N. Bigatti S. Voli Donne nella storia Ed

Nicoletta Bigatti, Stefania Voli DONNE NELLA STORIA

Complessità, formazione, l’Altro

prefazione di Giovanna Barzanò e Maria Giovanna Campus

introduzione di Mauro Ceruti

GUERINI E ASSOCIATI

I NDICE

Presentazione di Luigi Ganapini

Elenco delle abbreviazioni Le bambine operaie nelle industrie dell’Alto Milanese

durante il Ventenni fascista di Nicoletta Bigatti

Quando il privato divenne pubblico. Lotta continua 1968-1976 di Stefania Voli

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Indice dei nomi

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T AVOLA DELLE ABBREVIAZIONI

ACBA

Archivio del Comune di Busto Arsizio. I numeri riportati per ogni documento citato si riferiscono nell’ordine a: cartella, categoria, classe, fascicolo

ACCMI

Archivio della Camera di Commercio di Milano

ACCVA

Archivio della Camera di Commercio di Varese

ACL

Archivio del Comune di Legnano. I numeri ripor- tati per ogni documento citato si riferiscono nel- l’ordine a: cartella, categoria, classe, fascicolo

ASMI

Archivio di Stato di Milano

ASVA

Archivio di Stato di Varese. I numeri riportati per ogni documento citato si riferiscono nell’ordine a: cartella, categoria, classe, fascicolo

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P RESENTAZIONE

Questo volume raccoglie due saggi inerenti alla storia delle donne. Il primo presenta i risultati di una ricerca di più ampio respiro concernente l’ occupazione fem- minile nell’area industriale del Nord Milano. Il secondo saggio affronta il tema dei rapporti di genere nella storia del ’68 analizzando l’esperienza delle donne in «Lotta Continua», una delle organizzazioni più significative in quegli anni anche per quanto riguarda la tematica di ge- nere.

L’ attenzione del primo saggio si concentra sul reclu- tamento della giovane manodopera femminile negli an- ni ’30: il racconto nasce da interviste realizzate dall’ au-

trice con numerose protagoniste della «deportazione» dall’area di Crema, allora un villaggio a sud est di Mila-

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no, verso Legnano, nel cuore della Lombardia indu- striale. E’ un trauma questo sradicamento da radici fa- migliari contadine e comunitarie per essere trapiantate in un convitto freddamente finalizzato all’educazione, all’ammaestramento, al disciplinamento della manodo-

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pera secondo i canoni della formazione del proletariato pera secondo i canoni della formazione del proletariato

La «sanità della stirpe» in base alla quale il fascismo si proclamava disposto a legiferare per garantire i requi- siti minimi di protezione alle donne e ai minori rivela in queste contingenze tutta la sua fragilità, come luogo che può essere aggirato tanto sotto la coazione della miseria, dal lato di quella che asetticamente viene definita l’of- ferta di lavoro; quanto sotto il pretesto della necessità assoluta di procurarsi manodopera a basso costo, adde- strata e soprattutto disciplinata, dal lato della domanda.

Sullo sfondo della realtà industriale e demografica del tempo e del territorio, questi elementi emergono dalle interviste a numerose di quelle donne (ora in tarda età); in verità colloqui intensi che la ricercatrice ha sa- puto realizzare con molta misura e sensibilità. Va anche segnalato che le interviste, realizzate con l’ausilio della videoregistrazione, sono state anche selezionate e arti- colate in un breve documentario, che a Crema è stato presentato agli inizi del novembre 2005, in collabora- zione con il Centro studi Galmozzi. Per onorare e por- tare alla ribalta le persone che hanno saputo conservare Sullo sfondo della realtà industriale e demografica del tempo e del territorio, questi elementi emergono dalle interviste a numerose di quelle donne (ora in tarda età); in verità colloqui intensi che la ricercatrice ha sa- puto realizzare con molta misura e sensibilità. Va anche segnalato che le interviste, realizzate con l’ausilio della videoregistrazione, sono state anche selezionate e arti- colate in un breve documentario, che a Crema è stato presentato agli inizi del novembre 2005, in collabora- zione con il Centro studi Galmozzi. Per onorare e por- tare alla ribalta le persone che hanno saputo conservare

Tematiche di per sé poco esplorate passano così al vaglio di uno strumento di indagine storica utilizzato dalla ricerca con una frequenza crescente negli ultimi decenni; ma che richiede sempre una grande capacità di controllo e il confronto con i dati emergenti dalle altre fonti.

Su questo utilizzo della storia orale si incontrano, ol- tre che sul soggetto protagonista – le donne – i due sag- gi contenuti in questo volumetto.

La seconda ricerca, frutto di una tesi di laurea, è sta- ta condotta attraverso interviste oltre che attraverso l’a- nalisi delle memorie e degli articoli del quotidiano del- l’organizzazione Lotta Continua, nel cui contesto si col- locano le esperienze politiche e umane delle protagoni- ste. Il momento è cruciale, ben lontano dalla miseria de- gli anni ’30: un’Italia in movimento, una gioventù che si confronta con l’ impegno di una visione politica da rea- lizzare, e che è posta infine a confronto con nodi irrisol- ti dei rapporti fra i sessi. E’ certo un ordine di problemi

ben differente rispetto alla storia delle «bambine ope- raie». Abbiamo qui una memoria molto attrezzata per la

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razionalizzazione delle esperienze, critica verso il pro- prio passato e verso gli esiti di una vicenda che per mol- te è stata tormentata.

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Privato e politico sono i termini che definiscono una contrapposizione ignota – si può dire – fino a quagli an-

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ni. Il valore di quegli scontri e di quei tormenti può ap- ni. Il valore di quegli scontri e di quei tormenti può ap-

Luigi Ganapini

E BAMBINE OPERAIE NELLE INDUSTRIE

DELL ’ ALTO MILANESE DURANTE IL VENTENNIO FASCISTA

L’economia dell’Alto Milanese durante il Ventennio In epoca fascista l’Alto Milanese si presenta come una

zona con un proprio marcato e peculiare profilo econo- mico.

Per meglio cogliere le specificità di questo territorio rispetto alle aree circostanti, è opportuno definirne con adeguata precisione i confini, accogliendo, in ciò, le in-

dicazioni fornite da Roberto Romano 1 : con il termine Alto Milanese ci si intende riferire al quadrilatero aven- te come vertici Golasecca e Albizzate a nord e Buscate

e Nerviano a sud e come centro i comuni di Legnano,

Castellanza, Busto Arsizio e Gallarate, disposti lungo l’asse stradale e ferroviario del Sempione. Una zona ca- ratterizzata da una certa autonomia rispetto a Milano

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(non quindi semplice propaggine industrializzata della

1 Romano R., La modernizzazione periferica. L’Alto Milanese e la formazione di una società industriale. 1750-1914, Franco Angeli, Mi-

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lano 1990, p. 13 sgg.

metropoli), ma anche con pochi legami con Varese: fino alla prima guerra mondiale quest’ultima è una cittadina più piccola di Legnano e Busto, e anche nei decenni successivi se ne distingue per la meno marcata vocazio- ne imprenditoriale.

Ciò che infatti caratterizza l’Alto Milanese nel perio- do di cui ci occupiamo è la presenza di una ormai anti-

ca e consolidata tradizione industriale: una uniformità sotto l’aspetto economico che non viene meno neppure con la divisione amministrativa che nel 1927 assegna i comuni di Castellanza, Busto e Gallarate con i relativi circondari alla neonata provincia di Varese. A riprova di questo è sufficiente citare solo alcuni dati ricavabili dal censimento generale della popolazione del 1936: nelle tre principali città del territorio, la popolazione at-

tiva è così ripartita 2 :

Tabella 1 – Ripartizione della popolazione attiva nel 1936 a Legna- no, Busto Arsizio e Gallarate e confronto con la situazione lombar-

da e nazionale. Il dato italiano relativo al commercio è comprensivo di tutte le attività non riferite al primo e al secondo settore

Agricoltura Industria Commercio Legnano

81,7 % 7,9 % Busto Arsizio

49,3 % 27,4 % 23,3 % 2 Censimento generale della popolazione, 21 aprile 1936, in Ar-

chivio Comunale di Legnano (da qui in poi ACL ), cart. 515, cat. 12, cl. 2, fasc. 1.

Le ragioni di un orientamento economico così netto hanno radici antiche, e sono da ricercarsi nelle diffi- coltà che l’agricoltura ha sempre incontrato in quest’a- rea: un terreno poco fertile, sassoso e permeabile dove i contadini ancora nell’Ottocento conducevano vita gra- ma, oppressi dai debiti verso i padroni degli appezza- menti, privi di qualsiasi supporto tecnologico (non si usavano concimi, né aratro), tormentati dalla pellagra. In un simile quadro di miseria l’industria nascente, in particolare quella tessile, trova le condizioni più favore- voli: per l’abbondanza di manodopera disposta ad ac- cettare salari bassissimi, per la presenza del fiume Olo- na (fonte di energia, fornitore di acqua per i processi produttivi, strumento di evacuazione degli scarichi), per la presenza di importanti vie di comunicazione e per il clima umido (indispensabile nella lavorazione dei filati). È il periodo di Costanzo ed Eugenio Cantoni, Enrico Dell’Acqua, Andrea Ponti, Luigi Borghi, Achil- le Venzaghi, Antonio Bernocchi, Enrico Candiani, Pie- tro Bellora: solo alcuni dei nomi che si potrebbero cita- re fra quelli che hanno fatto la storia dell’industria tes- sile dell’Alto Milanese, trasformando le piccole tessitu- re e filature a domicilio in grandi e fiorenti manifatture.

L’avvento del fascismo vede dunque fra Milano e Varese una realtà fatta di piccole, medie e grandi strut-

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ture industriali, dove quasi nessuno spazio trovano gli appelli del Duce contro l’urbanesimo e a favore del la- tifondo: se da una parte i grandi centri della zona costi- tuiscono un irresistibile richiamo per i provenienti da aree depresse (tanto da suscitare, nel 1934, la preoccu-

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pata reazione del dirigente della Pubblica Sicurezza di

Legnano, che in una lettera al Commissario Prefettizio segnala la sempre crescente immigrazione di «famiglie

povere in cerca di lavoro e assistenza 3 »), dall’altra la re- sidua agricoltura locale offre un quadro ben diverso dalle aspettative del Regime:

La proprietà fondiaria della provincia di Varese è costi- tuita in prevalenza dalla piccola proprietà a conduzione diretta. La grandissima maggioranza delle terre coltivate sono divise in aziende di superficie minima, aziende che

nella maggioranza dei casi non superano i due ettari 4 . In queste piccole aziende su base famigliare i livelli di

vita non sono più quelli dell’Ottocento: le abitazioni so- no migliorate (anche se ancora nel 1932 il Prefetto di Milano segnala come in provincia le cattive condizioni igieniche di molte case rurali costituiscano la causa

principale del diffondersi dell’infezione tubercolare 5 ), le moderne tecnologie vanno diffondendosi e, soprat- tutto, il lavoro agricolo assai spesso non rappresenta più l’unica fonte di reddito: gli uomini continuano a cu- rare i campi (magari integrando i guadagni, nelle sta- gioni morte, con brevi periodi di occupazione nell’edi-

3 Lettera dell’11 gennaio 1934, in ACL , 497, 12,3,1. 4 La provincia di Varese nei suoi valori economici. Relazione sta-

tistico-economica del Consiglio e Ufficio provinciale dell’Economia di Varese, 1928, pp. 72-73. Questa relazione, insieme a quelle relative agli anni 1932, 1933, 1934 e 1935, è conservata presso l’archivio del- la Camera di Commercio di Varese (da qui in poi ACCVA ).

5 Lettera ai podestà dei comuni della provincia, 12 luglio 1932, in ACL , 493, 4,5,5.

lizia), mentre le donne, con sempre maggiore frequen- za, trovano lavoro nelle tessiture o nelle filature della zona. Molto basso è quindi il numero delle lavoratrici per le quali l’attività agricola è quella principale: già dal Censimento agricolo del 1930 risulta che a Busto Arsi- zio (comprese le frazioni di Sacconago e Borsano) solo

22 donne si trovano in questa condizione 6 , mentre a Gallarate il loro numero è di 290 7 . I dati a disposizione relativi a Legnano, pur se derivanti da una fonte diver- sa e riferiti a qualche anno dopo, sono ugualmente si- gnificativi: in un elenco comunale datato 1937 solo 14 cittadini (tutti uomini) sono registrati come lavoratori

agricoli 8 . Resta da chiedersi quali industrie animino la realtà produttiva dell’Alto Milanese negli anni Venti e Trenta. Come nell’Ottocento, la parte del leone viene fatta dal

6 Archivio Comunale di Busto Arsizio (da qui in poi ACBA ), 2590, 11,1,1.

7 Archivio di Stato di Varese (da qui in poi ASVA ), Fondo Galla- rate, 485, 12,3,4.

8 ACL , 520,11,1,6. Il numero esiguo di cittadini indicati come la- voratori agricoli è certamente spiegabile col fatto che sotto tale de-

nominazione figurano solo coloro per i quali il lavoro dei campi co- stituisce l’unica occupazione: a Legnano anche gli uomini preferiva- no ormai indirizzarsi verso il più redditizio lavoro di fabbrica, ap-

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profittando delle grandi possibilità offerte dal settore meccanico. Oltretutto, in città a partire dagli anni Trenta va perdendo rilevanza la bachicultura, che fino al decennio precedente costituiva un vali- do strumento per integrare i magri guadagni dell’agricoltura. L’alle- vamento del baco da seta mantiene invece una certa consistenza nel-

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la zona di Gallarate.

comparto tessile: gli eredi delle grandi dinastie indu- striali hanno allargato e modernizzato gli impianti, dan- do vita a veri e propri colossi produttivi che forniscono lavoro a migliaia di operai, in gran parte donne. Con or- goglio Giuseppe Bossi, segretario dell’Unione Indu- striale dell’Alto Milanese, può affermare nel 1929 che Busto Arsizio, la «Manchester italiana», conta nel setto- re cotoniero «166 ditte che in complesso fanno battere

più di 25.000 telai meccanici e 300.000 fusi 9 ». Accanto alle grandi fabbriche esiste, come detto, una realtà di piccole e medie aziende, che molto spesso lavorano su ordinazione delle «sorelle» maggiori, o si occupano di una sola parte del processo produttivo (tintorie, stam- perie ecc.). A Gallarate è attiva e fiorente l’industria del ricamo a macchina: anche in questo caso il personale è in gran parte femminile.

A fianco di quello tessile si è sviluppato in modo consistente il settore metalmeccanico: nato principal- mente come appendice del primo (all’inizio molte grandi aziende producono soprattutto telai e altri mac- chinari per la lavorazione delle fibre), si è avvantaggia-

9 Discorso in commemorazione di Enrico Dell’Acqua, Busto Arsi- zio 1929, p. 96. Bossi indica anche come occupati nel settore coto-

niero a Busto «circa 20.000 operai» (ibidem). In questo caso la cifra è, con tutta evidenza, esagerata: il censimento industriale effettuato solo due anni prima indicava con 8932 i lavoratori del tessile e 1671 quelli dell’abbigliamento (a Legnano, rispettivamente: 9926 e 562; a

Gallarate: 6430 e 1755) (citato da: AA . VV ., Panorama storico dell’Al- to Milanese, Rotary Club Busto-Gallarate-Legnano 1971, pp. 29, 48, 69).

to degli enormi profitti conseguiti durante il primo conflitto mondiale e grazie a questi ha potuto avviare un imponente rinnovo organizzativo, tecnologico e commerciale. Negli anni Venti aziende come la Franco Tosi e la Mario Pensotti di Legnano, la Ercole Comerio di Busto e la Cesare Galdabini di Gallarate rappresen- tano già realtà di rilevanza nazionale e sono affiancate

da una miriade di fabbriche di minori dimensioni. In alcune parti del territorio hanno poi assunto notevole rilevanza due settori che danno lavoro a molta mano- dopera femminile: quello delle calzature (a Busto, con il grande calzaturificio Borri, e nel Parabiaghese) e

quello alimentare (a Saronno 10 ).

Città di ciminiere, dunque, quelle dell’Alto Milane- se: città dove il suono delle sirene delle fabbriche scan- disce la vita di migliaia di operai. Fra di essi moltissime sono le donne e moltissime, soprattutto, le bambine.

10 In realtà Saronno, in base alla collocazione geografica dell’Al- to Milanese dai noi precedentemente fornita, dovrebbe essere con-

siderata esterna a quest’area. Tuttavia, le sue caratteristiche econo- miche e la comunanza di molte sue realtà produttive con quelle di Legnano e Busto la rendono sotto molti aspetti avvicinabile a tali

città. Per altre notizie sull’economia dell’Alto Milanese si vedano: Bertoni A., Cozzi A., Ganna R., Grampa A., Macchione P., Morrea-

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le G., Zibetti P.L., Cotton & C. Storia industriale di Busto Arsizio, Unione degli industriali della provincia di Varese, Varese 2001; Macchione P., Grampa A., Terra di pionieri. L’industria a Gallarate e nei centri della brughiera, Macchione ed., Varese 1999; Vecchio G., Bigatti N., Centinaio A., Giorni di guerra. Legnano 1939-1945. Eo

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Ipso, Legnano 2001.

L’occupazione femminile minorile: quante bambine operaie?

Una corretta analisi del problema del lavoro femminile minorile non può ovviamente prescindere dalla realtà normativa e sociale del tempo e del luogo che si consi- derano: ciò vale soprattutto quando si vuole definirne i confini dal punto di vista dell’età delle operaie.

Il fascismo pone a quattordici anni il momento di uscita ufficiale dall’infanzia: a questa età cessa l’obbligo scolastico e si può ottenere, seppure a determinate con- dizioni, il rilascio del libretto di lavoro.

In realtà, però, in moltissimi casi l’ingresso in fab- brica avviene uno o due anni prima, approfittando di alcune deroghe che la legge prevede e soprattutto del modo confuso e contraddittorio in cui essa viene ap-

plicata 11 . Nei piccoli centri, poi, dove evidentemente il controllo delle autorità è meno rigoroso e dove la frequenza della scuola è magari ostacolata dalla sua lontananza, l’assunzione in fabbrica è spesso precedu- ta per le bambine da qualche anno di lavoro in nero in piccoli laboratori artigianali, in campagna, o come do- mestica o lavandaia presso le famiglie benestanti. Alla luce di questa situazione sociale è opportuno restrin- gere l’analisi del lavoro femminile minorile alle ragaz- ze con meno di quattordici anni, concentrando l’at- tenzione soprattutto sulla parte del fenomeno più fa-

11 L’aspetto normativo del problema verrà diffusamente affron- tato nel cap. 3.

cilmente documentabile, cioè quella della realtà delle fabbriche.

Un primo passo necessario consiste nel definire quantitativamente l’entità del problema: per farlo, ini- zieremo ad analizzare le informazioni fornite dai docu- menti ufficiali del tempo.

Innanzitutto qualche dato generale piuttosto signifi- cativo: dalla «Relazione statistica sull’andamento eco- nomico della Provincia di Varese per l’anno 1933» 12 ri- sulta che in quell’anno i bambini dai 6 ai 14 anni costi- tuiscono il 3,5% dei lavoratori dell’industria (si noti: il 2,7% i maschi e addirittura il 4,9% le femmine) e l’1,7% dei lavoratori agricoli (1,8% maschi e 1,5%

femmine) 13 . Per passare più specificamente alla realtà dei centri dell’Alto Milanese, si può cominciare dal dato fornito dal Bollettino Statistico del Comune di Legnano per l’anno 1930: fra i 224 nuovi libretti di lavoro rilasciati,

100 riguardano bambine dai 12 ai 14 anni 14 . Qualche anno dopo, nel 1933, l’Ufficiale sanitario dello stesso comune segnala in 217 i fanciulli (sia maschi che fem- mine) dello stesso arco di età che hanno ottenuto il li- bretto. Interessante l’annotazione che il responsabile

medico aggiunge in calce a tale cifra:

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12 Questa relazione è reperibile in ACCVA . 13 Purtroppo questi dati non sono reperibili nelle relazioni cor-

rispondenti relative alla Provincia di Milano conservate presso la Camera di Commercio di Milano.

14 Bollettino Statistico comunale, anno 1930, in ACL , 480,

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…molti che ottengono dalle superiori autorità la licenza per essere ammessi al lavoro dopo compiuto il dodicesi- mo anno, non presentano le migliori condizioni di svilup- po per addossarsi il faticoso lavoro negli stabilimenti; so- lo le necessità impellenti e constatate delle famiglie fanno

sorpassare su un tale danno dello sviluppo 15 .

I due documenti citati sono fra i pochi, per ciò che concerne Legnano, a fare riferimento ai bambini e alle bambine dai dodici ai quattordici anni: tutti gli altri at- ti estendono la fascia di età considerata comprendendo anche i/le quindicenni. Non si tratta ovviamente di una differenza da poco: c’è quasi da pensare che le autorità di Legnano (ma il discorso vale in parte anche per i co- muni limitrofi) volessero in qualche modo occultare entro limiti più ampi e lasciare quindi nel vago una realtà indubbiamente scomoda e in evidente contrasto con il carattere di eccezionalità che l’ammissione al la- voro prima dei quattordici anni doveva rivestire in ba-

se alla legge 16 . Qualche elemento di indagine in più ci viene fornito dagli elenchi degli operai occupati nelle aziende legnanesi che intorno alla metà degli anni Trenta il Comune iniziò a redigere: in questo caso tro- viamo indicazioni sulle lavoratrici «sotto i quindici an- ni». Da tale fonte risulta che nel 1935 appartengono a

15 Relazione sanitaria per l’anno 1933, p. 21, in ACL , 493, 4,5,6. 16 In questa accezione più ampia i Bollettini statistici del Comu-

ne di Legnano segnalano 198 libretti rilasciati nel 1935 ( ACL , 508, 12,3,2), 183 nel 1938 ( ACL , 536, 12,3,4) e 212 nel 1941 ( ACL , 551, 12,3,3).

quest’ultima categoria 422 operaie (su un totale di 5239 17 , cioè l’8%); nel 1937 il loro numero è sceso a 350 (su 5631 18 : il 6,1%). Per quanto riguarda la situazione di Busto Arsizio, qualche notizia ci viene fornita da due relazioni, una re- lativa al 1929 e una al 1933, che documentano l’attività dell’Ufficio del Lavoro della città: nella prima si quanti- ficano addirittura in 407 i libretti concessi a «fanciulli

minorenni 19 »; nella seconda si parla di 162 domande «per ottenere il libretto di ammissione al lavoro per fan- ciulli bisognosi, che non hanno ottemperato a tutti gli

obblighi scolastici 20 ».

Per analizzare la situazione di Gallarate possiamo di nuovo avvalerci dei Bollettini statistici comunali, che, laddove l’informazione è presente, forniscono il nume-

17 ACL , 507, 11,2,2. 18 ACL , 521, 11,2,10.

19 «Attività svolta dall’Ufficio del Lavoro durante l’anno 1929», in ACBA , 254, 14,2,4. Non sono purtroppo reperibili, presso l’archi-

vio comunale di Busto, i Bollettini statistici della popolazione.

20 «Attività svolta dall’Ufficio del Lavoro durante l’anno 1933», in ACBA , ibid. Si noti: in questo caso si parla non di libretti rilasciati,

ma di domande presentate. In base alle nuove norme entrate in vi- gore all’inizio degli anni Trenta, infatti, gli uffici del lavoro territo- riali avevano perso la competenza in materia e conservavano solo il

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compito di girare le richieste di ammissione al lavoro al Ministero delle Corporazioni. Nell’archivio comunale di Busto sono reperibi- li svariate decine di queste istanze proposte dal Podestà a nome dei genitori dei bambini: in esse si descrivono le condizioni bisognose delle famiglie e si chiede in base a ciò il rilascio in via eccezionale del

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libretto.

ro dei libretti rilasciati alle bambine fra i 12 e i 14 anni (57 nel 1930 21 , 0 (!) nel 1931 22 ) o a quelle fra i 12 e i 15 anni (137 nel 1935 23 ). Da queste poche indicazioni si può comprendere come l’esame dei documenti ufficiali, se consente di farsi un’idea generale del problema, non permette tut- tavia di definirne in modo preciso l’entità e pone co- munque più di un dubbio sull’attendibilità dei dati e sulle possibili reticenze nella compilazione di essi.

Ben più utile ci appare perciò il riferimento a con- crete realtà aziendali: un’analisi di tale tipo è stata resa possibile dal ritrovamento dei libri matricola di due fra le maggiori industrie tessili dell’Alto Milanese, il Coto- nificio Venzaghi di Busto Arsizio e la Manifattura di

Legnano 24 . Questi preziosi volumi contengono un’autentica mi- niera di informazioni sulla popolazione operaia dei due stabilimenti: in particolare, essi forniscono notizie su

21 ASVA , Fondo Gallarate, 485, 12,4,6. 22 ASVA , Fondo Gallarate, 491, 12,4,6. I Bollettini statistici del

comune di Gallarate sono purtroppo lacunosi e assai meno curati di quelli legnanesi: questo induce a leggere con sospetto il dato del 1931.

23 ASVA , Fondo Gallarate, 505, 12,4,6. 24 I volumi relativi all’industria bustese si trovano custoditi, in-

sieme a tutto il resto dell’archivio di fabbrica, presso la vecchia sede dello stabilimento, la cui proprietà dopo la chiusura (avvenuta nei primi anni Ottanta) ha iniziato ad affittare gli spazi e le strutture ad aziende industriali e commerciali. I libri matricola della Manifattu- ra sono invece reperibili presso l’Istituto per la Storia dell’Età Con- temporanea ( ISEC ) di Sesto S. Giovanni.

età, luogo di nascita e di residenza, durata del rapporto, cause di cessazione di esso, anno di assunzione e di li- cenziamento, salari… Si tratta di un campione che rite- niamo assai rappresentativo, sia per le dimensioni delle due aziende, sia perché il comparto tessile, come detto, era quello che registrava la maggior quantità di mano-

dopera femminile 25 . Dalla lettura e dall’elaborazione dei dati relativa all’età di assunzione delle operaie si può dunque tracciare un quadro molto significativo del

fenomeno delle operaie bambine 26 . Esaminiamo per prima la situazione nel Cotonificio Fratelli Venzaghi di Busto Arsizio. Questa azienda, fon- data all’inizio del Novecento, negli anni Venti è già una delle più importanti della città e ha una produzione va- stissima, che abbraccia tutte le fasi della lavorazione: fi-

latura, tessitura e tintoria 27 . Due terzi del suo persona- le operaio sono costituiti da donne: l’età media delle la- voratrici che entrano in fabbrica risulta abbastanza al-

25 Dal Censimento industriale e commerciale del 1927 risulta che in provincia di Milano le donne costituivano il 77% della forza

operaia nell’industria tessile (citato da: «L’economia della Provincia di Milano nell’anno 1928. Relazione del Consiglio Provinciale del-

l’Economia di Milano», p. 135, in Archivio della Camera di Com- mercio di Milano (da qui in poi ACCMI ), cart. 2025, fasc. 1).

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26 Nel caso del Cotonificio Venzaghi l’analisi ha riguardato 1495

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assunte fra l’1/1/1923 e il 31/12/1945; per la Manifattura ci si rife- risce invece a 3519 assunzioni, sempre nello stesso arco di tempo.

27 Per altre notizie sul Cotonificio Venzaghi si vedano Bertoni A., Cozzi A., Ganna R., Grampa A., Macchione P., Morreale G., Zi-

betti P.L., op. cit., p. 213 sgg.; Commemorando Enrico Dell’Acqua,

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cit., p. XXI sgg.

talenante (v. tabella 2), ma con una tendenza alla cresci- ta, almeno fino al periodo di crisi dei primi anni Trenta. Questo dato non esclude tuttavia la presenza di un nu- mero notevole di operaie bambine, assunte in gran par- te prima del 1930.

Tabella 2 – Età media delle assunte al Cotonificio Venzaghi di Busto Arsizio fra il 1923 e il 1945. I periodi 1930-1936 e 1940- 1945 sono stati considerati insieme a causa del ridottissimo nu- mero di assunzioni

Anni Età media 1923

23,6 Delle 1495 donne assunte fra il gennaio del 1923 e il di-

cembre del 1945 le minori di quattordici anni sono 170 (11.4%); gran parte di esse (152) risultano ammesse al lavoro prima del 1930 (v. tabella 3). Di queste 170 bam- bine 78 hanno dodici anni e 92 tredici anni.

Tabella 3 – Minori di 14 anni assunte al Cotonificio Venzaghi di Busto Arsizio fra il 1923 e il 1945 28

Anni Totale assunte Minori di 14 anni % 1923

28 Abbiamo evidenziato con un asterisco le percentuali fra il

1932 e il 1935 in quanto esse sono rese evidentemente poco signifi- cative dal ridottissimo numero di operaie assunte in quel periodo. Siamo negli anni della grande crisi del settore cotoniero: la caduta

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dei prezzi dei cotoni, il crollo delle esportazioni (causato dalla con- correnza delle aziende giapponesi, dalle misure protezionistiche de- cise da molti governi a favore dei prodotti nazionali e dalla perdita del mercato dei Balcani, dove stava nascendo un’industria naziona- le) e la difficile collocazione dei prodotti sul fronte interno provo-

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cano la chiusura di molte fabbriche e la riduzione del personale, de-

La situazione della Manifattura di Legnano presenta tratti di somiglianza con quella del Cotonificio Venza- ghi, ma anche sostanziali differenze, dettate dalle diver- se caratteristiche dell’azienda.

Questa grande filatura nasce dall’iniziativa di Enea e Febo Banfi, due nomi assai in vista nel panorama indu- striale legnanese. Ben presto essa assume un ruolo di primaria importanza nella lavorazione del cotone: la modernità degli impianti, la consistenza delle esporta- zioni, la qualità dei filati, la contingenza economica fa- vorevole del primo dopoguerra portano la produzione

a livelli altissimi, tanto che il continuo bisogno di ma- nodopera non riesce più a essere soddisfatto con la so- la offerta locale. Per tale motivo negli anni Venti la Ma- nifattura ricorre in modo sempre più massiccio a lavo- ratrici provenienti dalle zone povere del Veneto e della bassa pianura, ospitando questo personale arrivato da lontano nel convitto che la proprietà ha organizzato a fianco dello stabilimento. Moltissime di queste operaie hanno meno di quattordici anni: ciò spiega la più bassa età media delle assunte, rispetto a quanto riscontrato nel Cotonificio Venzaghi (anche qui con una tendenza alla crescita, che però si evidenzia solo a partire dalla fi- ne degli anni Venti).

gli orari di lavoro e dei salari in quasi tutte le altre. La crisi colpisce per prime le piccole realtà produttive, che non possono giovarsi di un massiccio sostegno creditizio e non riescono più ad ottenere or- dinazioni dalle maggiori aziende, poi si estende anche alle industrie più grandi. Fra il 1930 e il 1934 il Cotonificio Venzaghi licenzia 205 operaie «per esuberanza di personale».

Tabella 4 – Età media delle assunte alla Manifattura di Legna- no fra il 1923 e il 1945

Anni Età media 1923

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In totale, le minori di quattordici anni assunte in Mani- fattura fra il 1923 e il 1945 figurano essere 752 su 3519

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(21,4%); anche qui gran parte delle bambine entra in (21,4%); anche qui gran parte delle bambine entra in

dodici anni e 484 tredici 29 .

Tabella 5 – Minori di 14 anni assunte alla Manifattura di Le- gnano fra il 1923 e il 1945

Anni Totale assunte Minori di 14 anni % 1923

29 Anche nel caso della Manifattura va tenuto conto della gran- de crisi della prima metà degli anni Trenta, che porta ad una ridu-

zione drastica delle assunzioni (anche se esse non vengono azzerate, come invece accade al Cotonificio Venzaghi): tale riduzione, unita al

I dati risultanti dalla tabella precedente delineano un quadro abbastanza impressionante: nel periodo compreso fra il 1923 e il 1928 (quello cioè di maggior espansione per l’industria tessile), le lavoratrici minori di quattordici anni della Manifattura oscillano fra il 30,2 e il 47,6% del totale delle assunte. Una così gran-

de discrepanza rispetto ai dati desunti dal Cotonificio Venzaghi non può essere spiegata che con la presenza del convitto: in effetti, basta analizzare il luogo di nasci- ta delle bambine per accorgersi che gran parte di esse è originaria della bassa Bergamasca, del Cremasco e del Veneto, il che le colloca quasi certamente fra le ospiti di

questa istituzione aziendale 30 . Vedremo fra poco quali motivazioni stiano alla base di un così massiccio ricorso

a queste giovanissime operaie: prima è necessario defi- nire con precisione come la legge fascista ne rendesse di fatto assai facile l’assunzione.

gran numero di cessazioni del rapporto, conduce al quasi dimezza- mento del personale operaio femminile, che dal 1928 al 1935 passa

da 779 unità a 423. 30 Non è certo un caso che l’età media delle assunte alla Mani-

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fattura cominci ad alzarsi proprio quando diminuisce il numero del-

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le ospiti al Convitto, alla fine degli anni Venti (questo dato si desu- me dalle Cronache del Convitto stesso, di cui parleremo diffusa- mente ai capitoli 4 e 5). Per le bambine provenienti dal Cremasco, l’indagine svolta in loco dimostra l’esistenza di un vero e proprio «esodo» verso Legnano: in totale la Manifattura ospitò oltre 700

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operaie di questa zona, la cui età media era di 14,8 anni.

La legislazione fascista in materia di istruzione

e di occupazione minorile

Per cogliere appieno il contenuto delle norme fissate dal fascismo in materia di istruzione obbligatoria e di lavoro minorile, occorre fare un breve cenno alla orga-

nizzazione scolastica del periodo 31 . Alla base del processo educativo stava naturalmente la scuola elementare, che era strutturata su due livelli: il grado inferiore, che comprendeva le prime tre classi, e quello superiore, con la quarta e la quinta. I bambini dovevano superare gli esami per il compimento di cia- scun livello, quindi in terza e in quinta. Alla fine del- l’insegnamento elementare si aprivano due strade: i po- chi che potevano permettersi di continuare gli studi si iscrivevano alla scuola Media, gli altri imboccavano la strada della scuola di Avviamento al lavoro (chiamata, fino al 1929, Scuola complementare). Da un manifesto

di iscrizione della scuola Ponti di Gallarate 32 possiamo leggere quali fossero gli intenti di questo corso di studi:

La scuola secondaria di avviamento al lavoro, nei suoi va- ri tipi, agrario, industriale e commerciale, provvede ad impartire l’istruzione post-elementare obbligatoria fino ai

31 Sull’organizzazione scolastica durante il fascismo si veda: De Fort E., Scuola e analfabetismo nell’Italia del ‘900, Il Mulino, Bolo-

gna 1995; Id., La scuola elementare dall’Unità alla caduta del fasci- smo, Il Mulino, Bologna 1996.

32 Anno scolastico 1931-1932, in ASVA, Fondo Gallarate, 305, 9,4,1.

quattordici anni di età e a preparare ai vari mestieri, all’e- sercizio pratico dell’agricoltura ed alle funzioni impiega- tizie d’ordine esecutivo nell’industria e nel commercio.

Dall’anno scolastico 1939-1940 la sezione femminile della stessa scuola aggiunge un’ulteriore finalità: essa infatti

…tende a formare madri di famiglia ben preparate al lo-

ro compito di vita 33 .

33 Scuola Ponti, Manifesto d’iscrizione per l’anno scolastico 1939-1940, in ASVA , Fondo Gallarate, 312, 9,4,1.

Il fascismo tende ad inserire anche nella scuola le sue convin- zioni in merito alla diversità biologica della donna, da cui deriva l’e- sigenza di una differente educazione: ne troviamo conferma in quanto accade in un altro Istituto della zona, la scuola Bernocchi di Legnano, dove nell’anno scolastico 1936-1937 la sezione femminile dei corsi per maestranze (nei quali venivano impartite anche nozio- ni di cultura generale) viene abolita e sostituita dai «Corsi per orga- nizzate fasciste», allestiti su iniziativa del Fascio femminile e del Co- mune. Essi consistono semplicemente in cicli di lezioni di economia domestica, sartoria, stireria, maestre di tessitura ( ACL , 520, 9,4,4): sembra ovvia l’intenzione di privare le donne lavoratrici di quel mi-

nimo di base culturale che i corsi per maestranze garantivano, rele- gandole a una preparazione esclusivamente «tecnica» e marcata- mente «femminile».

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Sulle idee del fascismo in materia di educazione femminile, v. Meldini P., Sposa e madre esemplare. Ideologia e politica della donna e della famiglia durante il Fascismo, Guaraldi, Rimini-Firenze 1975, p. 35 sgg.; De Grazia V., Le donne nel regime fascista, Marsilio, Ve- nezia 1992, p. 207 sgg.; Dau Novelli C., Famiglia e modernizzazione

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in Italia tra le due guerre, Studium, Roma 1994.

La scuola di Avviamento al lavoro dura tre anni ed è in- tegrata dai Corsi festivi e serali (chiamati «per mae- stranze»): questi ultimi dovrebbero servire fra l’altro ai bambini già occupati in fabbrica per adempiere all’ob- bligo scolastico fino ai quattordici anni, obbligo sancito dal RD 31 dicembre 1923 n. 3126 e confermato da leggi successive.

Su questa normativa si inserisce quella relativa al rilascio dei libretti di lavoro, che si richiama a nume- rosi testi di legge e la cui applicazione sembra risulta- re incerta e poco chiara alle stesse autorità fasciste. Le principali disposizioni su questa materia a cui oc- corre fare riferimento sono la Circolare n. 6 del 2 feb- braio1924, n. 670, il RD n. 577 del 5 febbraio 1929 (la

cosiddetta Legge Belluzzo 34 ), il RD n. 1297 del 26 aprile 1928 e il RDL n. 1379 del 6 ottobre 1930 (con- vertito in legge due anni dopo). In esse si stabilisce in sostanza che:

a) il libretto di lavoro viene rilasciato al compimento del quindicesimo anno di età;

b) l’ammissione al lavoro può essere anticipata ai quat- tordici anni purché il bambino o la bambina abbia superato il I corso di Avviamento al lavoro;

c) In via del tutto eccezionale il libretto di lavoro può essere ottenuto anche al compimento del dodicesi- mo anno e ciò quando:

34 Pietro Belluzzo, ministro dell’Educazione Nazionale nel 1928-1929.

1. la famiglia si trovi in condizioni disagiate

2. il fanciullo abbia concluso il ciclo elementare e la scuola di Avviamento al lavoro sia distante più di due chilometri dalla sua abitazione

3. sia riconosciuta al bambino la «incapacità intel- lettuale».

In teoria i tre casi previsti al punto c) dovevano quindi rivestire carattere del tutto straordinario: nella realtà le cose andavano invece ben diversamente, ed innumere- voli erano le deroghe ammesse, almeno fino alla metà degli anni Trenta.

Nell’archivio comunale di Busto Arsizio si possono esaminare centinaia di casi di libretti di lavoro rilasciati su autorizzazione del Ministero delle Corporazioni a minori di quattordici anni o a quattordicenni che non hanno adempiuto all’obbligo scolastico (nel solo perio- do compreso fra il 1928 e il 1931 si registrano 220 do-

mande accolte e solo 16 respinte 35 ) «per la accertata sussistenza di condizioni eccezionali», cioè per la situa- zione di disagio economico della famiglia. Un dato im- portantissimo: la sopracitata Circolare del 1924 stabili- va che l’ammissione al lavoro fosse in questo caso su-

bordinata «…alla condizione essenziale che il titolare del libretto frequenti la scuola serale del Comune fino al compimento dell’istruzione. Il libretto stesso dovrà es-

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sere ritirato nel caso che il fanciullo non ottemperi alla condizione anzidetta e perciò è necessario che siano av- vertiti fanciulli e genitori delle conseguenze in caso di

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35 ACBA , 2597, 11,2,3 e 2222, 11,2,3.

inadempimento». In effetti, tale condizione appare a chiare lettere nella comunicazione con cui il Ministero autorizza il Podestà al rilascio del libretto… ai maschi! Per le femmine l’obbligo di frequenza scolastica viene semplicemente ignorato e i moduli prestampati dello stesso Ministero non ne fanno alcun cenno. Non è dun- que avventato supporre che a una teorica parità di dirit- ti e doveri fra bambini e bambine corrispondesse nella pratica un’assai minore importanza attribuita all’istru- zione femminile: il fascismo perciò non solo riconosce- va diversi bisogni educativi ai due sessi, ma in questo caso sembrava pure voler azzerare ogni diritto da parte delle donne ad acquisire una minima base culturale, evi- dentemente non ritenuta indispensabile al loro ruolo

primario di spose e madri 36 .

Un atteggiamento di questo tipo, d’altra parte, tro- vava fertile terreno nella mentalità comune del tempo, come si rileva esaminando un’altra fonte preziosissima, cioè la documentazione relativa all’attività didattica della scuola Bernocchi di Legnano, che ospitava i corsi diurni di Avviamento al lavoro e quelli serali e festivi per maestranze. In una relazione fatta al podestà dal di-

rettore della scuola 37 si legge che nell’anno scolastico 1929-1930 la frequenza ai corsi per maestranze è stata

da ritenersi normale in tutte le sezioni maschili, mentre nell’unica prima femminile delle 23 iscritte iniziali solo la metà si è presentata agli esami: a fronte di tale dato il

36 È lo stesso modo di porsi rispetto all’istruzione femminile che abbiamo già riscontrato precedentemente (v. nota 33).

37 Relazione del 3 settembre 1930, p. 1, in ACL , 478, 9,4,1.

responsabile dell’istituto constata come sia difficile «far osservare l’adempimento all’obbligo scolastico per le alunne al di sopra dei dodici anni e già in possesso del libretto di lavoro…».

La situazione non è diversa nei corsi diurni: in un’al- tra relazione 38 , riferita al triennio 1933-1936, lo stesso direttore fa notare come

…un numero relativamente notevole di alunni (circa il 10%) delle classi prime abbandonava la scuola prima del- la fine dell’anno scolastico, non appena ottenuta occupa- zione, con o senza il libretto di lavoro; tale abbandono era più marcato nelle classi femminili anche per ragioni fami-

gliari 39 . Anche per le altre due ipotesi di ammissione al lavoro a

dodici anni sembra accertato che esse venivano appli- cate ben oltre i confini dell’eccezionalità.

38 Relazione del 24 dicembre 1936, p. 6, in ACL , 513, 9,4,1. 39 A fronte di una maggiore percentuale di abbandono (pur- troppo non quantificata) si registra, da parte delle bambine che rie- scono a completare gli studi, un ben più alto rendimento scolastico: nell’anno 1933-1934 risulta promosso il 50% di esse (contro il

40,4% dei maschi), nell’anno 1934-1935 il 69% (maschi: 43%), nel- l’anno 1935-1936 il 58,6% (maschi: 37,6%). (ibidem, p. 8).

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La frequenza dei casi di abbandono scolastico è anche documen-

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tata dall’assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di Busto, che in una lettera all’Ufficio del Lavoro del febbraio 1926 ( ACBA , 2222, 11,2,3) segnala come siano più di 200 i bambini obbligati della città non iscritti a scuola. La ragione più frequentemente addotta dai ge- nitori, afferma l’assessore, è «di aver inoltrato domanda per ottenere

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il libretto di lavoro o di aver intenzione di presentarla in seguito».

Nel caso 2, cioè quello dell’edificio di istruzione po- sto a più di due chilometri dall’abitazione del bambino, sono molto spesso gli stessi genitori a dare una mano, per così dire, alla legge: nel settembre del 1933 il pode- stà di Busto Ercole Lualdi segnala al Ministero dell’E- ducazione che è pratica diffusa nelle famiglie «il far fi- gurare l’emigrazione dei bambini in altri comuni, dove non esistono scuole Medie, al solo scopo di ottenerne il libretto di lavoro (mediante la produzione dell’attestato di promozione della quinta elementare) e poi occupar- si presso stabilimenti di questa città ritornando a risie-

dere presso le rispettive famiglie 40 ». Per ciò che concerne poi l’ultima possibilità di dero-

ga, cioè quella relativa alle presunte carenze intellettive del bambino, è interessante verificare, sempre all’Ar- chivio comunale di Busto, la presenza di decine e deci- ne di attestazioni dei direttori didattici, i quali «…viste le risultanze della frequenza e del profitto dell’alunno […] che ha compiuto il 12° anno di età, ne attesta[no] l’incapacità intellettuale, al fine della concessione del li-

bretto di lavoro 41 ». Due osservazioni sono a questo punto d’obbligo. La prima: secondo la legge il rilascio di tale dichiara- zione è subordinato, oltre che alla condizione che il fanciullo o la fanciulla a dodici anni non abbia supera- to la terza elementare, anche a una visita del medico

40 Lettera del 29 settembre 1930, in ACBA , 71, 14,2,4. 41 Si veda, ad esempio, ACBA , 2597, 11,2,3.

scolastico 42 , che evidentemente dovrebbe verificare l’esistenza dell’incapacità. Ebbene, nel ricchissimo car- teggio relativo a queste pratiche non risulta alcuna do- cumentazione sanitaria, ma solo gli attestati delle Dire-

zioni didattiche 43 : c’è da supporre che fosse piuttosto difficoltoso, per qualsiasi medico, spiegare l’esistenza di un tale numero di deficienze mentali… e si preferis- se perciò lasciare completamente l’onere di certificarle all’autorità scolastica. La seconda osservazione ci por- ta a capire perché tanti bambini e bambine si trovasse- ro a ripetere due, tre o anche quattro volte la stessa classe. Analizzando le sopra citate attestazioni viene da pensare che la causa di ciò sia da ricercarsi non certo in presunte carenze intellettive, bensì nella quasi inesi- stente frequenza scolastica: questi bambini «deficien- ti» accumulavano centinaia di giorni di assenza (maga- ri perché già impegnati in attività lavorative di qualche tipo) ed è ovvio che così la loro possibilità di appren- dimento veniva pregiudicata senza rimedio.

Con il passare del tempo, l’applicazione sempre più elastica della normativa in materia di obbligo scolastico

e di ammissione al lavoro finisce per creare una grande

confusione fra le autorità locali, che oltretutto comin-

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42 Si veda il documento datato 11 ottobre 1930 e titolato «Uniformità da osservare per il rilascio dei libretti di ammissione al

lavoro», in ACBA , 2222, 11,2,3. 43 Si noti che sono invece reperibili molti certificati medici che

attestano, ad esempio, l’invalidità ai fini dell’ottenimento della pen-

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sione.

ciano anche a misurare gli effetti di un ricorso così mas- siccio, da parte delle aziende, a lavoratori in giovanissi- ma età. A questo proposito appare interessante la corri- spondenza intercorsa, alla fine del 1932, fra il podestà

di Busto e il Ministero delle Corporazioni 44 . La prima lettera risale all’inizio di ottobre: in essa la massima au- torità comunale segnala come ormai con troppa fre- quenza venga concesso il libretto di lavoro a «fanciulli dodicenni sulla sola base del fatto che hanno superato il primo corso dell’Avviamento, e ciò in palese violazione dell’obbligo di istruzione fino ai quattordici anni». Quest’abitudine, secondo il podestà, è assai negativa in quanto «…date le attuali condizioni dell’industria coto- niera e meccanica locale, si delinea la possibilità che la precoce ammissione dei fanciulli al lavoro porti come conseguenza l’acuirsi della disoccupazione fra i padri di

famiglia e fra gli adulti 45 ».

Puntuale arriva la risposta del Ministero: l’interpre- tazione allargata della legge è consentita dalle norme vi- genti; quanto all’influenza del lavoro minorile sulla di- soccupazione, il problema non sussiste, essendo po- chissimi i dodicenni che hanno superato il primo anno

della scuola di Avviamento 46 .

Il podestà però non demorde: in una lettera succes- siva conferma che «non si tratta di presunzione, ma del fatto verificatosi qui che alcune ditte licenziarono padri

44 Tale corrispondenza è conservata in ACBA , 71, 14,2,4. 45 Lettera del 5 ottobre 1932, in ACBA , ibidem. 46 Lettera del 27 ottobre 1932, in ACBA , ibid.

di famiglia per assumere dei fanciulli, naturalmente con salari molto minori». Il fenomeno non è di scarsa im- portanza perché, contrariamente a quanto afferma il Ministero, il numero di bambini di dodici anni pro- mossi dalla prima alla seconda Avviamento è decisa- mente notevole. Alla luce di questo il podestà torna a chiedere un’interpretazione più restrittiva della legge, anche perché la pratica in uso ha spesso l’effetto di «…mandare al lavoro fanciulli che, anche se non pre- sentano imperfezioni o malattie, non hanno certo, per l’età, la robustezza fisica atta a sopportare il logorante

lavoro della fabbrica… 47 ».

Di fronte all’ostinatezza dell’autorità comunale, a questo punto il Ministero decide di parlar chiaro:

Le disposizioni sull’istruzione elementare e quelle sul la- voro delle donne e dei fanciulli hanno finalità diverse ed agiscono sopra distinti campi di applicazione, di guisa che non è possibile, allo stato dell’attuale legislazione, vie- tare l’occupazione dei fanciulli fino ai quattordici anni, in

analogia alla legge sull’istruzione obbligatoria 48 . Insomma: il contrasto fra le due normative esiste, ma è

giustificato dalla loro diversa finalità… Ad ogni modo,

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assicura il Ministero, il podestà non deve preoccuparsi: in base ad una vecchia disposizione del 1916 (Regola-

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47 Lettera del 3 dicembre 1932, in ACBA , ibid. Si ricordi che la stessa osservazione verrà fatta, l’anno successivo, dall’Ufficiale sani-

tario del Comune di Legnano (v. ante, p. 18).

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Lettera del 22 gennaio 1933, ibid. Il corsivo è nostro.

mento n. 1136, art. 6) «…i sanitari comunali possono li- mitare il diritto di ammissione al lavoro derivante dal possesso del libretto a determinate occupazioni confa-

centi alla costituzione fisica del fanciullo… 49 ». Le preoccupazioni del pubblico funzionario bustese non dovevano essere comunque del tutto infondate, se è vero che il 25 aprile del 1934 viene emanata una leg-

ge, la n. 653, che, sia pure con alcune difficoltà nella sua effettiva entrata in vigore 50 , sancisce definitivamente l’obbligo dei quattordici anni per l’ammissione al lavo- ro e stabilisce che i minori di tale età devono essere pri- vati del libretto. Questa volta la norma sembra essere applicata con maggiore severità: a riprova c’è la netta diminuzione delle assunte bambine in entrambe le aziende da noi esaminate (e la loro quasi completa

scomparsa nel giro di due o tre anni 51 ), ma anche l’au- mento consistente di iscrizioni ai corsi di Avviamento. Nella Relazione riferita all’anno 1935-1936, il direttore

49 Lettera del 22 gennaio 1933, ibid. Quanto questa vecchia leg- ge venisse rispettata lo si desume dalle già ricordate parole dell’Uf-

ficiale sanitario di Legnano. 50 Ancora nel novembre dello stesso anno il podestà di Busto la-

menta col Prefetto come la mancata entrata in vigore di tale legge faccia sì che le aziende continuino a licenziare manodopera adulta per assumere bambini (Lettera del 24 novembre 1934, in ACBA , 128, 14,2,4).