Le Strategie tematiche del VI Programma di azione per l'ambiente

Box 1. Le Strategie tematiche del VI Programma di azione per l'ambiente

  dell'Unione Europea

  La Commissione Europea, con la Comunicazione 2001 n. 31, ha specificato che il VI Programma comunitario di azione per l'ambiente va inteso come un tentativo di superamento dell'approccio “legislativo”, fino ad allora dominante: si intende, cioè, assumere un approccio strategico per influenzare il processo decisionale negli ambienti imprenditoriale, politico, dei consumatori e dei cittadini.

  Il Programma è strutturato in cinque assi di intervento: «migliorare l'applicazione della legislazione vigente, integrare le tematiche ambientali nelle altre politiche, collaborare con il mercato, coinvolgere i cittadini modificandone il comportamento e tener conto dell'ambiente nelle decisioni in materia di assetto e gestione territoriale» 222 . Tale azione è basata su un approccio globale per tematiche, e non su singoli inquinanti o tipi di attività economica, come è avvenuto in passato. Quattro sono i settori d'intervento prioritari, da gestire in modo integrato: cambiamento climatico, biodiversità, ambiente e salute, e gestione sostenibile delle risorse e dei rifiuti. La Commissione prevedeva, dunque, di rendere concreti gli interventi con sette strategie tematiche, per fissare obiettivi a lungo termine su temi ampi, sempre in sinergia, comunque, con gli obiettivi di crescita e occupazione previsti dalla strategia di Lisbona. Essi si articolano in strategie per:

  1) l'inquinamento atmosferico; 2) l'ambiente marino; 3) l'uso sostenibile delle risorse; 4) la prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti; 5) l'uso sostenibile dei pesticidi; 6) laprotezione del suolo; 7) l'ambiente urbano.

  Queste strategie tematiche sono elementi chiave della Better Regulation strategy 223 della Commissione, di cui si intende effettuare la valutazione dell'impatto sociale, ambientale ed economico, e una scelta delle opzioni politiche possibili, nell'applicazione concreta, da praticare attraverso la partecipazione degli stakeholder.

  Anche la Strategia per l'uso sostenibile delle risorse dell'Unione ha l'ambizione di definire un quadro d'azione per ridurre le pressioni ambientali derivanti dalla produzione

  e dal consumo delle risorse naturali, che non penalizzi lo sviluppo economico degli stati.

  222 Dal sito dell'Unione Europea, sezione: Sintesi della legislazione dell'UEAmbienteDisposizioni generali.

  La Better Regulation strategy (tradotta come strategia del “legiferare meglio”) è sviluppata

  dall'Unione europea per organizzare al meglio il sofisticato corpus legislativo atto a sviluppare l'economia, la tutela dell'ambiente e il miglioramento delle normative sociali, in particolare attraverso il completamento del mercato interno. Questo programma si inserisce nel contesto della rinnovata strategia di Lisbona, incentrata sulla crescita e l'occupazione pur continuando a tener conto degli obiettivi sociali e ambientali. «La politica dell'UE per legiferare meglio mira a semplificare e perfezionare la normativa esistente, a concepire meglio le nuove disposizioni e a rafforzare il rispetto e l'efficacia della normativa, il tutto conformemente al principio di proporzionalità», che intende limitare e inquadrare l'azione delle istituzioni dell'Unione a quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi fissati dai trattati. (Cfr. le pp. Web: europa.euscadplusglossaryproportionality_it.htm ed ec.europa.eugovernancebetter_regulationindex_it.htm)

  Naturalmente, questa sfida potrà costituirne la principale debolezza, e, in effetti, non sembra che vi siano significative e diffuse inversioni di tendenza nell'uso delle risorse.

  La Commissione europea tiene comunque conto del fatto che «il ritmo attuale di consumo delle risorse e la pressione ambientale ad esso associata non sono sostenibili» 224 .

  «Il recente Millennium Assessment Report, tenutosi sotto gli auspici delle Nazioni Unite,

  ha dimostrato che su 24 ecosistemi che forniscono materie prime e alimentano la vita sulla terra, ben 15 mostrano segni di degrado o sono usati in modo non sostenibile, creando una minaccia per l’intero pianeta» 225 . Ed è consapevole del fatto che, «malgrado i progressi tecnici, la crescita del consumo di risorse ha spesso superato i progressi compiuti sul piano ambientale o gli incrementi di produttività» 226 : dunque, la strategia dedicata alle risorse è stata costruita in modo che le azioni previste fossero rivolte a tutto il ciclo di vita dei prodotti (l'estrazione, la raccolta, l'utilizzo e lo smaltimento finale) e a tutti i settori che consumano risorse. Gli obiettivi che si pone la Commissione sono quelli di dissociare la crescita economica da un uso elevato di risorse (dematerializzazione) e da impatti ambientali negativi, attraverso miglioramenti nel rendimento delle risorse utilizzate e riduzioni degli impatti ambientali da attuarsi, ad esempio, sviluppando la ricerca di alternative a forme di produzione troppo inquinanti.

  224 Dal sito web di Sintesi della legislazione dell'UE, sez. “Sviluppo sostenibile”, alla p. dedicata alla Comunicazione della Commissione, del 21 dicembre 2005, COM(2005) 670, intitolata: "Strategia tematica per

  l'uso sostenibile delle risorse naturali".

  Commissione Europea, nota per la stampa IP051674-Bruxelles, 21 dicembre 2005, “La

  Commissione propone una strategia europea per l’uso sostenibile delle risorse naturali”. Si veda anche la p. web www.millenniumassessment.orgenindex.aspx.

  226 Ibidem.

  Fig. 9. La strategia europea per l'uso sostenibile delle risorse. La vision sui due disaccoppiamenti previsti: uso risorse crescita economica (dematerializzazione), uso risorse impatto ambientale

  Fonte: Presentazione alla European Union Stakeholder Information Meeting, Thematic Strategies on the sustainable use of resources and on the prevention and recycling of waste , Brussels, 16 January 2006.

  Le politiche comunitarie devono poi trovare applicazione attraverso gli Stati membri, che sono invitati a elaborare misure e programmi di istruzione e formazione e a incentivare economicamente i comportamenti definiti virtuosi.

  Bisogna dire che gli obiettivi non sono stati quantificati, per permettere studi ulteriori su quali siano le quote maggiormente desiderabili. Questo, naturalmente, potrebbe assumere valenza positiva o meno, in base a quali saranno i criteri di definizione degli obiettivi. Ad ogni modo il Programma prevede di migliorare le conoscenze relative all'uso delle risorse e al loro impatto, con l'aiuto di:

  • studi di impatto ambientale; • la creazione di un centro dati che raccolga tutte le conoscenze disponibili sulle

  risorse naturali, guidato dalla Commissione e in connessione con Eurostat, operativo dalla fine del 2006;

  • l'elaborazione di indicatori atti a consentire monitoraggi e valutazioni delle

  politiche per il 2008; • la creazione di un gruppo internazionale di esperti in cooperazione con l'Unep,

  incaricato di esprimere pareri scientifici indipendenti sugli aspetti globali dell’uso delle risorse. 227

  Attualmente, dalle informazioni rese disponibili on-line dalla Commissione Europea, risultano compiuti numerosi studi sul tema delle risorse naturali, con una notevole mobilitazione di esperti e con il coinvolgimento di svariati stakeholder. Inoltre, questa strategia è già parte integrante della strategia tematica in materia di rifiuti, mentre se ne prevede l'estensione anche nei settori dei trasporti e dell'energia.

  Nonostante tali sforzi legislativi e di ricerca, significativi progressi degli stati membri sono difficili da ottenere: un insieme di cause blocca la rincorsa alla sostenibilità, come interessi delle lobby e la “tirannia dello status quo”, da un lato, e la crescita dei consumi dall'altro. La stessa Unione, ricorda Esu 228 , ha nel recente passato evidenziato le difficoltà del passaggio dalle proposte all'azione, ad esempio con il Libro bianco di Delors 229

  e con il parere del Comitato Economico e Sociale 230 che puntava l'attenzione sul rischio che

  i principi restassero lettera morta, senza un messaggio politico forte che orientasse le politiche verso lo sviluppo sostenibile a tutte le scale di azione.

  Passando alla scala nazionale italiana, anche il sistema di governo dell'ambiente italiano, attraverso gli studi dell’Apat (oggi Ispra) 231 , mostra di avere speso competenze

  nella direzione della sostenibilità dell'uso delle risorse, almeno nel campo della ricerca. Dall'analisi del capitolo “Uso delle risorse e produzione di rifuti” dell'Annuario dei dati ambientali 2007 232 dell'Apat risulta chiaro che il legame tra risorse e rifiuti è un assunto anche per l'agenzia italiana per l'ambiente. Tale ricerca è interessante per comprendere

  Cfr. ibidem, e il sito web dell'Unione Europea alla sez. “Environment” -“Sustainable Use of

  Natural Resources” http:ec.europa.euenvironmentnatresindex.htm, ricco di link a studi sul tema.

  228 Cfr. Esu A., Sistu G., op. cit., p. 27.

  Commissione Europea, Crescita, competitività, occupazione, le sfide del XXI secolo, Lussemburgo

  (pubblicazione conosciuta come Libro bianco di Delors).

  Comitato Economico e Sociale della Comunità Europea, Parere in merito alla Comunicazione

  della Commissione sull'ambiente e l'occupazione (Costruire un'Europa sostenibile), COM (97) 592 def. p.2, punto 2.2. «Lo stesso parere, [dice Esu (v. nota 232)] era stato espresso al momento dell'adozione del V programma per l'ambiente».

  231 L’Apat era L'Agenzia per la Protezione dell'Ambiente e per i servizi Tecnici del governo italiano. Le sue competenze sono confluite nell'Ispra, il nuovo Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca

  Ambientale, creato nel 2008, che ha inglobato anche l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica e l’Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare. Cfr. il sito web dell'Ispra alla p. www.apat.gov.itsiteit-ITAPATL27Istituto_-_ex_APAT.

  232 Cfr.Apat, Annuario dei dati ambientali 2007. Tematiche in primo piano. Si veda in particolare il cap. “Uso delle risorse e produzione di rifiuti. Utilizzo di risorse materiali. Ciclo dei rifiuti”.

  quali siano le tendenze di consumo di materiali alla scala nazionale italiana, e per trarne alcune conclusioni rispetto alla questione della prevenzione dei rifiuti. Parecchia importanza è qui data al tema della dematerializzazione come tendenza del mondo produttivo tecnologicamente avanzato: essa viene spesso vista come una possibile soluzione ai mali dello sviluppo, ma la sua efficacia, nel campo delle politiche ambientali, dipende da vari fattori, che l'Annuario in parte mette in luce. In esso sono calcolati i flussi di materiali estratti dal territorio nazionale o da quello estero, che vengono immessi nel ciclo produttivo come input, trasformati in output e venduti sul mercato (interno o estero, come prodotti finiti o semilavorati). Lo scopo dello studio risiede nel tentativo di definire un quadro delle quantità di materiali estratti, trasformati eo consumati nel territorio italiano, al fine di identificare alcune tendenze conseguenti all’interazione dei seguenti fattori: variazioni del consumo di risorse, variazioni del prodotto interno lordo e produzione di rifiuti 233 . I risultati sono significativi, per cui è utile riportare una breve sintesi dei punti fondamentali che emergono:

  •

  l’Estrazione Interna Totale (Eit) di risorse 234 mostra una leggera tendenza alla decrescita (complessivamente del 20 nel periodo 1980-2004), sia pur contrastata

  da variazioni cicliche riconducibili all’influenza dei cicli economici sulla domanda di risorse naturali vergini (c’è stato ad esempio un incremento del 21 nel periodo 2000-2004) 235 . Nello stesso periodo si è verificata una crescita del Pil pari al 53. Si è dunque verificato un disaccoppiamento tra Pil ed Eit in termini assoluti. Si tratta però di una tendenza poco stabile. Bisogna considerare inoltre gli scambi di materiali con l’estero;

  •

  nello stesso periodo in cui l’Eit è diminuita, la Bilancia Commerciale Fisica (Bcf) 236 è cresciuta del 35, riflettendo la dipendenza italiana dalle importazioni di materie

  prime e la conferma del ruolo economico dell’Italia nella divisione internazionale del lavoro come trasformatore di materie prime o beni semilavorati (ruolo che emerge dal confronto tra la BCF e la bilancia commerciale, in cui si nota che, quanto

  a valore economico relativo a un’unità di peso, le esportazioni siano maggiori delle importazioni) 237 . Questo dato testimonia come parte delle pressioni potenzialmente

  Si vedano le pubblicazioni dell’Apat, Annuario dei dati ambientali 2007. Tematiche in primo piano, in

  particolare il cap. “Uso delle risorse e produzione di rifiuti. Utilizzo di risorse materiali. Ciclo dei rifiuti”, e Annuario dei dati ambientali 2007.Vademecum , in particolare le pp. 25-29.

  L’indicatore «fornisce informazioni sull’utilizzo delle risorse presenti nel territorio nazionale,

  nonché sulle pressioni potenzialmente esercitate su tale territorio attraverso il loro prelievo», in Apat, Vademecum , op. cit. p. 25.

  235 Cfr. Apat, Annuario dei dati ambientali 2007. Tematiche in primo piano, pp. 144 e 147.

  La Bilancia Commerciale Fisica calcola il saldo dello scambio di materie con l’estero, fornendo

  «un’approssimativa indicazione circa il ruolo dell'estrazione delle risorse e del loro uso e delle relative potenziali pressioni sull'ambiente», in APAT, Tematiche in primo piano, op.cit., p. 148.

  237 Cfr. Ibidem, p. 149.

  esercitate sul territorio attraverso il prelievo di materie prime sono state trasferite all’estero. Un discorso analogo, ma di segno contrario, vale per i beni esportati;

  • in un quadro di crescita delle importazioni di materiali, «se il commercio con

  l’estero libera dal vincolo delle risorse nazionali e trasferisce pressioni all’estero dal lato dell’input, dal lato dell’output esso fa sì che la quantità di materia che rimane nell’ambiente naturale nazionale sia maggiore rispetto a quanto sarebbe possibile sulla base delle sole risorse interne» 238 ;

  • il Consumo Materiale Interno (Cmi) è la somma di tutti i materiali, di estrazione

  interna o estera, che rimangono nel paese e sono trasformati in capitale fisico (beni mobili e immobili) o in sottoprodotti di scarto (rifiuti, emissioni in aria o in acqua, usi dissipativi ecc.). Guardando sempre alla serie storica 1980-2004, il rapporto dell’Apat evidenzia una maggiore efficienza economica nello sfruttamento dei materiali: il Cmi oscilla abbastanza negli anni, ma in media rimane sostanzialmente costante, mentre le risorse economiche per usi interni sono cresciute del 55; 239

  • il Fabbisogno Materiale Totale (Fmt) calcola «tutti i flussi di materia, utilizzati e

  non, che nel periodo contabile hanno reso possibile direttamente o indirettamente il funzionamento dell'economia italiana» 240 : da questo aggregato di indicatori risulta

  che tali flussi siano cresciuti del 31,8 dal 1980 al 2004. La crescita del Fmt è dovuta soprattutto ai flussi indiretti associati alle importazioni di materie prime, che sono aumentati del 79,5, passando dal 38 a circa il 52 circa del Fmt. Ciò indica come le attività economiche del Paese, pur non coinvolgendo direttamente una quantità crescente di materia, abbiano richiesto il prelievo di sempre maggiori quantità di materia vergine dal sistema naturale nel resto del mondo». Per avere un'idea dei quantitativi di materiali in questione, possiamo affermare, guardando la fig. 9, che negli anni ottanta la media dei materiali utilizzati era all'incirca di 1 miliardo e mezzo di tonnellate, mentre agli inizi degli anni 2000 giunge sin quasi a 2 miliardi e 300 milioni di tonnellate all'anno.

  238 Ibidem, p. 150. 239 Ibidem, p. 159. 240 Cfr. Apat, Annuario dei dati ambientali 2007, p. 153.

Fig. 10. Fabbisogno di Materiale Totale in Italia (1980-2004)

  Fonte: Apat, Annuario dei dati ambientali 2007, p. 154. (Mt: Milioni di tonnellate)

  • Infine, per calcolare quanto la domanda interna di beni e servizi pesi sulla

  movimentazione di materiale a livello globale, e della conseguente produzione di scarti, l'Apat usa l’indice del Consumo Materiale Totale (Cmt). Esso è cresciuto del 7,9 nel periodo preso in esame, giungendo, nel 2004, ad un ammontare di 1 miliardo e 578 milioni di tonnellate di materiali usate per il consumo interno (che, con un calcolo grossolano, ammonterebbero a quasi 30 milioni di tonnellate consumate pro-capite!).

  Concludendo, possiamo affermare che è in atto un aumento dell’efficienza nell’uso delle risorse e un disaccoppiamento tra l'unità di valore delle risorse a disposizione del nostro sistema e la quantità di prelievi e restituzioni all’ambiente naturale, grazie all’uso di minor quantità di materie prime per ottenere beni o servizi uguali o migliori rispetto al passato.

  Le potenziali pressioni sul territorio in Italia sono rimaste stabili, mentre è cresciuta la domanda di risorse naturali e servizi ambientali a livello globale (in particolare sono cresciute le importazioni di materie prime e semilavorati). Tali tendenze, in definitiva, potrebbero essere valutate ottimisticamente, considerando che la tecnologia è effettivamente riuscita ad abbattere notevolmente il consumo di materiali per unità di valore prodotto. Rimane però da risolvere la questione dell'aumento dei consumi, che vanificano i risultati ottenuti dai progressi tecnologici.

  Tali questioni irrisolte fanno parte di una tendenza generalizzata nel mondo. Molti studiosi criticano le speranze riposte nella dematerializzazione dell'economia. L'economista ecologico Martinez Alier, ad esempio, ribadisce che la crescita della popolazione e dei consumi vanificano tali speranze, ma c'è di più: come abbiamo visto in precedenza, le istituzioni internazionali considerano la terziarizzazione dell'economia come una possibile via d'uscita ad un'economia basata su consumi elevati. Ma, nonostante il settore terziario stia acquisendo sempre più importanza negli scambi commerciali (almeno in termini di valore), tanto da guidare l'attuale sviluppo dell'economia, non sta però conducendo alla agognata dematerializzazione dei consumi materiali. Almeno non in termini assoluti: in Germania, ad esempio, vi sono segnali di smaterializzazione relativi al Pil, come in Italia. In Spagna, non c'è nessun segnale di dematerializzazione, neanche relativo. Ma, per l'ambiente, «poco conta il miglioramento per unità di Pil, se il Pil cresce comunque» 241 .A nche il terziario, poi, può far aumentare i consumi e incentivare stili di vita insostenibili: «il danaro guadagnato nel settore dei servizi verrà destinato ad un consumo che per ora è molto intenso in energia e materiali» 242 .

  L'autore, membro della International Society for Ecological Economy, mette in guardia anche dall'usare in modo disinvolto e non ragionato gli indicatori creati per effettuare calcoli: citando ad esempio il Material Input per Unit Service, creato dal Wuppertal Institute, nota come esso sia utile, ma non sufficiente, poiché non considera la tossicità degli elementi utilizzati nei processi di trasformazione della materia. Inoltre, i modi diversi utilizzati nel fare questi calcoli pongono comunque problemi di incommensurabilità tra le differenti fonti, necessitando dunque di ragionamenti non scontati in materia.

  Forse, può essere utile anche guardare ad altri approcci sul tema: sempre Martinez Alier segnala che Georgescu Roegen utilizza il principio di irriducibilità dei bisogni, secondo cui tutti gli individui hanno gli stessi bisogni di sussistenza, affetto protezione, comprensione, partecipazione, ozio, creazione, identità e libertà. Essi possono essere soddisfatti con diversi “soddisfattori”, che non sono necessariamente costituiti attraverso un elevato consumo di materiali: a differenza di altri indici, come il Material Input per Unit Service, questa modalità di calcolo non vede i consumi come dati, ma si chiede se non vi possano essere riduzioni nei consumi. 243

  In conclusione, molti sforzi sono stati spesi nello studio della questione del consumo delle risorse, meno però nell'attuazione di politiche concrete: ma questo risulta ovvio, fintantoché la crescita economica sarà vista come obiettivo irrinunciabile e primario.

  241 Martinez Alier J., op. cit., p. 72. 242 Ibidem, p. 71. 243 Cfr. Ibidem, p. 71.

2. La gestione dei rifiuti e l'approccio transcalare. L’esempio italiano

  Dopo aver chiarito le relazioni tra rifiuti, risorse e problemi ambientali, si intende riprendere il discorso sui rifiuti (già iniziato nel § 1. di questo stesso capitolo), analizzandone e confrontandone le politiche di gestione e fornendo dati sulla produzione

  e sulle attività di recupero o smaltimento. L'attenzione sarà poi focalizzata sui principi europei e sulla loro applicazione, in particolare nel caso italiano, nell'ambito delle tendenze internazionali, per fornire un quadro esaustivo di riferimento allo studio di caso del terzo capitolo.

  Per prima cosa c'è da dire che a scala globale, attualmente, non esiste società che non produca rifiuti incompatibili con l'ambiente. Resistono a questo svantaggio della modernità forse solo alcune piccole comunità che vivono in armonia con la natura, le cui abitudini rispecchiano all'incirca quelle dei loro avi da millenni. Oggi si riducono sempre più, anche sotto la pressione, diretta o indiretta, delle pratiche economiche: diretta, quando lo sfruttamento intensivo del pianeta marginalizza i popoli avulsi dalla nuova era tecnologica; basti pensare al caso dei nativi d'America, o ai più recenti esempi (anni settanta e ottanta) del movimento dei seringueros (lavoratori del caucciù) in Brasile contro le grandi imprese forestali e zootecniche, o al caso degli Ogoni nel delta del Niger contrapposti allo sfruttamento petrolifero della loro terra, o ancora a quello Chipko in India contro l'utilizzo intensivo delle foreste. La pressione dell'intervento economico si manifesta anche in maniera indiretta, perché molti individui delle società “arretrate” sono indotti ad abbandonare forme di vita tradizionali in cambio dei vantaggi (e degli svantaggi) del progresso.

  Tutti i paesi al mondo si trovano, dunque, a dover gestire il relativamente nuovo problema dei rifiuti. Dando un rapido sguardo alle tendenze riguardanti la produzione di rifiuti a livello globale, si può affermare che, sia nei paesi tecnologicamente avanzati, che in quelli che si stanno avviando a sviluppare modernamente la propria economia - seguendo in tutto o in parte il modello occidentale – la situazione non sta migliorando, come auspicherebbero invece le organizzazioni internazionali.

  In termini globali si stima che la quantità di rifiuti urbani prodotti in un anno ammonti a più di due miliardi di tonnellate (dati 2006 e 2007) 244 . La distribuzione

  geografica della produzione pro-capite è ovviamente diversa nel mondo, e segue all'incirca le differenze economiche: nei paesi ricchi si avvicina a una media di 1,4 kg pro- capite di rifiuti solidi prodotti al giorno e registra una tendenza alla stabilizzazione, grazie

  244 Per il 2006 si veda Global Waste Management Market Assessment 2007, Key Note Publications Ltd, 2008. Per il 2007 si vedano i dati Unep, Year book 2009, New science and developments in our changing

  environment, Nairobi, 2009, p.44.

  anche alla diffusione di una maggiore attenzione a pratiche quali il riciclaggio o il riutilizzo. Nei paesi poveri, alcuni dei quali stanno sperimentando un rapido sviluppo economico, invece, la tendenza è opposta: l'Unep stima che ci sarà un aumento generale nella produzione di rifiuti nel mondo, guidato in special modo dalle economie emergenti. 245 Naturalmente, l'aumento in termini assoluti delle quantità prodotte sarà dovuto, per un verso, dalla crescita della popolazione ancora forte in queste aree (sia pur rallentata rispetto alla seconda metà del Novecento) 246 , e per l'altro dall'aumento della produzione, del consumo e della propensione al consumo “usa e getta”.

  Secondo stime Onu, nel mondo si raggiungeranno i 9 miliardi di abitanti entro questo secolo. La popolazione mondiale inurbata ha raggiunto e superato recentemente la quota del 50 (2007), e potrebbe arrivare al 60 nel 2030. 247 Quest'ultimo dato è con tutta probabilità ancor più importante, poiché può condizionare la propensione al consumo dei nuovi abitanti, la cui produzione pro-capite di rifiuti aumenterebbe. In città, infatti, le possibilità di continuare pratiche di autosufficienza e di riuso-riciclo spontanee tipiche delle aree rurali sono ridotte. Sebbene gli slum, in cui probabilmente abiteranno i 25 degli inurbati nel 2030, non abbiano le caratteristiche peculiari tipiche della città, e notevoli sono oggi i casi di “rurbanizzazione” del territorio 248 , si confermano comunque tendenze a un generalizzato maggior consumo pro-capite, e quindi a una maggiore produzione di rifiuti, anche nei paesi a reddito medio-basso.

  Per ciò che concerne la produzione globale di rifiuti industriali è più difficile stabilirne le quantità. Un recente rapporto di Cyclope 249 , un istituto europeo di ricerca che

  opera per conto di Veolia, multinazionale multi-utilities 250 , stima che, in totale, i rifiuti urbani insieme a quelli industriali raggiungerebbero le quattro miliardi di tonnellate in un

  anno nel mondo, cifra che può dare un'idea, ma che va presa con estrema cautela, perché c'è carenza di dati in molti paesi, mentre i dati esistenti non sono sempre comparabili: le statistiche nazionali hanno differenti modi di valutare e non sempre considerano come rifiuti industriali lo stesso tipo di scarti, dato che le definizioni cambiano da paese a paese. L'apparato organizzativo della convenzione di Basilea ha stimato che nel 2000, globalmente, ne erano state prodotte 318 milioni di tonnellate, salite a 338 milioni nel 2001.

  245 Unep, Year book 2009, op. cit, p. 44. 246 J. Véron, L’urbanizzazione del mondo, Il Mulino, Bologna 2008 (ed. or. 2006). 247 Ibidem. 248

  Quando cioè la città si espande verso le aree rurali senza modificarne del tutto gli assetti, ma

  mescolandosi ad esse, o quando pratiche rurali resistono o vengono importate all'interno delle città stesse.

  Chalmin P., Gailloche C., Du rare à l'infini. Panorama mondial des déchets 2009, Cyclope 2009. La

  presentazione del rapporto si trova alla pag. web http:www.cercle-cyclope.comcontentview1629, mentre alcuni dati sintetici del rapporto sono stati annunciati dal telegiornale scientifico Leonardo, Rai 3, del 171109.

  250 Veolia opera nei settori dell’energia, dell’acqua, dei rifiuti e dei trasporti in tutti i continenti. E' entrata nell'affare delle privatizzazioni dei servizi idrici, ed è, di conseguenza, una delle aziende contestate

  dal movimento di Porto Alegre.

  Queste stime sono però basate sugli studi di solo un terzo dei paesi membri della convenzione (circa 45 su 162). L'Oecd stima invece che i suoi 25 membri ne producano quasi 4 miliardi di tonnellate in un anno (2001). 251 Se mettiamo insieme le fonti diverse, ci accorgiamo di come l'uso di queste cifre può essere estremamente problematico, come riconosce l'Unep stessa. 252

  Quello che si può affermare con certezza riguarda, invece, alcune tendenze: nei paesi con industrie sviluppate, i rifiuti industriali sono solitamente di quantità maggiore degli urbani; essi sono più omogenei e, di conseguenza, teoricamente più facili da gestire. Esistono esperienze di pratiche di gestione che riescono a ridurre di molto i loro impatti, riutilizzando gli scarti di produzione come input in nuovi cicli produttivi, come nella cosiddetta economia a emissioni zero (che esamineremo in seguito), applicata ad esempio nei parchi “eco-industriali”. Il caso forse più conosciuto, e più vecchio, è quello di Kalundborg in Danimarca 253 . Se però ci riferiamo all'ordinario, i rifiuti industriali sono quelli potenzialmente più pericolosi, poiché una percentuale di essi, sebbene relativamente piccola, è estremamente contaminante: alcuni tipi di industrie come quelle chimiche o petrolchimiche, le industrie pesanti come le fonderie, gli stessi inceneritori di rifiuti, per non parlare delle centrali nucleari, producono scarti contenenti sostanze pericolose per la salute, difficili da smaltire in modo sicuro, che richiedono solitamente procedimenti costosi per la messa in sicurezza (almeno parziale) dei residui. Oggi, almeno nei paesi Ocse, le normative statali e quelle macroregionali, come nel caso europeo, sono molto sviluppate e restrittive, e anche a livello internazionale c'è una buona attenzione sul tema 254 . Tuttavia, ancora gravi sono le violazioni nazionali e internazionali, che inchieste giudiziarie o giornalistiche, proteste popolari o accertamenti scientifici di organismi competenti mettono via via in luce. 255

  251 Cfr. Unep, Secretariat of the Basel Convention, Grid Arendal, Dewa Europe, Vital waste graphics, 2004, p. 8.

  252 Cfr. ibidem. 253 Si veda il sito web del Kalundborg Symbiosis Institute alla pag http:www.symbiosis.dk, che

  descrive così il progetto «One companys biprodut is an important ressource for other companies in the Symbiosis association. The result is more ressource saving processes with a positive environmental impact. Further more, the Symbiosis-partners has an economic advantage because all agreemets is based on solid business principles ».

  254 Come vedremo nel par. successivo. 255 Per fare solo qualche esempio: il caso di Love Canal scoppiato negli anni settanta-ottanta nello

  stato di New York, messo in luce da proteste popolari e poi inchieste giudiziarie; le innumerevoli inchieste della magistratura in Campania per lo scandalo del sistema camorristico di smaltimento illegale di rifiuti tossici; i traffici internazionali di scorie tossiche o radioattive con l'affondamento delle navi.

  Fig. 11. Rifiuti pericolosi: stime della Convenzione di Basilea

  In parte, il problema dell'incongruenza delle statistiche nazionali si verifica anche nel caso dei rifiuti urbani (Ru): se guardiamo ai dati raccolti nella fig. 10, possiamo notare In parte, il problema dell'incongruenza delle statistiche nazionali si verifica anche nel caso dei rifiuti urbani (Ru): se guardiamo ai dati raccolti nella fig. 10, possiamo notare

Fig. 12. Esempi internazionali di produzione di rifiuti urbani pro-capiteanno (2006)

  Fonte: elaborazione propria di dati Apat 2006, Semarnat 2008 per il Messico (stime), Epa 2006 per gli Stati Uniti, e di Bignante E., Bouc K., Guida S. (a cura di), Rifiuti urbani e sviluppo locale, Torino, Regione Piemonte, 2005 per il Senegal.

  Guardando invece alle serie storiche, come nella sottostante fig. 13, possiamo notare come la crescita dei rifiuti urbani sia stata costante. Questo accade ancor oggi sia nei paesi Ocse, sia negli altri: come l'Unep mette in evidenza: «like all waste, municipal waste is on the rise and it is growing faster than the population, a natural result of our increasing consumption rate and the shortening of product life-spans […]. According to various scenarios, it will most likely continue for the next decades – but at a slower pace for those countries that can afford advanced waste management strategies 256 » .

  256 Unep, Secretariat of the Basel Convention, Grid Arendal, Dewa Europe, Vital waste graphics, 2004

Fig. 13. Crescita dei rifiuti urbani nei paesi Ocse 1980-2000

  Fonte: World Bank, Waste Management in China: Issues and Recommendations. Urban Development Working Papers East Asia Infrastructure Department World Bank Working Paper No. 9 , 2005

  Vi sono però molte differenze per quanto riguarda la produzione pro-capite di Ru. Nella fig. 14 si può osservare come tale quota è sì legata al Pil, ma assume notevoli differenze in base a fattori culturali o di propensione al consumo o ancora di attenzione alle buone pratiche di gestione. Si notino ad esempio, tra gli stessi paesi a reddito elevato, le differenze nella produzione pro-capite di Ru tra Giappone e Stati Uniti: sotto questo profilo, il Giappone si avvicina maggiormente ai livelli di consumo di paesi come la Cina.

Fig. 14. Comparazione tra Pil statale e produzione di rifiuti urbani

  Fonte: world Bank, Waste Management in China: Issues and Recommendations. Urban Development Working Papers East Asia Infrastructure Department World Bank Working Paper No. 9 , 2005

Fig. 15. Proiezioni sulla crescita dei rifiuti urbani in Cina

  Fonte: Banca Mondiale, Waste Management in China: Issues and Recommendations. Urban Development Working Papers East Asia Infrastructure Department World Bank Working Paper No. 9 , 2005, p. 17

  L'esempio della Cina, tra i paesi più rapidi nella trasformazione dell'economia e del territorio verso modelli vicini all'industrializzazione occidentale 257 dà interessanti spunti

  per capire come altri paesi in sviluppo potrebbero trasformare i loro modelli di produzione, di consumo, e quindi di generazione di rifiuti. In Cina si sta verificando un aumento considerevole nella produzione totale di rifiuti: come segnala la Banca Mondiale, «No country has ever experienced as large or as fast an increase in solid waste quantities that China is now facing. China recently surpassed the United States as the world’s largest municipal solid waste (MSW) generator 258 » . «In 2004 the urban areas of China generated about 190,000,000 tonnes of MSW 259 » . Naturalmente si tratta di dati in valore assoluto, e non pro-capite, ma rappresentano comunque una preoccupazione per il futuro, se guardiamo l'ammontare che il governo potrebbe trovarsi a gestire nel 2030 (fig. 15).

  Concludendo, dai vari dati a disposizione raccolti a livello mondiale in special modo da istituzioni come Unep, Banca Mondiale e Oecd, risultano dunque chiare alcune tendenze generali:

  • la produzione di rifiuti urbani o industriali nel mondo è in tutti i sensi aumentata;

  essa si lega generalmente ai ritmi del Pil. Ultimamente però, in molti casi il ritmo di crescita dei rifiuti supera anche quello del Pil, a causa dell'aumento della tendenza usa e getta e della diminuzione della vita media dei beni durevoli. Nonostante gli appelli degli organismi internazionali come Unep, Oecd e Unione Europea sull'uso sostenibile delle risorse, e benchè vi siano tendenze di crescita del settore terziario, in teoria meno legato alla produzione materiale, non è facile interrompere questo circolo vizioso. Esso trova molteplici giustificazioni nelle opportunità di profitto delle grandi imprese globali, nelle preoccupazioni occupazionali dei sindacati, e nella ricerca del benessere (sebbene alcune ricerche nel campo psicologico abbiano dimostrato che la felicità può, dopo un certo livello, diventare inversamente proporzionale alla crescita del benessere materiale);

  • un aumento della produzione di rifiuti si sta verificando anche nelle economie

  meno sviluppate, dove sta cambiando anche la composizione del contenuto della pattumiera domestica: essa diviene sempre più simile a quella dei paesi del nord del mondo, poiché aumentano i rifiuti da imballaggio e da consumo, mentre si

  257 Pur con importanti differenze e peculiarità, quale l'organizzazione politica e il sistema economico di mercato a guida centralizzata.

  258 Dal sito web della Banca Mondiale, sez. “Urban development in East Asia and Pacific”, alla pag.

  web. http:web.worldbank.orgWBSITEEXTERNALCOUNTRIESEASTASIAPACIFICEXTEXTEAPREGTO PURBDEV0,,contentMDK:20535612~pagePK:34004173~piPK:34003707~theSitePK:573913,00.html

  Banca Mondiale, Waste Management in China: Issues and Recommendations. Urban Development

  Working Papers East Asia Infrastructure Department World Bank Working Paper No. 9 , 2005, pubblicato sul sito web della Banca Mondiale, e Executuve Summary dello stesso documento.

  riducono, in percentuale sul totale, gli scarti organici. Soprattutto le città del sud del mondo, cresciute rapidamente nella seconda metà del novecento, hanno oggi consumi più simili di prima a quelle occidentali;

  • la tossicità delle sostanze di scarto introdotte nell'ambiente aumenta in numero e in

  quantità. Si calcola approssimativamente che sul mercato esistano ben 100.000 sostanze e preparati chimici dei quali «solo 5.000 sono stati classificati in base alla pericolosità, [mentre] solo una quantità [...] insignificante di sostanze chimiche è stata vietata. Tutte queste sostanze, prima o poi, finiscono nei rifiuti» 260 , e poi nell'ambiente, con effetti difficilmente controllabili sia sull'habitat naturale che sulla salute;

  • nei paesi occidentali, la quantità di rifiuti industriali è di solito maggiore di varie

  volte quella dei rifiuti urbani, anche se è difficile fare stime comparative precise al riguardo, considerando che i diversi paesi hanno spesso sistemi di contabilità diversi (un sistema diverso si sta mettendo a punto nell'Ue);

  • mentre in alcuni paesi cresce il terziario, come in Europa, in molti paesi in via di

  sviluppo cresce l'industria manifatturiera, anche a causa delle delocalizzazioni delle imprese: come testimonia la stessa Agenzia Europea per l'ambiente, molte produzioni pesanti e inquinanti si sono spostate nei paesi in via di sviluppo. Anche questa tendenza, se libera i paesi di vecchia industrializzazione da una quota degli scarti nocivi dell'industria, non fa ben sperare per gli altri, dove, inoltre, vi sono solitamente leggi meno stringenti e minori controlli sulle normative ambientali, accompagnati da sistemi industriali non all'avanguardia rispetto al contenimento delle emissioni;

  • anche l'ammontare dei rifiuti trasportati è in rapida crescita, non solo alla scala

  locale e nazionale, ma anche a quella globale: tra il 1993 e il 2001, secondo dati parziali della Convenzione di Basilea, l'ammontare dei trasporti di rifiuti nel mondo è cresciuto da 2 milioni di tonnellate a più di 8,5 milioni di tonnellate. Questo aspetto, riferito solo ai trasporti legali, ha comunque un impatto ambientale notevole, da studiare più approfonditamente.

  Se è vero che le prospettive non sono rosee, è però accertato che, sia nel mondo economicamente avanzato che in paesi più poveri vi sono svariati modelli di gestione sostenibile delle risorse che stanno mostrando discreti successi. Attuati da amministrazioni centrali o locali, essi dimostrano come sia possibile ridurre drasticamente gli impatti ambientali dei rifiuti, migliorando anche l'impatto sociale (con ricadute

  260 Onida M. (a cura di), I rifiuti nel XXI secolo. Il caso Italia tra Europa e Mediterraneo, Milano, Edizioni Ambiente, 1999, p. 8.

  occupazionali o in termini di partecipazione alla vita democratica): alcune di queste esperienze, infatti, comprendono anche iniziative di partecipazione dei cittadini o del terzo settore.

  Il futuro nel campo dei rifiuti è ancora incerto: se le tendenze negli impatti ambientali sono per ora in peggioramento, i vari segnali positivi che esistono dovranno essere meglio studiati per capire se siano riproponibili a più largo spettro e in diversi contesti. Naturalmente, la definizione delle priorità è una questione di agenda politica, che attiene quindi ai governi e al consenso sociale su scelte più o meno “verdi”.

2.1 Transcalarità e politiche dei rifiuti

  Abbiamo visto come tutte le azioni di territorializzazione, compiute sin dai processi di sedentarizzazione, siano divenute progressivamente più aggressive con la rivoluzione industriale e con la sua diffusione. Ma, sia all'epoca delle culture tradizionali, sia agli inizi dell'era industriale, si incominciò, a scala locale, a porre rimedio ai problemi della modificazione dell'ambiente. Molte società tradizionali impararono ad esempio a irregimentare le acque, o a portare a compimento molteplici azioni locali, anche molto complesse, per il controllo degli impatti sul territorio. Anche agli albori della società industriale si misero in atto alcune prime azioni di pianificazione del territorio a scala locale per far fronte ai primi problemi di inquinamento, come con le leggi per la qualità dell'aria nella Londra industriale o i programmi per la valle del Tennessee 261 .

  Da quando le strategie economiche ispirate al liberismo o anche allo sviluppo centralizzato dei paesi del “socialismo reale” hanno dato avvio ad uno sfruttamento sistematico del patrimonio naturale, utilizzato spesso come “bene libero” e costantemente trasformato, si è posta la questione della salvaguardia dell'ambiente a scala più ampia di quella locale. Le prime politiche che andavano in tal senso erano quelle nazionali, sviluppate a partire dalla fine degli anni sessanta (ad esempio con il National Environmental Policy Act del 1970 negli Stati Uniti), accompagnate poi dalla nascita di un interesse internazionale crescente, dimostrato dalle conferenze internazionali in ambito Onu e dalle politiche regionali, come quelle europee, che da allora si sono enormemente sviluppate e sono state integrate alla normativa economica. Ad oggi, in realtà, non è più possibile pensare a politiche ambientali che riguardino solo la scala locale. E' necessario, per avere speranze di successo, rinviare continuamente da questa scala a quelle via via superiori, e viceversa. «Si tratta di una transcalarità ardua ma necessaria» 262 , poiché ci si è resi conto di

  261 Cfr. Tinacci Mossello, op. cit., pp. 357-358. 262 Ibidem, p. 358.

  come i vari livelli si influenzino vicendevolmente, e nessuna politica sia oggi davvero efficace se non consideri la molteplicità dei livelli amministrativi, degli attori, e delle scale di governo del territorio responsabili di un ecosistema. Prendiamo ad esempio un bene fondamentale come l'acqua, nel caso concreto della gestione di un bacino idrografico. Nel mondo, secondo stime del 2000, l'acqua dolce è usata per 23 per scopi agricoli, il 25 per l'industria e solo il 9 per consumi idro-potabili 263 . Considerando l'uso intenso e i problemi di scarsità che spesso ne derivano, è utile porsi alcune domande: l'acqua è considerata un bene comune o un bene di mercato? E, in entrambi i casi, chi è preposto a gestire le acque locali? Chi deve risolvere le eventuali controversie di attribuzione tra i diversi utilizzatori dell'acqua? Se l'acqua è una risorsa rinnovabile, è anche un bene che storicamente ha generato conflitti tra diverse nazioni per il suo sfruttamento. Attualmente, poi, con l'aumento dei consumi e col problema dell'inquinamento transfrontaliero, l'acqua assurge a questione di portata internazionale. Se aggiungiamo che, nel mondo, frequentemente la gestione dei servizi idrici sta spesso passando nelle mani di grandi compagnie multinazionali private, possiamo concludere che, da più punti di vista, la gestione di un bacino locale assume sempre maggiore rilevanza nella geopolitica globale.

  Questi assunti si applicano oggi a tutte le politiche dell'ambiente, e la gestione dei rifiuti non è da meno: da un lato, la questione dell'inquinamento è globale, e le azioni a livello locale condizionano anche i livelli superiori; dall'altro, accordi internazionali o attori macro-regionali o globali, pubblici o privati, hanno un importante influenza sulle singole decisioni prese a scala locale.

  Transcalarità delle politiche dei rifiuti: uno sguardo generale La transcalarità della gestione dei rifiuti si manifesta oggi, per prima cosa, nella

  molteplicità dei livelli amministrativi coinvolti. Le cose sono assai cambiate rispetto al passato: basti ricordare che a fine ottocento, quando le prime grandi città iniziarono ad occuparsi anche di questa parte dell'igiene urbana, essa era, appunto, un tema strettamente locale, che poi si è esteso a scale regionali nelle gestioni consortili delle prime discariche o dei primi impianti di incenerimento 264 . Ancora negli anni sessanta del novecento, in Italia e in altri paesi, molti comuni di piccola e media taglia, di solito rurali, non avevano un sistema di gestione dei rifiuti centralizzato, semplicemente perché gli scarti prodotti non costituivano un problema 265 , essendo di quantità non rilevante e sopratutto essendo costituiti specialmente da sottoprodotti organici, riutilizzabili in agricoltura. In seguito (negli anni ottanta in Italia), la gestione dei crescenti scarti del

  263 Cfr. Tinacci Mossello, op. cit., p. 270. 264 Cfr. Melosi M., op. cit. 265 Si vedano ad es. gli studi di Esu A., Sistu G., op. cit., p., ; Massarutto A., op cit., p. ; Viale G., op.

  cit ..

  consumo è stata affrontata dai comuni attraverso gestioni dirette (con o senza affidamento di servizi a privati) o in consorzio con altri comuni. Successivamente, arrivando sino ai giorni nostri, la gestione dei rifiuti si è complessificata, fino a coinvolgere, a livello statale, più scale di governo: solitamente l'amministrazione centrale ha stabilito le norme riguardanti la pianificazione del servizio ed ha posto limiti allo sfruttamento e all'inquinamento del territorio, mentre le amministrazioni regionali o sub-regionali hanno poi dovuto elaborare piani locali e attuare il servizio, gestendolo direttamente o affidandone in tutto o in parte la gestione ai privati. Paesi tra loro diversissimi, oggi, hanno adottato una pianificazione centralizzata della gestione dei rifiuti. Come afferma Davies, «countries as diverse as South Africa […] and Scotland […] have already developed national waste management plans or strategies with others like Chile [...] following suit 266 » . La geografa irlandese continua facendo notare che, allo stesso tempo, in tutti i paesi, sia economicamente avanzati che “in sviluppo”, aumenta la tendenza alla crescita delle partnership pubbico-privato, dimostrando che la gestione dei rifiuti non è solo multi e trans-scalare, ma anche multilivello (come vedremo più dettagliatamente in seguito).

  L'altra tendenza fondamentale nel campo della gestione dei rifiuti, è quella che già si è verificata in altri campi delle politiche ambientali: l'importanza crescente assunta a livello internazionale, come mostra l'attenzione ad essa dedicata da organismi quali Oecd, Unep e Unione Europea: sebbene vi siano stati meno sforzi di regolamentazione internazionale, paragonati alle grandi questioni del cambiamento climatico, dell'assottigliamento della fascia di ozono troposferico e della perdita di biodiversità, oggi vi è un crescente interesse alla tematica. Essa è vista oggi come un altro nodo cruciale della rete di questioni ambientali globali da controllare, negli sforzi che la comunità internazionale sta compiendo verso un più soddisfacente governo mondiale dell'ambiente

  Transcalarità delle politiche dei rifiuti: il traffico internazionale degli scarti pericolosi Il primo nodo della questione rifiuti che ha assunto connotazione globale è quello

  del traffico internazionale di rifiuti pericolosi, che nasce come problema nazionale di trattamento incontrollato dei rifiuti derivanti da attività industriali a rischio e si estende ben presto fuori dai confini.

  In ogni nazione industrializzata il rischio ambientale da scarti dell'industria è cresciuto parallelamente allo sviluppo economico. «Migliaia di tonnellate di sostanze venefiche e cancerogene hanno contaminato terreni agricoli, colture e falde idriche. La discarica selvaggia è [tuttora] praticata più di quanto si possa immaginare e costituisce un fenomeno gravissimo» 267 mai abbastanza conosciuto. Tutti i paesi di nuova o vecchia industrializzazione hanno dovuto affrontare simili problemi. Si calcola, ad esempio, che

  266 Cfr. Davies A., op. cit., p. 18.

  un quarto della popolazione russa viva «in aree in cui la concentrazione degli inquinanti

  supera gli standard di almeno dieci volte» 269 . Negli Stati Uniti l'Epa ha classificato più di 40.000 siti a rischio per la presenza di residui pericolosi; la bonifica dei 1.400 siti ritenuti

  prioritari costerà 31 milioni di dollari 270 . Molteplici poi sono i casi specifici che hanno destato scalpore tra l'opinione pubblica. Ancora negli Usa, uno dei più famosi esempi, caso

  di studio tra i più noti nel campo dell'environmental justice, è quello di Love Canal, nello stato di New York. Questo canale in disuso fu usato sin dagli anni venti del novecento come scarico di rifiuti industriali e urbani. Nel 1953 venne ricoperto e assegnato come lotto di sviluppo urbano. Gli abitanti delle case e delle scuole iniziarono ad accorgersi di strane fuoriuscite di rifiuti e sostanze sospette. Nel 1976 fu accertata la presenza di sostanze tossiche nell'aria e nelle fosse biologiche, mentre tre anni dopo soltanto, avendo constatato diffuse complicazioni nelle gravidanze degli abitanti e la presenza di elevati livelli di contaminazione chimica nelle loro case, il governo statale evacuò più di 800 famiglie. Oltre alle terribili malattie subite dagli abitanti, possiamo riportare anche il danno economico, secondario in importanza ma significativo: Love Canal costò al governo federale venti milioni di dollari per spostare le famiglie in altri appartamenti e duecento per bonificare l'area. 271

  Per evitare problemi simili, i governi dei paesi industrializzati iniziarono a legiferare e a rendere sempre più stringenti le normative sullo smaltimento delle sostanze pericolose. Ma, proprio questa maggiore attenzione, accompagnata in alcuni casi, anche da normative di non facile applicazione, come in Italia 272 , spinse il mercato illegale dei rifiuti a uno sviluppo a carattere internazionale. Negli anni ottanta, nuovo clamore suscitarono i casi dagli scandali delle “navi dei veleni”. A quell'epoca la Karin B e la Pelicano solcavano

  i mari alla ricerca di un porto dei paesi più poveri che accettasse i loro velenosi carichi a prezzi bassi. Altre navi simili si aggiravano nelle coste dell'Europa dell'Est e dell'Africa, per eludere le normative stringenti dei paesi industrializzati. 273 Famoso resta il caso di Koko, un piccolo villaggio di pescatori in Nigeria, uno dei paesi poveri con disperato bisogno di risorse economiche, che accettò danaro in cambio di inquinamento. Nel 1988, ben 8.000 bidoni pieni di sostanze altamente tossiche, stipate in un cortile, iniziarono a

  Barbieri G., Canigiani F., Cassi L., Geografia e cambiamento globale. Le sfide del XXI secolo, Utet, 2003,

  p. 207.

  Cfr. Gardner G., Sampat P., Per un’economia dei materiali sostenibili, in Worldwatch institute, State

  of the world ’99 , Milano, Edizioni Ambiente, 1999, p. 57.

  269 Environmental Protection Agency, è l'agenzia governativa federale per l'ambiente. 270 Cfr. Gardner G., Sampat P., op. cit., p. 57. 271 Barbieri G., Canigiani F., Cassi L., Geografia e cambiamento globale. Le sfide del XXI secolo, Utet, 2003,

  p. 208.

  272 Cfr. Massarutto, op. cit., p. 124 273 Cfr. Unep, Secretariat of the Basel Convention, Grid Arendal, Dewa Europe, Vital waste graphics 2,

  2006, pp. 38-39.; 2006, pp. 38-39.;

  Grazie all'attenzione dei media e all'attivismo delle associazioni ambientaliste, come afferma l'Unep stessa, negli anni ottanta queste questioni furono inserite nell'agenda della comunità internazionale: da questo clima nacque la convenzione di Basilea 275 sul controllo dei traffici internazionali di rifiuti pericolosi e sul loro smaltimento, che proibisce l’esportazione di rifiuti pericolosi verso i Paesi non Ocse. E' affiancata da altri accordi sempre dello stesso periodo, quali il Protocollo di Londra per il controllo degli scarichi di rifiuti in mare (1988), la Convenzione di Rotterdam sull'esportazione di prodotti chimici (1998), e da quello di Stoccolma sui Pop (Persistant Organic Pollutants) del 2001.

  Sviluppata sul finire degli anni ottanta e entrata in vigore nel 1992, la Convenzione di Basilea regola i traffici internazionali di rifiuti pericolosi, obbligando gli stati membri (e naturalmente solo loro) ad assicurarne una gestione e uno smaltimento sostenibili.

  I membri della Convenzione di Basilea sono tenuti a minimizzare le quantità

  trasportate, secondo il principio di prossimità: lo smaltimento dovrebb'essere effettuato quando più vicino possibile al luogo in cui i rifiuti sono generati. I membri devono impegnarsi anche a minimizzare la produzione stessa di rifiuti alla fonte. 276

  Al 2006 erano 168 gli stati divenuti membri, aumentati a 172 nell'ultima verifica del 2009 277 .

  274 Cfr. Barbieri G., Canigiani F., Cassi L., Geografia e cambiamento globale. Le sfide del XXI secolo, Utet, 2003, p. 209-210.

  275 Cfr. Unep, Secretariat of the Basel Convention, Grid Arendal, Dewa Europe, Vital waste graphics 2, 2006, pp. 38-39.;

  276 Unep, Secretariat of the Basel Convention, Grid Arendal, Dewa Europe, Vital waste graphics, 2004,

  p. 5.

  277 Verifica effettuata nel novembre 2009 sul sito della Convenzione, alla pag. web http:www.basel.intratifconvention.htm13.

Fig. 16. Stati membri della convenzione di Basilea al 2006; membri che hanno fornito dati per l'ultimo report; centri macro-regionali di sviluppo della convenzione

  Fonte: Unep, Secretariat of the Basel Convention, Grid Arendal, Dewa Europe, Vital waste graphics 2, 2006, p. 39.

Fig. 17. Membri delle convenzioni internazionali di Basilea, Londra, Rotterdam, Stoccolma

  Fonte: Unep, Secretariat of the Basel Convention, Grid Arendal, Dewa Europe, Vital waste graphics 2, 2006, p. 39.

  Gli Stati Uniti, come spesso accaduto in ambito internazionale (basti pensare al Protocollo di Kyoto), non hanno aderito, pur essendo tra i maggiori produttori di rifiuti industriali e tossici. Così anche altri paesi tecnologicamente avanzati, secondo l'organizzazione non governativa internazionale Basel Action Network (Ban) 278 , quali la Federazione Russa 279 , Israele e Malta. La loro mancata adesione o collaborazione li accomuna ad altri paesi che non hanno ratificato l'accordo, come Afganistan, Haiti e Tanzania, che però potrebbero, in qualche modo, essere giustificati da difficoltà di tipo economico e amministrativo, come sostiene la ong Ban. Evidentemente, come accaduto con l'accordo sul clima, ci sono questioni geopolitiche internazionali irrisolte, che spesso rallentano il difficile cammino verso la sostenibilità globale. Secondo Ban, una delle chiavi di lettura della mancata adesione degli Stati Uniti d'America è rappresentata dalla volontà

  278 La ong è specializzata nel monitoraggio dell’applicazione della Convenzione di Basilea. 279 Le fonti sono contrastanti: secondo il sito della convenzione di Basilea (cfr.

  www.basel.intratifconvention.htm13) la Federazione avrebbe aderito nel 310195, Israele nel 04.12.94.

  di non fermare i traffici internazionali per il riutilizzo dei rifiuti elettronici, 280 (nuova frontiera dei traffici internazionali di sostanze tossiche, come vedremo a breve), che

  nasconderebbero in realtà azioni di smaltimento.

Fig. 18. Una ricostruzione dei traffici internazionali di rifiuti

  Fonte: Unep, Secretariat of the Basel Convention, Grid Arendal, Dewa Europe, Vital waste graphics 2, 2006.

  L'interessamento di organizzazioni internazionali non governative su questo tema, come Ban o Greenpeace, evidenzia, ancora una volta, come la transcalarità non avviene solo superando i confini dello stato: le ong internazionali e le loro reti operano fuori dai confini statali, e sono tra le parti più attive nel favorire rapporti nord-sud più equi. Come le reti associative, anche il settore privato 281 e quello delle organizzazioni criminali hanno allargato il loro campo di azione, e spesso entrambi sfruttano (in modo legale o illegale) i differenziali dei costi di gestione dei rifiuti pericolosi nel mondo. Attori che portano interessi così forti, naturalmente tendono a cooperare o a competere tra loro, aprendo sempre nuovi fronti di conflitto.

  Nonostante gli sviluppi delle norme internazionali, vi sono tuttora continui casi di violazione delle stesse. La questione delle “navi dei veleni” genera ancora impatti

  280 Cfr. il sito web di Ban alla pag. www.ban.orgepa_negligenceindex.html 281 Quello statunitense è accusato dalla Ban, tra l'altro, di fare pressione sull'Epa per non ratificare

  l'accordo di Basilea l'accordo di Basilea

Fig. 19. Una mappatura delle “navi dei veleni” fornita dal quotidiano La Repubblica

  Fonte: Cianciullo A., “Dal plutonio alle polveri di marmo il "cimitero" delle navi radioattive”, La Repubblica, 14 settembre 2009.

  E' interessante citare qui parte dell'articolo, che ricostruisce parte del lavoro effettuato dalla Magistratura italiana sugli affondamenti volontari effettuati da organizzazioni criminali (sospetti, o verificati tramite il relitto, vero e proprio “corpo del reato”).

  «Buona parte del lavoro è già fatto: mettendo assieme le informazioni raccolte pazientemente dai magistrati di mezza Italia è possibile costruire la mappa dei cimiteri radioattivi dei nostri mari. Un elenco di affondamenti volontari, navi che spariscono nel nulla senza lanciare il may day, troppo lungo per essere citato in versione integrale, ma basta ricordare alcuni casi per avere un'idea di quello che è successo in questi anni. Nel 1985, durante il viaggio da La Spezia a Lomè (Togo), sparisce la motonave Nikos I, probabilmente tra il Libano e Grecia. Sempre nel 1985 s'inabissa a largo di Ustica la nave tedesca Koraline. Nel 1986 è il turno della Mikigan, partita dal porto di Marina di Carrara e affondata nel Tirreno Calabrese con il suo carico sospetto. Nel 1987 a 20 miglia da Capo Spartivento, in Calabria, naufraga la Rigel. Nel 1989 la motonave maltese Anni affonda a largo di Ravenna in acque internazionali. Nel 1990 è il turno della Jolly

  Rosso a spiaggiarsi lungo la costa tirrenica in provincia di Cosenza. Nel 1993 la Marco Polo sparisce nel Canale di Sicilia».

  Una nuova problematica internazionale legata allo smaltimento di sostanze tossiche, propria dello sviluppo della tecnologia informatica, è quella dei traffici internazionali di rifiuti elettronici. I cosiddetti e-waste sono oggi la categoria di rifiuti urbani che cresce più rapidamente: secondo stime Onu crescono con un tasso del 3-5 annuo, tre volte superiore ai rifiuti normali. Si stima che i paesi in via di sviluppo triplicheranno la produzione di RAEE nei prossimi 5 anni. Ogni anno si producono tra i 20

  e i 50 milioni di tonnellate di rifiuti tecnologici (o Raee, rifiuti derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche), più del 5 di tutti i rifiuti solidi urbani generati nel mondo. 282

  Sono considerati pericolosi per il loro contenuto di elementi tossici e persistenti, e riguardano apparecchi di uso comune, che oggi hanno vita sempre più breve, poiché più rapidamente diventano obsoleti, dato il forte sviluppo del settore elettronico e informatico

  e le alte propensioni al consumo. I prodotti obsoleti devono spesso essere riciclati secondo le norme nazionali di molti paesi tecnologicamente avanzati, ma spesso il riciclaggio, cui sono obbligate le aziende produttrici, si traduce in esportazioni verso l'Asia, l'Europa dell'Est e l'Africa, sottoforma di trasferimento di tecnologie o verso aziende locali addette al riciclaggio, ma i cui lavoratori sono fortemente a rischio: «instead of being “green” we are exporting a sack full of problems to people who have to choose between poverty or poison 283 » . Si deve sempre tenere in considerazione che, in questi paesi, le normative a protezione dei lavoratori e dell’ambiente sono spesso inadeguate o addirittura assenti. d'altra parte i costi di riciclaggio, come nota Greenpeace,

  «sono molto inferiori a quelli sostenuti nei paesi occidentali: negli Stati Uniti il riciclo del vetro nei monitor dei computer costa dieci volte di più che in Cina. Negli Stati Uniti smaltire un computer dismesso costa circa 20 dollari; per contro, in India si arriva a pagare fino a 15 dollari per un pc da smantellare date le materie prime presenti nei rifiuti elettrici come rame, ferro, silicio, nickel, oro che possono essere estratte e rivendute. E’ per questa ragione che, negli anni '90, molti paesi asiatici iniziarono ad aumentare la richiesta di questi rottami al fine di ricavarne le risorse. Un telefono cellulare, ad esempio, è composto per il 19 di rame e per l’8 di ferro» 284

  Il vantaggio dei costi bassi, non deve però far dimenticare che, come ancora nota Greenpeace,

  282 Cfr. Greenpeace, Briefing. Rifiuti elettronici – la campagna di Greenpeace, 2008, scaricabile al sito web di Greenpeace, alla sezione della campagna Elettronica verde, p. 1.

  283 Unep, Secretariat of the Basel Convention, Grid Arendal, Dewa Europe, Vital waste graphics, 2004,

  p. 36.

  284 Greenpeace, op. cit, 2008, p. 2.

  «l’esportazione dei rifiuti molto spesso avviene in violazione alle leggi internazionali. Nel 2005, ispezioni condotte in 18 porti europei hanno rilevato che il 47 delle esportazioni di rifiuti, incluso quelli elettronici, erano illegali e la maggior parte prendeva la strada dell’India, Africa e Cina. Nel 2000, la Cina ha cercato di prevenire questo traffico illegale adottando un bando contro l’importazione di rifiuti tecnologici. Una legge che però non ha dato i suoi frutti, come Greenpeace ha dimostrato di recente: i rifiuti elettronici continuano ad arrivare nella provincia di Guangdong, il principale centro cinese dove questi rifiuti sono disassemblati» 285

Fig. 20. I traffici internazionali di rifiuti elettronici: le rotte verso l'Asia

  Fonte: Unep, Secretariat of the Basel Convention, Grid Arendal, Dewa Europe, Vital waste graphics, 2004, p. 36.

  285 Ibidem.

  Anche l'Africa è una meta delle rotte internazionali. Come mostrano ad esempio alcune indagini sul campo compiute dall’organizzazione Basel Action Network a Lagos, Nigeria, il principale centro africano di raccolta di materiale hi-tech di seconda mano, circa il 90 del materiale proviene dagli USA e dall’Europa, mentre il restante 10 ha origine in Giappone e Israele. Ogni mese giungono qui circa 500 container carichi di computer e monitor, ufficialmente per essere riparati e riutilizzati, ma che, in gran parte, vengono semplicemente abbandonati o avviati ad operazioni di riciclaggio “selvaggio”.

  Transcalarità delle politiche dei rifiuti: la gestione dei rifiuti domestici Il secondo nodo del tema della gestione dei rifiuti che ha assunto connotazione

  globale riguarda più da vicino la gestione dei rifiuti domestici. La questione è naturalmente intrecciata con quella dello smaltimento dei rifiuti tossici, come mostra ad esempio il caso dei Raee; inoltre, produzione e consumo sono due facce della stessa medaglia e si condizionano a vicenda. Ma, dal punto di vista delle politiche, possiamo adottare a grandi linee questa distinzione tra globalizzazione delle politiche ambientali in materia di rifiuti in base alla loro tipologia.

  Dopo che le politiche municipali di igiene urbana si svilupparono in tutto l'occidente col boom demografico ed economico degli anni sessanta 286 , la questione dello

  smaltimento dei rifiuti domestici, sempre più problematica 287 , iniziò ad essere inserita nelle politiche regionali e nazionali. Le prime politiche nazionali sui rifiuti urbani riguardavano

  l'organizzazione della gestione per bacini o regioni, e i limiti all'inquinamento. A queste politiche, corrispondono quelle macro-regionali europee, che, già dal 1975 (Direttiva

  Esse erano iniziate a grande scala, come accennato in precedenza, già nelle grandi città

  statunitensi ed europee tra la fine dell'ottocento e l'inizio del novecento. Si vedano Melosi M. e Massarutto A., op. cit. Quest'ultimo cita il caso delle politiche di raccolta e incenerimento dei rifiuti urbani a Parigi agli inizi del novecento (p. 26), mentre ricorda che vi sono anche notevoli casi storici di grandi conurbazioni del passato, come l'antica Roma, che ebbero un loro servizio di allontanamento dei residui (costituiti principalmente da scarti di cibo, escrementi, cocci, cenere, scarti di lavorazioni artigianali, citando Sori, op. cit. ) per ragioni di igiene urbana (pp. 23-24).

  287 Le prime semplici soluzioni, tra gli anni '50 e '60, erano quelle di allontanare i rifiuti fuori città: dalla canna delle immondizie di alcuni edifici costruiti in quegli anni, gli scarti venivano trasportati

  nell'ambiente circostante, ancora poco contaminato e libero (si pensi agli esempi delle pluridecennali megadiscariche di Malagrotta, vicino Roma, e di Pianura, nella zona Flegrea di Napoli). Le zone rurali scelte per gettare i rifiuti erano spesso abbandonate da coloro che stavano inurbandosi, e dunque avevano anche uno scarso peso politico. La natura, quindi, si sarebbe occupata dello smaltimento della città: dopo il boom, però, con i primi problemi di scarsità degli spazi liberi e di inquinamento dei suoli, ci si rese conto che sarebbe stato impossibile continuare in questo modo e si incominciò a cercare altre soluzioni (cfr. Massarutto

  A, op. cit., pp. 25-26).

  44275 Cee) 288 definivano «linee guida, priorità e criteri riguardanti la gestione e il trattamento» 289 .

  Le principali attività che escono dalla gestione locale erano legate all'organizzazione dell'impiantistica di smaltimento. Le norme italiane degli anni ottanta diedero questo compito ai piani regionali (con il D.p.r. 91582). Le regioni, da poco istituite, tardarono a mettere in pratica le normative, tanto che si giunse a politiche di emergenza e di precettazione delle poche discariche ancora aperte. Al contrario, in altri paesi europei come la Francia, l'Olanda o la Germania, fu sviluppata l'impiantistica. Il sistema era però basato sulla filosofia dell'end of pipe, tipica di quegli anni 290 : la sostenibilità ambientale di queste politiche verrà messa in serio dubbio dagli sviluppi inarrestabili del consumo, tanto che, a livello europeo, vi è un cambiamento di prospettiva agli inizi degli anni novanta: la politica macroregionale imporrà, dal 1991, nuove normative tecniche sullo smaltimento dei rifiuti, ma soprattutto nuove responsabilità per gli stati membri nella costruzione di «politiche generali miranti a prevenirne la genesi, a ridurne il volume e a favorire l'introduzione di tecnologie pulite. Viene stabilito l'obbligo, entro il più breve lasso di tempo possibile, della definizione di un piano generale dei rifiuti, comprendente tipologie, quantità e origine, prescrizioni tecniche generali e definizione dei siti adeguati al loro trattamento» 291 . Nel corso degli anni novanta sono sviluppate altre normative tecniche a scala europea riguardanti la gestione degli imballaggi, del traffico transfrontaliero, delle emissioni inquinanti industriali e degli impianti di incenerimento. Norme oggi fondamentali e sovraordinate a quelle statali, a cui le norme nazionali, e anche quelle regionali e locali, devono fare riferimento. Il continuo rimando alle norme europee è oggi il carattere distintivo delle politiche dei membri della Comunità su tutti i temi ambientali. La direzione generale è centralizzata, mentre ai vari livelli statali restano competenze “solo” sul modo di applicare le norme europee. Competenze che non sono di poca importanza, visto che le modalità di applicazione delle norme varia molto da stato a stato, e genera conseguenze territoriali differenti.

  Ma, per continuare a focalizzare l'attenzione sulla transcalarità, ci occuperemo della nuova politica europea, e dei suoi effetti, nel prossimo paragrafo.

  Per quanto riguarda altre esperienze macro-regionali, non si trovano politiche ambientali altrettanto sviluppate come nella Ue: grandi aggregazioni come il Nafta o il Mer.Co.Sur sono maggiormente concentrate sullo sviluppo di aree di mercato di libero scambio, e i loro accordi non riguardano quasi mai aspetti socio-ambientali (anche se la

  288 Integrata in seguito dalla Direttiva 31978 Cee e dalla Direttiva 68991. Cfr. Esu A., Sistu G., op. cit. , p. 59.

  289 Ibidem. 290 Cfr. Massarutto, op. cit., pp. 27-29. 291 Esu A., Sistu G., op. cit., p. 59.

  seconda presenta alcune aperture di cooperazione con l'Europa per promuovere politiche

  di sviluppo sostenibile). 293 Anche l'Oecd , che non è esattamente una organizzazione macroregionale, ma un'ente che si occupa di cooperazione economica e di scambio di

  esperienze internazionali, ha una certa rilevanza nelle politiche sui rifiuti, grazie ai suoi studi e alle raccomandazioni adottate in materia nei confronti degli stati membri 294 .

  Sono interessanti, invece, gli sforzi che le istituzioni internazionali stanno portando avanti sui temi dei rifiuti urbani collegati alla salvaguardia delle risorse rinnovabili. L'Unep, in particolare, è l'organizzazione internazionale di livello più alto nello sviluppo di politiche globali per l'ambiente – anche se, naturalmente, le sue raccomandazioni non sono vincolanti se non in base alla volontà degli stati, in primis dei membri delle convenzioni. Oltre a sostenere la convenzione di Basilea, l'Unep si sta occupando anche dei problemi della sostenibilità del consumo e della produzione (v. par. 1.3, cap. 2), cercando di coinvolgere governi e settore privato nell'integrare le politiche ambientali in quelle economiche e commerciali, facilitando scambi di tecnologie e pratiche sostenibili, e incoraggiando l'adozione di assunzioni di responsabilità (attraverso ad esempio la International Declaration on Cleaner Production. 295 Numerosi sono gli studi e i report annuali in materia, che mostrano un interesse crescente, benchè non sempre sostenuto da azioni concrete da parte degli stati. E' interessante, però, notare che anche l'Unep ha sviluppato l'idea della gestione delle risorse come preordinata a quella dei rifiuti: sicuramente ciò rappresenta la tendenza strategica più avanzata a livello globale, che, naturalmente, dovrà essere accettata dagli stati per vedere piena applicazione sui territori.

  Transcalarità e attori multilivello Per concludere il discorso sulla transcalarità, si deve ricordare che considerare le

  questioni di scala è importante non solo in termini dimensionali, come quando bisogna decidere qual'è il giusto livello amministrativo che gestirà i rifiuti di un'area più o meno estesa e più o meno abitata; è soprattutto utile farlo per comprenderne le questioni relazionali: le scale e gli attori che animano ogni scala sono a vari livelli intrecciati 296 . Siccome coinvolge molteplici attori, la gestione rifiuti è multilivello, oltre ad essere multiscalare: oggi è una questione di governance, come afferma Davies. Ciò implica che lo

  292 Cfr. Tinacci Mossello M., op. cit., p. 365. 293 Organisation for Economic Co-operation and Development, comprende 30 paesi, per la gran parte

  ad alto reddito, che condividono i principi del libero mercato e della democrazia rappresentativa.

  294 Come la Council Recommendation C(2004)100 in 2004on Environmentally Sound Management of Waste, secondo cui «member countries wished to reinforce the implementation of this legal Act by issuing a practical

  Guidance Manual», che è stato pubblicato nel 2007 come Guidance Manual on Environmentally Sound Management of Waste.

  295 Unep, About Unep 296 Davies A, op. cit., p.19. Si veda anche, nel presente lavoro, il par. “Rifiutologia” a p. 48.

  stato è sempre più affiancato da altri livelli di gestione in gioco, rappresentati dal settore privato, che gestisce oggi non solo singoli impianti, ma spesso interi bacini di raccolta, conferimento, trattamento; dai cittadini, da un lato chiamati sempre più spesso a fare la propria parte, soprattutto nelle politiche di riciclaggio, dall'altro più volte attivi (di solito in associazioni di base o organizzate) nella richiesta di partecipare alla definizione degli obiettivi, o nelle dispute territoriali, riguardanti l'utilizzo del territorio; dal terzo settore, spesso coinvolto in attività socioambientali o educative; dai movimenti ambientalisti. Questi ultimi, in realtà, poche volte collaborano con gli attori pubblici, e anzi, spesso nascono per contrastarne l'azione. Sono molte le mobilitazioni locali e di base a cui oggi si assiste nel settore, e sono spesso accusate di praticare strategie Nimby. Ma anche i movimenti organizzati lavorano su più scale di azione. Così come si è assistito a una globalizzazione dei movimenti, specie dopo Porto Alegre, così, in questo campo, si assiste

  a uno sviluppo di reti, come nei significativi casi delle organizzazioni internazionali Zero Waste International Alliance (Zwia) e Global Alliance for Incinerator Alternatives (Gaia), con base nei paesi economicamente avanzati, o come in quello della reti nazionali e internazionali basate sui movimenti dei waste pikers dei paesi del “sud del mondo”, che ultimamente hanno tenuto la loro prima conferenza mondiale (Recicladores sin fronteras, marzo 2008, Bogotà) in vista di maggiori collaborazioni future.

  Questa maggiore partecipazione oltre lo stato avviene in un quadro di tendenza al decentramento dei poteri. Quando esso implica una maggiore vicinanza ai cittadini degli enti preposti a prendere decisioni, può dare maggior rilevanza alle comunità territoriali, esaltandone soluzioni endogene. Ma bisogna tenere sempre presente che, nelle differenti aree del mondo, il lasciar spazio agli attori locali o non statali ha spesso nascosto una debolezza dello stato, divenuta sempre più evidente nei paesi schiacciati dal debito estero

  e dalle politiche del Washinton consensus. Le organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale hanno, infatti, spinto spesso gli stati dei paesi a basso reddito a smantellare i già precari servizi pubblici, aprendo la strada al settore privato, ritenuto più efficiente. A fronte però di maggiore efficienza economica, sappiamo che il mercato poco regolato da politiche statali ha dato risultati controversi, soprattutto in termini di sviluppo umano e di sostenibilità ambientale.

2.2 La gestione dei rifiuti a scala macroregionale: le nuove norme dell'Unione

  Europea

  Il ruolo dell'Unione Europea, per gli stati membri, è divenuto fondamentale, oltre che gerarchicamente sovraordinato, in generale nelle politiche per l'ambiente, e, Il ruolo dell'Unione Europea, per gli stati membri, è divenuto fondamentale, oltre che gerarchicamente sovraordinato, in generale nelle politiche per l'ambiente, e,

  e criteri. Dal 1973, anno di inizio del Primo Programma di Azione per l'Ambiente della CEE, essa è stata fortemente sviluppata, poiché, come concordato al vertice di Parigi del 1972 dai capi di stato dell'allora CEE, l'espansione economica prevista non doveva essere fine a sé stessa, ma avrebbe dovuto guidare verso una riduzione delle disparità, un miglioramento delle condizioni di vita e del livello del benessere anche attraverso la protezione dell'ambiente. 297

  Già dal II Programma per l'ambiente (1977-1981) la CEE focalizzava la sua attenzione sulla prevenzione dell'inquinamento e dei rifiuti, e sull'assetto del territorio: a tal fine si introdusse la procedura di Valutazione dell'impatto ambientale (Via). Di questo periodo sono le direttive 44275, 31978 che definivano «linee guida, priorità e criteri riguardanti la gestione e il trattamento» 298 .Con il III Programma per l'ambiente (1982-1986) si sviluppò ulteriormente l'attenzione alla prevenzione dell'inquinamento (con politiche end of pipe ), mentre, come novità, fu data importanza ai limiti allo sviluppo dovuti alla finitezza delle risorse, e quindi a obiettivi di conservazione dell'ambiente naturale, oltre alle norme a protezione della salute umana. Da questo nuovo quadro di riferimento comunitario conseguirono norme di prevenzione del rischio sull'intero settore delle attività industriali pericolose – tra cui la direttiva “Seveso” sul rischio chimico (50182), quella sulla prevenzione dei rifiuti (63184) e quella sulla valutazione d'impatto ambientale (33785). 299 E' poi con il IV Programma per l'ambiente (1986-1992) che la politica per l'ambiente entra a far parte integrante delle politiche economiche e sociali della Comunità. Questi cambiamenti hanno aperto una nuova fase delle politiche macro- regionali europee, ancor oggi in vigore, con standard di protezione ambientale elevati, ma compatibili con la sfera economica: attraverso le politiche dell'ambiente la Comunità ha sempre inteso eliminare la concorrenza sleale (che scarica i costi sull'ambiente), mentre ha poi puntato sull'utilizzo delle politiche ambientali con il secondo fine di sostenere anche l'occupazione e l'economia. Durante il IV Programma viene emanata la Direttiva 68991, che cataloga i rifiuti pericolosi. Agli inizi degli anni novanta, infatti, ci furono cambiamenti importanti nella legislazione: furono modificate «le definizioni di produzione, possesso, gestione, raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti» 300 , affidando, nel contempo, il compito agli stati membri di costruire politiche mirate a «prevenirne la genesi, a ridurne il

  297 Cfr. Massarutto A., op. cit. p. 79; cfr. Leone U., Nuove politiche per l'ambiente, Roma, Carocci, 2002,

  p.146.

  298 Esu A., Sistu G., op. cit., p. 59. 299 Cfr. Leone U., op. cit. 300 Esu A., Sistu G., op. cit., p. 59.

  volume e a favorire l'introduzione di tecnologie pulite» 301 . Da allora i paesi membri sono obbligati a mettere a punto un piano generale dei rifiuti che ne dia definizioni precise e che

  fissi le prescrizioni tecniche generali per il loro trattamento, comprese quelle sui siti dove localizzare l'impiantistica ritenuta necessaria.

  Il V Programma per l'ambiente, denominato “Per uno sviluppo durevole e sostenibile”, integra definitivamente il modello dello sviluppo sostenibile nelle politiche dell'Unione, e lo fa attraverso normative programmatiche di più lungo periodo (1993- 2000). Varie direttive settoriali sono state predisposte in questi anni, come quelle sulle norme riguardanti la gestione degli imballaggi (Dir. 6294CE), sul traffico transfrontaliero illegale (Comunicazione della Commissione Europea 39996), sulle emissioni delle attività industriali (Dir. 6196), sulla termocombusione (7600) e su altre questioni tecniche. 302 Ma la novità più importante è la politica di responsabilizzazione di tutti gli attori sociali coinvolti a più livelli nella gestione dell'ambiente. Tale visuale multiscalare è dovuta all'importanza che, durante gli anni novanta, acquistano le autonomie locali attraverso i processi di decentramento amministrativo 303 , ma anche all'importanza che hanno i produttori di beni (come nel caso degli imballaggi o di quello dei rifiuti industriali, maggiormente normati rispetto ai Ru).

  Questo cambiamento di prospettiva, iniziato sin dagli anni novanta, porta la Commissione nel 2000, alla fine del V Programma, a definire alcuni principi per la gestione dei rifiuti che condizioneranno tutta la futura politica sul tema:

  • principio di prevenzione, che consiste nel ridurre al minimo la produzione di rifiuti; • principio della responsabilità del produttore, che si rifà al principio “chi inquina

  paga”; • principio di precauzione, che serve ad evitare i rischi potenziali;

  principio di prossimità, secondo cui lo smaltimento dev'essre effettuato il più vicino possibile ai luoghi di produzione.

  Questi principi nascono in un quadro di politiche ambientali in cui l'Ue reputa necessaria la pianificazione pubblica nella gestione dei rifiuti. Sono infatti basati sull'idea di dover responsabilizzare le comunità locali alla gestione dei propri rifiuti, «imponendo che al livello territoriale appropriato le autorità pubbliche garantissero una congrua dotazione di impianti» 304 e una gestione integrata con le norme europee.

  Si intrecciano, inoltre, con l'approccio impostato sulla gestione sostenibile del ciclo dei materiali, e non più concentrato solo sullo smaltimento finale (come visto nel § 1.3 di questo cap.), che vede la luce sin dagli anni novanta.

  301 Ibidem. 302 Cfr. Esu A., Sistu G., op. cit., p. 59. 303 Cfr. Tinacci Mossello M., op. cit., p. 318-319. 304 Massarutto A., op. cit. p. 80.

  Basata sul principio di prevenzione, nasce dunque la cosiddetta waste management hierarchy , altra novità fondamentale. Come dice il nome stesso, questa è una gerarchia delle opzioni preferite di trattamento dei rifiuti, dalla più desiderabile alla meno consigliata in termini d'impatto ambientale o di costi energetici, come quelli correlati alla conservazione delle risorse. L'idea di tale gerarchia inizia a prendere forma sin dagli anni settanta, sottoforma di contestazione da parte delle organizzazioni ambientali alle tecniche classiche di smaltimento applicate a tutti i tipi di rifiuti, che consistevano, esclusivamente, nella discarica 305 .

  La prevenzione è al primo posto nella gerarchia. Seguono il riuso, poi il riciclo e il compostaggio, l'incenerimento con recupero di energia (o processi simili), e la discarica.

  La gerarchia di gestione dei rifiuti è stata, successivamente meglio specificata nella “Direttiva rifiuti” (122006 CE), che ha inoltre fornito il quadro di riferimento europeo sul tema, aggiornando la direttiva 4421975 CEE e tutte le successive modifiche. Gli obiettivi prioritari della Direttiva rifiuti del 2006 chiedono agli stati, in primo luogo, di promuovere la prevenzione o la riduzione della produzione dei rifiuti e della loro nocività, attraverso:

  • lo sviluppo di tecnologie pulite che permettano un risparmio delle risorse naturali; • la messa a punto di prodotti che contribuiscano il meno possibile a incrementare

  quantità e qualità dei rifiuti durante tutto il loro ciclo di vita; • lo sviluppo di tecniche atte a eliminare sostanze pericolose contenute nei rifiuti da

  smaltire. Al secondo posto nella scala delle priorità gerarchiche, la Direttiva rifiuti chiede agli

  stati membri di:

  • promuovere il recupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego, riutilizzo per non

  sprecare le materie prime secondarie; • promuovere l'uso dei rifiuti come fonte energetica.

  La Direttiva, poi, riorganizza le definizioni fondamentali di rifiuto, obbliga gli stati membri ad elaborare piani di gestione nazionali e ad applicare il principio della responsabilità del produttore, e a:

  • garantire che smaltimento e recupero non costituiscano pericolo per la salute

  dell'uomo e per l'ambiente (evitando impatti sulle componenti acqua, aria, suolo, e su fauna e flora);

  • garantire che smaltimento e recupero non causino odori e rumori sgradevoli, e che

  non danneggino il paesaggio e i siti di particolare interesse;

  305 Davies A., op cit, p.11.

  • vietare l'abbandono incontrollato dei rifiuti; • creare una rete integrata di impianti di smaltimento che tenga conto delle

  tecnologie più avanzate e meno costose a disposizione. 306 Non tutti gli stati hanno adottato con convinzione la gestione gerarchica consigliata

  dall'Unione: essendo essa una guida per gli stati membri, piuttosto che uno strumento giuridico vero e proprio, è stata spesso sostituita da una diversa politica all'interno degli stati, quella della gestione integrata, che ha giustificato la lentezza di alcuni stati nel risalire dalle tecniche di smaltimento classiche verso i sistemi preferiti di gestione. In realtà, anche durante l'approvazione della Direttiva rifiuti del 2006, vi furono discussioni sulla separazione tra le definizioni di riciclaggio e recupero energetico (i sotenitori dell'incenerimento avrebbero voluto metterle sullo stesso piano, considerando il recupero energetico come una forma di riciclaggio). Queste differenti vedute, dovute alle emergenze degli ultimi anni e a diverse concezioni sugli impatti economici e ambientali delle differenti opzioni, si sono concretizzate nell'applicazione di politiche di integrated solid waste management piuttosto che di quelle di waste management hierarchy: la politica della gestione integrata ritiene che tutte le opzioni di trattamento dei rifiuti possono avere una loro posizione all'interno di un sistema integrato, poiché, economicamente, ognuna di esse può garantire maggiori convenienze. Questa posizione molto pragmatica (e meno attenta agli impatti ambientali, o con differenti vedute sugli stessi) ha naturalmente attratto il consenso di vari stati e anche del settore privato, oggi attore fondamentale nella gestione. Numerose critiche sono state però rivolte anche alla strategia gerarchica. Seppur fosse applicata alla lettera, essa potrebbe risultare comunque in uno sforzo degli apparati statali a convertire l'impiantistica dalle discariche agli inceneritori, e dagli inceneritori agli impianti di riciclaggio, senza però giungere mai a quella che è probabilmente la sfida più difficile: metaforicamente, chiudere il rubinetto della vasca piena, piuttosto che costruire uno scarico più grande alla fonte, ovvero concentrarsi sulla gestione della domanda e dei consumi. 307

  306 Cfr. Arpac, Rifiuti. Produzione e gestione in Campania 2002-2007, pp. 2-3. 307 Cfr. Davies A., op. cit., pp. 11-13.

Fig. 21. Descrizione schematica della Waste management hierarchy e della

  Integrated solid waste management

  Fonte: Davies A.R., The geographies of garbage governance. Internventions, Interactions and Outcomes, Aldershot, Hampshire, Ashgate, 2008

  Vari governi, però, preferiscono concentrarsi su obiettivi di raccolta differenziata (è il caso dell'Italia), probabilmente anche per non contraddire le esigenze economiche del mercato. Raramente, però, la raccolta differenziata può essere una soluzione sostenibile a più livelli: in primo luogo, nella maggioranza dei casi gli oggetti raccolti non sono costruiti in modo da essere facilmente riciclati dopo il consumo. La raccolta differenziata “a valle” del consumo diviene, così, un esercizio spesso costoso, benché svolto oggi da consorzi obbligatori come il Conai in Italia. Ma poi, i materiali differenziati rischieranno di non avere mercato: se non sono facili da riciclare, sicuramente provocheranno l'innalzamento dei costi di gestione. Come vedremo in seguito, questa è una delle giustificazioni utilizzate spesso nei casi in cui la raccolta differenziata non riesce ad arrivare agli obiettivi stabiliti per legge. In tali casi, spesso si ricorre alle soluzioni meno consigliabili, secondo la gerarchia europea, per risolvere il problema dello smaltimento.

  Nel giugno del 2008, l'Unione Europea ha varato la “Nuova Direttiva Rifiuti” (982008), che insiste invece sulla necessità di attuare la gerarchia di gestione dei rifiuti, ribadendo il ruolo prioritario delle misure di prevenzione di ridurre l’utilizzo delle risorse

  e di anteporre a qualsiasi forma di trattamento dei rifiuti la loro riduzione o eliminazione: un output in tal senso è la strategia del VI Programma comunitario di azione per l'ambiente (“Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta”), che combina insieme la e di anteporre a qualsiasi forma di trattamento dei rifiuti la loro riduzione o eliminazione: un output in tal senso è la strategia del VI Programma comunitario di azione per l'ambiente (“Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta”), che combina insieme la

  il campo da altri dubbi sulle misure di trattamento, rilevando che «il riutilizzo e il riciclaggio dovrebbero preferirsi alla valorizzazione energetica, in quanto rappresentano la migliore opzione ecologica» 310 . Il recupero energetico può essere considerato fattibile solo se permetta «ai rifiuti di svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali» 311 , e solo allorquando gli impianti rispondano a requisiti di efficienza energetica stabiliti dalla Direttiva stessa. All'ultimo posto nella gerarchia, e solo per gli scarti residui delle precedenti forme di trattamento, rimane lo smaltimento in discarica controllata 312 .

  All'interno del VI Programma, vi è la Strategia per l'uso sostenibile delle risorse, vista nel precedente paragrafo, e quella sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti. Queste strategie sono complementari, e differiscono, nel concreto, nei settori di intervento: la prima si occupa del mondo produttivo, la seconda del sistema integrato dei rifiuti. L'Unione appare consapevole dell'importanza di attuare entrambe le politiche, per ottenere risultati migliori che in passato, e appare anche volta a non trascurare il ruolo partecipativo dei cittadini. 313 La Strategia sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti «è volta alla riduzione degli impatti ambientali negativi generati dai rifiuti lungo il corso della loro esistenza, dalla produzione fino allo smaltimento, passando per il riciclaggio», e intende fare passi avanti nel trasformare i rifiuti da problema in risorsa 314 . Mentre restano validi gli obiettivi già fissati in precedenza, parte integrante dell'approccio basato sull'impatto ambientale e sul ciclo di vita delle risorse, la Strategia prevede alcune novità che si possono sintetizzare nelle seguenti azioni:

  • miglioramento del quadro legislativo generale; • sviluppo di definizioni chiare e univoche dei rifiuti e delle attività di recupero - che

  dovranno essere meglio distinte da quelle di smaltimento - e del riciclaggio, finora non considerato;

  • prevenzione degli impatti negativo dei rifiuti: non è un tema nuovo, ma si

  specificano alcuni dettagli rilevanti: per prima cosa, la diminuzione d'impatto deve essere applicata all'intero ciclo di vita delle risorse, ad esempio attraverso la

  308 Esaminata in precedenza. 309 Esaminata nel seguito del paragrafo. 310 Arpac, Rifiuti. Produzione e gestione in Campania 2002-2007, p. 4. 311 Ibidem. 312 Cfr. Tinacci Mossello M., op. cit., p. 318; cfr. 313 Cfr. Tinacci Mossello, op. cit.,p.362 e segg., e il vasto sito internet dell'Unione Europea, ad es. alle

  pagg. web http:ec.europa.euenvironmentindex_it.htm, http:ec.europa.euenvironmentlegalimplementation_en.htm e http:europa.eulegislation_summariesenvironmentindex_it.htm con i link correlati.

  314 Dal sito dell'Unione Europea alla p. web http:europa.eulegislation_summariesenvironmentsustainable_developmentl28168_it.htm 314 Dal sito dell'Unione Europea alla p. web http:europa.eulegislation_summariesenvironmentsustainable_developmentl28168_it.htm

  • incoraggiare il riciclaggio, limitandone però le pressioni sull'ambiente; • integrare definitivamente le politiche ambientali dei rifiuti con quelle dei prodotti.

Fig. 22. Evoluzione della Strategia di prevenzione e riciclaggio dei rifiuti (VI

  Programma Ue per l'ambiente)

  Fonte: Presentazione - European Unnion Stakeholder Information Meeting, Thematic Strategies on the sustainable use of resources and on the prevention and recycling of waste , Brussels, 16 January 2006.

  Note: si può notare la struttura legislativa europea riguardo alla tematica prevenzione e riciclaggio dei rifiuti, con i cambiamenti e gli aggiornamenti previsti, tra cui la regolamentazione del riciclaggio tra le opzioni di trattamento e l'inserimento della direttiva sui rifiuti pericolosi dentro la generale direttiva sui rifiuti.

  Ci siamo concentrati fin qui sulle politiche. Se guardiamo alla situazione europea di questi ultimi anni, possiamo però dire, con le parole della stessa Ue 315 che, nel campo della

  produzione e del consumo sono stati ottenuti pochi risultati concreti, nonostante i notevoli sviluppi normativi. 316

  Molte sono le differenze di applicazione della normativa tra i paesi. In parte, questo è dovuto al fatto che nella gestione dei rifiuti, i paesi membri dell'Unione, anche i più vecchi, scontano anni di differenze che non consentono facili standardizzazioni come richiesto dalla Commissione. Come già evidenziato, infatti, diversità culturali ed economiche tra diverse regioni hanno promosso sistemi di gestione diversi tra loro; inoltre, nonostante l'Europa sia forse la regione al mondo in cui sono stati fatti gli sforzi maggiori di legislazione ambientale macroregionale, molteplici sono state le interpretazioni delle direttive comunitarie da parte degli stati membri, comprese le interpretazioni diverse sulle definizioni dei rifiuti urbani e su come gestire i dati e misurarne i flussi. Alcuni studi hanno mostrato, ad esempio, le differenze tra i sistemi di Gran Bretagna e Olanda: il primo basato su un forte stato centrale e una delega, con sub- appalto, al settore privato, senza passare per il livello locale, il secondo caratterizzato da una forte autonomia del governo locale anche nel definire politiche e strategie, e da una partecipazione del settore privato maggiormente regolata, con una partecipazione più garantita della società civile. I due sistemi, in definitiva, differiscono nell'applicazione delle norme Ue: l'Olanda ha avviato con maggior facilità l'abbandono della soluzione dell'interramento dei rifiuti in discarica, sostituendola con un incenerimento con limiti alle emissioni stringenti, ma anche con strategie di prevenzione dei rifiuti e disaccoppiamento tra crescita economica e produzione dei rifiuti, con leggi sulla responsabilità estesa del produttore. La Gran Bretagna, invece, continua a utilizzare la discarica come principale strumento di smaltimento per due ragioni fondamentali: una risiede nella minor fiducia tra cittadini e istituzioni; a differenza dell'Olanda, qui vi è uno scontro aperto sul tema dell'incenerimento, anche perché il governo non ha fornito argomentazioni convincenti, cavalcando grossomodo il “modello Dad” (decisione verticistica – annuncio al pubblico – difesa dalle obiezioni) 317 . Ma c'è anche una specificità territoriale che rende diversi i due paesi: l'abbondanza di miniere dismesse, che rende conveniente, per il Regno unito, il loro riutilizzo come discariche – situazione ben diversa dall'Olanda che invece non ha molti spazi liberi a disposizione. Questa differenza territoriale ricorda quella che c'è tra Giappone e Stati Uniti, col primo che ha una quota maggiore di rifiuti inceneriti,

  315 European Environmental Agency (EEA), L'ambiente in Europa. Quarta valutazione, 2007. 316 Cfr. Davies A., op. cit., pp. 40-41. 317 Come descritto in Faggi P., Turco A., op. cit..

  soprattutto a causa di mancanza di spazi, e con i secondi che, invece, ricorrono alla discarica insieme al riciclaggio, e che hanno messo al bando la costruzione di nuovi inceneritori a causa degli effetti nocivi accertati per la salute. I due paesi europei, però, sono un sintomo di quanto, all'interno dell'Unione, le direttive possano essere interpretate

  a seconda del sistema di governo e delle caratteristiche nazionali. Si noti che molte delle differenze di vedute riguardano i due sistemi (discarica e incenerimento) agli ultimi posti nella gerarchia dell'Unione, e che, tutta la questione della ricerca della migliore opzione viene spesso rallentata da questioni di ordinaria amministrazione che ne ritardano l'applicazione, se non, come si accennava in precedenza, addirittura da filosofie di gestione diverse (quella del ciclo integrato, in contrasto con la gerarchia europea)

  Comunque, tutti i paesi membri dell'Unione, anche i più vecchi, scontano anni di differenze che non consentono facili standardizzazioni della gestione dei rifiuti, come invece richiesto dalla Commissione: la discarica, che rappresenta l’opzione meno adeguata dal punto di vista ambientale, in base alla waste hierarchy europea, continua a essere il metodo più diffuso di gestione dei rifiuti in tutta Europa. Gli Stati membri dell’Ue hanno comunque compiuto alcuni progressi nel limitare la porzione di rifiuti urbani destinata alle discariche. Molti paesi dell’Eocac e dell’Eso hanno elaborato strategie in materia di rifiuti e una normativa specifica al riguardo, che tuttavia devono ancora essere attuate in maniera efficace. In alcuni paesi dell’Eocac, poi, una sfida ancora maggiore consiste nel garantire la sicurezza ambientale e la bonifica dei siti inquinati ereditati dal passato: la questione dei rifiuti industriali è ancor più complessa da gestire, specie nel caso delle industrie dismesse.

  Nelle seguenti figure (23 e 24) si possono apprezzare i progressi fatti dai paesi europei dal 1995 al 2005 in tema di recupero di materia: vediamo nella fig. 23 come la quota di utilizzo delle discariche si sia notevolmente ridotta in dieci anni, con la crescita del riciclaggio e compostaggio (e in minima parte dell'incenerimento), soprattutto nei paesi di più vecchia adesione; nella cosiddetta Europa a 10, ovvero nei paesi dell'Est che hanno aderito all'Unione tra il 2004 e il 2007, la quota di materia recuperata è inferiore, e ancor più lo è in quelli dell'Ecoac (v. fig. 25), come comprensibile, dato il livello di sviluppo economico inferiore e dato anche un quantitativo di rifiuti urbani da gestire di gran lunga meno consistente.

Fig 23. Modalità di trattamento dei rifiuti urbani (quote percentuali sul totale dei

  rifiuti trattati)

  Fonte: Eea, L'ambiente in Europa. Quarta Valutazione, 2007 p. 284

Fig. 24. Modalità di trattamento dei rifiuti urbani in Europa (quote percentuali sul

  totale dei rifiuti trattati)

  Fonte: Eea, L'ambiente in Europa. Quarta Valutazione, 2007

  Oltre alle politiche di gestione diverse, il problema a monte della crescita dei rifiuti persiste in tutti i paesi europei, e pare una tendenza così radicata che i tentativi fatti a Oltre alle politiche di gestione diverse, il problema a monte della crescita dei rifiuti persiste in tutti i paesi europei, e pare una tendenza così radicata che i tentativi fatti a

  Scorrendo gli ultimi tre rapporti di valutazione ambientale dell'Eea 318 , infatti, il quadro è quello di un aumento generalizzato della produzione dei rifiuti, molto evidente

  negli anni novanta, e in rallentamento nei paesi membri di vecchia adesione (o dell'Europa

  a 15). Vari passi avanti sono stati fatti nel controllo della situazione: un sicuro progresso a livello europeo è quello delle modalità di monitoraggio e dello sviluppo di indicatori comuni: nel secondo rapporto del 1998, infatti, si legge che

  «in base ai dati disponibili, la produzione totale di rifiuti nei paesi europei membri dell'OCSE risulta aumentata di circa il 10 tra il 1990 e il 1995. L’aumento potrebbe tuttavia essere almeno in parte riconducibile all’impiego di sistemi più efficienti di monitoraggio e di documentazione dei rifiuti. L’incompletezza e la mancanza di omogeneità dei dati raccolti rendono difficoltoso seguire con precisione l’andamento e predisporre interventi più mirati nella politica di gestione dei rifiuti di tutti i paesi europei.

  Si calcola che tra il 1990 e 1995 nei paesi europei membri dell’OCSE la produzione di rifiuti urbani sia aumentata dell’11. Nel 1995 sono stati prodotti circa 200 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, pari a 420 kg pro capite all’anno. I dati sulla produzione di rifiuti urbani disponibili per i PECO e gli NSI non sono sufficienti a consentire di delineare la tendenza di base in questo settore»

  Nonostante nel terzo rapporto, del 2003, si notino ancora tendenze all'aumento generale della produzione di rifiuti, si possono rilevare alcuni miglioramenti nella gestione dei rifiuti nei paesi dell'Europa occidentale: si passa dalla modalità del cosiddetto “tutto in discarica” alla messa in pratica delle prime soluzioni alternative, come il riciclaggio (compostaggio incluso), passato nei paesi dell'Unione dalla media dell'11 del periodo 1985-1990 al 21 del 1995, fino al 29 nel 2000. Le quote dei paesi aderenti era più bassa di circa 10 punti percentuale; per i nuovi membri, un importante miglioramento è stato conseguito dopo la conferenza di Kiev del maggio 2003, dove è stata presentata la Terza Relazione sullo Stato dell’ambiente paneuropeo: sono stati infatti migliorati i metodi di calcolo dei dati, anche se essi sono a tutt'oggi basati su stime.

  Si notano ancora alcune disparità e difficoltà nel trattamento dei dati in tutta l'Unione, mentre la situazione dei paesi inseriti tra i candidati all'adesione è solitamente

  318 Si vedano i rapporti European Environmental Agency (EEA), L'ambiente in Europa. Quarta valutazione , 2007; L'ambiente in Europa. Terza valutazione, 2003; L'ambiente in Europa. Seconda valutazione, 1998.

  ancor più difficile sotto questo aspetto. Qui si registrano solitamente quote più grosse di produzione di scarti industriali e minerari, mentre c'è una più accentuata riduzione di questo tipo di attività in Europa occidentale. Si notano anche i primi segnali della tanto invocata tendenza al disaccoppiamento tra la crescita economica e quella dei rifiuti urbani in alcuni paesi dell'Europa occidentale, benché, come sarà ribadito anche successivamente, «agreed objectives to stabilise the generation of municipal waste in the European Union have not yet been met 319 » .

  L'ultimo rapporto di valutazione ambientale dell'Eea evidenzia come, ancor oggi e nonostante tutte le politiche messe in atto dall'Unione, «l’impatto ambientale derivante da un maggiore consumo e da una produzione più elevata continu[i] a crescere» 320 . I rifiuti urbani crescono del 2 all'anno in media nei paesi membri di più vecchia adesione, mentre nei paesi di nuova adesione si sta verificando una crescita ancor più rapida: essi infatti sperimentano una crescita economica più elevata, accompagnata da un nuovo sviluppo industriale dovuto anche alle delocalizzazioni delle industrie dei paesi di vecchia industrializzazione.

  319 European Environmental Agency (EEA) Europe’s environment: the third assessment, 2003, p. 151 320 European Environmental Agency (EEA), L'ambiente in Europa. Quarta valutazione, 2007. p. 252.

Fig. 25. Raggruppamenti geografici usati nel rapporto Eea, L'ambiente in Europa.

  Quarta Valutazione, 2007

  Fonte: Eea, L'ambiente in Europa. Quarta Valutazione, 2007, p. 290.

  Usando i raggruppamenti geografici elaborati nel rapporto dell'Eea (v. fig. 25) possiamo osservare come nei paesi dell’Europa orientale, Caucaso e Asia centrale e dell’Europa sudorientale (Eocac) si prevede una generale crescita dell’impatto ambientale dovuta all'aumento del consumo di risorse: esso si sta verificando sia nel settore manifatturiero che a causa dei consumi domestici. I settori edile e minerario, associati alla produzione di metalli di base e di minerali industriali guidano l'aumento della produzione Usando i raggruppamenti geografici elaborati nel rapporto dell'Eea (v. fig. 25) possiamo osservare come nei paesi dell’Europa orientale, Caucaso e Asia centrale e dell’Europa sudorientale (Eocac) si prevede una generale crescita dell’impatto ambientale dovuta all'aumento del consumo di risorse: esso si sta verificando sia nel settore manifatturiero che a causa dei consumi domestici. I settori edile e minerario, associati alla produzione di metalli di base e di minerali industriali guidano l'aumento della produzione

  Fig. 26. Europa “a 15”, “a 25”, “a 27”

  Stati membri Stati di nuova adesione Stati candidati all'adesione

  Note:

  1) carta a sinistra: 1º gennaio 1995 - Austria, Finlandia e Svezia aderiscono all’UE. Gli Stati membri sono 15 e comprendono quasi tutta l’Europa occidentale. L’ex Germania dell’Est entra a far parte dell’UE.

  Stati membri: Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito e Spagna.

  2) carta centrale: 1º maggio 2004 - otto paesi dell’Europa centrale e orientale entrano a far parte dell’UE: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria ponendo fine alla divisione dell’Europa decisa dalle grandi potenze sessant’anni prima alla conferenza di Yalta. Anche Cipro e Malta aderiscono all’UE.

  3) carta a destra: 1º gennaio 2007 - altri due paesi dell’Europa dell’Est, la Bulgaria e la Romania, entrano a far parte dell’UE, facendo salire così il numero degli Stati membri a 27. I paesi candidati all’adesione sono ora la Croazia, l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia e la Turchia.

  Fonte: rielaborazione dal sito internet dell'Unione Europea.

  Dal punto di vista dei consumi, le tendenze dell'Europa a 15 vanno nel verso di un aumento generalizzato, che però riguardano soprattutto i settori dei trasporti, delle comunicazioni, delle abitazioni, del tempo libero e della salute, denotando un cambiamento delle abitudini verso un'economia dei servizi. Nonostante ciò, non si Dal punto di vista dei consumi, le tendenze dell'Europa a 15 vanno nel verso di un aumento generalizzato, che però riguardano soprattutto i settori dei trasporti, delle comunicazioni, delle abitazioni, del tempo libero e della salute, denotando un cambiamento delle abitudini verso un'economia dei servizi. Nonostante ciò, non si

  ad abbandonare gli stili di vita rurali vicini alla sussistenza. Il cambiamento dei modelli di consumo sta in generale aumentando gli impatti, poiché la spesa si concentra «su categorie

  a impatto più elevato (utilizzo dell’energia nei settori domestico e dei trasporti). In tali categorie, la crescita dei consumi si è spinta ben oltre i vantaggi derivanti da una migliore efficienza tecnologica» 323 .

  Alcuni dei disaccoppiamenti sperati tra Pil e consumo di risorse si sono infine verificati, ma molti dei paesi membri, specie quelli di vecchia tradizione industriale, hanno solo trasferito gli impatti ambientali in altri paesi. L’efficienza nell’uso delle risorse varia in maniera significativa da paese a paese: nell’UE a 15 è cresciuta, ed è fino a 20 volte superiore rispetto ai paesi dell’EOCAC, ma comunque questi risultati sono annullati dalla crescita dei consumi. L'Unione Europea individua ancora nella dissociazione della crescita economica dagli impatti ambientali connessi al consumo, all’utilizzo delle risorse e alla produzione di rifiuti, la sfida per il futuro degli stati membri, ma riconosce che tali politiche non stanno dando i frutti sperati. Infatti, «normalmente, un’attività economica in crescita comporta una maggiore produzione di rifiuti. Poiché la crescita economica è l’obiettivo politico primario dell’Europa, è spesso difficile trovare strumenti politicamente accettabili che riescano a limitare tale fenomeno.» 324 Di tanto in tanto, come durante la recente recessione economica del 2009, si verificano interruzioni nella crescita dei rifiuti non dovuti alle politiche di riduzione, il che dimostra quanto forte sia ancora il loro legame con l'andamento dell'economia. Ad ogni modo, l'Unione Europea auspica un ricorso a un’ampia serie di strumenti per prevenire la produzione di rifiuti, quali la riduzione delle emissioni, la riduzione delle sostanze pericolose nei flussi di materiale e il

  321 Ibidem, p. 266. 322 Ibidem, p. 266. 323 Ibidem, p. 253. 324 Ibidem, p. 282.

  miglioramento nell’efficienza delle risorse. Alcuni di essi sono già stati messi in atto, come l'Emas (sistema comunitario di ecogestione e audit) dell'Ue, strumento volontario che le imprese possono adottare per miglioramenti a lungo termine che premia le aziende che lavorano su miglioramenti di lungo periodo con incentivi; o come l'approccio basato sul ciclo di vita dei prodotti, con la partecipazione del settore privato attraverso accordi con gli stati. Tra gli esempi di prevenzione vi è la riduzione di alcuni metalli pesanti nelle batterie, quali mercurio e cadmio, o di altre sostanze inquinanti: di sicuro è importante – e più semplice – ridurre la quantità di inquinanti piuttosto che la quantità di rifiuti, ma già questa è un importante risultato, considerando che resta ancora molto da fare nell'evitare che inquinanti pericolosi vengano sparsi nell'ambiente. E' infatti sempre problematica la gestione dei rifiuti urbani, che, nello smaltimento, non è scevra dal provocare inquinamento, nonostante le normative stringenti dell'Unione.

Fig. 25. Tendenze di crescita della produzione totale di rifiuti in Europa (urbani e speciali) per paese (1995-2003)

  Fonte: Apat, Onr, Rapporto rifiuti 2006, Roma, Apat, 2006

Fig. 25. Tendenze di crescita della produzione totale di rifiuti in Europa (urbani e

  speciali) per regioni europee

  Fonte: Eea, L'ambiente in Europa. Quarta Valutazione, 2007 Note: 1. si veda la fig. 23 per le specificazioni sui raggruppamenti di stati.

  2. EFTA: European Free Trade Association, formata da Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera.

Fig. 26. Produzione totale pro-capite di rifiuti in Europa (urbani e speciali)

  Fonte: Eea, L'ambiente in Europa. Quarta Valutazione, 2007

Fig. 27. Rifiuti urbani prodotti e smaltiti in discarica

  Fonte: Eea, L'ambiente in Europa. Quarta Valutazione, 2007 p. 283-v note

Fig. 28. Evoluzione della produzione pro capite di rifiuti urbani nell’UE (kgabitante per anno), anni 1995-2004

  Fonte: Apat, Onr, Rapporto rifiuti 2006, Roma, Apat, 2006 (elaborazione Apat di dati Eurostat)

2.3 Normativa e territorio: differenze spaziali e criticità di applicazione in Italia

  La normativa Come abbiamo potuto vedere, la Comunità europea è organo sovra-ordinato

  rispetto alla definizione legislativa delle politiche sui rifiuti. L'Italia, come gli altri paesi membri, ha dovuto emanare leggi e regolamenti che disciplinassero la materia in linea con le linee strategiche comunitarie. Attualmente le fonti del diritto principali in materia di ambiente e rifiuti sono il D.lgs. 1522006 (Norme in materia ambientale), modificato e integrato dal D.lgs. 42008 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), e via via modificato , nell'idea, sviluppatasi recentemente, di accorpare tutte le leggi sul tema in un Testo unico ambientale.

  La prima legge italiana fondamentale che ha riordinato il campo dei rifiuti in base alla normativa europea è stata il decreto legislativo n. 2297, meglio conosciuto come decreto Ronchi, dal nome del ministro del partito dei Verdi dell'allora primo governo Prodi. Tale decreto è stato emanato in attuazione delle direttive 15691 sui rifiuti, 68991 sui rifiuti pericolosi e 6294 sugli imballaggi. Nonostante il ritardo italiano nell'attuazione delle norme europee, il decreto in questione conteneva norme avanzate rispetto a quella che è stata l'applicazione concreta, che ha avuto inoltre forti differenze tra le regioni italiane – soprattutto nelle macroaree nord, centro e sud, con quest'ultimo in grave ritardo rispetto alla media nazionale. Gli articoli del D.Lgs. 2297 rendevano obbligatorie, in primis, norme sulla prevenzione dei rifiuti (art. 3) da adottare a livello delle autorità competenti, comprendenti moderne prescrizioni quali ad esempio la promozione di strumenti economici, l'analisi del ciclo di vita dei prodotti, azioni di informazione e di sensibilizzazione dei consumatori, «la promozione di accordi e contratti di programma finalizzati alla prevenzione ed alla riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti»,

  ad esempio per favorire l'immissione sul mercato di prodotti concepiti in modo da non contribuire o da contribuire il meno possibile, in tutto il loro ciclo di vita, «ad incrementare la quantità, il volume e la pericolosità dei rifiuti ed i rischi di inquinamento».

  Gli altri articoli del decreto si concentrano sul recupero (art. 4) (reimpiego, riciclaggio e recupero di materia, e misure economiche che favoriscano il mercato dei materiali; uso dei rifiuti come combustibile), con le priorità definite dalla gerarchia dell'Unione Europea; sul corretto smaltimento (art. 5), fase considerata esclusivamente residuale del trattamento dei rifiuti, che deve essere realizzata in autosufficienza in “ambiti territoriali ottimali”, riducendo al massimo il trasporto dei rifiuti. Inoltre non possono essere realizzati nuovi impianti di incenerimento senza recupero energetico, mentre le discariche sono ammesse solo per i materiali inerti.

  Dopo la definizione di rifiuto 325 e delle altre categorie ad esso collegate (produttore, detentore, gestione ecc.), l'art. 7 distingue i rifiuti in base all'origine (urbani o speciali) e in

  base alle loro caratteristiche (pericolosi e non pericolosi). Gli urbani (e assimilati, ovvero quelli prodotti in ambito urbano da uffici, attività artigianali o commerciali) sono di competenza comunale, mentre il produttore o detentore di quelli speciali ha l'obbligo di disfarsene, conferendoli ai soggetti autorizzati al loro corretto smaltimento. Le autorizzazione e le scelte dei trattamenti dipendono dal Codice Europeo dei Rifiuti (Cer), che serve a definire con esattezza le loro caratteristiche. Dopo i trattamenti questo codice viene modificato: c'è da dire che molte truffe e attività criminali organizzate hanno sfruttato proprio questi passaggi (modifica del Cer, mescolamento di sostanze pericolose all'interno di rifiuti o materiali da recuperare sotto una bolla di accompagnamento Cer aparentemente “innocua ”).

Fig. 30. Tipologia dei rifiuti in base all'origine o alle caratteristiche

  non pericolosi

  rifiuti urbani competenza

  pericolosi

  comunale

  non pericolosi

  rifiuti speciali: competenza del produttore

  pericolosi

  o detentore

  Fonte: Massarutto A., op. cit, e D.Lgs.2297.

  Gli altri articoli si concentrano su obblighi e divieti, sull'istituzione del catasto dei rifiuti, per una corretta contabilizzazione, sulle bonifiche dei siti contaminati, ma, nella nostra trattazione è interessante trattare meglio la territorializzazione che il decreto mette in atto. Come il resto del decreto, va rilevato che tutta la normativa è conferita nel nuovo D.lgs. 15206 “Norme in materia ambientale” con cui il governo riordina vari settori ambientali tra cui quello della “gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati”, e dalle successive modifiche e integrazioni del D.Lgs. n. 42008. Nella normativa italiana, dunque, si individuano le competenze delle varie scale di governo, assegnando allo stato il ruolo di definizione dei principi, mutuati da quelli europei, specie per ciò che riguarda la tutela dell'ambiente e i controlli; le regioni hanno il compito di pianificare la gestione dei

  325 «Qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A [del decreto stesso] e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi». Si veda l'art. 6 del

  D.Lgs.2297.

  rifiuti sul territorio, attraverso un piano regionale che organizza la raccolta differenziata e lo smaltimento, fissa i criteri per l'individuazione dei siti dove collocare l'impiantistica, organizza le attività di valutazione e istruttoria e pianifica la bonifica dei siti contaminati.

  Le province devono dettagliare il piano regionale e renderlo operativo. A questi livelli amministrativi si sovrappongono i servizi tecnici dell'Agenzia nazionale di protezione dell'ambiente, l'ex Anpa, oggi accorpata nell'Ispra, che, col supporto dell'Osservatorio Nazionale Rifiuti (Onr) – istituito sempre con il D.lgs 2297 - svolge funzioni di documentazione e reporting, mentre attraverso le Agenzie regionali di protezione ambientale (Arpa) si occupa dei monitoraggi ambientali e delle attività di controllo (anche col supporto, dove istituiti, degli Osservatori Provinciali Rifiuti, Opr). Di fondamentale importanza è la territorializzazione della gestione introdotta dal decreto: in particolare si individuano Ambiti Territoriali Ottimali (Ato) in cui predisporre servizi congiunti tra comuni. Salvo differenti disposizioni delle regioni, gli Ato corrispondono alle province, che devono istituire un ente dotato di personalità giuridica, l'Autorità di ambito territoriale ottimale (Aato), che garantisca l'attuazione del piano provinciale, rispettando gli obiettivi di raccolta differenziata ed effettuando recupero e smaltimento negli impianti predisposti – individuati dai piani provinciali.

  Gli Ato si sono mostrati varie volte inadeguati allo scopo, quando l'area provinciale è fitta di insediamenti urbani o troppo limitata, e di conseguenza diviene difficile l'autosufficienza 326 .

  Ai comuni resta la responsabilità di organizzare la raccolta, riscuotere le tariffe, ma anche, a causa del nuovo principio affermatosi recentemente della gestione integrata, garantire il corretto smaltimento o recupero dei materiali raccolti sul proprio territorio e la realizzazione e gestione degli impianti 327 ; associati nelle Aato, devono gestire direttamente il servizio integrato (avveniva soprattutto in passato con la costituzione di società pubbliche o con la gestione “in economia”) o affidare il servizio a soggetti terzi gestori, che possono essere società private o miste pubblico-private. Ultimamente, data la crescente complessità del servizio, la gestione in economia, o quella interamente pubblica è stata ridotta in favore di forme aziendali più complesse. Recentemente, poi, con la l. 13308, si è reso obbligatorio il ricorso alla procedura di evidenza pubblica per l'affidamento del servizio, rendendo l'affidamento diretto un caso eccezionale e facendo in modo che anche le aziende pubbliche debbano partecipare alle gare. 328

  Già nel 1997 il decreto legislativo di Ronchi aveva previsto il passaggio dalla tassa alla tariffa, che il cittadino avrebbe pagato in base a elementi virtuosi del suo comune di

  326 Cfr. Tinacci Mossello M., op. cit., p. 322. 327 Cfr. Massarutto A., op. cit., pp. 85-86. 328 Ibidem.

  appartenenza (quota di raccolta differenziata, quantità di rifiuti indifferenziati...), ma, tuttora questo passaggio non è stato compiuto, e tale servizio si effettua in alcuni comuni solo in via sperimentale. Il decreto Ronchi non ha funzionato neanche per quanto riguarda la norma che vietava lo smaltimento dei rifiuti indifferenziati in discarica: questa disposizione è stata derogata così tante volte che è come se non fosse stata, di fatto, applicata. Anche gli altri obblighi derivanti dal decreto non sono stati compiuti se non im modo parziale: si imponeva l'obbligo di raggiungere alcuni livelli minimi di raccolta differenziata in ogni regione, in particolare il 35 entro il 2006, il 45 entro il 2008 e il 65 entro il 2012. Al 2006 solo quattro regioni avevano raggiunto e superato il primo obiettivo (Veneto 48, Trentino Alto Adige 49, Lombardia 43, Piemonte 41). Ma la stessa insistenza della norma italiana sulla raccolta differenziata, che è una precondizione, ma non una garanzia del recupero di quanto raccolto, non è esattamente in linea con le linee guida europee. Si calcola, infatti, che su una media italiana del 25 di raccolta differenziata, solo il 16 dei materiali è effettivamente recuperato: a valle della raccolta, infatti, «occorre prevedere attività di selezione e trattamento dalle quali si originano scarti che a loro volta vanno smaltiti» 329

  Un'altra critica che è stata fatta alla normativa, dati i risultati, è l'estensione del principio di autosufficienza e di prossimità agli ambiti ottimali: varie attività di gestione dei rifiuti richiedono trattamenti molto specializzati, concentrati in pochi impianti: le nuove norme, infatti, prevedono che non è obbligo di tutti gli ambiti prevedere tutta la gamma di impianti necessari a trattare tutti i rifiuti prodotti, ma che essi possono trovare convenienza a scambi di mercato di quote da trattare.

  Vari problemi nelle norme italiane sono stati riscontrati anche nei riguardi della corretta applicazione delle norme europee. Per esempio vi sono state sviste o presunte tali nella traduzione del principio della gerarchia dei migliori trattamenti da applicare ai rifiuti, per cui il D.lgs. 15206 è stato accusato (ad es. dalla rivista Lexambiente), di

  «negare questa consolidata gerarchia comunitaria. Ovviamente, non si tratta di una questione formale ma di una furbizia, tutta italiana, per poter giustificare la scelta centrale, effettuata dal testo unico, a favore della cd. “termovalorizzazione”, e cioè l’incenerimento con recupero di energia, ben più che del riutilizzo o del riciclaggio materiale dei rifiuti. Tanto da inserire addirittura la “termovalorizzazione” dei rifiuti tra le fonti di energia rinnovabile» 330

  329 Massarutto A., op. cit., p. 83. 330 Amendola G., “Rifiuti. Anche il Parlamento Europeo sconfessa il ''testo unico''”, in Lexambiente,

  rivista on-line

  20 Febbraio 2007, alla p. web. www.lexambiente.itarticle-print-2690.html.

  Dubbi sulla natura di questa svista se ne possono formulare, dato quanto emerge dalla ricerca sulla situazione Campana (che vedremo nei prossimi capitoli) e dagli interessi che possono esserci dietro un certo tipo di gestione.

  Applicazione delle norme sul territorio Nonostante le problematiche accennate, il corpus legislativo sui rifiuti, come sui

  temi ambientali in generale, è assai sviluppato e strutturato, avendo l'Italia l'obbligo di normare il campo secondo le direttive europee. Quando però si analizzano le situazioni dell'applicazione della norma sul territorio si scopre sempre una nazione molto sperequata in quanto ad applicazione e a controlli sul campo, oltre a un generale ritardo nazionale rispetto alla media dei paesi europei.

  Dal punto di vista della Comunità, l`Italia è il Paese che detiene attualmente, e da vari anni, il primato del più alto numero di procedure d'infrazione aperte dalla Comunità Europea per mancato rispetto di norme europee (ovvero per violazione di norme del trattato CE o per aver mancato a un obbligo in esse contenuto). Il settore in cui la Commissione Europea ha riscontrato più problemi è proprio quello ambientale, con ben 42 procedure aperte sul totale di 154, distribuite in modo meno concentrato su altri settori. Dodici delle 42 procedure riguardano violazioni del diritto comunitario in tema di rifiuti, e in particolare quattro interessano situazioni specifiche e localizzate su di un territorio (ad es. bonifiche di discariche non effettuate a norma, e il caso macroscopico dell’emergenza rifiuti in una regione intera come la Campania), mentre otto sono state aperte a causa di violazioni di carattere generale della normativa. 331

  Cfr. sito internet del Dipartimento Politiche Comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri, www.politichecomunitarie.it.