Regola e le costituzioni del primo secol

PIETRO MARANESI

  

Regola e le costituzioni del primo secolo francescano:

due testi giuridici per una identità in cammino

  Il rapporto tra la Regola di Francesco e le costituzioni emanate dai frati minori divenne, a partire da Bonaventura, una relazione tanto necessaria per la vita dell’Ordine france- scano quanto difficile nel suo continuo ripensamento e aggiu- stamento. Che la Regola non fosse sufficiente a regolamentare la vita dei frati e a dare ordine ad un gruppo ormai troppo esteso, sia nello spazio geografico che negli impegni pastorali e culturali, era diventata una chiara ed accettata evidenza. Il testo fondativo dell’identità dell’Ordine doveva essere affianca- to da un documento giuridico ulteriore che potesse adeguare le richieste della Regola, tanto fondamentali per l’identità dei frati quanto, però, anche vaghe, alle diverse e urgenti esigenze con le quali si stava confrontando la fraternità minoritica.

  Il nostro intento è quello di indagare questo rapporto, sondando gli elementi di continuità e discontinuità che si evi- denziano nei testi costituzionali prodotti dall’Ordine tra gli anni 1260 e 1354, cioè da Bonaventura al generale Farinier. L’abbondanza del materiale rende l’obiettivo della ricerca al- quanto impegnativo, facendo già prevedere che i risultati non potranno che essere considerati solo una premessa per un’ulte- riore e più accurata indagine. Ricordiamo un dato statistico fondamentale: dalle costituzioni di Bonaventura del 1260 alle costituzioni di Farinier del 1354 si susseguirono ben 15 costi- tuzioni generali, con la media di una nuova redazione ogni

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  rale legandole alla città dove si svolse il capitolo generale da cui furono emanate: Narbona (1260), Assisi (1279), Strasbur- go (1282), Milano (1285), Parigi (1292-5), Padova (1310) As- sisi (1316) Lione (1325), Perpignan (1331), Benedettine (1336), Quercy (1337), Assisi (1340), Venezia (1346), Lione (1351), Assisi (Farineriane) (1354). È chiaro che non è possi- bile operare una lettura globale e integrale di una quantità così grande di documenti. Inoltre occorre tener presente la difficoltà nel reperire i testi in questione. Solo recentemente, è stata pubblicata una edizione critica integrale delle prime 5

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  , mentre delle altre si costituzioni composte nel secolo XIII hanno ancora solo delle edizioni parziali sparpagliate in diver- si lavori apparsi nella prima metà del ‘900 nella rivista “Ar-

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  chivum Franciscanum Historicum” ; tale situazione mette in 1 Cfr. Constitutiones generales ordinis fratrum minorum, I (Saeculum XIII), cura et ENCI AILLEUX

studio fratrum C. C e R.G. M (Analecta Franciscana, XIII. Nova Series.

  

Documenta et studia, I), Grottaferrata 2007, di essi ricordiamo le pagine: Narbo-

na: pp. 69-104, Assisi: pp. 109-148, Strasburgo: pp. 157-217, Milano: pp. 225-

275, Parigi: pp. 285-364. 2 Costituzioni di Padova (1310): C. C ENCI , Le costituzioni padovane del 1310, in

Id. L’Ordine francescano e il diritto. Testi legislativi dei secoli XIII-XV, (Bibliotheca

eruditorum, 14), Goldbach 1997, pp. 217-270; Costituzioni di Assisi (1316): A.

ARLINI

C , Constitutiones generales Ordinis Fratrum Minorum Anno 1316 Assisii conditae,

in AFH, 4 (1911), pp. 276-302, pp. 508-526. Costituzioni di Lione (1325): A.

ARLINI

C , Constitutiones generales Ordinis Fratrum Minorum Anno 1316 Assisii conditae,

in AFH, 4 (1911), pp. 526-536. Costituzioni di Perpignan / Perpiniane (1331): S.

M ENCHERINI , Constitutiones generales Ordinis Fratrum Minorum a capitulo Perpiniani an-

no 1331 celebrato editae, in AFH, 2 (1909), pp. 276-292, pp. 412-430, pp. 575-

598. Costituzioni di Assisi / Benedettine (1336): M. B IHL , Ordinationes a Benedicto

  

XII pro Fratribus Minorum promulgatae per bullam 28 Novembris 1336, in AFH, 30

(1937), pp. 332-390. Costituzioni di Quercy (1337): M. B IHL , Constitutiones Genera-

les editae in capitulis generalibus Caturci an. 1337 et Lugduni an. 1351 celebratis, in

ELORME

AFH, 30 (1937), pp. 128-157. Costituzioni di Assisi (1340): F. D , Acta et

Constitutiones capituli generalis Assisiensis (1340), in AFH, 6 (1913), pp. 251-266.

  

Costituzioni di Venezia (1346): F. D ELORME , Acta capituli generalis anno 1346 Vene-

IHL , Consti- tiis, in AFH, 5 (1912), pp. 699-708. Costituzioni di Lione (1351): M. B

tutiones Generales editae in capitulis generalibus Caturci an. 1337 et Lugduni an. 1351

  

REGOLA E LE COSTITUZIONI DEL PRIMO SECOLO

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  evidenzia quale preziosità avrà il secondo volume in cui Cenci e Mailleux, i due curatori del precedente, stanno riunendo

  3 tutte le costituzioni del secolo XIV .

  Cosciente dell’ampiezza del materiale, è necessario più che mai stabilire un preciso punto di osservazione intorno al quale organizzare la presente indagine. Esso si può sintetizzare in una domanda che costituirà come il filo conduttore dell’inda- gine: se la Regola ha avuto bisogno delle costituzioni per esplicitare la sua forza normativa, quali sono stati gli elementi caratteristici della formulazione grazie ai quali queste hanno assolto alla loro funzione integrativa a vantaggio del testo le- gislativo di Francesco?

  Come si è già osservato, il processo di riscrittura delle co- stituzioni minoritiche è stato segnato da una frequenza di ag- giornamento e trasformazione redazionale che rinvia ad un co- stante bisogno di ridire e ripuntualizzare la vita dei frati. In particolare, guardando ai macro processi editoriali che con- traddistinguono le 15 costituzioni prodotte dall’Ordine nel primo secolo di storia, si nota la presenza di alcuni grandi on- de redazionali legate a significativi eventi storici vissuti dal- l’Ordine stesso nel suo travaglio identitario. Le costituzioni, in qualche modo, ripropongono il difficile processo evolutivo di una autocoscienza minoritica che, già nel primo secolo, è stata spesso chiamata a doversi ridire senza trovare mai un consenso definitivo e stabile. In via generale, si potrebbero in- dividuare tre grandi blocchi di costituzioni quali passaggi di

  

celebratis, in AFH, 30 (1937), pp. 158-169. Costituzioni di Assisi / Farineriane

(1354): M. B IHL , Statuta Generalia Ordinis edita in capitulo generali an. 1354 Assisii

celebrato communiter Farineriana appellata, in AFH, 35 (1942), pp. 35-112, pp.

  177-253. 3 Voglio cogliere l’occasione per ringraziare il p. Cesare Cenci del prezioso e

puntuale aiuto che mi ha offerto nel mettermi a contatto con il suo lavoro, offren-

domi non solo in anticipo l’introduzione al prossimo volume ma anche dandomi

preziose indicazioni per la mia indagine.

6 PIETRO MARANESI

  altrettanti travagli storici subiti dall’Ordine: il primo gruppo, composto dalle prime 8 costituzioni, è legato alla tradizione bonanventuriana delle narbonensi, di cui nelle successive co- stituzioni si riprenderà costantemente lo schema, conferman- do, sebbene con degli ampliamenti, le norme di quel testo iniziale. Tale linea durerà fino al 1331, quando vi sarà una specie di parentesi redazionale connessa al testo prodotto nel capitolo di Perpignan, a cui farà seguito le costituzioni ema- nate dal papa Benedetto XII nel 1337: i due testi si distacca- no dalla tradizione giuridica bonaventuriana per assumere un nuovo schema di sviluppo e, in certi casi, nuove linee diretti- va. Le successive ultime 5 costituzioni, terminando con le Fa- rineriane del 1354, operano un progressivo e deciso ritorno al- la tradizione narbonense riprendendo quest’ultima struttura rivisitata, però, sulla base del nuovo materiale giuridico pro- dotto nelle due precedenti grandi costituzioni, quella di Per- pignan e di Benedetto XII. L’individuazione di tre gruppi nel processo evolutivo della tradizione giuridica minoritica dei se- coli XIII-XIV rinvia anche a delle novità concernenti il rap- porto tra testo costituzionale e Regola. L’indagine separata dei tre blocchi redazionali tenterà, in fondo, di appurare ed evi- denziare il processo evolutivo e relazionale, per rintracciare il flusso identitario realizzato dalle costituzioni nella loro diversa riproposta della Regola.

  A TRADIZIONE BONAVENTURIANA FINO A

ICHELE DA ESENA

  1. L M C La tradizione legislativa del primo secolo è caratterizzata dal testo redatto da Bonaventura e approvato nel 1260 nel ca- pitolo di Narbona. L’impostazione giuridica data dal Santo dottore al suo documento resterà, infatti, di riferimento nel processo di sviluppo delle successive otto redazioni. L’analisi preliminare al suo testo offre, di conseguenza, la possibilità di avere un accesso generale al rapporto instaurato tra costituzio-

  

REGOLA E LE COSTITUZIONI DEL PRIMO SECOLO

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  inizi. Gli elementi peculiari del testo bonaventuriano varranno in qualche modo anche per le costituzioni che si susseguiran- no fino al 1325 con il testo emanato al capitolo di Lione.

  a. Le costituzioni di Bonaventura Un’informazione succinta ma di grande valore per la rico- struzione del contesto storico da cui nascono le costituzioni stilate da Bonaventura è fornita da Salimbene da Parma. Il fa- moso cronista, raccontando gli avvenimenti dell’importante capitolo del 1239 svoltosi a Roma, quando cioè venne deposto frate Elia ed eletto Alberto da Pisa, riferisce quanto segue:

  

In quel capitolo si stilarono anche una grande moltitudine di costituzioni,

ma piuttosto disordinate. Più tardi vi mise ordine frate Bonaventura, mi-

nistro generale, e vi aggiunse poco di suo, ma determinò in qualche punto

4 le penitenze .

  Nel breve testo vengono offerte diverse notizie. La prima riguarda la situazione “confusa” delle precedenti costituzioni stilate nel 1239, che necessitavano di un riordinamento. Tale stato durerà fino al 1257, quando nell’altro movimentato ca- pitolo generale di Roma, oltre la deposizione di Giovanni da Parma e l’elezione a generale dell’Ordine del maestro Bona- ventura, si decide di mettere mano alle numerose e confuse costituzioni per dar loro ordine ed efficacia giuridica. L’incari- co viene di fatto affidato al neo eletto generale Bonaventura da Bagnoregio. Il suo lavoro, che verrà presentato e approvato nel capitolo successivo tenutosi a Narbona nel 1260, si quali- fica, secondo la descrizione di Salimbene, come un’opera reda- zionale, nella quale il giovane generale effettuerà un riordina- 4 Salimbene da Parma, Cronaca, 29, in Fonti francescane. Nuova edizione, a cura di E. C AROLI , Padova, 2004 (in seguito FF), n. 2623.

8 PIETRO MARANESI

  mento del materiale precedente, senza aggiungere molto di suo. In un solo ambito, tiene a precisare il cronista, Bonaven- tura intervenne: in quello penale, stabilendo in alcuni casi nuove e più dure “penitentias” per i frati che peccano.

  Bonaventura, dunque, chiamato a dirigere un Ordine di grandi dimensioni e con una vitalità pastorale che lo aveva re- so uno dei gruppi religiosi più importanti della Chiesa del

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  tempo, deve subito affrontare due gravi questioni . La prima riguardava le dure e violente obiezioni che, proprio in quegli anni, venivano mosse all’Ordine dall’esterno sulla sua legitti- mità ecclesiale; in particolare doppia era la critica: l’Ordine non apparteneva alla struttura della Chiesa, ma costituiva, in qualche modo, una novitas in rapporto la compagine ternaria della Chiesa composta da monaci, chierici e laici; inoltre non era accettabile la pretesa avanzata da quella novità religiosa di vivere una vita più perfetta degli altri ordini a motivo della

  6 scelta di povertà non solo personale ma anche comunitaria .

  La seconda, invece, era incentrata nell’altrettanto grave e ne- cessaria riforma della vita interna dell’Ordine; occorreva infatti superare il rischio di una spaccatura tra i frati, divisi da modi non solo diversi ma anche opposti di vedere e vivere la fedeltà a Francesco e al suo ideale.

  Il nostro interesse in questo caso si concentra solo sul se- condo ambito legato al servizio svolto da Bonaventura come ministro generale in favore dell’Ordine, impegno che lo occu- pò per il resto della sua vita. Che il giovane generale sentisse forte e urgente il bisogno di una “riforma” della vita condotta dai frati è attestato dal contenuto programmatico da lui con- densato nella sua prima lettera circolare inviata a tutto l’Ordi- ne. In essa Bonaventura stilava gli obiettivi di rinnovamento 5 Sulla pluriforme attività di Bonaventura a favore del suo Ordine nel suo ruo- ARANESI

lo di ministro generale cfr. P. M , Bonaventura ministro generale di fronte al-

  l’Ordine francescano e alla Chiesa, in Doctor seraphicus, 55 (2008), pp. 17-65. 6 Cfr. ibid., pp. 18-32.

  

REGOLA E LE COSTITUZIONI DEL PRIMO SECOLO

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  dell’Ordine, elencando un’ampia serie di stili di vita assunti

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  dai frati che « offuscavano lo splendore dell’Ordine » . L’im- pegno affidatogli dal capitolo del 1257 di redigere nuove co- stituzioni costituiva un’importante opportunità per ridare splendore e lucentezza ad un organismo che si stava opaciz- zando con una vita sempre più distante dagli ideali iniziali. In particolare, attraverso la stesura di un nuovo testo giuridico Bonaventura poteva perseguire contemporaneamente due obiettivi fondamentali del suo progetto di rilancio dell’Ordi- ne: dare continuità al processo evolutivo di tipo pastorale e culturale assunto fin dagli inizi dai frati, mantenendolo però legato ad una sostanziale adesione alla vocazione di povertà e minorità che doveva caratterizzare la fedeltà agli ideali fonda- tivi. Nella conciliazione dei due programmi risiedevano gli obiettivi del santo generale.

  Da una parte, infatti, l’evoluzione dell’Ordine, assunta dopo la morte di Francesco in direzione cultuale e pastorale, non dove- va essere giudicata un tradimento degli ideali iniziali, ma un so- stanziale sviluppo e progresso dei medesimi: l’organizzazione de- gli studi e l’espansione del potere missionario a favore della Chie- sa costituivano per Bonaventura un segno sicuro di una storia guidata e voluta da Dio, alla stregua proprio dell’evoluzione av- venuta nella Chiesa che era nata da poveri pescatori e si era evo- 7 Cfr. Lettera I, in San Bonaventura, Opuscoli francescani/1 (Sancti Bonaventurae

  

Opera, XIV/1), Roma 1993, pp. 111-117. Ricordiamo solo i più importanti aspetti

presenti nella dura requisitoria fatta da Bonaventura nel richiamare i suoi frati ad

una vita più coerente: maneggio e uso del denaro; l’ozio dei frati: « molti assopiti,

scegliendo uno stato mostruoso, tra il contemplativo e l’attivo »; il vagabondaggio

dei frati, che, spesso, dove vanno, « non lasciano dopo di sé un esempio di vita, ma

piuttosto uno scandalo per le anime »; la questua « inopportuna che tutti coloro

che sono in viaggio hanno tanta paura di incontrare un frate come temerebbero di

imbattersi nei predoni »; le costruzioni sontuose e preziose degli edifici; le amicizie

particolari; l’avido assalto ai funerali e ai testamenti « il che non avviene senza un

grande turbamento del clero e in particolare dei sacerdoti delle parrocchie » (ibid.,

n. 2, p. 115).

10 PIETRO MARANESI

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  luta verso grandi dottori . D’altra parte, però, tale sviluppo non doveva contrapporsi o abbandonare i caratteri peculiari di una vocazione rivelata da Dio a Francesco fondata sulla povertà, scel- ta, appunto, che rendeva l’Ordine “più perfetto” degli altri per- ché più evangelico. La conciliazione di questi due aspetti costi- tuiva non solo il nucleo portante del programma pastorale di Bo- naventura ma anche una grande sfida di porre insieme due esi- genze tra loro non sempre armonizzabili.

LI OBBIETTIVI IDEALI DELLE COSTITUZIONI

  G : Il prologo con il quale il santo Dottore apre le sue costi- tuzioni costituisce la sintesi degli obiettivi da lui perseguiti nella stesura del suo testo giuridico. Dei tre paragrafi che compongono la breve introduzione programmatica, il primo rappresenta quello essenziale per comprendere il valore asse- gnato da Bonaventura al documento che stava offrendo ai suoi frati in rapporto alla loro vocazione minoritica e dunque a vantaggio della fedeltà verso la Regola.

  

Poiché, come dice il Sapiente, dove non c’è siepe, la proprietà viene saccheggiata,

8 Si sta alludendo al famoso e importante testo autobiografico posto da Bonaven-

tura in chiusura della sua lettera inviata ad un maestro anonimo, dove, per aiutare il

suo interlocutore a superare le sue perplessità nell’abbracciare la vita minoritica, il fu-

turo generale dell’Ordine gli comunica la sua esperienza personale: « E non ti turbi il

fatto che all’inizio i frati furono uomini semplici e illetterati; anzi, ciò dovrebbe confer-

mare la tua fede nell’Ordine. Confesso davanti a Dio che è questo che mi fece amare

sopra ogni cosa la vita del beato Francesco: il fatto che corrisponde all’inizio e alla per-

fezione della Chiesa, che cominciò da semplici pescatori e poi crebbe fino a dottori

chiarissimi ed espertissimi; così vedrai nella Religione del beato Francesco affinché Dio

mostri che essa non fu inventata dalla prudenza degli uomini, ma da Cristo; e poiché

le opere di Cristo non diminuiscono, ma crescono, si dimostra che questa fu un’impre-

sa divina, al punto che neppure i sapienti hanno disdegnato di scendere a far parte del

consorzio di uomini semplici » (Lettera a un maestro non nominato su tre questioni, in Opere

di San Bonaventura, XIV/1, Roma, 1993, pp. 94-109).

  

REGOLA E LE COSTITUZIONI DEL PRIMO SECOLO

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per custodire illeso il prezioso possesso del regno dei cieli, dove si entra

attraverso lo spirito di povertà è necessario circondarlo con la siepe della

disciplina. Le osservanze regolari, infatti, non costituiscono affatto un inu-

tile criterio di comportamento, non solo per il fatto che favoriscono la

concordia, il decoro e la custodia della vita spirituale, ma, soprattutto, co-

me avviene il più delle volte, in quanto si mantengono nell’alveo della so-

stanziale perfezione e purezza della Regola professata. È necessario che que-

ste osservanze si conoscano accuratamente, affinché per l’oscurità dell’igno-

9 ranza, non si caschi nella fossa della trasgressione .

  La prima preoccupazione di Bonaventura è quella di stabi- lire una precisa relazione tra osservanza della Regola e osser- vanza delle costituzioni. Le norme giuridiche non sono solo funzionali ad una vita ordinata e pacifica dei frati, ma soprat- tutto rappresentano, per chi le osserva fedelmente, la possibi- lità concreta di un’osservanza « sostanziale » della Regola. Stra- tegico, dunque, nel testo è il rapporto tra “regulares observan- tiae” e “perfectionis et puritatis Reguale promissae substan- tiam”: l’osservanza “accurata” (regolare) delle norme garantisce l’osservanza della “sostanza” della Regola.

  Se si volesse tradurre in altre parole la stretta continuità tra osservanza regolare e sostanziale fedeltà alla Regola si potrebbe di- re che per il ministro generale le norme delle costituzioni per- mettono al frate il giusto collocamento (la posizione media) tra due pericolosi estremi che serpeggiavano in seno all’Ordine: da una parte lo spiritualismo contrario ad ogni evoluzione dell’Ordi- ne e, dunque, avverso alle scelte culturali e pastorali effettuate dalla grande comunità minoritica, dall’altra il lassismo teso ad una vita agiata e disimpegnata che trasformava quello che sareb- be dovuto essere un esempio di perfezione evangelica in scandalo

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  per tutta la Chiesa . Le costituzioni volevano essere dunque la 9 10 Costituzioni generali dei Frati Minori, Prol. 2, in ibid., p. 127.

  È quanto richiama in un’altra lettera Bonaventura ai provinciali dell’Ordine

quando li invita a vegliare perché nell’Ordine « non si accrescano i rovi dei vizi, i

quali, mentre rendono spregevole, molesto e odioso a molti questo sacro e veneran-

12 PIETRO MARANESI

  giusta misura offerta alla vita del frate per conseguire con co- scienza retta e serena la fedeltà nell’osservanza della Regola: coloro che seguivano con attenzione e precisione quelle norme potevano avere la certezza morale di essere « nell’alveo della sostanziale perfezione e purezza della Regola professata ». Insomma, si tratta- va di conciliare il semplice ma fondativo dettato della Regola con la grande diversità di situazioni e impegni che gravavano sull’Or- dine; tale operazione avrebbe reso possibile stabilire una prassi si- cura nella quale le scelte pastorali e culturali dei frati sarebbero state garantite nella loro fedeltà all’ideale minoritico. Per Bona- ventura era dunque questo il valore risolutivo delle costituzioni : da esse dipendeva la possibilità di osservare sostanzialmente la

  

Regola nonostante le diversità e le novità di scelte non contem-

  plate nel testo fondativo dell’identità dell’Ordine. Tramite esse i frati dovevano ritrovare non solo la loro personale serenità ma an- che unità e pace nel leggere e vivere la Regola.

  Nel secondo e terzo paragrafo del prologo Bonaventura si preoccupa di offrire un ulteriore motivo per convincere i frati ad una osservanza regolare delle costituzioni.

  

2. Nessuno, pertanto, pensi di gloriarsi in cuor suo del possesso della virtù

se col proprio comportamento si costituisce distruttore della siepe. Se qual-

cuno, infatti, teste la Scrittura, pensa di essere religioso e ingannando il proprio

cuore, non frena la propria lingua, la sua religione è vana.

  

3. È necessario, pertanto, che la siepe costruita con la rettitudine di rego-

lari statuti intorno alla bocca e agli altri sensi, intorno agli atti, ai gesti e

ai costumi, non venga distrutta, ma preservata dagli uomini retti, affinchè,

mentre si distrugge la siepe, non si venga morsi dal serpente, secondo la

sentenza della Scrittura. Non senza pericolo, infatti, può farsi oggetto di

disprezzo ciò che attraverso tante difficoltà, fatiche e perplessità, viene sta-

bilito per la salvezza delle anime con tante e tali delibere dal Capitolo ge-

nerale, presso il quale risiede la più alta potestà di governo dell’Ordine. Se

qualcuno, invero, reputa troppo gravosa l’osservanza di questi Statuti, ri-

do collegio, cambiano in scandalo ciò che per tutti avrebbe dovuto essere di esem-

pio » (Lettera II, n. 1, in ibid., p. 119.)

  

REGOLA E LE COSTITUZIONI DEL PRIMO SECOLO

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fletta tra sé e sé, che, secondo l’Apostolo ogni correzione sul momento non è

causa di gioia, bensì di tristezza, ma successivamente, arreca un frutto di pace e

di giustizia a coloro che si sono lasciati trasformare.

  Non solo le norme contenute nelle costituzioni assicurava- no ai frati l’osservanza sostanziale della Regola, ma erano il frutto di un comando venuto dal capitolo generale nel quale « residet auctoritas ordinis gubernandi ». Disprezzare quanto veniva ordinato in quel testo significava, dunque, porsi fuori dell’obbedienza oltre che cadere nel pericolo di distruggere la siepe « regularium statutorum » costruita intorno « ori et ce- teris sensibus et actibus et gestibus et morius », disprezzare o non osservare quelle leggi significava perdere la vera e unica difesa dei frati contro il morso del serpente antico.

  Di fatto alla base ideale per la valutazione del testo giuri- dico vi era l’asserto secondo cui non era possibile dare ordine e sicurezza alla vita religiosa senza una legge chiara e ferma, da tutti osservata come guida sicura. In particolare, mi sem- bra di grande interesse il termine “statuti regolari” “regularia statuta” che in qualche modo viene a porsi in parallelo e in stretta continuità con la “Regula”: di fatto le costituzioni sono l’esplicitazione articolata di quel testo fondativo iniziale, per dare vita, insieme, all’unico testo normativo.

  Nel prologo, dunque, Bonaventura determina dove risieda il valore principale delle costituzioni in rapporto all’ideale della vita minoritica: esse offrono al frate la possibilità di realizzare l’osser- vanza “sostanziale” cioè regolare della Regola. Indubbiamente le costituzioni sono a servizio della Regola e non la sostituiscono, tuttavia è anche vero che questa senza quelle non sarebbe suffi- ciente per la vita “regolare”. L’una ha bisogno delle altre e vice- versa. Nasce in questo contesto l’ideale della “vita regolare” o dell’“osservanza regolare” quale sicura via alla santità: la Regola è la via alla perfezione evangelica, tuttavia quella non è osservabile

PIETRO MARANESI

14 L A LOGICA STRUTTURALE DELLE DODICI RUBRICHE

  XII: De euntibus inter saracenos et alios infideles.

  XI: De capitulo generali; XII: De suffragiis defunctorum.

  IX: De electionibus ministrorum; X: De capitulo provinciali;

  VIII: De visitationibus provinciarum;

  VII: De correctionibus delinquentium;

  VI: De occupationibus fratrum;

  IV: De forma interius conversandi; V: De modo exterius exeundi;

  III: De observantia paupertatis;

  II: De qualitate habitus;

  I: De Religionis ingressu;

  

IN RAPPORTO ALLA R EGOLA

  La domanda che a questo punto sorge nella lettura dei do- dici capitoli componenti le costituzioni riguarda l’articolazio- ne concreta attraverso cui è realizzato il legame tra i due testi; in particolare sarà interessante appurare come Bonaventura or- ganizzi la stesura del suo testo legislativo mostrando la sua capacità di assicurare la “sostanziale” osservanza della Regola.

  IX: De praedicatoribus X: De admonitione et correctione fratrum

  VIII: De electione generalis ministri huius frater- nitatis et de capitulo Pentecostes

  VII: De penitentia fratribus peccantibus impo- nenda

  VI Quod nihil approprient sibi fratres, et de ele- mosyna petenda et de fratribus infirmis;

  IV: Quod fratres non recipiant pecuniam; V: De modo laborandi;

  III: De divino officio et ieiuno, et quomodo fra- tres debeant ire per mundum;

  II: De his qui volunt vitam istam accipere, et qualiter recipi debeant;

  Regula bullata Costitutiones narbonenses I: Incipit vita Minorum fratrum

  Il primo aspetto che salta agli occhi è la disconnessione tra le tematiche trattate nelle 12 rubriche delle costituzioni e i 12 capitoli della Regola. La lettura sinottica delle due serie permette facilmente di cogliere questa particolarità:

  Senza voler effettuare un’analisi dettagliata sull’intero ma- teriale, cosa d’altronde difficile in poco spazio, è sufficiente a mio avviso proporre alcuni rilievi generali che permetteranno di avere delle preliminari chiarificazioni sulla relazione instau- rata da Bonaventura tra la Regola e le costituzioni.

  XI: Quod fratres non ingrediantur monasteria monacharum;

  

REGOLA E LE COSTITUZIONI DEL PRIMO SECOLO

  15 I capitoli nei quali i due testi sembrano generalmente so-

  vrapporsi nella loro formulazione sono diversi: il II della Rego-

  

la con il I delle costituzioni circa il modo di accogliere i nuo-

  vi candidati, il IV e parte del VI della Regola con il III della costituzioni riguardo alla povertà; in qualche modo anche il V della Regola con il VI delle costituzioni sul lavoro sono tra lo- ro relativi; combaciano perfettamente invece sia il VII capito- lo, che in ambedue i testi riguarda la penitenza da dare ai fra- ti peccatori, sia l’VIII sull’elezione dei ministri il quale, nelle costituzioni, si espande in quattro rubriche VIII-XI. Tra i due testi, dunque, se da una parte non esiste uno sviluppo paralle- lo, in cui le costituzioni riprendono alla lettera la successione dei capitoli della Regola, permane tuttavia uno stesso contenu- to di fondo nelle grandi tematiche.

  A questa prima osservazione va aggiunta una seconda, strettamente ad essa connessa, che potrebbe essere un’ipotesi di lettura generale del lavoro redazionale effettuato da Bona- ventura: nelle sue costituzioni il generale sembrerebbe voler effettuare una riorganizzazione del materiale presente nella Re-

  

gola dando ad esso una logica di sviluppo assente nel testo di

  Francesco. Sinteticamente sembrerebbe possibile individuare quattro grandi ambiti dentro i quali si organizzano i 12 capi- toli delle costituzioni:

  1. Introduzione: L’inizio della vita I: De Religionis ingressu;

  II: De qualitate habitus;

  2. L’azione dei frati

  III: De observantia paupertatis;

  IV: De forma interius conversandi; V: De modo exterius exeundi;

  VI: De occupationibus fratrum;

  VII: De correctionibus delinquentium;

  3. L’amministrazione dell’Ordine

  VIII: De visitationibus provinciarum;

16 PIETRO MARANESI

  X: De capitulo provinciali;

  XI: De capitulo generali;

  4. Conclusione: la fine della vita XII: De suffragiis defunctorum.

  Nelle prime due rubriche delle costituzioni si mantiene e viene specificato il II capitolo della Regola dedicato all’entrata dei nuovi candidati. Quel materiale però è diviso in due ru- briche, la prima delle quali centrata sugli aspetti giuridici ge- nerali legati alle condizioni per l’accoglienza dei richiedenti (r. I), la seconda invece connessa con il problema specifico dell’a- bito e le sue caratteristiche esterne (r. II). Quest’ultimo aspet- to, in particolare, affrontato semplicemente e velocemente nel

  II capitolo della Regola, era invece diventato in seno all’Ordine un tema scottante, legato all’identità dei frati e all’unità del- l’Ordine stesso.

  A questi primi due elementi viene fatta seguire una serie di rubriche (III-VII), tutte connesse all’attività dei frati, questione strategica trattata secondo una logica progressiva. Il primo tema riguarda il presupposto generale dell’agire dei frati che dovrà es- sere regolamentato da una scelta di fondo: la povertà (r. III). La prima osservazione da fare circa questa rubrica riguarda l’opera- zione di riunificazione effettuata in essa di due grandi temi del pauperismo francescano presentati nella Regola in altrettanti capi- toli: il divieto di ricevere denaro (Rb IV) e il divieto di possedere in comune (Rb VI). Oltre ciò le costituzioni effettuano, a mio avviso, un riposizionamento del tema della povertà per renderlo strategico per tutta l’attività dei frati. In qualche modo, cioè, la povertà veniva posta da Bonaventura a base identitaria per misu- rare e gestire la questione affrontata nelle successive rubriche de- dicate appunto in modo diretto all’azione dei frati in favore del mondo. È a partire da questo presupposto ideale che si passa poi ad affrontare l’attività dei frati in due blocchi complementari:

  IV-VI circa i diversi ambiti del lavoro dei frati e la rubrica VII centrata sulla questione penale qualora i frati non agissero in

  

REGOLA E LE COSTITUZIONI DEL PRIMO SECOLO

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  che (IV-VI) si occupano di diversi ambiti di vita dei frati, distin- guendo la loro esistenza dentro al convento (r. IV: De forma inte-

  

rius conversandi), il loro modo di comportarsi fuori delle mura

  conventuali, quando sono a contatto con la gente (r. V: De modo

  

exterius exeundi), e, infine, la questione del lavoro (r. VI: De occu-

pationibus fratrum). Nelle prime due rubriche si riuniscono e ri-

  combinano diversi passaggi sparsi soprattutto nel III capitolo della Regola, dove il digiuno era posto insieme alle indicazioni particolari su come andare per il mondo. Alle due rubriche, come si è già osservato, segue quella dedicata al lavoro (r. VI). In tal modo le costituzioni narbonensi effettuano un riposizionamento di questo importante tema, spostandolo dal rapporto poco logico in cui era collocato dalla Regola, tra i due capitoli legati alla po- vertà, per collocarlo, invece, molto più ordinatamente, come pas- saggio particolare delle due precedenti rubriche dedicate alle atti- vità dei frati. Le costituzioni, dunque, creano un blocco di tre ca- pitoli fondamentalmente omogenei tra loro e connessi alla propo- sta positiva del modo di comportarsi e di operare da parte dei frati sia in convento che nel mondo. Ai tre capitoli segue la ru- brica “negativa” con la quale si interviene sui comportamenti “delinquenziali” dei frati (r. VII: De correctionibus delinquentium), per correggere e impedire scelte che non facciano risplendere la santità dell’Ordine. Il testo è parallelo al capitolo VII della Rego-

  

la, però con una importante differenza strutturale: mentre nel

  contesto della Regala il capitolo sulle colpe non sembra possedere un rapporto logico con quanto precede e con quanto segue, nelle costituzioni, avendo anticipato le tre rubriche sull’attività dei fra- ti, esso costituisce la chiusura logica del blocco testuale, stabilen- do pene per chi infrange quello stile di vita e quelle scelte operative.

  Le penultime quattro rubriche cambiano decisamente te- ma, per raggruppare in un ultimo blocco testuale la questione burocratica e amministrativa dell’Ordine, sviluppando rispetti- vamente i seguenti aspetti: De visitationibus provinciarum (VIII),

  

De electionibus ministrorum (IX), De capitulo provinciali (X), De

18 PIETRO MARANESI

  quanto stabilito in via preliminare nell’VIII capitolo della Re-

  

gola e in parte del X , dove si affrontava il problema del go-

  verno generale dell’intera fraternità minoritica e la visita dei ministri ai loro frati; tuttavia questo importante e complesso problema nella Regola era affrontato in modo molto succinto e insufficiente per un Ordine che era diventato tanto ampio nel- la sua espansione geografica e complesso nelle sue pluriformi attività e condizioni di vita. Le costituzioni prendono atto che la qualità di vita dei frati e la loro possibilità di vivere una vita ordinata e fedele alla loro vocazione dipendeva anche dal- la forza e stabilità organizzativa dell’Ordine.

  Nell’ultima rubrica viene affrontato un argomento nuovo, assente nella Regola: De suffragiis defunctorum (XII), un tema connesso ad un Ordine che aveva già tanti fratelli da ricordare nella preghiera.

  Questa ipotesi di rilettura strutturale delle costituzioni per- mette di giungere ad una conferma dell’ipotesi di partenza sul rapporto tra le 12 rubriche quando si supponeva che Bonaventu- ra avesse tentato un riordinamento di quanto nella Regola era sta- to detto effettivamente in modo disarmonico. Tuttavia, se questa scelta, da una parte, guadagna in logica strutturale, perde, dall’al- tra, nel contatto con il testo della Regola stessa. Per superare, for- se, lo sviluppo disarmonico della Regola, le costituzioni mettono in qualche modo tra parentesi il valore assoluto della Regola di Francesco. E dunque si può ritenere che, alla base dell’organizza- zione delle costituzioni, non è posta direttamente e puramente la

  

Regola, ma il principio della funzionalità espositiva per una mi-

  gliore intelligenza dei diversi e successivi rapporti tra i vari am- biti della vita del frate che il testo di Francesco, invece, pone in- sieme senza una precisa e chiara logica consequenziale.

  Che la preoccupazione strutturale abbia guidato l’organiz- zazione del testo delle costituzioni è provato anche da un altro aspetto molto sorprendente. Nelle costituzioni sono del tutto assenti due temi importanti della Regola: l’andare tra i sarace- ni (c. XII), cioè l’attività missionaria, e l’andare nei monasteri

  

REGOLA E LE COSTITUZIONI DEL PRIMO SECOLO

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  costituzioni è quello dell’ufficio divino: di fatto nel testo di Bonaventura solo una volta si accenna alla preghiera comuni- taria quando nella rubrica I si comanda ai novizi di non stu- diare, giustificando la richiesta con due motivi: per vivere me- glio e con più intensità quel particolare periodo e anche « ad divinum officium addiscendum » (I, 8). A fianco delle assenze si pongono anche alcune novità tematiche rappresentate, come si è visto, dalle due rubriche “De qualitate habitus” (r. II) e dalle norme per “i suffragi dei defunti” (r. XII). Tutto condu- ce a ritenere che nelle intenzioni del redattore le costituzioni non assumevano la Regola a guida strutturale nella formulazio- ne del suo testo, ma miravano in qualche modo rivisitare e reimpostare il testo fondativo così da offrire una logica più chiara e facile da consultare e osservare.

  

ELAZIONE TRA COSTITUZIONI E TESTI DELLA EGOLA

  R R Questa prima notazione generale è in qualche modo ulte- riormente specificata mediante una serie di considerazioni sul- l’impiego delle citazioni esplicite della Regola nello sviluppo delle 12 rubriche. In via preliminare occorre osservare un suo uso molto limitato e, potremmo dire, tangenziale. In genere le varie rubriche sono aperte da un riferimento diretto al capi- tolo della Regola citando di essa solo un breve passaggio, quale introduzione al tema affrontato nella serie di statuti che se- guono. Ma lungo lo sviluppo delle norme essa non è quasi più riproposta. Per illustrare meglio quanto qui notato, riprendia- mo lo schema delle 12 rubriche affiancando ad esse le diverse citazioni esplicite tratte dalla Regola:

  I: De Religionis ingressu: n. 5: Rb II 7; n. 6: Rb II 3

  II: De qualitate habitus: n. 1; Rb II 16

  III: De observantia paupertatis: n. 1: Rb IV 1; n. 24: Rb

20 PIETRO MARANESI IV: De forma interius conversandi: n. 1: Rb III 5-10; n.

  10: Rb X 8 V: De modo exterius exeundi: n. 1: Rb III 11; n. 18: Rb

  III 12

  VI: De occupationibus fratrum: n. 1: Rb V 1; n. 10: Rb

  IX 2 VII: De correctionibus delinquentium: n. 1: Rb VII 1; n.

  8: Rb XI 1

  VIII: De visitationibus provinciarum: n. 1: Rb X 1

  IX: De electionibus ministrorum: n. 1: Rb VIII 2 X: De capitulo provinciali: n. 1: Rb VIII 5

  XI: De capitulo generali: n. 1: Rb VIII 2 XII: De suffragiis defunctorum. Oltre al parziale utilizzo dei capitoli della Regola, non tutti presenti tra quelli a cui le costituzioni si riferiscono, vi è un uti- lizzo di quei testi segnato, come si è già anticipato, da una forma di marginalizzazione del loro ruolo nell’organizzazione delle nor- me. Il dettato della Regola, infatti, non costituisce nell’impianto delle varie rubriche la base organizzativa delle norme. Più in par- ticolare, si può osservare che lo sviluppo delle varie brevi norme, che si susseguono nelle dodici rubriche, non nasce da una preli- minare intelligenza del testo rispettivo della Regola, lavoro che al- lora avrebbero fatto di quelle norme un completamento o inte- grazione di quanto non detto nel testo fondamentale. Al contra- rio, la citazione di partenza costituisce una specie di introduzione generale ad una materia che, di fatto, deborda dal contenuto spe- cifico del riferimento di partenza tratto dalla Regola per espander- si su nuove direzioni e problematiche assenti nel testo di France- sco. In altre parole, si potrebbe ritenere che le norme delle costi- tuzioni non siano il risultato di una lettura dello “spirito” del te- sto fondativo, la cui logica e le cui esigenze avrebbero dovuto guidare le scelte particolari, ma il processo organizzativo giuridi- co di un Ordine che ha nella Regola solo un riferimento iniziale e quasi occasionale.

  In questo contesto si inserisce un altro elemento caratteristico

  

REGOLA E LE COSTITUZIONI DEL PRIMO SECOLO

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  prendere il carattere giustapposto dei due testi fonativi. Il Santo dottore nell’organizzazione delle sue norme non ha mai la preoc- cupazione di fondare spiritualmente o teologicamente quanto di volta in volta richiesto ai frati. Il perché teologico delle norme è semplicemente presupposto; o meglio: mentre l’elemento fondati- vo del valore assoluto della fedeltà nell’osservanza regolare delle costituzioni era già stato chiarito nel Prologo, non c’era bisogno invece di motivare spiritualmente e francescanamente le varie scelte assunte lungo il testo giuridico. Ciò che interessava il santo legislatore non era tanto la giustificazione “francescana” delle norme, quanto la loro chiarezza e la loro capacità di regolare e normalizzare la vita dei frati.

  Un ultimo aspetto che mi sembra rilevante circa la rela- zione tra Regola e costituzioni riguarda l’equiparazione giuri- dica che in alcuni (pochi) casi è proposta tra le due fonti . Il primo caso lo si trova alla Rubrica VII dove è presente una norma alquanto interessante:

  

Et ne simplicioribus fratribus ignorantia sit occasio delinquendi, custos, cum

11 visitat, illis Regulam et Constitutionem in vulgari diligenter exponat .

  Non solo vi è la notizia della difficoltà da parte dei frati “simpliciores” di comprendere il latino e, dunque, del bisogno del volgare, ma anche del pari valore attribuito ai due documenti per la vita dei frati. Il custode, tra gli altri impegni a cui era chiamato durante la sua visita nei conventi – servizio che poco