Voli dangeli Festschrift Wolf 2014
SERENA ROMANO
Voli d’angeli da Avignone a Subiaco
Negli studi italiani, la lettera scritta da Valencia il 4 settembre 1406 da Martino I,
re d’Aragona, al vescovo di Lerida Pere de Çagarriga, è stata avvistata da Enrico
Castelnuovo. Nel suo grande libro del 1962 su Matteo Giovannetti e la pittura ad
Avignone e in Provenza nel Trecento – un libro che per materia, orizzonti, metodo,
metteva in contatto mondi, e studiava eventi e fenomeni non incasellabili nelle categorie dell’arte nazionale o regionale – Castelnuovo ricordava infatti questo documento, il cui testo suona così:
Lo rey d’Aragò. Venerable pare en Xrist, cum nos vullam fer una semblant capella e
de semblant ystoria de la capella dels angels d’aqui del palays d’Avinyo, en la qual
capella es pintada tota la ystoria dels angels de totes les provincies, pregam vos affectuosament que la dita ystoria deboxada de bon maestre en pergamins nos trametats
complidament axi com pus prestament porets... e sera cosa de la qual nos farets molt
gran plaer lo qual molt vos grahirem. Dada en Valencia, sots nostre segell secrer, a .iiii
dies de serembre del any de la nativitat de Nostre Senyor .mccccvi. rex Martinus.1
La richiesta di re Martino, secretata dal suo sigillo, era dunque che il vescovo trovasse un bravo maestro pittore e gli facesse disegnare (»deboxada«) la cappella »degli
angeli« del palazzo di Avignone, e le storie »degli angeli di tutte le province« in essa
dipinte, perché Martino voleva farsi riprodurre il tutto, si suppone nel suo palazzo
di Valencia. È una versione dettagliata del ben noto »modo et forma«, con cui nei
contratti tardo-medievali il committente propone o impone un modello ad un artista: ma in realtà la voglia di appropriazione del sovrano aragonese somiglia piuttosto a quella di Enrico III d’Inghilterra, che avrebbe voluto portarsi a casa la Sainte-Chapelle parigina »sur une brouette«: must del gusto, e viatico per la circolazione
dei modelli d’élite.2
* Un ringraziamento ai miei cari amici Michele Tomasi, Joan Molina Figueiras e Manuela De
Giorgi, per l’aiuto, le fotocopie, e soprattutto la pazienza; e a madame Sophie Biass-Fabiani,
conservatrice al Palais des Papes di Avignone, per il liberale permesso di visitare, fotografare, e
pubblicare le sinopie della cappella di San Michele.
1 Enrico Castelnuovo, Un pittore italiano alla corte di Avignone. Matteo Giovannetti e la pittura
in Provenza nel secolo XIV, Torino 1962 [edizione riveduta e ampliata, Torino 1991], pp. 54 e
162; per la lettera, Antoni Rubiò i Lluch, Documents per a la història de la cultura catalana
medieval, Barcellona 1921, vol. 2, p. 384.
2 Saveur Jérôme Morand, Histoire de la Ste-Chapelle royale du Palais, Parigi 1790, p. 41; Julian
Gardner, »L’architettura del Sancta Sanctorum«, in Sancta Sanctorum, Milano 1995, pp. 1937, p. 32.
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Naturalmente la lettera illumina un aspetto importante della pratica del disegno
tardo-medievale. Le copie dovevano essere su pergamena, e il re aveva urgenza di averle: il più rapidamente possibile, »com pus prestament portes«. Si ignora se siano state
poi veramente eseguite: se così fu, ce le immaginiamo forse simili agli acquarelli barberiniani delle sacre memorie di Roma, o ai disegni trecenteschi che riproducono brani
degli affreschi giotteschi della basilica inferiore di Assisi, prova della grande fortuna
specialmente del ciclo dell’Infanzia e del suo valore di nave-scuola anche al di là delle
frontiere fiorentine.3 Certo, ai disegni chiesti da Martino si affidava il non facile compito di testimoniare della speciale bellezza della cappella di San Michele, situata in alto
nella torre della Guardaroba nel palazzo papale avignonese: cappella privata di Clemente VI, di curatissima architettura, con vetrate e, appunto, dipinti, che Matteo
Giovannetti eseguì praticamente in contemporanea con quelli della vicina cappella di
San Marziale, e che sono oggi quasi completamente perduti ad eccezione di alcune
sinopie che mai, a mia conoscenza, sono state oggetto di qualche studio.4
Martino d’Aragona voleva farsi copiare e rifare la cappella per gusto personale
ma anche, forse, per una ostentazione di omaggio e ammirazione verso il palazzo
avignonese, sede del papato scismatico da lui costantemente appoggiato. Nel 1406,
data della richiesta, il papa era Pedro de Luna, Benedetto XIII; dei conti di Luna
era anche la moglie di Martino, destinata a morire in quello stesso anno. Tre anni
più tardi, nel 1409, Martino si risposa, questa volta con una nobile della famiglia
de Prades, Margherita: cerimonia nel castello di Bellosguardo presso Barcellona,
presumibilmente fastosa, cui assiste doverosamente lo zio della fanciulla, Lluis de
Prades, vescovo di Maiorca, grande committente specie per opere nella Seu maiorchina. Frequentatore da sempre del palazzo avignonese, Lluis vi svolge tutta la prima parte della carriera come funzionario di curia; come Martino, appoggia il papa
de Luna, ed è perfettamente inserito nell’ambiente filo-avignonese che includeva,
per esempio, i due fratelli Ferrer, Vicente – solo in seguito passato a difendere l’ortodossia – e Bonifacio, generale dei certosini e importante committente.5 Così
legato al re Martino fu Lluis de Prades, che quando, dopo la morte del sovrano, il
potere di Aragona passa ai Trastamara e – già dal 1416 – ad Alfonso V, le sue fortune tracollano; Alfonso tenta di sostituirgli Alfonso Borja, futuro Callisto III; nasco-
3 Stephan Waetzoldt, Die Kopien des 17. Jahrhunderts nach Mosaiken und Wandmalereien in
Rom, Vienna 1964 (Römische Forschungen der Bibliotheca Hertziana, 18); Bernhard Degenhart & Annegritt Schmitt, Corpus der italienischen Zeichnungen 1300-1450, vol. 1,1, Berlino 1968, cat. n. 46-49 e 52.
4 L’architetto fu Jean de Louvres; i lavori di costruzione ebbero luogo a partire dal 1342; dal 1343
sono pagati i ponteggi per i pittori, e i pagamenti a Giovannetti e ai suoi aiuti sono dal gennaio
1344 al 1° settembre 1345. Léon-Honoré Labande, Le Palais des Papes et les monuments d’Avignon au XIVe siècle, Marsiglia 1925, vol. 1, pp. 1-20, 72, 107; Castelnuovo, Un pittore (nota 1);
Michel Laclotte & Dominique Thiébaut, L’Ecole d’Avignon, Parigi 1983, pp. 165-166; Dominique Vingtain, Avignon. Le Palais des Papes, St. Léger-Vauban 1998, pp. 101, e 286-288.
5 Sul retablo di Bonifacio Ferrer al Museo de Bellas Artes di Valencia, databile circa 1400-1402,
Cornelia Syre, Studien zum ›Maestro del Bambino Vispo‹ und Starnina, Bonn 1979, p. 73.
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no guai di tipo fiscale, e alla fine Lluis preferisce esiliarsi a Roma.6 Già da prima,
certamente, egli doveva aver riflettuto sul tracollo del partito avignonese, e accettato la nuova realtà: sembra infatti aver avuto buoni rapporti con Martino V, che gli
affida una sorta di ›caccia allo scismatico‹ nella diocesi maiorchina, e forse la presenza di Martino a Roma può essere una spiegazione di quella che appare una scelta comunque inaspettata.7
Lluis cambia dunque mondo, abbandona l’ambiente ispanico e avignonese che
gli era da sempre familiare, e va ad annidarsi esattamente nel cuore di quelli che
erano stati gli avversari di tutta la sua cerchia di un tempo. Forse anche scelta politica, se non opportunistica, quella del vescovo maiorchino rivela probabilmente
anche una stanchezza personale, un senso di perdita degli appoggi consueti e di disfatta dell’operato di tutta una vita; e significativa dell’attitudine certo meditativa,
forse introversa, forse anche nostalgica, dei suoi ultimi anni, mi appare la scelta di
Subiaco per la fondazione di una sua cappella, la cui destinazione funeraria non è
chiarissima, e il cui nesso con una consuetudine di devozione e raccoglimento alle
frontiere del mistico sembrerebbe invece evidente. Secondo la Cronaca di Cherubino Mirzio, de Prades, »ex utraque linea regali exortus progenie Aragonensi«, giunge
a Subiaco nel 1421 – dunque immediatamente dopo il trasferimento in Italia – »ex
devotionis causa«; generoso verso ambedue i monasteri sublacensi, in quello di Santa Scolastica »cappellam S. Michaelis Archangeli omniumque Angelorum, subtus
sacrarium divae Scholasticae positum, in eum ut modo extat, formam reduxit«.8
Mirzio insiste sul fatto che de Prades alternasse i soggiorni a Roma e quelli a Subiaco, costantemente dispensando sostanze e facendo doni di oggetti liturgici ad ambedue i monasteri, fino al giorno della morte, avvenuta nel 1429. Si è sempre ritenuto che egli volesse la cappella quale futuro luogo di sepoltura: ma proprio questa
certezza è stata recentemente messa in dubbio dalla Bevilacqua, che ha riletto i documenti e anche la lapide sepolcrale il cui testo è tramandato in un manoscritto
ottocentesco del Dolci, conservato nel convento.9 È possibile in sostanza che il de
6 Traggo l’essenziale di queste notizie da Jaume Sastre Moll, La Seu de Mallorca (1390-1430).
La prelatura del bisbe Lluìs de Prades i d’Arenòs, Consell de Mallorca 2007; e si veda Pius Bonifacius Gams, Series Episcoporum ecclesiae catholicae, Lipsia 1873, p. 47; Conrad Eubel, Hierarchia Catholica Medii Aevi, Münster 1912, vol. 1, pp. 232, e 337-338; Lidia Bevilacqua,
»La cappella degli Angeli di Santa Scolastica a Subiaco: problemi storici e iconografici«, in
Universitates e baronie. Arte e architettura in Abruzzo e nel Regno al tempo dei Durazzo, Atti del
convegno (Guardiagrele-Chieti, 9-11 novembre 2006), ed. Pio Francesco Pistilli, Francesca
Manzari & Gaetano Curzi, Pescara 2008, vol. 2, pp. 213-226.
7 Vincente Angel Alvarez Palenzuela, »Ultimas repercusiones der Cisma de Occidente en
España«, in Estudios en memoria del profesor don Claudio Sanchez Albornoz, ed. Claudio Sánchez-Albornoz & Miguel Angel Ladero Quesada, vol. 1, Madrid 1986, pp. 53-80; Bevilacqua, »La cappella« (nota 6), p. 217.
8 Cherubino Mirzio, Cronaca Sublacense, ed. don Leone Allodi, Roma 1885, pp. 483-486; Bevilacqua, »La cappella« (nota 6), pp. 215-216.
9 Bevilacqua, »La cappella« (nota 6), p. 216 e note 13-15. Lo scritto di Mellito Dolci copia la
cronaca del Mirzio incorporandovi altri documenti da lui ritrovati negli archivi del convento;
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Prades sia stato in realtà sepolto all’esterno della chiesa, e traslato nella cappella solo
negli anni Settanta del Quattrocento.10 Si noti che il testo della lapide suona come
un riassunto autogiustificativo delle vicende esistenziali di de Prades: gli anni scismatici sono esplicitamente menzionati, come anche il nome di Petro de Luna e la
fedeltà avignonese di de Prades – definito »di stirpe regale aragonese« – ma si tiene
a precisare il passaggio dell’ex-camerario pontificio alla sponda romana di Martino
V e all’»unità della Chiesa cattolica«:
LUDOVICUS COMITIBUS MONTES DE PRADOS ARAGONEORUM REGUM STIRPE... HIC REBUS ECCLESIAE LONGO PONTIFICUM DISSIDIO
TURBATIS PETRUM LUNENSEM SEQUUTUS, QUOD SINE NOXA LICUIT, CAMERARII MUNERE APUD EUNDEM FUNCTUS EST; VERUM SUBLATO SCHISMATE PETRUM DESERUIT, ET MARTINUM V P.M. ASSECTATUS PATRIA, ET PONTIFICALI SEDE EXTORRIS OMNIA CATHOLICAE
ECCLESIAE UNITATI ULTRO POSTHABUIT.11
Subiaco, luogo austero e aspro, aveva accolto altri celebri personaggi desiderosi di
isolamento eremitico e di penitenza: il caso di Gregorio IX è ben noto.12 Gregorio
aveva però scelto il roccioso Sacro Speco, laddove Santa Scolastica sembra aver avuto una tradizione più light: certamente, tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento, vive un periodo di grande vivacità culturale, durante il quale tra l’altro
l’abate Tommaso da Celano – nel 1408 – fa dipingere la chiesa con lo straordinario
si tratta dell’opera citata da tutti, a partire dal volume di Egidi-Giovannoni-Hermanin-Federici del 1904, che la Bevilacqua ha ben riletto e finalmente ben identificato nelle sue stratificazioni storiche. Francesco Egidi, »Notizie storiche«, in I monasteri di Subiaco, ed. Francesco
Egidi, Gustavo Giovannoni & Federico Hermanin, Roma 1904, vol. 1, p. 153; Federico
Hermanin, »Gli affreschi«, ibid., vol. 1, p. 517; Vincenzo Federici, »La biblioteca e l’archivio«, ibid., vol. 2, p. 428; Serena Romano, Eclissi di Roma, Roma 1992, pp. 465-466; Alessandro Tomei, »Tra Abruzzo e Lazio: affreschi quattrocenteschi nel transetto di Santa Scolastica a Subiaco«, in L’Abruzzo in età angioina. Arte di frontiera tra Medioevo e Rinascimento,
Atti del convegno (Chieti, Campus Universitario, 1-2 aprile 2004), ed. Daniele Benati &
Alessandro Tomei, Milano 2005, pp. 237-253, p. 249. Il Mirzio (p. 486) mette ovviamente
in scena il momento della sepoltura di de Prades nella cappella, portato a spalla dai monaci,
fra pianti e preghiere: la collocazione nella cappella è da lui interpretata quale segno di umiltà, in quanto luogo al di fuori della chiesa di Santa Scolastica.
10 Bevilacqua, »La cappella« (nota 6), p. 225 nota 14, che cita il documento del 1478 copiato
nel testo di Dolci (»ad sancti Michelis capellam quam ipse episcopus fundaverat est allatum
ibique ante altare sepultum«: Subiaco, Archivio dell’Abbazia di Santa Scolastica, arca IV, 36;
Dolci, fol. 418-420).
11 Il testo della lapide è riportato da Bevilacqua, »La cappella« (nota 6), p. 216, che lo riprende
dal manoscritto del Dolci, fol. 418.
12 Alessandro Bianchi, »Una proposta per l’inquadramento storico degli affreschi della cappella
di S. Gregorio al Sacro Speco di Subiaco«, in Federico II e l’arte del ‘200, Atti della III settimana di studi di storia dell’arte medievale dell’Università di Roma La Sapienza, 15-20 maggio
1978, ed. Angiola Maria Romanini, vol. 2, Galatina 1981, pp. 5-14.
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ciclo pittorico attribuito al Maestro Caldora e ai suoi aiuti.13 Tuttavia il motivo della scelta di Lluis, che è stata definita »difficile da giustificare«, sembra ancora una
volta legata al passato del vescovo e al suo mondo d’origine. All’epoca dello scisma,
i monasteri sublacensi, popolati da un gran numero di monaci ispanici, avevano
infatti parteggiato per il partito avignonese, ed erano in particolare legati proprio a
Pedro de Luna, Benedetto XIII, che tra i monaci sublacensi contava anche un proprio parente: la testimonianza è di un contemporaneo, il domenicano Gonsalvo de
Aragona, che scrive nel 1389 come i monaci dello Speco fossero »devoti et noti cardinali de Luna. Qui etiam in multis informati erant ab ipso cardinali de Luna«.14
Lluis dunque si riconnetteva alla memoria del suo grande protettore e amico, il
papa de Luna, e addirittura alla sua cerchia parentale.
La cappella di Lluis de Prades non è situata nella chiesa, ma nell’angolo sud-est
della fabbrica conventuale, al di sotto del piano claustrale, in un »blocco turriforme« che sale per circa due piani raggiungendo così il livello della sala capitolare15.
Sfruttando i dislivelli della natura rocciosa del luogo, si connette con la quota più
bassa del complesso, al punto che la cappella risulta di fatto sotterranea. Così sprofondata nel sottosuolo, è intitolata agli »Angeli«, come dice Cherubino Mirzio, »capellam sancti Michaelis et omnium angelorum [...] fieri voluit largissime sumptis
datis«.16 Come ha ben mostrato Roberta Cerone, al di sopra della cappella sublacense erano situate due sale, all’esterno segnalate da un balcone, verosimilmente la
residenza privata di de Prades.17 Dunque, una posizione ribaltata ma parallela a
quella del palazzo avignonese, cui si approssima per la privatezza e il sostanziale isolamento dell’ambiente: la cappella di Clemente VI era in fondo anch’essa isolata,
13 Carla Faldi Guglielmi, »Affreschi inediti in Santa Scolastica a Subiaco«, in Bollettino d’Arte,
35 (IV ser.), 1950, pp.113-122; Romano, Eclissi di Roma (nota 9); Tomei, »Tra Abruzzo e Lazio: affreschi quattrocenteschi« (nota 9); Roberta Cerone & Alessandro Cosma, »›Ecclesiam
capitulumque a principio reformavit‹. Riforma spirituale e rinnovamento materiale nel monastero sublacense di Santa Scolastica tra XIV e XV secolo«, in Universitates e baronie, ed. Pistilli, Manzari & Curzi (nota 6), vol. 2, pp. 191-212, specialmente pp. 200-212.
14 Cerone & Cosma, »Ecclesiam capitulumque« (nota 13), p. 204; Gilles Gerard Messermann,
»Gli amici spirituali di Santa Caterina a Roma nel 1378 alla luce del primo manifesto urbanista«, in Bullettino senese di storia patria, 21, 1962, Atti del simposio, pp. 83-123, p. 99; Barbara Frank, »Subiaco, ein Reformkonvent des späten Mittelalters. Zur Verfassung und Zusammensetzung der Sublacenser Mönchsgemeinschaft in der Zeit von 1362 bis 1514«, in
Quellen und Forschungen, 52, 1972, pp. 526-656, p. 578. È la Bevilacqua, »La cappella« (nota 6), p. 217, a ritenere di difficile giustificazione la scelta di Lluis de Prades.
15 Recentemente l’argomento è stato studiato bene, e con un’accurato censimento dei documenti nell’archivio del convento, da parte di Roberta Cerone (Cerone & Cosma, »Ecclesiam
capitulumque« [nota 13]: l’espressione »blocco turriforme« è ripresa da quest’articolo [p.
198]).
16 Mirzio, Cronaca (nota 8), p. 485.
17 Cerone in Cerone & Cosma, »Ecclesiam capitulumque« (nota 13), pp. 198-199. Giustamente
la Cerone suppone che i medesimi ambienti siano stati poi utilizzati, e con fini e funzioni
analoghe, dal vescovo Gundisalvo di Portogallo, che si ritira a Subiaco e nel 1462 vi firma il
proprio testamento.
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Fig. 1: Subiaco,
Santa Scolastica,
cappella degli
Angeli, la volta con
il Padre Eterno e le
gerarchie angeliche
(da Cantone,
»Recuperi e nuove
possibilità«
[Subiaco 2004],
p. 153, fig. 49)
ma in alto, in cima alla torre della Guardaroba, al di sopra dello studio di Clemente, e da lui era usata come luogo privato di raccoglimento e preghiera.18
I temi iconografici del ciclo pittorico sublacense sono ancora ben identificabili,
nonostante le ridipinture operate da Lais e Bianchini nel 1854-1855, non riparabili o riparate nemmeno nell’ultimo restauro, pubblicato nel 2004.19 Nella volta
(fig.1), attorno al medaglione con il Padre Eterno, appaiono le gerarchie angeliche,
qui in numero di otto: chissà se la definizione di Martino I – »gli angeli di tutte le
province« – alludeva ugualmente al ventaglio dei cori angelici.20 Sulle pareti un ciclo dell’Infanzia e della Passione di Cristo (fig 2), in cui, accanto alla Crocifissione,
sono stati scelti episodi a forte sottolineatura mistica e penitenziale: la Preghiera e la
Tentazione di Cristo nel deserto, e la Preghiera nel Getsemani. Difficile non immagi18 Cfr. nota 4.
19 Canonico Jannuccelli, Memorie di Subiaco e sua badia, Subiaco 1856; Rosalba Cantone, »Recuperi e nuove possibilità di lettura critica degli apparati decorativi nei monasteri benedettini
di Subiaco«, in Lo spazio del silenzio. Storia e restauri dei monasteri benedettini di Subiaco, ed.
Augusto Ricci & Maria Antonietta Orlandi, Subiaco 2004, pp. 125-225, specialmente
pp. 146-162.
20 Romano, Eclissi di Roma (nota 9), p. 466. La Bevilacqua, »La cappella« (nota 6), p. 214, ricorda che il tema delle gerarchie angeliche è alquanto diffuso tra fine Trecento e primo Quattrocento, e ricorda il caso del Camposanto di Pisa, dell’Annunziata di Riofreddo, e della parete nord di San Clemente a Roma. Sull’iconografia angelica, Barbara Bruderer Eichberg, Les
neufs choeurs angéliques Origine et évolution d’une thème dans l’art du Moyen Âge, Poitiers 1998
(Civilisation Médiévale, 6).
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Fig. 2: La Caduta degli angeli ribelli, il Battesimo di Cristo e la Fuga in Egitto.
Subiaco, Santa Scolastica, cappella degli Angeli (foto: Autore)
nare un nesso con il momento esistenziale cupo e autoriflessivo del committente;
ma anche il parallelo tracciato dalla Bevilacqua con i temi della predicazione di Vicente Ferrer è interessante, tenendo fra l’altro presente la familiarità che de Prades
aveva avuto con i fratelli Ferrer, e l’originaria vicinanza di Vicente al partito avignonese e al papa de Luna.21 Nelle lunette appaiono alcune – tre – scene micaeliche:
l’Apparizione sul monte Gargano con il Miracolo del Toro (fig 3), la Caduta degli angeli ribelli (fig 2), e l’Anticristo decapitato dalla spada dell’Arcangelo Michele.22
21 Bevilacqua, »La cappella« (nota 6), p. 219.
22 La Bevilacqua, ibid., p. 214, nota che la parete che ospita la Natività, l’Annuncio ai pastori, e
l’Apparizione sul Monte Gargano, è di fatto la costa rocciosa, sfruttata nella struttura dell’edificio e della stessa cappella: una coincidenza probabilmente voluta, giacché tutti e tre gli episodi hanno ambientazioni rupestri o almeno solitarie. Le affinità con la tradizione rupestre
del culto micaelico (su cui si veda Culto e santuari di san Michele nell’Europa medievale, Atti
del convegno [Bari-Monte Sant’Angelo, 2006], ed. Pierre Bouet, Giorgio Otranto & André
Vauchez, Bari 2007; e Rappresentazioni del Monte e dell’Arcangelo san Michele nella letteratura
e nelle arti, Atti del convegno [Cerisy-la-Salle, Centre Culturel de Cerisy-la-Salle, 2008], ed.
Pierre Bouet et al., Bari 2011) sono a mio avviso meno forti di quanto pensi la Bevilacqua,
»La cappella« (nota 6), p. 217, che arriva a tracciare un parallelo tra uno dei luoghi denominati Prades, situato nei Pirenei, non lontano dal monastero di Saint-Michel-de-Cuxa, e il
programma della cappella. Non è detto fra l’altro che il Prades pirenaico sia effettivamente il
luogo d’origine del vescovo.
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Fig. 3: Il Miracolo sul Monte Gargano, la Natività con l’Annuncio ai pastori.
Subiaco, Santa Scolastica, cappella degli Angeli (foto: Autore)
Fig. 4: Avignone, Palazzo dei Papi, cappella di san Michele, particolari delle sinopie
(foto: Autore)
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Fig. 5: Avignone, Palazzo dei Papi, cappella di san Michele, particolari delle sinopie
(foto: Autore)
Il tocco mancante alla costruzione di un ponte perfetto tra l’Aragona, Avignone
e Subiaco, sarebbe ovviamente il riscontro di qualche affinità iconografica con il
perduto ciclo giovannettiano del palazzo papale. Ma questa, purtroppo, è ormai
una missione quasi impossibile. I frammenti di sinopia, che pure sono di alta qualità, e perfettamente coerenti con il resto del corpus giovannettiano avignonese, non
sono stati ancora decifrati, e non credo consentiranno di ricostruire il ciclo ad un
grado soddisfacente di completezza; attualmente è molto difficile capire se si trattava di grandi scene unitarie che occupavano ciascuna lo spazio di una parete, o di
uno schema a più episodi, con elementi architettonici a strutturare gli spazi, come
Giovannetti fa a San Marziale, a San Giovanni, e anche alla Certosa di Villeneuveles-Avignon. Sulla parete che ospita la grande bifora, a destra della finestra, si identifica bene un frammento con due figure (fig. 4): si vede un volto femminile che
guarda davanti a sè con espressione stravolta e attonita, e una figura maschile che si
copre il volto con le mani. Un po’ più in basso, sulla sinistra, un’altra mezza figura
maschile (fig. 5) con un manto, che potrebbe far pensare a un san Giovanni Evangelista; molto più in alto, un piccolo volto maschile di tre quarti. Tutte queste figure sembrano in qualche modo orientate verso il centro, cioè verso la finestra, al di
là della quale rimangono tracce di architetture, con arco ribassato tipicamente giovannettiano: il clima angoscioso che sembra di intravvedere potrebbe far pensare a
tematiche apocalittiche, normali nei cicli in cui compare l’Arcangelo Michele. Sulla parete ad angolo con quella appena descritta, incassata a nicchia nello spessore
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Fig. 6: Avignone,
Palazzo dei Papi,
cappella di san
Michele, particolari
delle sinopie
(foto: Autore)
del muro, nella parte centrale si vede una sorta di gruppo (fig. 6), con una figura
maschile con piccola testa levata verso l’alto, forse assisa sotto una tenda e con una
curiosa forma sferica dietro il capo, forse un ornamento dell’architettura che accoglie la figura; più a sinistra si distingue una figurina con volto animalesco o demoniaco; più in basso una serie di segni ondulati e orizzontali (un paesaggio? drappeggi?) e al centro due iscrizioni, che non sono riuscita a decifrare23. Giovannetti
variava parecchio, quando passava dalla sinopia alla pittura, basta guardare i cicli
delle cappelle sopravvissute per rendersene ben conto; ma in una futura occasione,
forse una mappatura attenta di tutti i resti disegnati consentirà di farsi un’idea un
po’ più precisa di quella che doveva essere un’altra delle grandi invenzioni del pittore per il papa, verosimilmente un capolavoro che dovette lasciare un’impressione
durevole su chi fece in tempo a vederla: il re Martino, e il vescovo aragonese.
23 Non ho trovato eventuali spunti fra gli episodi compresi nella Legenda Aurea sotto la festa di
san Michele: Jacopo da Varazze, Legenda Aurea, con le miniature del codice Ambrosiano C 240
inf., ed. Giovanni Paolo Maggioni, trad. ital. coordinata da Francesco Stella, Firenze/Milano
2007, vol. 2, pp. 1104-1121.
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Negli studi italiani, la lettera scritta da Valencia il 4 settembre 1406 da Martino I,
re d’Aragona, al vescovo di Lerida Pere de Çagarriga, è stata avvistata da Enrico
Castelnuovo. Nel suo grande libro del 1962 su Matteo Giovannetti e la pittura ad
Avignone e in Provenza nel Trecento – un libro che per materia, orizzonti, metodo,
metteva in contatto mondi, e studiava eventi e fenomeni non incasellabili nelle categorie dell’arte nazionale o regionale – Castelnuovo ricordava infatti questo documento, il cui testo suona così:
Lo rey d’Aragò. Venerable pare en Xrist, cum nos vullam fer una semblant capella e
de semblant ystoria de la capella dels angels d’aqui del palays d’Avinyo, en la qual
capella es pintada tota la ystoria dels angels de totes les provincies, pregam vos affectuosament que la dita ystoria deboxada de bon maestre en pergamins nos trametats
complidament axi com pus prestament porets... e sera cosa de la qual nos farets molt
gran plaer lo qual molt vos grahirem. Dada en Valencia, sots nostre segell secrer, a .iiii
dies de serembre del any de la nativitat de Nostre Senyor .mccccvi. rex Martinus.1
La richiesta di re Martino, secretata dal suo sigillo, era dunque che il vescovo trovasse un bravo maestro pittore e gli facesse disegnare (»deboxada«) la cappella »degli
angeli« del palazzo di Avignone, e le storie »degli angeli di tutte le province« in essa
dipinte, perché Martino voleva farsi riprodurre il tutto, si suppone nel suo palazzo
di Valencia. È una versione dettagliata del ben noto »modo et forma«, con cui nei
contratti tardo-medievali il committente propone o impone un modello ad un artista: ma in realtà la voglia di appropriazione del sovrano aragonese somiglia piuttosto a quella di Enrico III d’Inghilterra, che avrebbe voluto portarsi a casa la Sainte-Chapelle parigina »sur une brouette«: must del gusto, e viatico per la circolazione
dei modelli d’élite.2
* Un ringraziamento ai miei cari amici Michele Tomasi, Joan Molina Figueiras e Manuela De
Giorgi, per l’aiuto, le fotocopie, e soprattutto la pazienza; e a madame Sophie Biass-Fabiani,
conservatrice al Palais des Papes di Avignone, per il liberale permesso di visitare, fotografare, e
pubblicare le sinopie della cappella di San Michele.
1 Enrico Castelnuovo, Un pittore italiano alla corte di Avignone. Matteo Giovannetti e la pittura
in Provenza nel secolo XIV, Torino 1962 [edizione riveduta e ampliata, Torino 1991], pp. 54 e
162; per la lettera, Antoni Rubiò i Lluch, Documents per a la història de la cultura catalana
medieval, Barcellona 1921, vol. 2, p. 384.
2 Saveur Jérôme Morand, Histoire de la Ste-Chapelle royale du Palais, Parigi 1790, p. 41; Julian
Gardner, »L’architettura del Sancta Sanctorum«, in Sancta Sanctorum, Milano 1995, pp. 1937, p. 32.
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SERENA ROMANO
Naturalmente la lettera illumina un aspetto importante della pratica del disegno
tardo-medievale. Le copie dovevano essere su pergamena, e il re aveva urgenza di averle: il più rapidamente possibile, »com pus prestament portes«. Si ignora se siano state
poi veramente eseguite: se così fu, ce le immaginiamo forse simili agli acquarelli barberiniani delle sacre memorie di Roma, o ai disegni trecenteschi che riproducono brani
degli affreschi giotteschi della basilica inferiore di Assisi, prova della grande fortuna
specialmente del ciclo dell’Infanzia e del suo valore di nave-scuola anche al di là delle
frontiere fiorentine.3 Certo, ai disegni chiesti da Martino si affidava il non facile compito di testimoniare della speciale bellezza della cappella di San Michele, situata in alto
nella torre della Guardaroba nel palazzo papale avignonese: cappella privata di Clemente VI, di curatissima architettura, con vetrate e, appunto, dipinti, che Matteo
Giovannetti eseguì praticamente in contemporanea con quelli della vicina cappella di
San Marziale, e che sono oggi quasi completamente perduti ad eccezione di alcune
sinopie che mai, a mia conoscenza, sono state oggetto di qualche studio.4
Martino d’Aragona voleva farsi copiare e rifare la cappella per gusto personale
ma anche, forse, per una ostentazione di omaggio e ammirazione verso il palazzo
avignonese, sede del papato scismatico da lui costantemente appoggiato. Nel 1406,
data della richiesta, il papa era Pedro de Luna, Benedetto XIII; dei conti di Luna
era anche la moglie di Martino, destinata a morire in quello stesso anno. Tre anni
più tardi, nel 1409, Martino si risposa, questa volta con una nobile della famiglia
de Prades, Margherita: cerimonia nel castello di Bellosguardo presso Barcellona,
presumibilmente fastosa, cui assiste doverosamente lo zio della fanciulla, Lluis de
Prades, vescovo di Maiorca, grande committente specie per opere nella Seu maiorchina. Frequentatore da sempre del palazzo avignonese, Lluis vi svolge tutta la prima parte della carriera come funzionario di curia; come Martino, appoggia il papa
de Luna, ed è perfettamente inserito nell’ambiente filo-avignonese che includeva,
per esempio, i due fratelli Ferrer, Vicente – solo in seguito passato a difendere l’ortodossia – e Bonifacio, generale dei certosini e importante committente.5 Così
legato al re Martino fu Lluis de Prades, che quando, dopo la morte del sovrano, il
potere di Aragona passa ai Trastamara e – già dal 1416 – ad Alfonso V, le sue fortune tracollano; Alfonso tenta di sostituirgli Alfonso Borja, futuro Callisto III; nasco-
3 Stephan Waetzoldt, Die Kopien des 17. Jahrhunderts nach Mosaiken und Wandmalereien in
Rom, Vienna 1964 (Römische Forschungen der Bibliotheca Hertziana, 18); Bernhard Degenhart & Annegritt Schmitt, Corpus der italienischen Zeichnungen 1300-1450, vol. 1,1, Berlino 1968, cat. n. 46-49 e 52.
4 L’architetto fu Jean de Louvres; i lavori di costruzione ebbero luogo a partire dal 1342; dal 1343
sono pagati i ponteggi per i pittori, e i pagamenti a Giovannetti e ai suoi aiuti sono dal gennaio
1344 al 1° settembre 1345. Léon-Honoré Labande, Le Palais des Papes et les monuments d’Avignon au XIVe siècle, Marsiglia 1925, vol. 1, pp. 1-20, 72, 107; Castelnuovo, Un pittore (nota 1);
Michel Laclotte & Dominique Thiébaut, L’Ecole d’Avignon, Parigi 1983, pp. 165-166; Dominique Vingtain, Avignon. Le Palais des Papes, St. Léger-Vauban 1998, pp. 101, e 286-288.
5 Sul retablo di Bonifacio Ferrer al Museo de Bellas Artes di Valencia, databile circa 1400-1402,
Cornelia Syre, Studien zum ›Maestro del Bambino Vispo‹ und Starnina, Bonn 1979, p. 73.
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no guai di tipo fiscale, e alla fine Lluis preferisce esiliarsi a Roma.6 Già da prima,
certamente, egli doveva aver riflettuto sul tracollo del partito avignonese, e accettato la nuova realtà: sembra infatti aver avuto buoni rapporti con Martino V, che gli
affida una sorta di ›caccia allo scismatico‹ nella diocesi maiorchina, e forse la presenza di Martino a Roma può essere una spiegazione di quella che appare una scelta comunque inaspettata.7
Lluis cambia dunque mondo, abbandona l’ambiente ispanico e avignonese che
gli era da sempre familiare, e va ad annidarsi esattamente nel cuore di quelli che
erano stati gli avversari di tutta la sua cerchia di un tempo. Forse anche scelta politica, se non opportunistica, quella del vescovo maiorchino rivela probabilmente
anche una stanchezza personale, un senso di perdita degli appoggi consueti e di disfatta dell’operato di tutta una vita; e significativa dell’attitudine certo meditativa,
forse introversa, forse anche nostalgica, dei suoi ultimi anni, mi appare la scelta di
Subiaco per la fondazione di una sua cappella, la cui destinazione funeraria non è
chiarissima, e il cui nesso con una consuetudine di devozione e raccoglimento alle
frontiere del mistico sembrerebbe invece evidente. Secondo la Cronaca di Cherubino Mirzio, de Prades, »ex utraque linea regali exortus progenie Aragonensi«, giunge
a Subiaco nel 1421 – dunque immediatamente dopo il trasferimento in Italia – »ex
devotionis causa«; generoso verso ambedue i monasteri sublacensi, in quello di Santa Scolastica »cappellam S. Michaelis Archangeli omniumque Angelorum, subtus
sacrarium divae Scholasticae positum, in eum ut modo extat, formam reduxit«.8
Mirzio insiste sul fatto che de Prades alternasse i soggiorni a Roma e quelli a Subiaco, costantemente dispensando sostanze e facendo doni di oggetti liturgici ad ambedue i monasteri, fino al giorno della morte, avvenuta nel 1429. Si è sempre ritenuto che egli volesse la cappella quale futuro luogo di sepoltura: ma proprio questa
certezza è stata recentemente messa in dubbio dalla Bevilacqua, che ha riletto i documenti e anche la lapide sepolcrale il cui testo è tramandato in un manoscritto
ottocentesco del Dolci, conservato nel convento.9 È possibile in sostanza che il de
6 Traggo l’essenziale di queste notizie da Jaume Sastre Moll, La Seu de Mallorca (1390-1430).
La prelatura del bisbe Lluìs de Prades i d’Arenòs, Consell de Mallorca 2007; e si veda Pius Bonifacius Gams, Series Episcoporum ecclesiae catholicae, Lipsia 1873, p. 47; Conrad Eubel, Hierarchia Catholica Medii Aevi, Münster 1912, vol. 1, pp. 232, e 337-338; Lidia Bevilacqua,
»La cappella degli Angeli di Santa Scolastica a Subiaco: problemi storici e iconografici«, in
Universitates e baronie. Arte e architettura in Abruzzo e nel Regno al tempo dei Durazzo, Atti del
convegno (Guardiagrele-Chieti, 9-11 novembre 2006), ed. Pio Francesco Pistilli, Francesca
Manzari & Gaetano Curzi, Pescara 2008, vol. 2, pp. 213-226.
7 Vincente Angel Alvarez Palenzuela, »Ultimas repercusiones der Cisma de Occidente en
España«, in Estudios en memoria del profesor don Claudio Sanchez Albornoz, ed. Claudio Sánchez-Albornoz & Miguel Angel Ladero Quesada, vol. 1, Madrid 1986, pp. 53-80; Bevilacqua, »La cappella« (nota 6), p. 217.
8 Cherubino Mirzio, Cronaca Sublacense, ed. don Leone Allodi, Roma 1885, pp. 483-486; Bevilacqua, »La cappella« (nota 6), pp. 215-216.
9 Bevilacqua, »La cappella« (nota 6), p. 216 e note 13-15. Lo scritto di Mellito Dolci copia la
cronaca del Mirzio incorporandovi altri documenti da lui ritrovati negli archivi del convento;
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Prades sia stato in realtà sepolto all’esterno della chiesa, e traslato nella cappella solo
negli anni Settanta del Quattrocento.10 Si noti che il testo della lapide suona come
un riassunto autogiustificativo delle vicende esistenziali di de Prades: gli anni scismatici sono esplicitamente menzionati, come anche il nome di Petro de Luna e la
fedeltà avignonese di de Prades – definito »di stirpe regale aragonese« – ma si tiene
a precisare il passaggio dell’ex-camerario pontificio alla sponda romana di Martino
V e all’»unità della Chiesa cattolica«:
LUDOVICUS COMITIBUS MONTES DE PRADOS ARAGONEORUM REGUM STIRPE... HIC REBUS ECCLESIAE LONGO PONTIFICUM DISSIDIO
TURBATIS PETRUM LUNENSEM SEQUUTUS, QUOD SINE NOXA LICUIT, CAMERARII MUNERE APUD EUNDEM FUNCTUS EST; VERUM SUBLATO SCHISMATE PETRUM DESERUIT, ET MARTINUM V P.M. ASSECTATUS PATRIA, ET PONTIFICALI SEDE EXTORRIS OMNIA CATHOLICAE
ECCLESIAE UNITATI ULTRO POSTHABUIT.11
Subiaco, luogo austero e aspro, aveva accolto altri celebri personaggi desiderosi di
isolamento eremitico e di penitenza: il caso di Gregorio IX è ben noto.12 Gregorio
aveva però scelto il roccioso Sacro Speco, laddove Santa Scolastica sembra aver avuto una tradizione più light: certamente, tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento, vive un periodo di grande vivacità culturale, durante il quale tra l’altro
l’abate Tommaso da Celano – nel 1408 – fa dipingere la chiesa con lo straordinario
si tratta dell’opera citata da tutti, a partire dal volume di Egidi-Giovannoni-Hermanin-Federici del 1904, che la Bevilacqua ha ben riletto e finalmente ben identificato nelle sue stratificazioni storiche. Francesco Egidi, »Notizie storiche«, in I monasteri di Subiaco, ed. Francesco
Egidi, Gustavo Giovannoni & Federico Hermanin, Roma 1904, vol. 1, p. 153; Federico
Hermanin, »Gli affreschi«, ibid., vol. 1, p. 517; Vincenzo Federici, »La biblioteca e l’archivio«, ibid., vol. 2, p. 428; Serena Romano, Eclissi di Roma, Roma 1992, pp. 465-466; Alessandro Tomei, »Tra Abruzzo e Lazio: affreschi quattrocenteschi nel transetto di Santa Scolastica a Subiaco«, in L’Abruzzo in età angioina. Arte di frontiera tra Medioevo e Rinascimento,
Atti del convegno (Chieti, Campus Universitario, 1-2 aprile 2004), ed. Daniele Benati &
Alessandro Tomei, Milano 2005, pp. 237-253, p. 249. Il Mirzio (p. 486) mette ovviamente
in scena il momento della sepoltura di de Prades nella cappella, portato a spalla dai monaci,
fra pianti e preghiere: la collocazione nella cappella è da lui interpretata quale segno di umiltà, in quanto luogo al di fuori della chiesa di Santa Scolastica.
10 Bevilacqua, »La cappella« (nota 6), p. 225 nota 14, che cita il documento del 1478 copiato
nel testo di Dolci (»ad sancti Michelis capellam quam ipse episcopus fundaverat est allatum
ibique ante altare sepultum«: Subiaco, Archivio dell’Abbazia di Santa Scolastica, arca IV, 36;
Dolci, fol. 418-420).
11 Il testo della lapide è riportato da Bevilacqua, »La cappella« (nota 6), p. 216, che lo riprende
dal manoscritto del Dolci, fol. 418.
12 Alessandro Bianchi, »Una proposta per l’inquadramento storico degli affreschi della cappella
di S. Gregorio al Sacro Speco di Subiaco«, in Federico II e l’arte del ‘200, Atti della III settimana di studi di storia dell’arte medievale dell’Università di Roma La Sapienza, 15-20 maggio
1978, ed. Angiola Maria Romanini, vol. 2, Galatina 1981, pp. 5-14.
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ciclo pittorico attribuito al Maestro Caldora e ai suoi aiuti.13 Tuttavia il motivo della scelta di Lluis, che è stata definita »difficile da giustificare«, sembra ancora una
volta legata al passato del vescovo e al suo mondo d’origine. All’epoca dello scisma,
i monasteri sublacensi, popolati da un gran numero di monaci ispanici, avevano
infatti parteggiato per il partito avignonese, ed erano in particolare legati proprio a
Pedro de Luna, Benedetto XIII, che tra i monaci sublacensi contava anche un proprio parente: la testimonianza è di un contemporaneo, il domenicano Gonsalvo de
Aragona, che scrive nel 1389 come i monaci dello Speco fossero »devoti et noti cardinali de Luna. Qui etiam in multis informati erant ab ipso cardinali de Luna«.14
Lluis dunque si riconnetteva alla memoria del suo grande protettore e amico, il
papa de Luna, e addirittura alla sua cerchia parentale.
La cappella di Lluis de Prades non è situata nella chiesa, ma nell’angolo sud-est
della fabbrica conventuale, al di sotto del piano claustrale, in un »blocco turriforme« che sale per circa due piani raggiungendo così il livello della sala capitolare15.
Sfruttando i dislivelli della natura rocciosa del luogo, si connette con la quota più
bassa del complesso, al punto che la cappella risulta di fatto sotterranea. Così sprofondata nel sottosuolo, è intitolata agli »Angeli«, come dice Cherubino Mirzio, »capellam sancti Michaelis et omnium angelorum [...] fieri voluit largissime sumptis
datis«.16 Come ha ben mostrato Roberta Cerone, al di sopra della cappella sublacense erano situate due sale, all’esterno segnalate da un balcone, verosimilmente la
residenza privata di de Prades.17 Dunque, una posizione ribaltata ma parallela a
quella del palazzo avignonese, cui si approssima per la privatezza e il sostanziale isolamento dell’ambiente: la cappella di Clemente VI era in fondo anch’essa isolata,
13 Carla Faldi Guglielmi, »Affreschi inediti in Santa Scolastica a Subiaco«, in Bollettino d’Arte,
35 (IV ser.), 1950, pp.113-122; Romano, Eclissi di Roma (nota 9); Tomei, »Tra Abruzzo e Lazio: affreschi quattrocenteschi« (nota 9); Roberta Cerone & Alessandro Cosma, »›Ecclesiam
capitulumque a principio reformavit‹. Riforma spirituale e rinnovamento materiale nel monastero sublacense di Santa Scolastica tra XIV e XV secolo«, in Universitates e baronie, ed. Pistilli, Manzari & Curzi (nota 6), vol. 2, pp. 191-212, specialmente pp. 200-212.
14 Cerone & Cosma, »Ecclesiam capitulumque« (nota 13), p. 204; Gilles Gerard Messermann,
»Gli amici spirituali di Santa Caterina a Roma nel 1378 alla luce del primo manifesto urbanista«, in Bullettino senese di storia patria, 21, 1962, Atti del simposio, pp. 83-123, p. 99; Barbara Frank, »Subiaco, ein Reformkonvent des späten Mittelalters. Zur Verfassung und Zusammensetzung der Sublacenser Mönchsgemeinschaft in der Zeit von 1362 bis 1514«, in
Quellen und Forschungen, 52, 1972, pp. 526-656, p. 578. È la Bevilacqua, »La cappella« (nota 6), p. 217, a ritenere di difficile giustificazione la scelta di Lluis de Prades.
15 Recentemente l’argomento è stato studiato bene, e con un’accurato censimento dei documenti nell’archivio del convento, da parte di Roberta Cerone (Cerone & Cosma, »Ecclesiam
capitulumque« [nota 13]: l’espressione »blocco turriforme« è ripresa da quest’articolo [p.
198]).
16 Mirzio, Cronaca (nota 8), p. 485.
17 Cerone in Cerone & Cosma, »Ecclesiam capitulumque« (nota 13), pp. 198-199. Giustamente
la Cerone suppone che i medesimi ambienti siano stati poi utilizzati, e con fini e funzioni
analoghe, dal vescovo Gundisalvo di Portogallo, che si ritira a Subiaco e nel 1462 vi firma il
proprio testamento.
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SERENA ROMANO
Fig. 1: Subiaco,
Santa Scolastica,
cappella degli
Angeli, la volta con
il Padre Eterno e le
gerarchie angeliche
(da Cantone,
»Recuperi e nuove
possibilità«
[Subiaco 2004],
p. 153, fig. 49)
ma in alto, in cima alla torre della Guardaroba, al di sopra dello studio di Clemente, e da lui era usata come luogo privato di raccoglimento e preghiera.18
I temi iconografici del ciclo pittorico sublacense sono ancora ben identificabili,
nonostante le ridipinture operate da Lais e Bianchini nel 1854-1855, non riparabili o riparate nemmeno nell’ultimo restauro, pubblicato nel 2004.19 Nella volta
(fig.1), attorno al medaglione con il Padre Eterno, appaiono le gerarchie angeliche,
qui in numero di otto: chissà se la definizione di Martino I – »gli angeli di tutte le
province« – alludeva ugualmente al ventaglio dei cori angelici.20 Sulle pareti un ciclo dell’Infanzia e della Passione di Cristo (fig 2), in cui, accanto alla Crocifissione,
sono stati scelti episodi a forte sottolineatura mistica e penitenziale: la Preghiera e la
Tentazione di Cristo nel deserto, e la Preghiera nel Getsemani. Difficile non immagi18 Cfr. nota 4.
19 Canonico Jannuccelli, Memorie di Subiaco e sua badia, Subiaco 1856; Rosalba Cantone, »Recuperi e nuove possibilità di lettura critica degli apparati decorativi nei monasteri benedettini
di Subiaco«, in Lo spazio del silenzio. Storia e restauri dei monasteri benedettini di Subiaco, ed.
Augusto Ricci & Maria Antonietta Orlandi, Subiaco 2004, pp. 125-225, specialmente
pp. 146-162.
20 Romano, Eclissi di Roma (nota 9), p. 466. La Bevilacqua, »La cappella« (nota 6), p. 214, ricorda che il tema delle gerarchie angeliche è alquanto diffuso tra fine Trecento e primo Quattrocento, e ricorda il caso del Camposanto di Pisa, dell’Annunziata di Riofreddo, e della parete nord di San Clemente a Roma. Sull’iconografia angelica, Barbara Bruderer Eichberg, Les
neufs choeurs angéliques Origine et évolution d’une thème dans l’art du Moyen Âge, Poitiers 1998
(Civilisation Médiévale, 6).
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Fig. 2: La Caduta degli angeli ribelli, il Battesimo di Cristo e la Fuga in Egitto.
Subiaco, Santa Scolastica, cappella degli Angeli (foto: Autore)
nare un nesso con il momento esistenziale cupo e autoriflessivo del committente;
ma anche il parallelo tracciato dalla Bevilacqua con i temi della predicazione di Vicente Ferrer è interessante, tenendo fra l’altro presente la familiarità che de Prades
aveva avuto con i fratelli Ferrer, e l’originaria vicinanza di Vicente al partito avignonese e al papa de Luna.21 Nelle lunette appaiono alcune – tre – scene micaeliche:
l’Apparizione sul monte Gargano con il Miracolo del Toro (fig 3), la Caduta degli angeli ribelli (fig 2), e l’Anticristo decapitato dalla spada dell’Arcangelo Michele.22
21 Bevilacqua, »La cappella« (nota 6), p. 219.
22 La Bevilacqua, ibid., p. 214, nota che la parete che ospita la Natività, l’Annuncio ai pastori, e
l’Apparizione sul Monte Gargano, è di fatto la costa rocciosa, sfruttata nella struttura dell’edificio e della stessa cappella: una coincidenza probabilmente voluta, giacché tutti e tre gli episodi hanno ambientazioni rupestri o almeno solitarie. Le affinità con la tradizione rupestre
del culto micaelico (su cui si veda Culto e santuari di san Michele nell’Europa medievale, Atti
del convegno [Bari-Monte Sant’Angelo, 2006], ed. Pierre Bouet, Giorgio Otranto & André
Vauchez, Bari 2007; e Rappresentazioni del Monte e dell’Arcangelo san Michele nella letteratura
e nelle arti, Atti del convegno [Cerisy-la-Salle, Centre Culturel de Cerisy-la-Salle, 2008], ed.
Pierre Bouet et al., Bari 2011) sono a mio avviso meno forti di quanto pensi la Bevilacqua,
»La cappella« (nota 6), p. 217, che arriva a tracciare un parallelo tra uno dei luoghi denominati Prades, situato nei Pirenei, non lontano dal monastero di Saint-Michel-de-Cuxa, e il
programma della cappella. Non è detto fra l’altro che il Prades pirenaico sia effettivamente il
luogo d’origine del vescovo.
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Fig. 3: Il Miracolo sul Monte Gargano, la Natività con l’Annuncio ai pastori.
Subiaco, Santa Scolastica, cappella degli Angeli (foto: Autore)
Fig. 4: Avignone, Palazzo dei Papi, cappella di san Michele, particolari delle sinopie
(foto: Autore)
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Fig. 5: Avignone, Palazzo dei Papi, cappella di san Michele, particolari delle sinopie
(foto: Autore)
Il tocco mancante alla costruzione di un ponte perfetto tra l’Aragona, Avignone
e Subiaco, sarebbe ovviamente il riscontro di qualche affinità iconografica con il
perduto ciclo giovannettiano del palazzo papale. Ma questa, purtroppo, è ormai
una missione quasi impossibile. I frammenti di sinopia, che pure sono di alta qualità, e perfettamente coerenti con il resto del corpus giovannettiano avignonese, non
sono stati ancora decifrati, e non credo consentiranno di ricostruire il ciclo ad un
grado soddisfacente di completezza; attualmente è molto difficile capire se si trattava di grandi scene unitarie che occupavano ciascuna lo spazio di una parete, o di
uno schema a più episodi, con elementi architettonici a strutturare gli spazi, come
Giovannetti fa a San Marziale, a San Giovanni, e anche alla Certosa di Villeneuveles-Avignon. Sulla parete che ospita la grande bifora, a destra della finestra, si identifica bene un frammento con due figure (fig. 4): si vede un volto femminile che
guarda davanti a sè con espressione stravolta e attonita, e una figura maschile che si
copre il volto con le mani. Un po’ più in basso, sulla sinistra, un’altra mezza figura
maschile (fig. 5) con un manto, che potrebbe far pensare a un san Giovanni Evangelista; molto più in alto, un piccolo volto maschile di tre quarti. Tutte queste figure sembrano in qualche modo orientate verso il centro, cioè verso la finestra, al di
là della quale rimangono tracce di architetture, con arco ribassato tipicamente giovannettiano: il clima angoscioso che sembra di intravvedere potrebbe far pensare a
tematiche apocalittiche, normali nei cicli in cui compare l’Arcangelo Michele. Sulla parete ad angolo con quella appena descritta, incassata a nicchia nello spessore
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Fig. 6: Avignone,
Palazzo dei Papi,
cappella di san
Michele, particolari
delle sinopie
(foto: Autore)
del muro, nella parte centrale si vede una sorta di gruppo (fig. 6), con una figura
maschile con piccola testa levata verso l’alto, forse assisa sotto una tenda e con una
curiosa forma sferica dietro il capo, forse un ornamento dell’architettura che accoglie la figura; più a sinistra si distingue una figurina con volto animalesco o demoniaco; più in basso una serie di segni ondulati e orizzontali (un paesaggio? drappeggi?) e al centro due iscrizioni, che non sono riuscita a decifrare23. Giovannetti
variava parecchio, quando passava dalla sinopia alla pittura, basta guardare i cicli
delle cappelle sopravvissute per rendersene ben conto; ma in una futura occasione,
forse una mappatura attenta di tutti i resti disegnati consentirà di farsi un’idea un
po’ più precisa di quella che doveva essere un’altra delle grandi invenzioni del pittore per il papa, verosimilmente un capolavoro che dovette lasciare un’impressione
durevole su chi fece in tempo a vederla: il re Martino, e il vescovo aragonese.
23 Non ho trovato eventuali spunti fra gli episodi compresi nella Legenda Aurea sotto la festa di
san Michele: Jacopo da Varazze, Legenda Aurea, con le miniature del codice Ambrosiano C 240
inf., ed. Giovanni Paolo Maggioni, trad. ital. coordinata da Francesco Stella, Firenze/Milano
2007, vol. 2, pp. 1104-1121.
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