Esempio di approccio multi-criterio: allevamento di gamberi versus

Tab. 6. Esempio di approccio multi-criterio: allevamento di gamberi versus

  conservazione delle mangrovie

  Produzione di alimentare

  Risultati

  Valore del

  Valori culturali

  costiera da

  paesaggio mareggiate

  foreste

  1) Mantenere le mangrovie

  2) allevare

  e

  iv gamberi

  at

  n industrialmente

  er lt

  3) Altra A alternativa (es.

  Piccole vasche cooperative)

  Fonte: Martinez Alier J., op. cit, 2009, p. 146 (riadattamento).

  Uno dei motivi di generazione di conflitti ambientali è proprio il rifiuto a priori di riconoscere l'esistenza di valori diversi e la riduzione di tutti i beni e servizi a merce reale o fittizia: la parte che riesce a imporre i criteri valutativi, infatti, ha il più delle volte la meglio nell'imporre soluzioni ad essa favorevoli.

  A completamento dello sforzo di classificazione degli approcci di ricerca

  sull'ambientalismo, bisogna aggiungere che esistono due principali filoni di ricerca sui movimenti per la giustizia ambientale che si distinguono in base alla geografia degli attori considerati: gli studi dell'ecologia dei poveri sono solitamente “terzomondisti” e basati su esperienze di conflitti rurali, mentre quelli dell'environmental justice indagano sulle lotte urbane delle comunità periferiche di afroamericani, latini, nativi americani e altre minoranze degli Usa. Numerosissimi sono i casi internazionali del passato e del presente catalogati come appartenenti all'ecologia dei poveri: ad esempio quelli organizzatisi intorno al movimento Via Campesina in difesa dei diritti degli agricoltori contro la “biopirateria” del brevetto delle sementi delle grandi imprese multinazionali e a favore della libertà dei saperi agricoli tradizionali; i movimenti locali di protesta contro l'inquinamento provocato dalle imprese minerarie (diffusi sin dall'Ottocento in Giappone fino ai più recenti casi in America Latina 385 ); i casi del movimento non violento Chipko in difesa delle foreste in India, dei seringueros in Brasile e degli Ogoni del delta del Niger, questi ultimi due più conosciuti a causa del martirio del sindacalista seringuero Chico

  385 Per una rassegna di casi in questione si veda ad es. il cap. “Ecologia politica: studio dei conflitti ecologici distributivi” del libro Martinez Alier J., op. cit, 2009.

  Mendes 387 e degli attivisti ogoni, tra cui lo scrittore Ken Saro Wiwa . Numerosi sono anche i casi studiati dall'environmental justice, anche se forse meno conosciuti fuori

  dall'ambito statunitense. Quasi sempre essi sono connessi alla segregazione spaziale urbana, e pongono l'accento in primo luogo sulle questioni razziali (conservano infatti legami coi movimenti per i diritti civili degli afroamericani degli anni sessanta) e, in secondo luogo, sulle differenze di classe sociale.

  Lo studio di entrambi questi casi è iniziato tra gli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta. Martinez Alier considera questi movimenti come appartenenti a un'unica corrente dell'ambientalismo, quella appunto dell'ecologia dei poveri o ecologismo popolare. Ma nota anche che, «probabilmente a causa di stolte dispute disciplinari» 388 i confini tra le correnti sono continuamente rimarcati: i conflitti statunitensi di “giustizia ambientale”, tranne poche eccezioni, sono assenti dalla maggioranza dei libri di ecologia politica, poiché costituiscono il campo di studio proprio degli attivisti dei diritti civili, sociologi ed esperti di relazioni razziali statunitensi; viceversa, antropologi e geografi terzomondisti hanno dominato il campo dell'ecologia politica. Ad ogni modo per Martinez Alier è utile metterli in comparazione: lo studioso nota che l'indagine sui conflitti ecologici riguarda la maggioranza dell'umanità (quella che abita i paesi più poveri) e non soltanto le minoranze urbane statunitensi, quindi è necessario connettere le due parti empiriche dell'ecologia politica.

  E' necessario anche, per l'economista spagnolo, trovare i punti di contatto tra le tre correnti ambientaliste citate in precedenza: esse emergono sia nell'ambito delle attività di singole Ong come il Sierra Club o Greenpeace, che nel tempo hanno abbracciato varie modalità di azione toccando in momenti diversi gli approcci inquadrabili nei vari ambientalismi, sia, in generale: ciò che unisce tutte le forme di ambientalismo è in fondo il conflitto con le potenti lobby antiecologiste, probabilmente più forti al Sud che al Nord del mondo, che accusano gli ambientalisti di essere contrari allo sviluppo. Di queste lobby fanno parte di solito l'imprenditoria privata e forze politiche o gli stessi governi, oltre a residui della vecchia sinistra legata al mito della crescita economica 389 .

  386 Chico Mendes era un lavoratore del caucciù (seringuero) e un sindacalista dei seringueros brasiliani che lottava contro il latifondo e la distruzione della foresta, mezzo di sostentamento per i suoi abitanti. Fu

  stato assassinato il 22 dicembre del 1988 da

  Scrittore nigeriano attivista ogone, condannato a morte da un tribunale militare e ucciso il 10

  novembre 1995 assieme ad altri otto attivisti in lotta contro la compagnia petrolifera Shell, accusata di aver provocato ingenti danni ambientali nell'area del delta del fiume Niger in Nigeria (cfr. http:www.peacelink.itstoriaa6712.html).

  388 Martinez Alier J., op. cit., p. 115. 389 Cfr. Martinez Alier J., op. cit., 2009, p. 29.

  Esistono già, comunque, casi in cui gli steccati disciplinari si permeano e si contaminano. Tra le (non molte) contaminazioni fra gli studi di geografia e giustizia ambientale possiamo citare ad esempio i lavori del geografo Michael Watts 390 .

  Esaminando i principi generali dell'ecologismo popolare e dell'Ej, comunque, si può notare come questa “terza” 391 corrente dell'ambientalismo trova correlazioni importanti col

  caso campano, e come quindi sia utile operare un confronto internazionale tra i conflitti ambientali.

  Abbiamo visto infatti come l'Ej sia fondamentalmente un movimento urbano che riguarda le minoranze interne in un paese a economia avanzata: il suo campo di analisi è quindi più simile al caso che ci riguarda da vicino; inoltre, molti dei casi studio riguardano proprio lo smaltimento di rifiuti urbani o industriali. In termini generali, ciò che emerge con forza dai casi studiati in queste discipline è che quando si tratta di individuare un sito per la costruzione di un qualunque impianto inquinante la scelta dell'area da “sacrificare” cade spessissimo su territori con reti sociali deboli, funzionalmente marginali eo economicamente depressi dove vivono minoranze o gruppi sociali marginali. Nella letteratura statunitense tale problematica è quasi sempre legata a questioni razziali e, in secondo luogo, sulle differenze di classe sociale; in Europa un metodo di ricerca basato sulle relazioni interetniche avrebbe di certo meno senso 392 ; ciononostante, la questione delle aree e dei gruppi sociali marginali può risultare di sicuro utile anche nei contesti europei, dove come negli Usa vivono larghe minoranze urbane o suburbane che spesso subiscono i peggiori impatti ambientali della crescita economica, benché una fetta di danni ambientali sia esportata ad esempio attraverso i trasferimenti dell'industria di base in altri continenti del Global South o in Est Europa.

  Anche l'Ej, comunque, si occupa dei casi di ingiustizia ambientale internazionale: un esempio classico dell'ingiustizia redistributiva a scala globale che si trova nei manuali dedicati alla disciplina è rappresentato dagli effetti del cambiamento climatico globale: si stima che essi coinvolgeranno anche (e in alcuni casi soprattutto) alcuni paesi che hanno quote modeste di gas climalteranti. Come ribadisce Kristin Shrader Frechette, sono i poveri e le minoranze a subire più spesso i rischi ambientali maggiori, e questo è ormai dimostrato da un largo numero di studi: «studies consistently show that socio-economically

  Come ad es. Peluso N., Watts M.J. (a cura di). Violent Environments. Ithaca, Cornell University

  Press, 2001, o il nuovo Watts M.J., Curse of the Black Gold: 50 Years of Oil in the Niger Delta, Powerhouse Books, 2008

  391 In base alla classificazione adottata in precedenza. 392 Benché anche nell'Europa del benessere esistano casi di segregazione spaziale legati alle questioni

  etniche: basti pensare al caso del popolo Rom, emarginato e segregato da sempre, o a quello dei lavoratori extra-europei del nostro Mezzogiorno, segregati spesso in aree abitative degradate: si pensi al caso degli stagionali agricoli di Rosarno o di Villa Literno.

  deprived groups are more likely than affluent whites to live near polluting facilities, eat contaminated fish, and be employed at risky occupation 393 » .

  Tra i casi studiati, la maggior parte delle localizzazioni di impiantistica industriale contestate riguardano proprio quelle per lo smaltimento dei rifiuti industriali o urbani. David N. Pellow è uno degli autori che si è occupato maggiormente di casi di ingiustizia ambientale legata alla gestione dei rifiuti. Egli scrive che la letteratura scientifica sul commercio internazionale di rifiuti tra il “global north” e il “global south” 394 si è sempre occupata di come queste pratiche riflettano le diseguaglianze economiche tra le nazioni. Pellow afferma che dopo i molti studi svolti sin dagli anni settanta negli Usa sulla distribuzione degli impatti ambientali tra differenti etnie e classi sociali, si può confermare il nesso tra razza, classe e grado di salubrità dell'ambiente: è ormai assodato che sia alla scala nazionale e sub-nazionale, sia a quella internazionale, nel Nord come nel Sud del mondo, esista un'ideologia razzista e soprattutto convenienze economiche e normative o controlli meno restrittivi che penalizzano i gruppi più poveri e le etnie subalterne. La veridicità di questa ipotesi può essere confermata dal seguente paradosso: quando negli anni ottanta e novanta negli Stati Uniti molti gruppi di cittadini si sono ribellati riuscendo

  a evitare la costruzione di nuovi inceneritori e discariche sui propri territori, queste loro vittorie hanno generato un effetto perverso. Le imprese che gestivano i flussi di rifiuti pericolosi, trovando un'opposizione locale forte allo smaltimento facile “nel giardino del nero” 395 , hanno intensificato i traffici di rifiuti pericolosi verso il Sud del mondo. Qui, infatti, hanno trovato condizioni favorevoli poiché vi era meno attenzione verso i temi ambientali, almeno fino ai primi casi di protesta di alcune popolazioni locali e di alcuni governi e all'attenzione internazionale alla questione, che ha portato alla convenzione di Basilea sui traffici internazionali di rifiuti 396 . Nonostante gli sforzi, però, i differenziali economici tra paesi più ricchi e paesi in sviluppo nella gestione dei flussi di rifiuti sussistono, il che, inevitabilmente, attrae ancora imprese e organizzazioni criminali a praticare attività illegali o ai limiti della legalità con la consapevolezza di poter restare impunite.

  Per spiegare questa recrudescenza di reati e conflitti ambientali, Pellow ricorda le lezioni apprese da Allan Schnaiberg e dai suoi allievi, che parlano del treadmill of the production , e dal concetto di società del rischio di Ulrich Beck: gli stati moderni in cui oggi viviamo hanno fatto proprie le istanze del mondo della produzione, convinti di trarne

  393 Shrader-Frechette K., Environmental justice. Creating equality, reclaming democracy, New York, Oxford, 2002, p.7.

  394 Come spesso accade per la dizione “Sud del mondo”, queste definizioni di Pellow intendono aree agglomerate non sempre per posizione geografica, ma soprattutto in base al livello di ricchezza economica.

  395 All'accusa di “sindrome Nimby” l'Ej parla infatti di fenomeno Pibby, Put In the Black Back Yard.

  Su questo tema ci si è già espressi nel cap. 2, al par 2. “La gestione dei rifiuti e l'approccio di

  analisi transcalare. L’esempio italiano all’interno dell’Unione Europea” e nei suoi sottoparagrafi.

  sempre benefici. La macchina del mercato ha sempre bisogno di nuove espansioni economiche, con crescenti quote di produzione e consumo, mentre lo stato deve fornire welfare e politiche di protezione ambientale: ma questi obiettivi sono opposti, e convivono in costante tensione. Inoltre, il tratto comune delle società contemporanee già descritto da Schnaiberg, ovvero il costante aumento della produzione, comporta anche l'incremento costante dei rischi per la salute dei cittadini, sottoposti alla diffusione nell'ambiente di sostanze inquinanti che possono essere minimizzate dall'intervento statale e da “buone pratiche”, ma mai eliminate del tutto: è un processo irreversibile che ha modificato i rapporti tra capitale, stato e ambiente. Tanto che diviene difficile trovare i responsabili di un singolo danno ambientale, poiché le fonti di inquinamento sono molteplici, mentre garantire l'incolumità nel tempo della società del rischio diviene altrettanto complesso, quasi impossibile da parte degli attori pubblici, che sarebbero preposti a difendere il diritto alla salute dei cittadini.

  I danni ambientali si concretizzano in una segregazione spazialmente definita, le

  aree di residenza e di lavoro di tante comunità sono spesso territori marginali, abbandonati e di poco valore: territori rifiutati o sacrificati sull'altare del treadmill of the production , appunto, dove scaricare più facilmente la maggior parte dei rischi della società contemporanea. L'opinione pubblica, infatti, accetterebbe con più difficoltà un impianto inquinante al centro di New York, di Londra o di Roma piuttosto che nelle campagne del Nolano 397 , nei villaggi dei Paesi dell'Africa centrale o nelle comunità afroamericane di Chicago. E' per questo motivo, probabilmente, che la crisi di gestione dei rifiuti in Campania ha suscitato l'indignazione della maggioranza dell'opinione pubblica solo quando tutti i quartieri di Napoli, e non solo quelli periferici o più degradati, ma anche quelli storici e quelli abitati dalle classi media e alta sono stati invasi da cumuli di immondizia non raccolta per giorni. Quando le grida di sofferenza e le richieste d'aiuto sono state levate dalle minoranze che abitano le aree sub-urbane e rurbane di Napoli e Caserta, invase da scorie tossiche di ogni tipo, non vi è stato un eguale movimento d'opinione, come in seguito avremo modo di approfondire.

  Pellow, nel suo studio di Ej applicato al campo dei rifiuti, costruisce un elenco di cause prime dei conflitti che si concentrano sul tema: ribadisce che dalla fine della seconda guerra mondiale le nazioni più industrializzate generano crescenti quantitativi di rifiuti pericolosi come risultato dello sviluppo tecnologico, insieme a una cultura che accetta sempre più i rischi dell'epoca moderna più recente. L'autore individua quattro fondamentali ragioni per cui questi traffici continuano:

  397 Zona della cittadina di Nola, in provincia di Napoli. L'area tra Acerra, Nola e Marigliano è stata definita “Triangolo della morte” da recenti studi della rivista internazionale “The Lancet Oncology”, ripreso

  dall'articolo di Fabrizio Bianchi, Pietro Comba, Marco Martuzzi, Raffaele Palombino, Renato Pizzuti, “Italian “Triangle of death”” Volume 5, Issue 12, Page 710, December 2004.

  1. crescita della produzione di scarti tossici;

  2. bisogno di risorse economiche nel global South e accettazione delle compensazioni economiche in cambio di inquinamento;

  3. globalizzazione dell'economia e convenienza nel differenziale dei prezzi;

  4. cultura ed ideologia classista e razzista nel global North. Il quarto punto è quello tipico dell'approccio dell'environmental justice. Pellow cita

  come esempio che prova questi pregiudizi la famosa nota interna alla Banca Mondiale di Lawrence Summers del 1991, che, intercettata dalla stampa, creò uno scandalo internazionale:

  «'Dirty' Industries: Just between you and me, shouldn't the World Bank be encouraging MORE migration of the dirty industries to the LDCs [Less Developed Countries]? I can think of three reasons:

  1) The measurements of the costs of health impairing pollution depends on the foregone earnings from increased morbidity and mortality. From this point of view a given amount of health impairing pollution should be done in the country with the lowest cost, which will be the country with the lowest wages. I think the economic logic behind dumping a load of toxic waste in the lowest wage country is impeccable and we should face up to that.

  2) The costs of pollution are likely to be non-linear as the initial increments of pollution probably have very low cost. I've always though that under-populated countries in Africa are vastly UNDER-polluted, their air quality is probably vastly inefficiently low compared to Los Angeles or Mexico City. Only the lamentable facts that so much pollution is generated by non-tradable industries (transport, electrical generation) and that the unit transport costs of solid waste are so high prevent world welfare enhancing trade in air pollution and waste.

  3) The demand for a clean environment for aesthetic and health reasons is likely to have very high income elasticity. The concern over an agent that causes a one in a million change in the odds of prostrate cancer is obviously going to be much higher in a country where people survive to get prostrate cancer than in a country where under 5 mortality is is 200 per thousand. Also, much of the concern over industrial atmosphere discharge is about visibility impairing particulates. These discharges may have very little direct health impact. Clearly trade in goods that embody aesthetic pollution concerns could be welfare enhancing. While production is mobile the consumption of pretty air is a non-tradable. The problem with the arguments against all of these proposals for more pollution in LDCs (intrinsic rights to certain goods, moral reasons, social concerns, lack of adequate markets, etc.) could be turned around and used more or less effectively against every Bank proposal for liberalization».

  Questa nota viene indicata da Pellow come appartenente a un'ideologia neo- colonialista attualmente in uso, perché mostra come i traffici continuativi di scorie tossiche tra nord e sud del mondo siano in qualche modo giustificati ideologicamente da alcuni Questa nota viene indicata da Pellow come appartenente a un'ideologia neo- colonialista attualmente in uso, perché mostra come i traffici continuativi di scorie tossiche tra nord e sud del mondo siano in qualche modo giustificati ideologicamente da alcuni

  Tornando agli attori locali, bisogna notare che in molti casi essi diventano consapevoli di alcune delle questioni in precedenza discusse. Come già accennato, gli abitanti coinvolti nei conflitti ambientali modificano spesso la propria percezione del territorio e il loro livello di partecipazione. In molti dei casi esaminati, infatti, si nota come si generi una differente conoscenza del proprio ambiente, già presente in passato o (ri)acquisita attraverso la presa in carico dei nuovi problemi. Si genera dunque un cambiamento di prospettiva degli attori parti in causa nel conflitto, che può tradursi in un cambiamento della loro stessa natura: come affermano Faggi e Turco, essi possono trasformarsi da attori paradigmatici (stakeholder senza un programma per difendere i propri interessi) ad attori sintagmatici (protagonisti del conflitto che hanno un programma per difendersi e per ottenere la posta in gioco) 399 . Nel conflitto campano questo salto di qualità è avvenuto ed è stato molte volte carico di conseguenze, così come in molti conflitti dell'Ej o in quelli studiati dai “terzomondisti”.

  In questo lavoro si ipotizza che la gestione dei rifiuti abbia aperto la strada, in Campania, a nuove territorializzazioni, che hanno avuto conseguenze sia fisiche, sia percettive e, di conseguenza, anche del prodursi di azione politica dal basso. A livello fisico, vi sono state modificazioni concrete del territorio che hanno condizionato anche l'ambito socio-economico: l'impiantistica, i flussi, gli smaltimenti legali o illegali condizionano l'economia e la società; a livello percettivo, molti abitanti, specie laddove vi è una forte partecipazione al conflitto, hanno acquisito conoscenze e costruito immagini del territorio che hanno condotto a formulare azioni politiche sempre più orientate verso la salvaguardia dell'ambiente e l'importanza dell'ambito locale, connessa però all'agire nazionale e globale. In vari casi, infatti, i conflitti hanno alimentato anche una coscienza dei problemi ambientali globali. Ciò è accaduto specialmente nei luoghi più vicini all'impiantistica e in quelli in cui gli abitanti si sentono maggiormente minacciati: spesso si tratta delle zone rurali o peri-urbane direttamente coinvolte dalle scelte localizzative governative o dall'attività di smaltimento illecito dei rifiuti attuato dai poteri criminali.

  Paradossalmente, però, questo attivismo popolare connesso alle istanze globali si è concentrato più spesso in aree rurali o rurbane che nella città di Napoli, centro di potere e di cultura regionale. Napoli, infatti, con le eccezioni dei quartieri periferici di Chiaiano e Pianura, non è stata direttamente coinvolta nella localizzazione di impianti inquinanti, pur essendo la città con la maggior produzione di rifiuti in regione. L'attenzione a un

  398 Cfr. Pellow D. N., Resisting global toxic. Transnational movements for environmental justice, Cambridge, Mit Press, 2007, pp. 8-12

  399 Cfr. Faggi P. e Turco A, op. cit., p. 58.

  problema, infatti, è per molti inversamente proporzionale alla distanza dallo stesso: maggiore è la distanza, meno esso desta preoccupazioni. E, in effetti, nel caso di attività inquinanti, la percezione del rischio aumenta con la vicinanza alla fonte di emissione. Quando la distanza aumenta, solo alcuni poi si occupano anche dei “lontani sconosciuti”: generalmente ambientalisti o cittadini che fronteggiano situazioni simili nella propria zona di residenza. Questo, in realtà, diviene meno vero con la diffusione delle informazioni e della coscienza “ambientalista” 400 .

  Questo è solo uno degli aspetti del caso campano: elementi di “segregazione spaziale” dovuti alla gestione dei rifiuti urbani e speciali si notano a più livelli in Campania e nei rapporti tra Campania e resto d'Italia, come vedremo nel prosieguo del capitolo e nel successivo.

  In conclusione, se una delle sfide del già citato libro di Martinez Alier è quella di comparare i diversi movimenti considerati interni alla stessa corrente dell'ecologia dei poveri, l'ambizione di questa tesi è quella di studiare il caso campano della crisi dei rifiuti connettendolo a questa “terza corrente” dell'ambientalismo e comparandolo con i casi internazionali studiati dall'ecologia politica (Ej inclusa): la convinzione è che questa connessione può aiutare a comprendere meglio i processi transcalari di governance dell'ambiente e i processi socio-spaziali dei milieu territoriali locali in essi inseriti, come nel caso specifico della Campania.