrorismo

intellettuale» 55 dal quale le donne sentono di doversi di- fendere e ribellare. I leaders sono sottoposti ad un vero

e proprio processo «popolare», chiamati a rispondere in veste dei principali colpevoli del tracollo di Lotta Continua e delle sofferenze dei suoi militanti. È ancora Donatella Barazzetti a ricordare:

Qualcuna ha cominciato a dire: «Io voglio dire che cosa ho passato quando ho deciso di fare un figlio e sono stata emarginata», «Io voglio dire che cosa ha significato quando mi si diceva che dovevo andare a letto con gli operai perché questa era una cosa importante» e cose an- che più pesanti, del tipo: «Io voglio dire quando volevo fare un figlio e mi è stato detto no» o cose anche più gra- vi. Quando noi, come gruppo, ci siamo ficcate là sopra [sul palco] e ciascuna si è alzata dicendo: «Io voglio dire questo», è stato uno shock generalizzato, perché è stato un tirare fuori tutto. È stato un vero shock: quando tu vai su e non affronti più nessun tipo di mediazione, vai e sbatti in faccia che cosa ha significato questo e che cosa

ha significato quello sulla pelle – perché quelle che han- no cominciato a parlare sono state quelle che hanno pas- sato il peggio delle cose – lì è stato lo shock anche perché comunque nelle discussioni nelle sedi non era così evi- dente questo compattamento che a Rimini noi tutte ab- biamo avuto ed è stata una roba che ha sorpreso anche

55 Il 2° congresso di Lotta Continua, cit., p. 257 e p. 261.

noi stesse che ci ritrovavamo e dicevamo: «Allora adesso io voglio affrontare anche questo», «Io voglio affrontare anche questo». E man mano, da problemi di tipo genera- le, cioè discutendo ancora di cose che potevano essere più simili ad un’analisi politica della situazione, si è pas- sati direttamente al piano della soggettività: «Io ho subi- to questo»: nome e cognome. Cose che noi dicevamo so- lo nei piccoli gruppi. Accuse precise ad Adriano, su co- me era stata la sua gestione e così via, anche perché obiettivamente in Lotta Continua ci sono state cose pe-

santi da questo punto di vista… 56 . Negli interventi, l’aspetto emotivo non si disgiunge

più da quello politico. È la milanese Franca Fossati a parlare:

Era proprio uno sbando esistenziale, molto prima che po- litico. Ciascuno era costretto come a mettere in discussio- ne un po’ se stesso, la propria vita. Soprattutto per chi poi

aveva vissuto un’oppressione in modo diretto 57 . Le compagne – ma come loro anche molti compagni 58 –

si sentono espropriate non solo della linea politica e del- la possibilità di contribuire alla sua costruzione, ma an-

che e soprattutto della loro vita, dei loro rapporti, del modo di essere donne (e uomini) e del modo di stare in-

e Associati

Guerini

56 Testimonianza di Donatella Barazzetti resa all’autrice, Roma 9 giugno 2003.

57 Testimonianza di Franca Fossati resa all’autrice, Roma 10 giu- gno 2003.

Edizioni Angelo 58 ©

Cfr. Mauro Perino, Lotta Continua, cit.

sieme in quanto tali; rifiutano la divisione schizofrenica tra politico e privato e la spersonalizzazione che ha ca- ratterizzato i loro comportamenti.

Se quindi, come ancora le compagne auspicano, dal- le ceneri del «vecchio» partito dovrà nascerne uno nuo- vo, altrettanto nuovi dovranno essere i criteri di elezio- ne dei dirigenti. In questa direzione Luciana di Messina avanza una proposta che deve suonare decisamente fol- le per i militanti: anche il privato – pretende la donna, dando voce ad un desiderio comune tra le compagne – deve avere peso nella scelta dei «capi», affinché i com- pagni che tra le mura di casa o della sezione non rispet- tano il punto di vista femminile, anche se giudicati per- fetti «rivoluzionari», non abbiano più accesso ai vertici dirigenziali, affinché ad essere giudicato sia l’uomo (o la donna), in tutti i suoi aspetti:

Io non voglio che i compagni, dirigenti e non dirigenti, vengano giudicati in modo parziale. Io conto moltissimo su quello che fanno i compagni dirigenti, non tanto su quello che dicono. (…) C’è una differenza molto notevo- le, spesso, tra quello che si viene a dire qui a livello ufficia- le, a livello politico e quello che riscontriamo nella vita che conducono. Ora io dico che questo dentro Lotta

Continua non può passare più. (…) Questi criteri 59 sono assolutamente parziali, perché non tengono conto di un «compagno intero» lo dividono, lasciando una facciata uf-

ficiale e una facciata privata 60 .

59 Cfr criteri proposti da Sofri per l’elezione dei nuovi dirigenti, in Il 2° congresso di Lotta Continua. cit., pp. 41-42.

60 Il 2° congresso di Lotta Continu,a cit., p. 151.

Le compagne pretendono che i loro criteri e discorsi siano considerati a pieno diritto «politici», perché repu- tati fondamentali per la fondazione del nuovo partito ri- voluzionario: partire da se stessi, mettersi in discussione come persone, come donne, come uomini, è una prati-

ca, che non impedisce di esprimersi in generale sulla li- nea politica, ma che anzi, impone di farlo partendo pro- prio dalla realtà cui ognuno vive.

I nuovi principi femministi stravolgono completa- mente i canoni di ciò che è ritenuto tradizionalmente politico e, proprio attraverso essi, le donne non esitano

a mettere in discussione pubblicamente e collettiva- mente il comportamento privato dei compagni e so- prattutto dei dirigenti, «violentati» verbalmente dalle compagne. Queste ultime pretendono, senza ottener-

la 61 , che leaders e militanti, a partire dalle loro espe- rienze personali, si mettano a confronto con la contrad- dizione uomo-donna come persone e, soprattutto, co- me maschi. Il terzo giorno è Vicky che interviene su questo punto dicendo:

Potete cominciare a mettervi in discussione, a partire dal vostro rapporto sessuale, a partire dalla vostra vita (…).

Confrontatevi su che cosa vuol dire per voi essere uomini, che cosa vuol dire per voi esprimere il maschilismo, usare questa cosa che viene usata dal capitale, viene usata dalla

e Associati

Guerini

61 Cfr interventi di Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri a Rimi- ni in Il 2° congresso di Lotta Continua, cit., rispettivamente a p. 274 e

Edizioni Angelo ©

p. 283.

borghesia contro tutti. (…) Dovete mettervi in discussio-

ne in quanto uomini 62 .

Viene loro chiesto di esprimersi sull’aborto, sulla ses- sualità e su terreni mai percorsi prima perché considera- ti sovrastrutturali o di «altrui» competenza. Le compa- gne vogliono fare chiarezza su anni di rapporti persona- li e intimi vissuti a metà, senza la condivisione degli uo- mini, troppo impegnati a fare la rivoluzione. Interviene Laura Derossi:

Rispetto alla sessualità, per voi è uno sfogo, per noi è una non sessualità. Noi siamo state costrette a partire dal rap- porto più intimo con l’altro, dal rapporto più impegnati- vo, che è quello del far l’amore, e di lì abbiamo comincia-

to a ribaltare i ruoli sessuali 63 .

La sessualità così come essa è stata vissuta nel gruppo, è un altro aspetto del potere maschile che le donne vo- gliono mettere in discussione, partendo dal modo in cui questo potere è stato usato, attraverso il partito, nella gestione dei rapporti sentimentali. Riconosciuta dal femminismo come il centro dell’oppressione subita dal- le donne, tale problematica rappresenta infatti un aspet- to delicato dei rapporti di un gruppo «endogamico» quale è Lotta Continua, che trova a Rimini il miglior ter- reno sul quale esplodere: le relazioni all’interno di que- sta dimensione infatti, nella maggior parte dei casi, non

62 Il 2° congresso di Lotta Continua, cit., pp. 114-115. 63 Il 2° congresso di Lotta Continua, cit., p. 118.

sono riuscite a sfuggire ai tempi e ai valori imposti dal- l’illusione della rivoluzione, così come, per molte don- ne, deve essere stato difficile sottrarsi al fascino esercita- to da coloro che detenevano e, in molti casi, sfruttava- no, il potere, in quanto dirigenti o operai, o aspiranti ri-

voluzionari 64 . Quindi, nel momento in cui la separazio- ne tra pubblico e privato viene scardinata e tutta la vita dell’organizzazione messa in discussione partendo da tale ricomposizione, la sessualità diventi uno degli argo- menti centrali di discussione, se non il suo punto di par- tenza. Così infatti Elisabetta inizia il suo intervento:

Vorrei partire proprio dalla mia sessualità, dal mio rap- porto coi maschi e con la sessualità maschile (…) perché è dalla coscienza di questo che è venuta in me la voglia di ri-

bellarmi, di cambiare le cose, di fare la rivoluzione 65 . Riflettendo su questo punto Donatella Barazzetti af-

ferma: Questa cosa della sessualità secondo me è stata veramente

un punto nodale. Il problema è l’idea che sta alla base di un disconoscimento del fatto che le donne non possono

e Associati

64 Il caso contrario è raro per ovvi motivi: le donne che riescono ad arrivare ad alti livelli di potere sono pochissime e quelle poche,

Guerini

nella maggioranza dei casi, hanno barattato quella porzione di auto- rità con la propria femminilità, accettando di «travestirsi» da «com- pagni» o, comunque, cercando di nascondere la propria condizione, per essere considerate più facilmente «alla pari» dei maschi e all’al- tezza dei propri compiti

Edizioni Angelo 65 ©

Il 2° congresso di Lotta Continua, cit., p. 172.

essere dei soggetti, ma degli oggetti di piacere o di utilizzo bieco della manovalanza, oppure portatrici di qualcosa che distoglie dalla militanza. Oppure il fatto che spesso e volentieri le persone che, chiamiamoli dirigenti, decideva- no di puntare una una sera e se la portavano a letto, pro- babilmente consenzienti, però… Tutto questo è ben ve- nuto fuori perché secondo me al congresso di LC ben po- co è stato politico sul piano dell’analisi di che cosa sta suc- cedendo. È stata una specie di eruzione di questo piano che politico era, ma era personale e politico: è stata l’e- semplificazione di che cosa s’intendeva per «il personale è politico». In questo senso è stato un elemento straordina-

rio anche di nostra crescita, ma è stato un impatto… 66 . Scrive Franca Fossati, a quasi vent’anni di distanza da

quegli episodi: «(…) il femminismo offriva molto a chi aveva cominciato a scoprire che il fulgido compagno avanguardia di fabbrica a casa aveva una moglie massa- crata dal lavoro e dalla solitudine. E che l’uomo a cui ti tenevi abbracciata la notte era miserevolmente a una so- la dimensione mentre tu, che continuavi nella militanza

ad accudire amici e bambini, ne sentivi vivere dentro di te almeno mille. Come in un puzzle esperienze piccole e grandi, desideri delusi, il crescente disagio nei confronti di un modello eroico e virile, si assemblavano insieme in un disegno ancora confuso. Non poteva non conqui- starci la nuova utopia di liberare insieme il privato e il politico, di fare una rivoluzione vera, quella dei rappor-

66 Testimonianza di Donatella Barazzetti resa all’autrice, Roma 9 giugno 2003.

ti di potere più intimi» 67 . Di conseguenza, all’interno del progetto di liberazione, l’aspetto più intimo del pri- vato, la sessualità, non può essere ulteriormente sotto- valutato.

Il femminismo sarà visto da quei militanti intermedi che tutto avevano investito per Lotta Continua come il principale colpevole del disgregarsi dell’organizzazione. Essi sentiranno, con la sua fine, di aver perso tutto: non solo il partito, ma anche i rapporti sociali e affettivi in esso intrecciati. Non sono poche le coppie che, trovan- dosi una «vertenza femminista» tra le mura di casa, de- cidono di lasciarsi. Il significato dello slogan «il perso- nale è politico» si manifesta nelle vite di questi militanti, nei suoi lati più dolorosi:

Io mi ricordo quando Enzo mi diceva: «Ma tu credi che questo cambierà le cose tra di noi?». Terrorizzato! Credo che per molti dei nostri compagni sia stata un’esperienza devastante, messi in discussione come maschi e come mi- litanti (…).

Molti compagni sentono che non stanno solo perdendo la centralità operaia o i loro privilegi di «maschi». Per- dono le loro donne, le amiche, le compagne. Non le

e Associati

hanno sapute tenere, ma senza di loro non riescono a proseguire. Lotta Continua, senza le sue militanti – e

Guerini

con tutte le altre tensioni che la attraversano – non può

67 Franca Fossati, Quando arrivò il femminismo. Donne e mili- tanti, l’esperienza di un lacerante conflitto, allegato del 28 ottobre

Edizioni Angelo ©

1988, supplemento al n. 254 de Il Manifesto, p. 34.

durare e infatti si dissolve sotto questo ulteriore colpo, con sofferenza e sollievo di tutti. I sentimenti che ac- compagnano la fine di Lotta Continua sono coerenti con tutte le contraddizioni che l’hanno attraversata dal principio. Così parla della rottura Laura Derossi:

Le storie d’amore hanno tutto un loro andamento quando si disgregano no? Le storie d’amore un po’ così, non di amore realizzato, di innamoramento, chiamiamole così, le storie di innamoramento quando si disgregano hanno una serie di fasi… Rimini è stata semplicemente la fase finale, in cui ci si lascia. Fine. C’erano stati tutti gli episodi prece- denti di rottura. E poi finalmente a Rimini ci siamo lascia- ti. Rimini è stato il momento molto doloroso in cui ci sia- mo lasciati. Era finalmente la consapevolezza che cresceva già da almeno due anni, di aver «sbagliato persona» in- somma. Ed è sempre difficile, perché uno poi la deve la-

sciare e deve ricostruirsi una vita… 68 . Non tenere conto dell’importanza assunta in Lotta

Continua, nel bene e nel male, dalle dinamiche del pri- vato lascerebbe del tutto inspiegata la storia (comunque incompleta) delle migliaia di donne, e dei loro compa- gni, che tra il 1969 e il 1976, hanno preso parte alle vi- cende di uno dei gruppi «rivoluzionari» tra i più impor- tanti ed influenti della storia dell’Italia contemporanea.

68 Testimonianza di Laura Derossi resa all’autrice, Torino 1° ot- tobre 2003.

Ariano E., Austerlitz Ingrid Avagliano Lucio, Banfi Enea, Banfi eredi, Banfi Febo, Barazzetti Donatella Bellora Pietro, Belluzzo Pietro, 28 Bernocchi Antonio, Bertolazzi Carmen Bertoni Alberto, Bigatti Nicoletta, Biondini Elena, Bobbio Luigi Bompressi Ovidio Borghi Luigi, Borletti Senatore, Borsa Gianni, Bossi Giuseppe, Calabresi Luigi Canavesi G. P.,

Candiani Enrico, Cantoni Costanzo, Cantoni Eugenio, Cazzullo Aldo Centinaio Alberto, Colombetti Rosa (Angela), Colombo Ersilia, Cova Alberto, Cozzi Annamaria, Cristofoli Maria Cristina, Croci Angelina, D’Amico Margherita D’Annunzio Gabriele, Dau Novelli Cecilia, De Fort Ester, De Grazia Victoria, De Luna Giovanni Dell’Acqua Enrico, Derossi G. Derossi Laura Erata Orsolina, Fossati Franca

Edizioni Angelo

Guerini

e Associati

I NDICE DEI NOMI

Franzinetti Victoria Ganna Raffaella, Garavaldi Severina, Gay M., Giani Carmela, Gigli Marchetti A., Grampa Alberto, Grassi Scalvini Fiorenza, Grasso Laura Jucker Carlo, Kelikian Alice A., Lualdi Ercole, Maccalli Giuseppina, Macchione Pietro, Malosio Velia, Marianna Bartoncelli Marx Masara Lina, Meldini Piero, Merli Stefano, Mochi Sismondi Giuliano Monaci Daniela Morreale Giuseppe, Mussolini Benito, Nichetti Ferdinanda, Ogliari Santa Amneris, Pagani Angelica, Parmigiani Renata Perino Mauro Pietrostefani Giorgio Ponti Andrea, Ponzini Giovanna, Pozzobon Martino,

Rasini Ines, Re G. Restelli Maria, Restelli Piero, Riva N., Rocco Guerrini Maria, Romano Roberto, Rossetti Agnese, Rossi Alessandro, Rostagno Mauro Sabatelli F., Scotti Caterina, Signorelli Aurora, Sofri Adriano Soldini Pietro, Taverna Venia, Torcellan N., Tosi Franco, Totolo Anna Trabattoni L., Uboldi Giuseppina, Valli Carolina, Vecchio Giorgio, Venzaghi Achille, Venzaghi Silvio, Viale Guido Willson Perry R., Zibetti Pier Luigi,

© Edizioni Angelo Guerini e Associati

147