Le Istruzioni per i geometri e le operaz

ISTRUZIONI
DELLA

DIREZIONE CENTRALE DEL CENSO
AI GEOMETRI

INCARICATI DELLA MISURA DEI TERRENI
E FORMAZIONE DELLE MAPPE E DEI SOMMARIONI,
IN ESECUZIONE
DEL R. DECRETO 13 APRILE 1807

Ristampa anastatica dell’edizione 1811
a cura di Mario Repele,
Massimo Rossi ed Eurigio Tonetti

REALIZZAZIONE E STAMPA

Grafiche Antiga spa
Crocetta del Montello (TV)
© 2011 Officina Topografica
Arzignano (Vicenza)

ISBN 978-88-907119-0-9

LE ISTRUZIONI PER I GEOMETRI E LE OPERAZIONI
IN CAMPAGNA

Eurigio Tonetti

L’operazione catastale che Napoleone aveva avviato nel Regno d’Italia con il decreto sulle finanze per il 1807, sottoscritto
il 12 gennaio 18071 nel remoto “quartier generale imperiale di
Varsavia”, dovette ben presto rivelarsi ai sudditi come grandiosa, se non addirittura ciclopica. Erano bastati sette articoli,
174 parole in tutto, compresa la rubrica, per mettere in moto
la macchina che avrebbe per la prima volta consegnato a vaste regioni della penisola, tra le quali il Veneto, un catasto di
tipo moderno. In capo a soli tre mesi, il 13 aprile successivo, il
figliastro Eugenio, viceré d’Italia, tracciava in un proprio decreto2 le linee essenziali dell’impresa. Ai nove succinti articoli
di questo secondo provvedimento si trovavano annesse delle
“Regole da osservarsi generalmente per la misura de’ terreni, formazione delle mappe e de’ sommarioni”, 40 articoli per
complessive otto pagine del Bollettino delle leggi, in due capitoli, destinati rispettivamente alla “misura de’ terreni e […]
formazione delle mappe” (26 articoli) e alla “formazione del
sommarione” (i restanti 14)3.
Queste “Regole” rappresentano la prima versione, in forma

ridotta e grezza, delle future, e ben più complete ed elaborate,
1. Bollettino delle leggi del Regno d’Italia (d’ora in avanti = Bollettino), Milano, dalla Reale Stamperia, 1807, pp. 25-34.
2. Ibidem, pp. 193-205.
3. Il decreto 13 aprile 1807 e le “Regole” annesse sono ripubblicate in
questo stesso volume alle pp. 87-101.

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Istruzioni per i geometri, edite nel 1810 e poi ancora, ulteriormente perfezionate e integrate, nel 1811, nel testo definitivo
che viene qui riproposto, a due secoli esatti di distanza.
Espressione di un’amministrazione dalla spiccata vocazione
verticistica, abituata a pretendere sollecita e puntuale esecuzione degli ordini impartiti dall’alto e diramati lungo la piramide gerarchica, il complesso delle Istruzioni doveva normare in
modo uniforme e universalmente valido una materia complessa
e irta di difficoltà, per lo più derivanti dalle diffuse particolarità
locali. Si trattava di realizzare, infatti, un “catastro generale del
Regno”, un regno frutto dell’annessione di territori con storie,
ordinamenti giuridici, amministrativi e fiscali i più disparati.
Ma si trattava anche di irreggimentare un vero e proprio esercito di operatori censuari: a cominciare dagli ingegneri ispettori
a capo degli uffici dipartimentali (ossia provinciali), arrivando
fino all’ultimo degli “inservienti alla misura” o “canneggiatori”, passando per i geometri (veri artefici dell’impresa) e i loro

aiutanti e per gli assistenti e indicatori comunali. Tecnici che
non solo s’erano formati in scuole diverse, ma, soprattutto,
che avevano appreso il mestiere di misurare e rappresentare
assieme a quello di abbellire, come due aspetti inseparabili di
un unico sapere, e per i quali, dunque, il disegno di un terreno o di un edificio, come la realizzazione di un “catastico”,
non costituiva solo e squisitamente un’operazione di natura
geometrica, rispondente alle regole impersonali di esattezza
matematica, ma anche, sia pure forse non prevalentemente,
occasione di sfoggio della propria abilità artistica nel colorare
la mappa con sapiente scelta e accostamento di colori, nell’abbellirla con cornici elaborate, nell’inserirvi legende, rose dei
venti e linee d’orientamento al meridiano terrestre entro raffigurazioni fantasiose, bizzarre, spesso produzioni figurative
raffinatissime. Uomini che avrebbero manifestato una sorta
di resistenza culturale verso nuovi modi di lavorare, imposti
dall’alto e tanto diversi da quelli appresi negli anni giovanili4.
4. Vedi, in questo stesso volume, il saggio di Massimo Rossi, Il nume dei
geometri censuari.

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Non ci stupisce più che tanto, perciò, se di un giardino li vediamo disegnare e colorare nella mappa catastale fin l’ordito

delle aiuole, in palese violazione del regolamento, che imponeva una semplice passata d’inchiostro verde; o se scopriamo
che, nello stupefacente e maestoso ambiente naturale del Cansiglio, non lasciarono la loro mappa semplicemente bianca,
ma la coprirono col disegno di migliaia di alberi, quasi a voler
rendere l’osservatore partecipe delle loro emozioni5.
L’impianto di un catasto moderno comporta essenzialmente
due operazioni, nell’ordine: la misura e la stima. La misura
comprende il rilievo sistematico del territorio secondo un criterio geometrico-particellare e la sua trasposizione in mappe
a scala ampia, con il contestuale accertamento dei possessori
degli appezzamenti di terreno e degli edifici. Quest’ultime
informazioni confluivano in un sommarione descrittivo della
mappa, contenente i riferimenti al numero progressivo delle
particelle, al possessore, al toponimo, alla qualità del terreno
o dell’edificio censito e alla sua superficie. È noto come l’amministrazione napoleonica nei territori veneti e friulani – che
in questa sede teniamo a riferimento costante, senza tuttavia
dimenticare che le operazioni catastali si svolsero anche in
molte altre province del Regno italico ancora sprovviste di catasto, a cominciare dalla Lombardia ex veneta, ossia Bergamo
e Brescia – tra il 1807 e il 1813 riuscì a portare a compimento
gran parte della misura, opera che “non può non provocare
la nostra ammirazione e rappresenta uno dei maggiori meriti” ch’essa conseguì nel Veneto6. Sopraffatti i francesi tra l’autunno del 1813 e la primavera successiva dall’avanzata degli
eserciti della VI coalizione, toccò poi al restaurato governo

austriaco riprendere e concludere le misurazioni negli ultimi
comuni ch’erano rimasti fino allora privi di mappa, specialmente in ampi distretti del Veronese e del Vicentino, ma qua
e là anche nelle montagne carniche e cadorine, come pure, ma
5. E. Tonetti, I giardini nelle fonti catastali, ne Il giardino veneto. Storia e conservazione, a cura di M. Azzi Visentini, Milano, Electa, 1988, pp. 339-342.
6. M. Berengo, L’agricoltura veneta dalla caduta della Repubblica all’Unità,
Milano, Comit, 1963, p. 35.

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ancor più sporadicamente, altrove in pianura, passando poi
ad approntare le stime, fino alla definitiva attivazione del catasto, o sua conservazione, tra il 1846 e il 1852.
Ma riprendiamo in mano le Istruzioni. Il formato tascabile –
che questa riedizione ha voluto mantenere accorpando l’apparato testuale delle varianti e sacrificando così la più comoda
soluzione di offrirle a pie’ di pagina – ce ne lascia supporre
la presenza accanto agli strumenti di lavoro del geometra e
l’impiego continuo in campagna durante le misurazioni o al
tavolo nei giorni seguenti, destinati al perfezionamento del
disegno e alle “calcolazioni”. La congettura è avvalorata a p.
78 delle Istruzioni stesse, all’interno di quella “Modula F.” che
fornisce al geometra un paradigma per redigere il quotidiano

“diario, o sia storia fedele delle sue operazioni giornaliere”,
che il § 157 l’obbligava a stendere giorno per giorno, pena la
perdita della retribuzione. Il geometra Giovanni Castoro, immaginario autore della traccia del diario – pagine avvincenti
che senza timore di scivolare nell’enfasi definiamo di letteratura – trascorre la sera antecedente l’inizio delle operazioni di
misura del territorio di Bosisio “a rileggere le mie istruzioni”,
prima ancora di dedicarsi a “preparare gli stromenti per mettermi in campagna” l’indomani.
Invece Carlo Fossatti, ingegnere milanese realmente esistito,
convocato nel 1811 nella montagna feltrina a ridisegnare la
mappa di Arina, da altri rilevata in maniera molto scorretta, dava atto, nel suo autentico diario, di come l’ispettore gli
avesse consegnato, tra i diversi “effetti censuari”, anche una
copia delle “Istruzioni per la misura”7. E in effetti basta incominciare a sfogliare il testo, un paragrafo dopo l’altro, per
comprendere lo scopo di queste Istruzioni, cui s’è già fatto
cenno: fissare le regole, universalmente valide, nelle campagne come nei centri edificati e nelle città, della misurazione e
rappresentazione del terreno, prescrivere la strumentazione
7. Archivio di Stato di Venezia (d’ora in avanti = ASV), Catasto, Processi
verbali di revisione delle mappe (d’ora in avanti = Processi), b. 20, provincia di
Belluno, distretto di Fonzaso, censuario di Arina.

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da utilizzare e le modalità del suo uso, ma anche i materiali
di cancelleria da impiegare e il modo di misurare e raffigurare
gli infiniti accidenti che si potevano incontrare nel corso del
lavoro: dal pozzo, al campanile, al cimitero; dalla rupe scoscesa alla spiaggia, alla strada, fosse essa di pubblica, consortile o
privata ragione; dalla vigna alla marcita; dal fiume con le sue
golene e i suoi argini, al canale di scolo delle acque interno
ai poderi. Solo con un complesso normativo così articolato e
puntiglioso si sarebbero potute ottenere mappe catastali uniformi, accostabili e confrontabili tra loro, tasselli di un unico
mosaico.
Si ricordava all’inizio come il testo delle “Regole” del 1807 era
limitato a 40 articoli e occupava solo otto pagine del Bollettino
delle leggi. Il confronto con le 51 pagine dell’articolato del 1810,
cui se ne aggiungevano 15 di allegati, è schiacciante, tenuto
conto che dimensioni delle pagine, giustezza, caratteri e interlinea grosso modo si equivalgono. Lo smilzo regolamento del
1807, che tuttavia conteneva, sia pure ridotte all’osso, quasi
tutte le prescrizioni successive, servì verosimilmente solo per
la campagna censuaria di quel primo anno: nel 1808 alcuni
documenti ci testimonierebbero l’esistenza di un testo normativo che sembra corrispondere alle Istruzioni del 18108. Già nel
1808 doveva, dunque, circolare un nuovo regolamento, in una
qualche versione (forse addirittura manoscritta, ma più verosimilmente a stampa), che non è stato possibile rinvenire in

biblioteche e archivi.
Del resto, che le regole fissate nell’aprile 1807 fossero carenti,
almeno in quanto riguardava la materia dei confini tra comune e comune – che accanto a inconvenienti tecnici ne conteneva altri di carattere “politico” o campanilistico, destinati
ad accendere centinaia di vertenze – lo dimostra il decreto 9
ottobre di quello stesso 1807, emanato per stabilire “alcune
massime dirette a troncare le quistioni che nella formazione e
8. In alcuni processi verbali di revisione della provincia di Venezia, contenuti nella b. 2, si accenna a disposizioni, contenute in un paragrafo 37,
che sembrano identiche a quelle del corrispondente numero nelle Istruzioni del 1810.

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ricognizione della mappa topografica dei comuni insorgono
tra i comuni confinanti”9.
Dunque le Istruzioni del 1810 erano appena uscite dai torchi
con la data del 31 marzo, che si dovette subito cominciare a
predisporne una nuova versione riveduta, corretta e accresciuta, recependo evidentemente le segnalazioni d’incompletezza, i dubbi e i quesiti che provenivano dagli operatori in
campagna, cui s’aggiungevano le osservazioni che maturavano negli uffici dell’amministrazione censuaria provinciali e
centrali, mano a mano che vi affluivano mappe e sommarioni
terminati e revisionati. Ne scaturì, allora, l’edizione con data
1 aprile 1811, con il numero di pagine accresciuto d’una ventina, mentre i paragrafi passavano da 140 a 197, per incrementi

dovuti in parte alla più razionale suddivisione di alcuni articoli troppo lunghi, in parte ad aggiunte vere e proprie. Appaiono migliorate anche le tabelle finali, ora in numero superiore e recanti la denominazione di module. Le integrazioni e le
rifiniture più significative riguardavano il modo di disegnare
le strade private (§ 33 del 1810, corrispondente ai §§ 47-51 del
1811), lo scabroso problema dei confini comunali (i §§ 29-31
aggiunti ex novo nel 1811 e, più oltre, la trattazione dei §§ 9597 nel 1810 che si dilata nei §§ 144-152 nel 1811) e, soprattutto, una sistemazione complessiva, più razionale e più ampia,
delle norme riguardanti la descrizione dei terreni e delle case
(operazione che in epoca austriaca sarà nota col termine di
“qualificazione”) con il § 53, esteso su sette pagine delle Istruzioni del 1810, che viene riorganizzato nei §§ 77-90 e portato a
quasi nove pagine l’anno seguente.
Infine nel 1819 dalla tipografia milanese di Giacomo Pirola uscì
una nuova edizione delle Istruzioni (che ricalca, salvo qualche
refuso, quella del 1811), pubblicata senza l’egida di alcuna autorità pubblica, e da ritenersi, pertanto, iniziativa di carattere
privato. Infruttuose tutte le ricerche d’archivio svolte per ricostruire la genesi di questa tarda ristampa, resta impossibile stabilire se l’operazione fosse stata commissionata al Pirola, o da
9.

Bollettino, 1807, pp. 1010-1012.

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lui stesso ideata: negli anni intorno al 1819 l’azienda rivolgeva

i propri interessi editoriali precipuamente ai libretti d’opera
(era titolare dell’esclusiva del Teatro alla Scala, vicinissimo alla
sua sede), ma nel 1818 era diventata la stamperia ufficiale del
Municipio di Milano, come lo era di rilevanti uffici statali (Delegazione provinciale, Direzione delle Poste)10. Quest’edizione
del 1819 sembrerebbe probabilmente da porre in relazione con
la pubblicazione delle mappe e dei sommarioni ordinata dal
Governo austriaco per le province venete l’8 agosto 181711 e
verosimilmente negli stessi mesi da quello lombardo, per le
province di Bergamo e Brescia: i proprietari fondiari, chiamati
a verificare l’esattezza delle operazioni di misura compiute sui
loro beni ed a presentare le eventuali osservazioni e reclami,
avevano avvertito evidentemente la necessità di conoscere le
regole adottate dall’amministrazione napoleonica. Al soddisfacimento di quest’esigenza sembra ragionevole ricondurre
appunto l’edizione delle Istruzioni approntata dal Pirola.
Il lettore familiarizzerà sin dalle prime pagine delle Istruzioni
con gli strumenti e i materiali impiegati nel rilievo: la tavoletta pretoriana, anzitutto, e la bussola; poi, per la misura, catene e canne ufficiali, “somministrate” dall’Amministrazione,
assieme a due regoli metallici con la scala di riduzione. La
carta da disegno pure, come quella per i sommarioni, veniva distribuita dall’ufficio, mentre inchiostri e colori, e così la
strumentazione minuta (compasso, matita, tiralinee, “spille”)
apparteneva al geometra.

Regole di carattere tecnico sul modo di condurre le operazioni
di rilievo e disegno, commesse ai geometri, convivono nelle
Istruzioni e si intrecciano, come si vede, con disposizioni di natura amministrativa, riferite prevalentemente alla redazione
del sommarione, che comportava l’accertamento del posses10. A. Visconti, Una stamperia milanese, Milano, Pirola, 1928. Sono grato
al dott. Giovanni Liva, dell’Archivio di Stato di Milano, per l’amichevole
e generoso aiuto. Un grazie anche al dott. Mario Signori, del medesimo
Istituto.
11. Collezione di leggi e regolamenti pubblicati dall’Imperial Regio Governo delle Provincie venete, vol. IV, parte II, Venezia, I.R. stamperia, pp. 112-149.

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sore dei fondi (operazione talvolta non semplice in presenza
di diritti reali sui beni censiti, come livelli, enfiteusi ecc.) e la
definizione dell’esatta denominazione della ditta intestataria,
secondo precisi criteri, esemplificati nelle 7 sezioni della “Modula A.” allegata al testo (e pure questa largamente riveduta e
aumentata nel passaggio dal 1810 al 1811).
Attendeva al lavoro una vera e propria e propria squadra, guidata dal geometra, il quale rispondeva all’ingegnere ispettore
dipartimentale. Questi aveva facoltà di comparire improvvisamente in sopralluogo – grave mancanza per il geometra,
che comportava la perdita dello stipendio giornaliero, non
lasciar detto ogni mattina al proprio alloggio in quale punto
del territorio si sarebbe condotto a misurare (§ 141) – e, soprattutto, praticava la revisione finale di mappa e sommarione.
Riscontrandone la perfetta esattezza li avrebbe approvati; al
contrario – eventualità rara, ma accaduta – ne avrebbe negato il collaudo, ordinando in taluni casi gravose correzioni, in
altri addirittura il rifacimento, parziale o integrale, dell’opera.
Ogni geometra era, dunque, coadiuvato da un aiutante che,
salvo eccezione, gli era assegnato d’ufficio dalla Direzione
generale del censo. Ciascuna amministrazione comunale, poi,
deteneva il diritto, e l’onere, di partecipare a tutte le operazioni catastali con due persone di propria fiducia, e che doveva
remunerare: l’una in veste di assistente alla misura, e quindi
con funzioni preminenti di controllo, l’altra di indicatore, con
il compito principale di segnalare al geometra i confini del territorio e quelli dei singoli poderi, nonché le generalità dei possessori. Completava il gruppo un certo numero d’inservienti,
segnalati dai comuni, ma retribuiti dal geometra sul proprio
fondo spese, al pari dell’aiutante.
La serie archivistica dei Processi verbali di revisione delle mappe
e dei sommarioni, pressoché integralmente conservata e che
abbiamo tenuto a continuo riferimento12, ci consente di riper12. La serie, già citata, appartiene al fondo Catasto, conservato all’Archivio di Stato di Venezia e consta complessivamente di 25 buste. Salvo ri-

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correre le vicende delle misurazioni catastali e ci apre squarci
di quotidianità sul mondo variegato dei geometri napoleonici
e degli ingegneri ispettori, sulle fatiche che consumarono nelle campagne venete, sui mille problemi, ostacoli e inconvenienti che si trovarono ad affrontare.
La poderosa macchina azionata dai decreti del 1807 incominciò sin dallo stesso anno a produrre i primi, sia pure timidi,
risultati. Il “geometra ingegnere” Pietro Toscani iniziò il 17
agosto il rilievo della città di Venezia, che avrebbe proseguito
nei due anni seguenti, dividendosi i sestieri da misurare con
altri due colleghi nel 1808 e terminando il lavoro in compagnia di uno nel 180913. Avviare le operazioni del nuovo catasto
proprio dalla città lagunare, capitale della secolare Repubblica aristocratica, sia pure ormai ridotta a semplice capoluogo
di provincia, sarà stato certamente uno di quei colpi ad effetto
che l’amministrazione francese aveva già mostrato altre volte
all’opinione pubblica italiana di saper portare a segno.
Ancora nel medesimo anno 1807 si ha notizia dell’inizio delle
misurazioni in alcuni estesi comuni dell’entroterra veneziano:
Cavarzere “sinistro” (ossia la porzione comunale a sinistra
dell’Adige), Cava Zuccherina (oggi Jesolo), Grisolera (Eraclea), Torre di Mosto, e poi, ancora, San Michele del Quarto

chiami specifici, in questo contributo si fa riferimento in particolare alla
documentazione in b. 2 (provincia di Venezia, distretti di Chioggia, Loreo, Ariano, San Donà e Portogruaro), b. 4 (provincia di Padova, distretti
di Noale e Camposampiero), b. 6 (provincia di Padova, distretti di Este,
Monselice, Conselve e Piove), b. 7 (intera provincia di Rovigo), b. 9 (provincia di Verona, distretti di Legnago, Cologna, Zevio e San Bonifacio), b.
13 (provincia di Vicenza, distretti di Malo, Valdagno, Arzignano, Lonigo e
Barbarano), b. 16 (provincia di Treviso, distretti di Ceneda, Valdobbiadene
e Montebelluna), b. 19 (provincia di Belluno, distretti di San Vito di Cadore, Auronzo e Agordo), b. 20 (provincia di Belluno, distretti di Fonzaso,
Feltre e Mel), b. 22 (provincia di Udine, distretti di Maniago, Aviano, Sacile,
Pordenone e San Vito al Tagliamento) e b. 25 (provincia di Udine, distretti
di Ampezzo, Tolmezzo, Gemona e Tricesimo).
13. E. Tonetti, La formazione della mappa catastale “napoleonica” di Venezia,
in Ministero per i beni culturali e ambientali - Archivio di Stato di Venezia, Catasto napoleonico. Mappa della città di Venezia, Venezia, Marsilio, 1988,
pp. 7-9.

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(Quarto d’Altino), Portegrandi, Caorle e Ca’ Cottoni, e così in
qualche comune dei distretti friulani di Aviano e Sacile. Ma è
a partire dal 1808, e poi sempre più capillarmente negli anni
successivi, che la presenza dei geometri censuari si fa costante
tra i campi del Veneto e del Friuli. I numeri forniti dai decreti
annuali sulle “operazioni del catasto” suggeriscono la sensazione di un vero e proprio dispiegamento di forze sul territorio: 121 geometri nel 1808 e 150 nel 1809, operanti in quattro
province, per salire poi ai 181 e 184 arruolati nei due anni successivi e inviati in cinque province contemporaneamente14.
Primi a essere censiti i comuni del Veneziano, del Friuli e delle province di Treviso e poi di Padova; dal 1810 s’aggiungevano quelle di Belluno e Vicenza, oltre a parte del Polesine;
infine seguì Verona. L’impressione che si avverte sfogliando i
documenti è che l’attività procedesse ‘a macchia di leopardo’
e senza sistematicità: alcuni distretti vennero integralmente,
o quasi, misurati nel corso di uno stesso anno, ad esempio
Portogruaro e Noale (1810), Feltre (1811), Cologna (1812), Legnago (1813) e Arzignano (1815), ma nella maggior parte dei
circondari le operazioni si protraevano per due o più ‘campagne’ censuarie, e non è raro il caso di comuni confinanti che
furono rilevati anche a qualche anno di distanza.
In ogni censuario i lavori si svolgevano nella stagione meteorologicamente più propizia: si iniziava a primavera avanzata,
generalmente in maggio, raramente in aprile – e non a caso le
“Regole” datano al 13 aprile 1807, così come le Istruzioni al 31
marzo 1810 e all’1 aprile 1811 – e si proseguiva fino all’autunno inoltrato, ottobre e novembre. Ma poteva capitare d’imbattersi in periti al lavoro ancora in dicembre, sia pure spinti solo
dall’urgenza di terminare la correzione e la revisione finale
delle mappe.
Il tempo necessario per rilevare un comune censuario poteva
variare sensibilmente da un caso all’altro e dipendeva, natu14. Per il 1807 si veda il già citato decreto 13 aprile 1807; per il 1808 e 1809,
il decreto 11 marzo 1809, Bollettino, 1809, pp. 70-72; per il 1810, il decreto 2
marzo 1810, ibidem, 1810, pp. 121-123; infine, per il 1811, il decreto 27 marzo
1811, ibidem, 1811, pp. 199-201.

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ralmente, non solo dall’ampiezza del territorio, ma anche dalla sua conformazione: generalmente eran sufficienti i mesi di
una sola campagna censuaria, talvolta molto meno, ma, come
abbiamo visto sopra, la mappa della città di Venezia pretese
ben tre anni, ed altrettanto avvenne, ad esempio, per i vasti e
complicati territori di Cava Zuccherina, Grisolera e Cavarzere
“destro”, mentre due anni occorsero per condurre a termine le
mappe di Cavanella d’Adige, San Michele del Quarto, Portegrandi, Caorle, Ca’ Cottoni, Annone, San Giorgio di Livenza,
Fossalta di Piave, Meolo e Musile. Al contrario bastarono 19
giorni per rilevare il censuario di Nichesola e 35 per quello di
Spinimbecco, entrambi nella bassa veronese15.
La revisione della mappa e del sommarione rappresentava
l’atto conclusivo delle operazioni di misura. Attività complessa, della durata anche di più giorni (sette, ad esempio,
se ne impiegarono per Loreo, e altrettanti per Contarina). Il
momento culminante della procedura, dopo un esame attento
dei caratteri estrinseci degli elaborati (legenda, scala, orientamento, indicazione dei toponimi, colorazione) consisteva nel
tracciare “una linea attraversante tutta la mappa” in inchiostro rosso e nel rilevare e disegnare poi, andando sul terreno,
un “tipo revisorio”, riportandovi
tutti gli accidenti principali cadenti sulla suddetta linea attraversante, confrontando di mano in mano le operazioni di revisione
con quelle del Geometra autore, e facendo […] le opportune verificazioni e correzioni di misura, ed ancora di configurazione e descrizione censuaria per i pezzi cadenti sulla linea ed in vicinanza.

Allo stesso modo venivano puntualmente raffrontate “le trasversali” e le “divisioni intermedie” di altri “pezzi, ossiano
perimetri” scelti casualmente tra quelli “fuori del suddetto
andamento revisorio”16.
15. ASV, Processi, bb. 2 e 9, passim.
16. Si cita, a titolo d’esempio, dal modello a stampa del processo verbale
di revisione della mappa territoriale del censuario di Borgo di Montebello,
21 settembre 1815, ibidem, b. 13, provincia di Vicenza, distretto di Lonigo.

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Moltissime mappe superarono, naturalmente, la pur severa
revisione: talune agevolmente, altre magari, come s’accennava, a prezzo di correzioni impegnative e parziali rifacimenti.
Ma la nostra attenzione viene inevitabilmente attratta per prima dai pochi casi di bocciatura, più o meno irrimediabile essa
fosse. Così avvenne, ad esempio, per la mappa del 1808 di San
Vito di Valdobbiadene con Funer, che dopo un duplice esame
superiore venne rifatta nel 1810 dai geometri Antonio Toffoli
e Pasquale Piccini, a spese del primo, inetto autore, Paolo Scalari17. Il caso non rimase affatto isolato: nelle lagune intorno a
Chioggia, Gabriele Lodigiani aveva cominciato a rilevare nel
1808 il censuario di Cabianca (Ca’ Bianca), ma ben presto venne sollevato dall’incarico “per la sua insufficienza” e il nuovo
geometra, Antonio Fiorentini, “non si è potuto servire” del
poco lavoro eseguito, consistente nel rilievo di Valle Zennare, “che nell’andamento dell’argine tortuoso che la confina a
mezzo giorno”18.
Incontrò maggiore fortuna – se tale possa essere considerata – il geometra Giuseppe Migliazza, autore nel 1810 della
mappa di Arina, riscontrata gravemente imprecisa e alla cui
correzione, dopo un infruttuoso tentativo consumato nel medesimo anno dal geometra Luigi Picchioni, venne chiamato
nel 1811 addirittura da Milano, come s’è visto sopra, l’ingegner Carlo Fossatti, il cui diario ufficiale è conservato fra
gli atti della revisione. A fine lavoro vennero addebitate al
Migliazza 19 giornate di lavoro del Fossatti, mentre “non si
è creduto di caricare” anche i sette giorni di viaggio da Milano a Feltre e quello delle operazioni preliminari con l’ispettore, dal momento che Fossatti era stato trattenuto in zona,
passando a rilevare la mappa della non lontana Soranzen.
17. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di San Vito di
Valdobbiadene con Funer, con allegati, 24 settembre 1810, revisore l’ingegner Pietro Locatelli, ibidem, b. 16, provincia di Treviso, distretto di Valdobbiadene.
18. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Cabianca
(Ca’ Bianca), 22 ottobre 1809, revisore l’ingegner Gaetano Bellati, ibidem, b.
2, provincia di Venezia, distretto di Chioggia.

43

Incarico faticoso, questo del milanese, sin dal principio: la
strada da Feltre ad Arina, “per la maggior parte montuosa”,
fu costretto a “camminarla a piedi, e far trasportar tutti gli
effetti censuari a spalla d’uomini”; e lavoro disagiato, quello
addossatogli, come non mancò di annotare: “La località tutta
montuosa e difficile da praticarsi ralenta alquanto l’operazione”. Venutone a capo, relazionò anche sulle molteplici cause
delle gravi inesattezze riscontrate: “Apparivano le differenze
la maggior parte provenienti dalla diversa direzione di due
zone constituenti detta mappa, le restanti per realtà di misura”. Anche della fallita revisione di Picchioni aveva scoperto
la ragione: “Il revisore nel riprendere la misura in campagna,
l’aiutante per isbaglio vi ha messa la palina sopra un falso
picchetto propinquo al vero della revisione, e ne dipende da
ciò la differenza”19.
In molti altri casi errori di minor rilevanza, rilevati dagli
ispettori, potevano venir corretti dagli stessi autori. Mappa
“eseguita mediocremente” giudicò nel 1808 l’ingegner Gaetano Bellati quella di Rottanova con Pettorazza Papafava
“sinistra”, sottolineando “in generale una cattivissima scrittura ne’ numeri progressivi, li quali verranno alla meglio
corretti e rischiariti, e segnatamente nel paese, ove attesa la
negligenza con cui vennero scritti, reccano un poco di confusione”. Peggio: ad alcune particelle era stato attribuito,
con modalità del tutto irregolare, “più di un numero, perché
cadente sopra più fogli, così li numeri superflui si sono cancellati sulla mappa; e sul sommarione si sono marcati colla
parola soppressi”20.
Mediocre anche la mappa di Cava Zuccherina a destra di Piave vecchia, sempre nella valutazione del Bellati nel medesimo anno, che lamentava inoltre “una costante trascuratezza
19. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Arina, con
allegato il diario del geometra, cit.
20. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Rottanova con Pettorazza Papafava sinistra, 4 novembre 1808, autore della mappa il geometra Piero Carosio, ibidem, b. 2, provincia di Venezia, distretto di
Chioggia.

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nella politezza dei fogli, e questa dipendente dal geometra
medesimo”21. Imprecisioni nella misura aveva poi riscontrato, ancora nel 1808, nel rivedere quella di San Michele del
Quarto con Portegrandi, alcune “rilevantissime e tali da far
dubitare che alcuni perimetri siano stati chiusi malamente”;
inoltre non gli era “stato possibile di far combaciare perfettamente sulla mappa la linea transversale AB”, pur “assecondando la mappa, la quale sembra aver preso una piccola
inclinazione in causa del bussolo dalla parte di ponente”:
pretese perciò molte correzioni, che poté verificare solo dopo
diversi mesi22.
Molti difetti rilevò nel 1811 l’ingegnere revisore Giambattista
Bonfiglio nel sommarione di Loreo, infarcito di “termini tratti
dall’idioma del paese”, in luogo del lessico appropriato imposto dalle Istruzioni, e con “alcune intestazioni erronee”23. E
ancora il sommarione dovette essere trascritto integralmente nel 1809 a Borgoforte, nel Conselvano, in quanto “scritto
scorretto e di carattere non abbastanza chiaro”24 e lo stesso fu
prescritto dal revisore, l’ingegner Zerbi, per quello di Noale:
“Stante le molteplici correzioni occorse per diffetto d’indicazione, il sommarione da tavolo è reso deforme a segno che
devo ordinare all’aiutante del geometra assistito dall’assistente comunale l’intero rifacimento”.
Sempre a Noale la mappa, disegnata nel 1810 da Bernardo
Salomoni – che l’anno seguente avrebbe rilevato quella della città di Treviso, la cui base cartografica sarebbe servita in
21. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Cava Zuccherina a destra di Piave vecchia, autore della mappa il geometra Luigi
Conti, 17 novembre 1809, ibidem, distretto di San Donà.
22. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di San Michele del Quarto con Portegrandi, autore della mappa il geometra Antonio
Giacomelli, 9 dicembre 1808, ibidem.
23. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Loreo, autore della porzione di mappa il geometra Gaspare De Rii, 14 novembre
1811, ibidem, distretto di Loreo.
24. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Borgoforte, revisore l’ingegner Pietro Lodi, autore della mappa l’ingegner Giuseppe Signorelli, 17 agosto 1809, ibidem, b. 6, provincia di Padova, distretto di
Conselve.

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seguito per due fortunate incisioni a stampa pubblicate nel
1824 e nel 182625 – presentava parecchi difetti, originati dai
“cilindri incurvati” della tavoletta pretoriana, e alcune, rimediabili, omissioni: non era tracciato in inchiostro il confine con
il censuario di Briana (probabilmente Salomoni attendeva di
confrontarlo con il collega), risultava “mancante delle linee
punteggiate dei comunelli costituenti insieme il territorio di
Noale […], della squadratura del complesso […], del cartellino della denominazione della mappa, quello delle sottoscrizioni, quello della scala e quello della direzione dei venti”26.
Situazioni analoghe si ripetevano in svariati altri luoghi: a Taglio di Po, ad esempio, la seconda “sezione” di mappa “trovasi mancante di tutte le denominazioni di strade e scoli, nonché
il colorito del fiume Po. E rispetto alla III si è trovata tutta in
matita, e senza numeri, essendovi però scritto il possessore e
qualità nella prima porzione, e la seconda trovasi ancora da
compilare, la quale non mi è stata consegnata”. Così verbalizzava il revisore, Eutimio Ripamonti il 22 dicembre 1816; ed il
lavoro richiese ancora due mesi, venendo ultimato il 24 febbraio 181727.
La ricerca di uniformazione, che rappresentava la cifra delle
Istruzioni, poteva produrre anche effetti paradossali a causa
della diversa provenienza regionale degli operatori censuari: lo zelo dell’ingegner Zerbi, lo stesso con cui aveva dovuto
fare i conti Salomoni, si spinse ad ordinare alcune rettifiche al
sommarione di Silvelle, pretendendo addirittura d’italianizzare cognomi e nomi veneti. “Non si scrive Tron, ma Troni”,
prescrisse; Gargani, e non Gargan; Trevisani, e non Trevisan;
ed inoltre, perentoriamente, “non si scrive Alvise, ma Luigi”;
25. Atlante Trevigiano. Cartografie e iconografie di città e territorio dal XV al
XX secolo, a cura di M. Rossi, Treviso, Fondazione Benetton Studi Ricerche
- Antiga edizioni, 2011, pp. 36-39.
26. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Noale, 15
luglio 1810, ASV, Processi, b. 4, provincia di Padova, distretto di Noale.
27. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Taglio
di Po, autore della mappa il geometra Luigi Lazzaroni, “sussidiato” dal
geometra Antonio Picinelli, ibidem, b. 2, provincia di Venezia, distretto di
Ariano.

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non “Pasqualin, ma Pasquale o Pasqualino”; e poi non “abbitazione, ma abitazione”28.
Le peculiarità locali, tuttavia, si rivelarono almeno in un caso
insuperabili: nel 1808 la mappa di Pellestrina, sul litorale veneziano, venne approvata dall’ingegner Bellati, benché priva di alcune linee di confinazione tra proprietà private, con
quest’avvertimento:
N.B. Non è possibile marcare tutte le divisioni che s’incontrano,
atteso che elleno non sono marcate sul terreno, e per rinvenirle
occorre la presenza di tutti li proprietari, li quali si regolano colle
misure loro particolari, o con dei segni di direzione che prendono dal prolungamento di certi lati de’ caseggiati che si trovano
sparsi per questo littorale29.

E nel 1810 si ritenne di poter omettere addirittura la revisione
d’intere porzioni di mappa del censuario di San Nicolò, Tolle
e Donzelle per causa di forza maggiore, come verbalizzò il
revisore, geometra Giulio Lodi:
La somma piena del Po, che ha cagionato una quasi generale
innondazione in questa isola, e specialmente presso il mare, non
ha permesso di rivedere gli altri due pezzi di mappa, consistenti
però in vaste valli di canna, brughiera ed altra sorta di terreno
di poca entità e di quattro possessori30.

Le Istruzioni dedicano, come accennato, uno spazio di rilievo alla tracciatura, in ogni mappa, delle linee di confine tra
28. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Silvelle,
autore della mappa il geometra Gio Batta Mercanti, 29 settembre 1810, ibidem, b. 4, provincia di Padova, distretto di Noale.
29. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Pellestrina, revisore l’ingegner Gaetano Bellati, autori della mappa i geometri
Venanzio Mugiasca e Luigi Torti, 8 agosto 1808, ibidem, b. 2, provincia di
Venezia, distretto di Chioggia.
30. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di San Nicolò, Tolle e Donzelle, revisore il geometra Giulio Lodi, autore della mappa il
geometra Francesco Mezzadri, 19 giugno 1810, ibidem, provincia di Venezia, distretto di Ariano.

47

comuni limitrofi (§§ 142-152). Sul piano tecnico si trattava di
far collimare esattamente due mappe rilevate quasi sempre da
due diversi geometri e in momenti cronologicamente distanti. Per questo era prescritta ogni volta la presenza sul luogo
degli assistenti o indicatori di entrambi i comuni e la realizzazione, da parte dei singoli geometri, di appositi “tipi della
linea conterminale”, da recapitare agli ispettori, per facilitare
la futura revisione, ma anche perché li consegnassero agli altri
geometri interessati, “all’oggetto di fare con essi gli opportuni
riscontri”.
Ma, oltre al problema tecnico, poteva essere sollevata spesso
una vertenza confinaria tra comuni, che avanzavano pretese sugli stessi lembi di territorio, eventualità ancor più facile
a verificarsi tra enti che per la prima volta vedevano disegnare in piante dettagliate gli ambiti geografici della propria
competenza. In questi casi le Istruzioni affidavano un primo
tentativo di conciliazione della vertenza agli stessi geometri,
mentre il decreto 9 ottobre 1807, di cui s’è detto sopra, aveva
previsto anche l’intervento conciliatore dell’ingegnere dipartimentale, il quale avrebbe rimesso il giudizio al prefetto in
caso d’insuccesso.
In una specifica serie archivistica di Questioni relative ai confini
territoriali si conserva la documentazione delle oltre 1200 vertenze (quasi la metà nella sola provincia del Friuli) occorse e
risolte31. Mentre sul dettaglio degli aspetti tecnici ci soccorrono, ancora una volta, i verbali delle revisioni. La mappa di Rio
San Martino (allora in provincia di Padova) sembra in questo
senso una delle più difettose: nel 1810 per ammetterla alla verifica l’ingegner Giuseppe Sovico ordinò al geometra Giovanni Marsoni di “riffare con misura il confine di Cappella per la
vistosa differenza” accertata e, ancora, di correggere le linee
confinarie con Scandolara e Scorzè, mentre prendeva atto del
previsto incontro con il geometra di Sant’Alberto, essendosi
ravvisata anche lì l’esigenza di eseguire congiuntamente “una
31. Anche questa serie appartiene al fondo Catasto, conservato all’Archivio di Stato di Venezia, e consta complessivamente di 23 buste.

48

misura lungo il confine”32.
A Castelvecchio di Valdagno nel 1816 fu lo stesso revisore, il
geometra Antonio Toffoli – nel quale già ci siamo imbattuti
quand’ebbe l’incarico di rifare la mappa di San Vito di Valdobbiadene – a intervenire e modificare di proprio pugno il
rilievo di Maurizio Azzolini, spiegando che “il confine territoriale di Righello, sezione di Altissimo, non combina in niuna
parte, e ciò per esser stato rilevato sopra punti ed andamenti
eronei cagionati da mala indicazione, fu ribatuto dal revisore
e ratificato dal medesimo sopra la mappa”33. Viceversa, nel
Feltrino, l’ispettore Francesco Peluti spedì il 14 novembre
1810 “di buon mattino” il geometra Giovanni Menegazzi in
cima al monte Avena, con il compito di “ribatere e verificare”
la linea di confine tra Faller e Fonzaso. Il diario ufficiale di
Menegazzi dà conto dell’operazione: l’incaricato proseguì il
lavoro l’indomani ancora all’aperto (“non abbandonando mai
la più scrupolosa precisione, cercai d’accelerare per quanto mi
fu possibile, benché il vento e la neve da qualche giorno caduta m’apportassero non piccolo impaccio”), e il 16 novembre
al tavolo, “nel segnar gl’andamenti ieri rilevati, nel tirare in
nero, colorire, unire i fogli e far tutte l’operazioni necessarie
al completamento di detta linea”. Rientrato a Feltre e sottoposto il 17 il proprio “tipo” a Bellati, osservarono assieme che
la mappa di Fonzaso presentava solo “diferenze negligibili”,
mentre in quella di Faller riscontrarono “qualche notabile differenza”, che richiese quella e altre due giornate di lavoro per
essere emendata34.

32. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Rio San
Martino, 5 ottobre 1810, ASV, Processi, b. 4, provincia di Padova, distretto
di Noale.
33. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Tomba
di Castelvecchio di Valdagno, 16 gennaio 1816, ibidem, b. 13, provincia di
Vicenza, distretto di Valdagno.
34. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Faller, allegato “Diario delle operazioni relative alla verificazione della linea limitrofa della comune di Fonzaso con quella di Faller”, ibidem, b. 20, provincia
di Belluno, distretto di Fonzaso.

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