M. Bedello Tata La raffigurazione di Dia

LA RAFFIGURAZIONE DI DIANA IN UN SACELLO A S. ANGELO IN FORMIS
E L’ICONOGRAFIA DELLA DEA NEL MATERIALE VOTIVO DA CAPUA

L’affresco con rappresentazione di Diana
proveniente da S. Angelo in Formis (fig. 1) è
andato perduto in seguito ai bombardamenti
che il 9 settembre 1943 danneggiarono il Museo
Campano di Capuai(1).
Il ritrovamento del manufatto era avvenuto alla fine del secolo XIXi(2) assieme a quello
di un altro dipinto, di piccole dimensioni con
la rappresentazione di un cervo, esposto tuttora nel Museoi(3) (fig. 2). Entrambi gli affreschi, staccati dal supporto murario originario e rimontati su pannelli, provenivano da
un’edicola, circondata da una cornice dipinta
in rosso. L’immagine con la dea doveva occupare il lato di fondo, mentre quella con il cervo il lato sinistro. L’ambiente di provenienza
sembra potersi ritenere pertinente ad una
domus o ad un edificio di servizio, affacciato
su di una strada basolata che saliva a S. Angelo.
Era costruito in opera reticolata di tufo con
pareti intonacate e dipinte e pavimento a mosaico bianco, definito da “linee colorate”. Purtroppo l’esiguità dei dati a disposizionei(4)
non consente di rintracciare le precise connessioni fra le pitture dell’edicola e l’ambiente,

destinato ad ospitare lo spazio dedicato al culto

della deai(5).
La fotografia del dipinto fu pubblicata a
corredo della voce Diana nell’Enciclopedia Italiana nel 1931, assieme alla riproduzione di altri due manufatti provenienti dal Museo Campano di Capuai(6), attraverso i quali Paola Zancani Montuoro ripercorreva, per grandi linee,
il cammino compiuto, in ambiente italico,
dall’iconografia della dea, a partire dalla fine
del VI secolo a.C. Le altre due immagini si riferivano alla rappresentazione di un’arcaica
Diana cacciatrice, a cavallo, armata di arco su
di un’antefissa, appartenente ad un gruppo di
esemplarii(7), provenienti dal santuario del
fondo Patturelli e ad un’inedita statuetta fittile
di età ellenistica.
I due affreschi, quello con Diana e quello
con il cervo, richiamano la devozione a Diana
Tifatina, il cui santuario è oggi conservato,
nella forma assunta in periodo ellenistico, sotto la Basilica benedettina di S. Angelo in Formisi(8). Si tratta del più meridionale dei grandi santuari dedicati alla dea, che si ergeva a
controllo e protezione di Capua, da cui distava

Desidero ringraziare l’amica Stefania Quilici Gigli per
avermi proposto di collaborare a questo volume, che raccoglie una quantità notevole di inediti capuani, Maria Luisa Nava direttrice infaticabile del Museo Provinciale Campano, per la sua disponibilità, Laura Buccino per i preziosi suggerimenti e Maria Bonghi Jovino, da sempre aperta
ad un colloquio vivo e costruttivo, per la sua costante

attenzione. A quest’ultima, maestra e amica, si debbono le
riproduzioni fotografiche delle terrecotte, che fanno parte
della documentazione da lei raccolta in vista di un progetto di studio sul pantheon della città campana, attraverso
la produzione fittile.
(1) R. SIRLETO, «Il Museo Campano durante l’ultima
guerra», in Ricerche del Dottorato in metodologie conoscitive per la conservazione e la valorizzazione dei Beni Culturali
2005-2010, Santa Maria Capua Vetere 2010, pp. 157-181.
(2) G. FIORELLI, in NS 1877, pp. 116-117; G. MINERVINI, «Di alcune antichità al Tifata, breve relazione», in
Commentationes philologae in honorem Theodori Mommseni, Berolini 1877, pp. 660-662.
(3) Il pannello con il dipinto, conservato nella sala 10
del Museo Provinciale Campano di Capua, ha dimensioni

molto ridotte: cm 26×40. Da questo si può dedurre che anche l’immagine di Diana dovesse avere misure analoghe,
facendo parte della decorazione della medesima edicola.
(4) Vedi in questa stessa sede: ST. QUILICI GIGLI,
pp. 85-87.
(5) I dati del ritrovamento di S. Angelo, così incompleti e difficilmente ricostruibili, non possono arrecare ulteriori informazioni su questo tipo di ambienti, contrariamente ben documentati nelle città vesuviane: M. BASSANI,
Sacraria. Ambienti e piccoli edifici per il culto domestico in
area vesuviana, Roma 2008; M. BASSANI, «Strutture architettoniche a uso religioso», in Religionem significare.
Aspetti storico-religiosi, strutturali, iconografici dei sacra

privata (Atti dell’Incontro di Studi, Padova, 8-9 giugno 2009),
a cura di M. BASSANI e F. GHEDINI, Roma 2011, pp. 99-134.
(6) P. ZANCANI MONTUORO, voce «Diana», in Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, Milano 1931, pp. 742745, figg. 1-3.
(7) H. KOCH, Dachterrakotten aus Campanien mit
Ausschluss von Pompei, Berlin 1912, tav. XI, 4, pp. 50-51.
(8) A. DE FRANCISCIS, Templum Dianae Tifatinae, Caserta 1956 (ristampa, Napoli 1989, dalla quale le citazioni).

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M. BEDELLO TATA

Fig. 1. Capua, Museo Provinciale Campano: affresco perduto, raffigurante Diana, da S. Angelo in Formis.

circa 30 stadi. Posto sulle pendici sud-ovest
del Tifata, dominava il corso e la piana del
Volturno. La regione montuosa circostante,
un tempo ricca di sorgenti di acque minerali e
boschii(9), era la sede più idonea ad ospitare il
culto di una dea, sauvage et maternellei(10)
allo stesso tempo, con poteri sulla natura animata: vegetale, animale ed umana. Le origini di

questo santuario extraurbano vengono attribuite all’epoca della fondazione di Capua, in base

alle rare testimonianze sicuramente pertinenti
al primo arredo fittile del tempioi(11), alla vetustà degli agalmata di cui si favoleggiava nelle
fontii(12) e alle sue antiche favissae. All’alta
antichità allude la leggenda della cerva bianca
a lei sacra, famula Dianae, la cui vicenda, in
parte ricalcata sull’epica romana, viene a coincidere con la storia stessa della città: allevata
dalle madri di Capua, per mille anni, dai tempi
della fondazione, sarebbe fuggita nel 211 a.C.

(9) Acque calde, salutari e “fetide”, cariche di principi
salini, erano ancora presenti, alla fine dell’ottocento, nella
zona di Triflisco: G. NOVI, «Notizia di alcuni scavi sul Tifata», in Poliorama pittoresco XVII, 1856, pp. 245-247.
(10) J. HEURGON, Recherches sur l’histoire, la religion
et la civilisation de Capoue preromaine: des origines à la

deuxième guerre punique, Paris 1942, da p. 299.
(11) HEURGON, op. cit., da pp. 299, 326-388; KOCH,
op. cit., p. 20 ss., tav. II.

(12) Pausanias V, XII, 3; HEURGON, op. cit., p. 302;
DE FRANCISCIS, op. cit., p. 44.

SACELLO DI DIANA E ICONOGRAFIA DELLA DEA

219

durante l’assedio romano e sacrificata nel
campo nemico, determinando così la conquista della cittài(13).
Come è ampiamente noto, il prestigio del
tempio era legato al patrimonio della dea incrementato poi dalle donazioni sillane e gestito da
numeroso personale addetto sia all’amministrazione che al culto. La dea possedeva un tesoro,
stips Dianae, ed una fabbrica probabilmente di
materiale fittile su cui veniva stampato il suo
nome: Diane Tifatinei(14). Fonti letterarie ed epigrafiche, provenienti dalle località più lontane
dell’impero celebrano i poteri della dea fino ad
età imperiale avanzatai(15). Il perpetuarsi delle
celebrazioni in suo onore attraverseranno il tempo ed i travagli della storia, dimostrando il radicamento del culto nel territorio: ne è testimonianza, in un feriale fatto incidere da un
sacerdote nel giorno dell’ascesa al trono di Valentiniano II (387 d.C.), la citazione di una festa
pagana, che doveva svolgersi sulla strada diretta

al santuarioi(16) e la sopravvivenza nel X secolo
d.C., delle chiassose cerimonie (saltationes et
bacchationes) in onore della dea, nei pressi del
monastero, sovrappostosi al podio dell’antico
tempioi(17), il cui ricordo si perpetrava anche attraverso la presenza di un altare marmoreo con
dedica a Dianae Tifatinae triviae sacrumi(18).
L’affresco con Diana dal sacello di S. Angelo costituisce probabilmente il terminale
iconografico di una figura divina sulla quale
agirono, ed alla fine prevalsero, gli stimoli
dell’immaginario greco e la personalità della
greca Artemide. Adorata in un variegato
pantheon femminile, di cui la coroplastica capuana restituisce documentazione vivace, la
Diana del Tifata presentava una natura complessa e vaga, che associò alle sue primigenie
prerogative, quelle di protettrice della salute,
della fecondità e dei parti, come Giunone Lucinai(19), in un gioco di scambi e sincretismi,
che si rafforza in età ellenistica. Il suo carattere di potente signora della natura e quello di
cacciatrice, mediato successivamente dalle

216.


(13) SIL. IT., Pun. XIII, 115-138.
(14) Cfr. D. NONNIS, in questo stesso fascicolo, pp. 215-

(15) R.M. PETERSON, The cults of Campania, Rome
1919, da p. 322; HEURGON, op. cit., pp. 300-301.
(16) CIL X, 3792; M. CRISTOFANI, «Luoghi di culto
dell’ager campanus», in I culti della Campania antica (Atti
del Convegno Internazionale di Studi in ricordo di Nazarena
Valenza Mele, Napoli 15-17 maggio 1995), Roma 1998,
pp. 169-173.

Fig. 2. Capua, Museo Provinciale Campano: affresco raffigurante un cervo, da S. Angelo in Formis.

colonie greche della costa, in particolare da
Cuma, comincia ad apparire nelle antefisse
arcaiche citate, sulla cui attribuzione alla dea
piuttosto che a Giunone Lucina, sono state
avanzate osservazionii(20) su cui sarebbe utile
ritornare anche con il supporto del materiale
fittile votivo. Coeve forse alla fondazione del

santuario tifatino, le antefisse di dea a cavallo
rimandano alle sue caratteristiche più selvagge, “fotografate” un attimo prima che a quelle

(17) HEURGON, op. cit., p. 392.
(18) CIL X, 3795.
(19) È indicativo il fatto che la stipe rinvenuta presso
il santuario di Diana Tifatina abbia restituito numerosi
doni votivi attinenti la sfera della sanatio: DE FRANCISCIS,
op. cit., pp. 43-44 con bibl.; ST. QUILICI GIGLI, in questo
stesso fascicolo, p. 49.
(20) F. COARELLI, «Venus Iovia, Venus Libitina?, Il santuario del Fondo Patturelli», in L’incidenza dell’antico. Studi
in memoria di Ettore Lepore I, Napoli 1995, pp. 371-387.

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Fig. 3b. Capua, Museo Provinciale Campano: gruppo marmoreo con Diana: particolare.

Fig. 3a. Capua, Museo Provinciale Campano: gruppo marmoreo con Diana.


della Diana italica si sovrapponessero i caratteri distintivi dell’Artemide greca.
Il successivo sviluppo dell’immagine della
dea tifatina, quale ci appare nel dipinto romano,
non è ricostruibile in modo lineare, considerato
il peso della tradizione locale, almeno fino agli
inizi del III sec. a.C., quando prevarrà, nella coroplastica, il tipo ellenistico della cacciatrice con
fiaccola in atteggiamento di riposo, accompagnata dal cane. In età imperiale, come attesta
l’immagine di una statua di Diana Tifatina effigiata insieme alla dedica di un fedele su di un
cippo dalla Gallia Narbonensei(21), si è ormai
da secoli imposta la rappresentazione della dea
(21) La statua riprodotta sul cippo riprende per grandi linee il tipo della c.d. Diana di Versailles: CIL XII, 1705.
(22) L. MELILLO, in Exempla. La rinascita dell’antico
nell’arte italiana. Da Federico II ad Andrea Pisano, Ospedaletto (Pisa) 2008, pp. 131-132.
(23) M. BONGHI JOVINO, Capua preromana, Terrecotte

come cacciatrice, quale appare anche nel gruppo marmoreo, proveniente dall’area capuana,
conservato al Museo Campano in due frammenti (fig. 3 a,b)i(22).
Alla fine del IV sec. a.C. l’elemento osco raffigura Diana in una statua fittilei(23), che, nella
sua arcaica compostezza conserva gli echi di una

religiosità antica: nella figura, rigida come un
totem (fig. 4), predominano concetti formali di
origine italica, non ignari, in questo caso, dell’iconografia della greca Artemide, di cui viene
riprodotto l’abbigliamentoi(24). Questo, costituito dal lungo peplo con apotygma pieghettato, le
corregge della faretra riportate rozzamente sul
corto mantello, l’animaletto nella mano sinistra e
l’arco, la designano quale sovrana della vegetazione e della caccia, selvaggia e materna ad un
tempo. La ferma robustezza della statua, che
presenta medie dimensioni, ricorre anche in una
statuetta votiva (fig. 5), piena e pesante, plasmata
a mano libera con un’argilla rossastra, poco depurata: espressioni entrambe, dunque, la grande
e la piccola, di tendenze autoctone, che rimangono ben vive anche in altre classi di materiali fittili
capuani, riconoscibili per diverso tipo di lavorazione e grado di depurazione dell’argilla. Tali
tendenze, frutto della forte pressione indigena,
apportatrice di un gusto documentato a più vasto raggio nella coroplastica campanai(25), riafvotive II. Le statue, p. 43.
(24) LIMC, II, 2, voce «Artemis», p. 494.
(25) L. SCATOZZA HÖRICHT, «Materiali votivi da
Atella«, in I culti della Campania antica, op. cit., pp. 191197, tav. LII, 2.

SACELLO DI DIANA E ICONOGRAFIA DELLA DEA


fioreranno, riemergendo in modo differenziato,
assieme a quelle ellenizzanti, che vanno imponendosi nella produzione del III-II sec. a.C.
Nell’ambito di quest’ultima si inserisce un
manipolo di statuette, databili nel corso del
III sec. a.C, con l’immagine di Diana cacciatrice
(figg. 6-13), riconducibili, con esigue differenze, al tipo che sarà raffigurato sull’affresco di
S. Angelo. Conservate al Museo Campano esse
riproducono, in serie, l’immagine della dea,
quale ci viene descritta dalle fontii(26). La
maggior parte degli esemplari (figg. 6-12) rappresenta un tipo di Artemide, ben noto alla
coroplastica mediterraneai(27), tipo che offre
occasione per sincretismi con divinità, come
Ekatei(28), dalle prerogative analoghe espresse attraverso gli stessi simbolismi. La fiaccola,
cui la dea si appoggia, posta a destra o a sinistra, sullo stesso lato su cui appare accucciato
il cane con il muso rivolto verso di lei, richiama il suo carattere lunare: Dianam autem et
Lunam eandem putanti(29) e i molteplici ruoli
nella protezione della donna, dei matrimoni,
della fecondità. L’abbigliamento leggero e la
faretra, qui presente in due casi, alludono alle
sue prerogative di cacciatrice, desunte dal mondo greco, attraverso la mediazione della costa.
Capua conosce nella piccola coroplastica anche
il tipo dell’Artemide sicula (fig. 14), frutto degli
influssi della Sicilia ellenistica, che esprime una
figura leggiadra, simile ad un’Afrodite, dalla
veste così leggera, da farla apparire nuda.
Il gruppo rientra a pieno titolo nell’ambito
della statuaria di piccolo modulo, riferibile al
mondo muliebre, che trova nel repertorio ellenistico mediterraneoi(30) numerosi confronti.
Manufatti che gli artigiani di Capua produssero
in abbondanza fino allo sfinimento degli stampi, a giudicare dalla quantità di prodotti consunti, obbedendo alla richiesta di un ceto popolare, garante, pur con il suo modesto potere di
acquisto, di una continuità di entrate per i santuari. Nell’ambito di questa produzione, il soggetto “Diana”, è quello che più degli altri non
subisce fraintendimenti come avviene per altre
divinità femminili come Venere o Minerva, la
cui immagine, ispirata a modelli classici o ellenistici, viene a volte travisata con l’irriverenza
(26) Pausanias (X, 37, 1) descrive la statua di Artemide, opera di Prassitele, nel santuario di Anticyra, con fiaccola, faretra a destra e cane sul lato sinistro.
(27) LIMC, II, 1-2, voce «Artemis»: vol. 2, es. 496, 497,
p. 485; vol. 1, p. 654 ss.
(28) LIMC, II, 1-2, voce «Artemis»: vol. 1, p. 744.
(29) CIC. De nat. Deor. II, 68.

221

Fig. 4. Capua, Museo Provinciale Campano: statua fittile
di Diana.

paesana che caratterizza anche molta della piccola coroplastica laziale e campana coeva.
Per ritornare al dipinto da S. Angelo, che
restituisce la serena immagine della dea, colta
in una pausa dalla caccia, analoga anche se
(30) Una rapida scorsa alla coroplastica ellenistica dà
l’idea di come Capua abbia attinto, sebbene superficialmente, a quel grazioso e ripetitivo repertorio popolato da
Veneri, eroti, statuette muliebri…: S. MOLLARD BESQUES,
Catalogue raisonné des figurines et reliefs en terrecuite grecs
et romains II, Myrina, Paris 1963, passim.

222

Fig. 5. Capua, Museo Provinciale Campano: statuetta fittile
Diana X a1.

non identica a quella riportata nella piccola
statuaria fittile descritta, è evidente come ogni
considerazione venga complicata dalla scomparsa del manufatto, per cui si dovrà ricorrere
alla scarna documentazione esistente e alle
prime descrizioni ottocentesche.
L’immagine è conforme a quella tramandata dalla tradizione letteraria e figurativa gre-

(31) Si tratta dei tipi ispirati ad Artémis Laphria di cui
riferisce Pausania (X, 37, 1): LIMC II, 1-2, voce «Artemis»:
vol. 1, p. 641; vol. 2, es. 194, 195, 201, p. 461.
(32) Secondo la Bieber (M. BIEBER, Ancient Copies.
Contributions to the history of greek and roman art, New
York 1977, p. 71 ss.) un abbigliamento di questo tipo corrisponde ai criteri di simmetria cari ai Romani (tav. 49,
fig. 296), piuttosto che a quelli di comodità: il modo più
pratico di indossare il mantello, riportato nella statuaria
greca, è quello di farlo passare per la sola spalla sinistra,
come dimostra la ricostruzione della Bieber proposta
alla tav. 46, fig. 274.
(33) LIMC II, 1-2, voce «Artemis/Diana»: vol. 2, es. 45,
p. 597, es. 174, p. 610, es. 192, p. 610; vol. 1, pp. 810, 822-24.
Come accade per Ekate e Giunone Lucina, Diana dà luogo

M. BEDELLO TATA

ca di età ellenisticai(31): la dea si presenta ferma, compatta, gravitante sulla gamba destra,
calza alti stivaletti stringati ed è abbigliata con
breve chitone e mantello. Questo, anziché poggiare su una parte del corpo, per assecondarne
il movimento, copre, per evidente licenza poeticai(32), entrambe le spalle per ricadere in
modo simmetrico ai lati e arrotolarsi intorno
alla vita. L’attitudine alla caccia è richiamata
dall’arco, dalla freccia e da una pelle ferina
che poggia sul braccio sinistro. Segno distintivo della divinità è da ritenersi il triplo “coronamento” sul capo, formato da un serto di
alloro, dallo Zackendiadem, definito da una
fila di serpenti-urei in genere caratteristica
dell’egizia Isidei(33), e da un nimbo allusivo al
brillio dell’astro lunare. L’ambientazione en
plein air è suggerita dal fondo chiaro, dalle
ombreggiature e dalla balaustra che funge da
base anche per alcuni elementi di difficile lettura. La staticità della figura, in contrasto con
la rappresentazione dipinta della più tarda
Diana in caccia dell’ipogeo di via Livenzai(34)
e la sua collocazione su di una balaustra o
piedistallo possono far pensare, infatti, che la
pittura di S. Angelo voglia riprodurre un simulacro della deai(35) inserita in un contesto
paesaggistico idillico-sacralei(36).
L’assetto generale della figura e l’uso acceso dei colori dell’abbigliamento, che si possono trarre dalle prime descrizionii(37), il porpora del chitone orlato da “verdi ricami”, il
“color oro” del manto, i raggi dorati della prima corona, suggeriscono accostamenti con le
squillanti cromie di alcune pitture dell’area vesuviana: il lare di un larario di una villa di Boscorealei(38), la raffigurazione di una Diana in
un corteggio di dodici dei in una facciata
pompeiana (Pompei IX 11, 1)i(39), e, ancora
da Pompei (Pompei VI, Insula Occidentalis,10), la rappresentazione dipinta della sta-

a sincretismi con altre divinità, tra cui Iside.
(34) LIMC II, 1-2, voce «Artemis/Diana»: vol. 2 es. 151
p. 608; vol. 1, p. 820.
(35) E.M. MOORMANN, La pittura parietale romana
come fonte di conoscenza per la scultura antica, AssenMaastricht 1988, pp. 51-52, t. 225, 1, p. 189.
(36) I. COLPO, Ruinae…et putres robore trunci. Paesaggi di rovine e rovine nel paesaggio nella pittura romana
(I secolo a.C.-I secolo d.C.), Roma 2010, da p. 78, fig. 50.
(37) FIORELLI, art. cit., pp. 116-117.
(38) F. GIACOBELLO, Larari pompeiani. Iconografia e
culto dei Lari in ambito domestico, Milano 2008, pp. 228-229.
(39) T. FRÖHLICH, Lararien- und Fassadenbilder in den
Vesuvstädten (MittDAI 1991, Erg. 32), tav. 60, 2, pp. 335-337.

SACELLO DI DIANA E ICONOGRAFIA DELLA DEA

223

tua della dea dorifora, con diadema aureo
definito da urei ed abbigliamento vivacemente
coloratoi(40).
Il dipinto con il cervo, raffigurato con imponente palco di corna nel pannello laterale
del sacello, non fornisce alcun ulteriore supporto alla definizione dell’affresco con la dea.
Si tratta di un animale in genere associato ad
essa anche nella statuaria, ma non corrisponde alla cerva bianca della leggenda primigenia
di Capua.
Nonostante tutto, comunque, l’unica fotografia in bianco e nero che possediamo dell’affresco perduto riesce a restituire un’immagine
pittorica di ottima qualità che è possibile attribuire ad una committenza di buon livello.
L’inserimento della figura in un contesto naturalistico, la resa plastica del corpo, della muscolatura delle gambe e la forma del volto,
preso di tre quarti, ricordano la solidità stilistica di alcuni ottimi prodotti pittorici di botteghe pompeianei(41) piuttosto che di ateliers
più tardi, come proposto dal Minervinii(42).
La tipologia della pittura ed i confronti con
materiale pompeiano, pur non numerosi, sono
a mio parere indicativi di un gusto molto diverso da quello che si sprigiona dai manufatti
pittorici di età medio e tardo imperiale, documentato dagli esempi che del periodo fornisce
l’antica Ostiai(43), ove le figure si librano in
una dimensione irrealei(44) su sfondi chiusi,
perdendo quella concretezza ferma di ritratto,
che mi pare costituisca la peculiarità del dipinto di S. Angelo.
In conclusione credo verosimile che la pittura con l’immagine di Diana, costituisca il
punto di arrivo di un’immagine di culto che fa
capo a prototipi statuari creati dall’arte greca
per la dea cacciatrice, difficilmente individuabili in un’unica opera, nel nostro specifico
caso. Un confronto interessante è offerto dalla
rappresentazione della statua di Diana dadofora su uno dei tondi adrianei dell’arco di
Costantinoi(45), cui sembra corrispondere la
versione pittorica restituita dagli scavi ottocenteschi di S. Angelo.

Il perpetuarsi, nella pittura di S. Angelo,
tra la fine del I secolo d.C. e l’inizio del seguente, dell’iconografia di Diana cacciatrice
con poche variazioni di rilievo, ma con spirito
che resta sostanzialmente analogo a quello riportato anche nella coroplastica esaminata,
testimonianza di devozione privata ad una divinità dai molteplici aspetti, è fenomeno interessante e non casuale. Evidentemente è questo il
tipo di Diana, che si è affermato a Capua, dopo
la sua entrata nell’orbita romana, seguita alla
conquista della città nel 211 a.C., lontana da
richiami ad un arcaico mondo selvaggio, e, a
partire dal III-II sec. a.C., lontano anche dalle
iconografie popolaresche di tradizione anteriore, che finiranno per essere in qualche
modo addomesticate, nel momento che vede
farsi rapida, forte e duratura, e non solo a Capua, la diffusione di iconografie e stili, desunti
dalla Grecia classica e ellenistica e veicolati
dall’espansione romanai(46). Il Museo Campano permette di concludere questo rapido
excursus grazie alla presenza del pregevole
torso di Diana Venatrix con accanto il cane
proteso nella caccia, gruppo confrontabile e ricostruibile grazie al confronto con una copia
da originale greco del Museo Archeologico di
Napolii(47).

(40) I. BRAGANTINI, V. SAMPAOLO, La pittura pompeiana, Verona 2009, pp. 190-191.
(41) D. ESPOSITO, Le officine pittoriche di IV stile a
Pompei. Dinamiche produttive ed economico-sociali, Roma
2009, tav. XXI.
(42) MINERVINI, art. cit., pp. 660-662.
(43) ST. FALZONE, Ornata aedificia. Pitture parietali
dalle case ostiensi, Roma 2007.
(44) I. BALDASSARRE, A. PONTRANDOLFO, A. ROUVERET, M. SALVADORI, Pittura romana. Dall’ellenismo al tar-

do antico, Milano 2002, p. 278 ss.
(45) R. TURCAN, «Les tondi d’Hadrien sur l’arc de
Constantin», in Comptes rendus des séances de l’Académie
des Inscriptions et Belles-Lettres, 1991, pp. 53-80, fig. 6.
(46) L. CERCHIAI, I Campani, Milano 1995, da p. 200;
F. COARELLI, «Classe dirigente romana e arti figurative»,
in DdA IV-V, 1970-71, pp. 241-265.
(47) V. sopra nota 22; BIEBER, op. cit., p. 74, tav. 47,
fig. 285.

APPENDICE
Colgo qui l’occasione per presentare in appendice le statuette fittili inedite con l’effigie
di Diana, cui si è fatto sopra riferimento,
estrapolandole da un contesto che potrebbe rivelarsi più ampio, ma che non è attualmente
verificabile, poiché il Museo Campano è stato
investito da una radicale opera di trasformazione, che costringe ancora una volta a segnare il passo. Si è ritenuto opportuno, in questa
sede, dunque, mostrare un solo esemplare indicativo per ogni prototipo individuato, rimandando ad altro momento, se sarà possibile, il conteggio della reale consistenza numerica dei fittili derivati da ciascuno di essi,

224

M. BEDELLO TATA

unitamente all’individuazione della presenza
di eventuali repliche e variantii(48). Lo stesso
numero dei prototipi potrà subire un incremento, se sarà possibile accedere con maggior
facilità ai magazzini. Anche l’analisi delle argille, che avrei desiderato effettuare su basi
non solo autoptiche, è rimandata ad un
momento in cui le normali attività di verifica
potranno essere riprese.
Il breve catalogo che segue non vuole pertanto essere esaustivo dell’intera produzione
fittile di piccolo modulo riservato all’immagine di Diana, ma solo rappresentare un primo
passo verso l’analisi di questa tipologia e successivamente lo studio di altre che fanno
capo alla raffigurazione di divinità, per la
maggior parte femminilii(49). Una maggiore
consistenza numerica di questi tipi è confermata, in un orizzonte più ampio, dal confronto strettissimo con repliche presenti a Napoli,
Berlino, Parigi, Madrid… ove molti esemplari
sono confluiti negli anni che videro gran parte
del patrimonio fittile capuano emigrare nei musei europei. Disiecta membra, sicura prova degli
interessi economici legati ai primi scavi, che ormai assumono il carattere di testimonianza di
una delle tante occasioni irrimediabilmente
perdute a causa della frantumazione di uno dei
nostri contesti archeologici più interessanti.
In genere la produzione relativa alle statuette di piccolo modulo non si distacca a Capua, specie a partire dalla fine del IV e poi nel
corso del III secolo a.C., da quella centro italica e campana, scadendo spesso in sciatteria di
esecuzione e mettendo in rilievo una diffusa

incomprensione per modelli rivisitati nell’ambito di botteghe modeste, che copiano, in
modo seriale, le grandi opere, interpretandole
con linguaggio a volte ai limiti della caricatura. In questo panorama le statuette con Diana,
in veste di cacciatrice, caratterizzata dalla
compresenza della torcia e degli attributi della
caccia, cane e faretra (che compaiono a volte
in schema invertito) riescono a mantenere una
certa dignità riportando a un tipo ben codificato di ascendenza ellenistica, risolto senza
evidenti fraintendimenti. Si tratta di esemplari
generati da matrici stanche che presuppongono un uso prolungato degli stampi, ad eccezione degli esemplari Diana IVa1 e Diana VIIa1,
generati da matrici meno usurate. Tutto ciò
radica nella convinzione che i depositi del Museo Campano possano restituire materiale più
fresco e numeroso ad una futura ricognizione.
La tipologia di Diana in posizione di riposo accompagnata, anche se non sempre
contemporaneamente, da faretra, fiaccola,
cane, che ne mettono in rilievo anche il sincretismo con altre divinità, trova confronti
nella piccola coroplastica di Lazio e Campania, accanto ad altre tipologie devozionali.
La produzione, poco accurata, si differenzia
stilisticamente e per qualità, da centro a centro, anche se risponde a criteri tipologici sostanzialmente omogeneii(50). La datazione
di materiale di questo tipo è affidata in genere alla iconografia e raramente a dati desunti da regolari campagne di scavo. Pertanto le
datazioni proposte, oscillanti quasi sempre
tra IV e II sec. a.C., appaiono insufficienti ad

(48) Le norme di base per la catalogazione del materiale capuano, cui si è fatto sempre costante riferimento,
adattando la siglatura alla varietà dei materiali, sono in
M. BONGHI JOVINO, Capua preromana, Terrecotte votive I.
Teste isolate e mezzeteste, Firenze 1965, da p. 16.
(49) Quello con Diana fa parte di un imponente e
quanto mai vario gruppo di statuette fittili, raffiguranti le
divinità più diverse, in stile ellenizzante, locale ed ibrido.
Si tratta di un consistente patrimonio archeologico che attende di essere documentato. Un primo saggio della varietà della produzione è offerto dal catalogo di O. DELLA
TORRE, S. CIAGHI, Terrecotte figurate ed architettoniche del
Museo Nazionale di Napoli I. Terrecotte figurate da Capua,
Napoli 1980, che raccogliendo il materiale fittile capuano
confluito al Museo Archeologico di Napoli permette di
spaziare oltre i cataloghi tematici già pubblicati nella serie Capua preromana, Terrecotte votive, dando l’idea generale dell’esistenza di una piccola statuaria molto variegata, debitrice nei confronti di quella monumentale, pur tra
evidenti travisamenti. L’esame di questo materiale, presente nel Museo Campano con una più ampia casistica rispetto al Museo di Napoli, potrebbe contribuire al recupe-

ro dei molti dati perduti anche a causa della sua dissennata dispersione. È comunque insita, nella maggior parte dei
fittili votivi ellenistici, la difficoltà di cogliere le specificità
dei culti e delle divinità tutelari: J.P. MOREL, «Les cultes
du sanctuaire de Fondo Ruozzo à Teano», in I culti della
Campania antica, op. cit., pp. 157-167.
(50) Per la Campania si vedano i rinvenimenti di Teano, loc. Loreto: W. JOHANNOWSKY, «Relazione preliminare sugli scavi di Teano», in BA XLVIII, 1963, pp. 131-165,
fig. 14, p. 148, tav. XLIV e loc. Ruozzo: MOREL, art. cit., in
I culti della Campania antica, op. cit., pp. 157-167; di Fratte
di Salerno: G. GRECO, «Coroplastica», in Fratte, un insediamento etrusco campano (a cura di G. GRECO, A. PONTRANDOLFO), Modena 1990, pp. 99-123, fig. 225. Per il Lazio, si veda per Nemi: F. WINTER, Die Typen der figürlichen Terrakotten III, 2, Berlin und Stuttgart 1903, p. 164,
3, 4; per Roma, stipe del Tevere: P. PENSABENE, M.A. RIZZO, M. ROGHI, E. TALAMO, Terracotte votive dal Tevere
(Studi Miscellanei 25), Roma 1980, nn. 58-59, tav. 18; per
il deposito dell’Esquilino: L. GATTI LO GUZZO, Il deposito
votivo dell’Esquilino detto di Minerva Medica, Firenze
1978, tavv. XI, 1-3 e XIX, 3-4.

SACELLO DI DIANA E ICONOGRAFIA DELLA DEA

225

entrare nello specifico. Nel caso di Capua, le
cui sfortunate vicende di scavo peraltro non
fanno eccezione, una datazione al III sec.
a.C., per la maggior parte dei fittili presentati (figg. 6-12), sembra a chi scrive la più probabile, anche in considerazione del graduale
cambiamento che in questo periodo investe
la produzione della città, segnando un deciso cambiamento di rottai(51). Infatti dopo la
realizzazione di statue di grandi e medie dimensioni, la statuaria di piccola taglia con
donne e bambini tra le braccia, le teste e testine isolate, gli oscilla, i busti…, un posto
notevole, dalla fine del IV secolo, occupa la
produzione cospicua di “tanagrine”, che indirizza, analogamente a quanto accade sotto
l’influenza attica in altri centri campanii(52), verso un mondo più leggiadro e introduce ad una variegata plastica di piccolo
modulo, che denota la vitalità delle botteghe e dei rapporti con i centri campani e laziali, il sud della penisola e l’oriente. In questo ambito si sviluppa nel III sec. a.C. una
koinè che unisce Campania, Lazio, Etruria
Meridionale e dà luogo ad una gran quantità, tipologicamente differenziata, di statuette facenti capo a diversi soggetti prevalentemente femminili. A Pompei, della diffusione di questi modelli è dato conto in una
serie di lastre fittili di reimpiego, in origine
appartenenti ad un edificio sacro, con una
decorazione a rilievo che comprende, tra altre divinità, una figura, che risulta iconograficamente molto simile ai fittili capuani raffiguranti Dianai(53).

All’interno del gruppo di fittili qui presentati (prototipi facenti capo a Diana I-VIII) esistono alcune differenze di poco conto in relazione
allo schema compositivo che può essere invertito, senza nulla togliere all’omogeneità del complesso. L’esiguità numerica non permette di entrare in merito alle specificità delle botteghe,
certo più d’una, operanti a Capua, in una fase
di articolata economia di mercato. Molto vicini,
non solo iconograficamente ma anche per dimensioni e consistenza risultano tra loro i fittili
Diana Ia1, Diana II a1, Diana III a1, confrontabili con fittili dalle stipi del Teverei(54) e
dell’Esquilinoi(55), dalle stipi dei fondi Loreto e
Ruozzo di Teanoi(56) e con fittili dalla Grecia,
e dalla Siciliai(57). Nello stesso modo i fittili
Diana V a1, Diana VI a1 e Diana VII a1, acefali,
esprimono esemplari di fattura tra loro analoga
anche nella corsività della realizzazionei(58).
Tra questi il prototipo Diana V, sembra essere
molto vicino a quello di una statuetta del Museo Archeologico di Madrid, che potrebbe essere di provenienza capuana, come possono confermare tra l’altro anche le vicende della formazione della collezione Salamanca, cui il fittile
appartienei(59). Di dimensioni più grandi e di
buona fattura appare Diana IV a1, simile ad un
fittile da Stoccardai(60). La testina è plasmata
con la grazia di alcune tanagrine capuane con
cercine scabroi(61), mentre Diana VIII a1,
anch’essa di dimensioni maggiori rispetto alle
altre appare troppo consumata in superficie per
poterne valutare la qualità, che doveva inizialmente essere migliore. L’esemplare trova confronti nella statuaria di epoca ellenistico roma-

(51) Mi pare assai condivisibile l’opinione espressa
dal Morel che individua, “aprés le grand tournant des environs de l’an 200 av. n.è”, anni del “dopo Annibale” a
Capua, un netto cambiamento di mentalità nel modo di
relazionarsi ed offrire agli dei: J.-P. MOREL, «Le sanctuaire
de fondo Ruozzo à Teano (Campanie) et ses ex-voto», in
Comptes rendus cit., pp. 9-34.
(52) W. JOHANNOWSKY, Capua antica, Napoli 1989,
p. 63.
(53) E. MENOTTI DE LUCIA, «Le terrecotte dell’“insula
occidentalis”: nuovi elementi per la problematica relativa
alla produzione artistica di Pompei del II sec. a.C.», in Artigiani e botteghe nell’Italia preromana. Studi sulla coroplastica
di area etrusco-laziale-campana, a cura di M. BONGHI JOVINO, Roma 1990, pp. 179-246. Da ultimo R. KÄNEL, «Darstellungen der Nike in der etruskisch-italischen Baudekoration», in Deliciae fictiles. Architectural Terrakottas in Ancient
Italy. Images of Gods, Monsters and Heroes (Proceedings of
the international Conference held in Rome and Syracuse October 21-25, 2009), Oxford and Oakville 2011, pp. 74-83, fig. 9.
(54) PENSABENE, RIZZO, ROGHI, TALAMO, op. cit., es.
n. 58, tav. 18.

(55) GATTI LO GUZZO, op. cit., tav. XI, es. E XXIXa.
(56) JOHANNOWSKY, art. cit., tav. XLIV, fig. 14, p. 148;
MOREL, art. cit., in I culti della Campania antica, op. cit.,
tav. XLIV, 5.
(57) LIMC II, 1-2, voce «Artemis»: vol. 2 es. 497, p. 485;
vol. 1, p. 660; R. KEKULÉ, Die Terracotten von Sicilien,
Berlin und Stuttgart 1884, tav. 24, 5-6, p. 67; WINTER, op.
cit., p. 166, nn. 1, 7.
(58) Cfr. con A. LAUMONIER, Catalogues des terres cuites du Musée Archéologique de Madrid, Bordeaux 1921, tav.
LXXX, p. 159 e GRECO, art. cit., p. 118, fig. 225. Ascrivibile
a Capua è l’esemplare WINTER, op. cit., p. 164, n. 2 confluito a Berlino.
(59) LAUMONIER, op. cit., tav. LXXX, 3, p. 159 e p. 127,
nota 1.
(60) LIMC II, 1-2, voce «Artemis»: vol. 2, es. 496, p. 485;
vol. 1, p. 660.
(61) S. BARONI, V. CASOLO, Capua preromana. Terrecotte votive V. Piccole figure muliebri panneggiate, Firenze
1990: tra i numerosi, pur generici confronti, valga quello
con la testina alla tav. XXIX, 9.

226

M. BEDELLO TATA

nai(62) e nella coroplastica dei depositi del
Tevere e dell’Esquilino di Romai(63).
Diverse da queste iconografie e di datazione anteriore, risultano gli esemplari Diana
IXa1 e Diana Xa1 (figg. 5 e 14), che rappresentano i due poli tra i quali ancora alla fine del
IV sec. a.C. si muove l’artigianato capuano: il
primo, riferibile all’Artemide sicula con pantera, testimonia dei rapporti tra la Campania, in

particolare Neapolis, e il mediterraneo ellenistico, nel caso specifico la Sicilia agatocleai(64),
mentre dal secondo affiora con forza la continuità del filone locale, evidente sia nella formula iconografica che nella scelta e manipolazione della materiai(65). Analoga rusticità si
coglie in altri esemplari fittili della Campania,
la cui produzione sembra correre su binari
paralleli, in bilico tra tradizione locale e novità
ellenistiche.

SCHEDE
DIANA CACCIATRICE
Diana I

Diana Ia1 (fig. 6)
Stante, mano destra sull’anca, gamba sinistra
incrociata davanti alla destra, portante. Sul capo
poggia un cercine scabro. Veste corto chitone, clamide passante sulla spalla destra, alti gambali. Regge a sinistra una lunga fiaccola, dietro la spalla
destra spunta la faretra, modellata anche sul retro.
A sinistra è accucciato un cane con il capo girato
verso l’alto. Cava. Da due stampi. Foro sfiatatoio
ovale. Basetta circolare in gran parte di restauro.
Impasto grossolano arancio.
Inv. 10955 (Patroni 7013)i(66); alt. cm 15; largh.
(gomito destro-fiaccola) cm 4,70.

Diana III

Diana III a1 (fig. 8)
Stante su basetta ovale, mano destra appoggiata sull’anca, gamba sinistra incrociata davanti alla
destra, portante. Veste corto chitone con apotygma,
un lembo del manto passa sopra la spalla destra. I
capelli, spartiti, sono raccolti alla sommità in un
nodo. Porta alti gambali. Regge a sinistra una fiaccola. Dietro la spalla spunta la faretra, modellata
anche nella parte posteriore. Alla sinistra è accucciato un cane con il capo girato verso l’alto. Cava.
Da due stampi. Modellata anche sul retro. Priva del
foro sfiatatoio. Quasi integra, presenta una lacuna
in corrispondenza della parte inferiore della fiaccola.
Inv. 10951; alt. cm 17; largh. (gomito destro-fiaccola)
cm 6,10.

Diana IV

Diana II

Diana II a1 (fig. 7)
Stante su basetta circolare, mano destra
appoggiata sull’anca, gamba sinistra incrociata
davanti alla destra, portante. Veste corto chitone
con apotygma e manto poggiato sulla spalla destra. Sul capo poggia un cercine. Porta alti gambali. Regge a sinistra una lunga fiaccola. Sullo
stesso lato è accucciato un cane con il capo girato
verso l’alto. Cava. Da due stampi. Foro sfiatatoio
ovale. La testa è riattaccata. Impasto fine, argilla
rosata.

Diana IV a1 (fig. 9)
Stante. Mano sinistra appoggiata sull’anca. La
gamba destra si incrocia davanti alla sinistra, portante. Veste corto chitone pieghettato, che lascia
scoperte le ginocchia, con apotygma, e gambali. Sui
capelli spartiti poggia un cercine. Porta orecchini a
bottone. Regge con la mano destra una lunga fiaccola, il braccio disteso lungo il corpo. Sullo stesso
lato è accucciato un cane con il muso girato in alto.
Cava. Da due stampi. Foro sfiatatoio circolare sul
retro. Quasi integra, presenta una lacuna nella parte destra del cercine. Argilla rosa intenso.

Inv. 10947 (Patroni 7012); alt. cm 17; largh. (gomito
destro-fiaccola) cm 5,60.

Inv. 10950; alt. cm 26; largh. (gomito sinistro-fiaccola)
cm 9,5.

(62) LIMC II, 1-2, voce «Artemis»: vol. 2, p. 476; vol. 1,
p. 652.
(63) PENSABENE, RIZZO, ROGHI, TALAMO, op. cit., es.
n. 59, tav. 18. WINTER, op. cit., p. 165, fig. 4; GATTI LO
GUZZO, op. cit., tav. XIX, 3.
(64) LIMC II, 1-2, voce «Artemis»: vol., 2, es. 963, p. 517,
vol. 1, p. 694; L. SCATOZZA HÖRICHT, Le terrecotte figurate
di Cuma, Roma 1987, tav. III, es. A Va1.

(65) M. BONGHI JOVINO, «Aspetti della produzione
figurativa. La coroplastica capuana dalla guerra latina alla
guerra annibalica», in Artigiani e botteghe, cit., pp. 217-235,
in part. a p. 231.
(66) Nelle schede viene indicata, quando rintracciata,
la corrispondenza con Patroni: G. PATRONI, Catalogo dei
vasi e delle terrecotte del Museo Campano, Capua 1897-1904.

SACELLO DI DIANA E ICONOGRAFIA DELLA DEA

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Figg. 6-8. Capua, Museo Provinciale Campano: 6, statuetta fittile Diana I a1; 7, statuetta fittile Diana II a1;
8, statuetta fittile Diana III a1.

Diana V

Diana V a1 (fig. 10)
Stante, mano sinistra puntata sull’anca. La
gamba destra si incrocia davanti alla sinistra, portante. Veste chitone pieghettato fino al ginocchio,
cinto in vita con apotygma, e gambali. Un lembo del
manto passa sopra la spalla sinistra e ricade sul
braccio. Regge a destra una sottile fiaccola poggiata
a terra. Sullo stesso lato è accucciato un cane col
muso girato in alto. Basetta rettangolare di restauro. Cava. Da due stampi. La parte posteriore con
foro sfiatatoio circolare non è modellata. Acefala
con restauri moderni in gesso. Argilla rosata.
Inv. 10797; alt. residua cm 13,50; largh. (gomito sinistro-fiaccola) cm 6,10.

Diana VI

Diana VI a1 (fig. 11)
Stante su alta base, appoggiata con il gomito destro ad un pilastrino. Mano sinistra puntata dietro
l’anca. La gamba destra si incrocia davanti alla sinistra, portante. Veste corto chitone che si ferma sopra
il ginocchio, cinto in vita, con apotygma. Un lembo
del manto passa sopra il braccio sinistro e ricade
lungo il fianco. Incrocio sul petto delle corregge. Calza alti gambali. Regge a destra una sottile fiaccola
poggiata a terra. Sullo stesso lato è accucciato un
cane volto a sinistra col muso girato in alto. Cava. Da

due stampi. La parte posteriore con foro sfiatatoio
circolare non è modellata. Acefala. Argilla rosata.
Inv. 10774; alt. residua cm 15; largh. (gomito sinistrofiaccola) cm 6,50.

Diana VII

Diana VII a 1 (fig. 12)
Stante su basetta circolare, appoggiata con il
gomito destro ad un pilastrino. Mano sinistra puntata dietro l’anca. La gamba destra si incrocia davanti alla sinistra, portante. Veste chitone pieghettato che si ferma sopra il ginocchio, cinto in vita,
con apotygma, e gambali. Un lembo del manto passa sopra il braccio sinistro e ricade lungo il fianco.
Regge a destra una sottile fiaccola poggiata a terra.
Sullo stesso lato è accucciato un cane col muso girato in alto. Cava. Da due stampi. La parte posteriore con foro sfiatatoio circolare non è modellata.
Acefala. Matrice buona. Argilla rosata.
Inv. 10775; alt. residua cm 12, 40.

DIANA STANTE CON NEBRIDE
Diana VIII

Diana VIII a1 (fig. 13)
Stante, mano sinistra puntata dietro l’anca. Veste chitone al ginocchio, stivali e la nebride stretta

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M. BEDELLO TATA

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Figg. 9-11. Capua, Museo Provinciale Campano: 9, statuetta fittile Diana IV a1; 10, statuetta fittile Diana V a1;
11, statuetta fittile Diana VI a1.

12

13

14

Figg. 12-14. Capua, Museo Provinciale Campano: 12, statuetta fittile Diana VII a1; 13, statuetta fittile Diana VIII a1;
14, statuetta fittile Diana IX a1.

SACELLO DI DIANA E ICONOGRAFIA DELLA DEA

alla vita. Un lembo del manto passa sopra la spalla
destra e ricade sul braccio sinistro. Cava. Da due
stampi. La parte posteriore con foro sfiatatoio circolare non è modellata. Acefala. Gamba destra
mancante. Argilla rosata. Matrice stanca.
Inv. 10785; alt. residua cm 20; largh. max. cm 7,50.

DIANA - TIPO ARTEMIDE SICULA
Diana IX

Diana IX a1 (fig. 14)
Stante su basetta, con la mano destra appoggiata sul capo di una pantera. Nella mano sinistra regge l’arco. Gravita sulla gamba destra. Indossa su un
leggero chitonisco aderente, alto cinto. Un lungo
mantello attraversa diagonalmente il petto e scende
sul lato sinistro della figura. Calza stivaletti. Cava.
Da due stampi. Foro sfiatatoio circolare. Acefala.

Referenze grafiche e fotografiche:
Fig. 1, da Enciclopedia Italiana, Milano 1931, voce
«Diana», p. 744 fig. 2; fig. 2, foto Francesco Rinaldi, su
cortese autorizzazione della direzione del Museo Provin-

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Basetta parzialmente rotta. Argilla rosata. Matrice
stanca.
Inv. 10777 (Patroni 3540); alt. residua cm 12,1; largh.
max. cm 6,10.

DIANA STANTE CON LUNGO CHITONE
Diana X

Diana X a1 (fig. 5)
Stante in posizione rigida. Veste lungo chitone
pieghettato con corto apotygma. Sul petto si incrociano le corregge della faretra. Le braccia aderiscono al corpo. Sulle spalle scendono due boccoli. Piena, pesante, con retro non modellato. Acefala. Priva
della mano sinistra. Argilla arancio scuro.
Inv. 10967; alt. residua cm 20,50.

MARGHERITA BEDELLO TATA
Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma

ciale Campano; fig. 3a, b, foto M. Bedello; fig. 4, da
M. BONGHI JOVINO, Capua preromana. Terrecotte votive II.
Le statua, Firenze 1971; figg. 5-14, cortesemente fornite da
M. Bonghi Jovino.